Causa superiore a euro 2.582,28 instaurata personalmente dal contribuente: il difensore può introdurre successivamente nuovi motivi?

In una causa superiore a 2.582,28 euro il contribuente, dopo aver depositato personalmente il ricorso, può sanare l’irritualità del ricorso stesso munendosi di assistenza tecnica.Â

Se il contribuente in mancanza dei presupposti assume direttamente la propria difesa presentando il relativo ricorso, il difensore che interviene successivamente può introdurre nuovi motivi di impugnazione in quanto, in caso contrario, verrebbe leso il diritto di difesa costituzionalmente garantito. Nella specie, il primo ricorso deve essere individuato nelle memorie del difensore e non nell'atto iniziale prodotto direttamente dal contribuente. Ne consegue che tutte le prescrizioni processuali devono essere riferite all'atto presentato dal difensore e non a quello precedente del contribuente. Tale conclusione, deriva dall'unica interpretazione possibile che non violi l'effettivo esercizio di difesa art. 24 Cost. , una volta rilevato che il contribuente non poteva difendersi da solo. In definitiva, se il contribuente ha scelto la difesa personalmente senza i presupposti è possibile per il legale introdurre successivamente nuovi motivi. Tale assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23315 del 15 ottobre 2013. Il caso. Il fisco ha notificato ad un contribuente vari accertamenti per diversi periodi di imposta per asserita omessa dichiarazione di canoni di locazione di alcuni immobili. Il contribuente ha presentato distinti ricorsi personalmente ovvero direttamente, non considerando che l'importo contestato era superiore a quello previsto per la difesa diretta euro 2.582,28, al tempo 5 milioni di lire e ha lamentato che non vi era stata alcuna percezione dei canoni. Il contribuente si è avvalso successivamente dopo circa due anni dai ricorsi introduttivi presentati personalmente o direttamente di un difensore abilitato, il quale ha prodotto una memoria tecnica, eccependo il difetto di legittimazione passiva. Il contribuente, per la prima volta con la memoria citata, ha evidenziato che aveva sottoscritto i contratti di locazione dal quale scaturivano i canoni asseritamente non dichiarati, ma in realtà gli immobili erano intestati a suoi parenti. La Commissione tributaria provinciale ha accolto parzialmente i ricorsi riuniti per connessione soggettiva, mentre la Commissione tributaria regionale, a seguito dell’appello del contribuente, ha condiviso il difetto di legittimazione passiva dell’appellante e quindi ha annullato gli atti impositivi. L'Ufficio ha presentato ricorso per Cassazione, eccependo, in buona sostanza i, che il difetto di legittimazione passiva era stato rilevato solo con la memoria presentata dal difensore, mentre non si diceva nulla nel ricorso introduttivo del contribuente in primo grado. Pertanto, la sentenza del giudice del gravame doveva essere censurata perché erano stati valutati motivi aggiunti, rispetto al ricorso iniziale ,che non potevano essere esposti in mancanza dei previsti presupposti. Da tutelare l’esercizio del diritto di difesa. Gli Ermellini hanno precisato che il giudice di merito è chiamato a decidere sulle eccezioni formulate dal ricorrente che devono essere rappresentate nel primo ricorso, restando preclusa la possibilità di far valere tali ragioni successivamente tuttavia ,hanno statuito che nella specie il primo ricorso deve essere individuato nelle memorie del difensore e non nell'atto iniziale prodotto direttamente dal contribuente. Ne consegue che tutte le prescrizioni processuali devono essere riferite all'atto presentato dal difensore e non a quello precedente del contribuente. Tale conclusione, secondo la suprema Corte di Cassazione, deriva dall'unica interpretazione possibile che non violi l'effettivo esercizio di difesa art. 24 Cost. , una volta rilevato che il contribuente non poteva difendersi da solo. Il primo ricorso deve essere individuato nelle memorie del difensore e non nell’atto iniziale prodotto direttamente dal contribuente. Per cui alla luce di questo principio tutte le prescrizioni processuali devono essere riferite all’atto presentato dal difensore e non a quello precedente del contribuente. La predetta interpretazione è l’unica possibile che non violi l’effettivo esercizio di difesa contemplato dall’art. 24 . Cost., una volta rilevato che il contribuente non poteva difendersi da solo. Gli Ermellini alla luce delle argomentazioni sopra evidenziate hanno rigettato per infondatezza il ricorso del fisco. Concludendo. Il giudice di legittimità, con la sentenza in commento, ha scelto la soluzione ermeneutica più rispondente al principio costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale. Non si rinvengono infatti, interpretazioni alternative che riescono a dare una piena tutela al diritto fondamentale di difesa nel processo. Tale giudice ha inteso garantire la tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità dei motivi aggiunti che si risolvano a danno del soggetto che si intende tutelare. Il thema decidendum non resta ,secondo la sentenza in rassegna, circoscritto e cristallizzato da quanto prospettato con il ricorso introduttivo il successivo intervento del difensore abilitato costituisce rimessione in termini e una deroga al divieto di mutatio libelli insito nelle peculiarità del processo tributario.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 28 marzo 15 ottobre 2013, n. 23315 Presidente Cappabianca – Relatore Cigna Svolgimento del processo Con distinti ricorsi proposti in data 11-11-1994 dinanzi alla CTP di Roma F. G. impugnava gli avvisi di accertamento ai Fini IRPEF ed ILOR per gli anni 1985-1990 relativi ad omesse dichiarazioni di redditi conseguiti da locazioni di immobili siti in Roma. L'adita CTP, previa riunione, accoglieva parzialmente i ricorsi, ritenendo errati gli accertamenti in quanto riferiti a quattro appartamenti, mentre in realtà i diversi contratti di locazione erano riferiti allo stesso immobile mandava quindi all'Ufficio di modificare gli accertamenti impugnati. Con sentenza depositata il 3-9-2008 la CTR di Roma accoglieva l'appello del contribuente in motivazione la CTR affermava che titolari della proprietà immobiliare in questione erano F. E. e F. M., unici legittimati passivi, mentre il ricorrente F. G. aveva solo concluso i contratti di locazione accoglieva, di conseguenza, l'eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata in primo grado dal ricorrente con memoria tecnica 13-2-2006 al riguardo evidenziava l'irrilevanza della novità di tale eccezione, atteso che la legittimatio ad causam, attenendo non al merito della causa ma alla regolarità dell'instaurazione del contradditorio, si poneva come condizione dell'azione, riscontrabile ex officio dal Giudice in ogni stato e grado sulla base della semplice prospettazione della parte ed a prescindere dall'effettiva sussistenza del diritto azionato. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione l'Agenzia, affidato ad un motivo il contribuente non svolgeva attività difensiva. Motivi della decisione Con l'unico motivo l'Agenzia, deducendo -ex art. 360 n. 4 c.p.c. quale error in procedendo la violazione degli arti. 18, comma 2, e 24 d.lgs 546/92 nonché 112 epe , rilevava che il ricorrente nei ricorsi introduttivi depositati l’11-11-1994 aveva censurato gli impugnati avvisi di accertamento solo in quanto i contratti di locazione non avevano avuto esecuzione, e quindi non vi era stata alcuna percezione di reddito solo successivamente, con la memoria 10-2-2006, aveva per la prima volta introdotto un nuovo tema di indagine, affermando di non essere soggetto passivo dell'imposta in quanto non titolare di alcun diritto sul bene concesso in locazione. Siffatto motivo è infondato. Va, in primo luogo, precisato che l'accertamento impugnato appare diretto nei confronti di chi ha percepito il reddito da locazione, nell'implicita premessa che siffatto soggetto sia anche il proprietario dell'immobile localo la circostanza che poi tale soggetto non sia effettivamente il proprietario implica una verifica sul rapporto sostanziale e sull'effettiva sussistenza dello stesso cioè sull'effettiva titolarità del rapporto ed attiene quindi al merito la relativa eccezione, pertanto, intesa come titolarità passiva del rapporto fiscale e responsabilità per il pagamento dell'imposta, non è rilevabile d'ufficio, atteso che la sussistenza o meno dell'asserito difetto della responsabilità fiscale dipende dall'accertamento di una situazione avente rilevanza giuridica, e cioè dalla proprietà degli immobili in questione. Ne consegue che, in linea generale, il predetto motivo di impugnazione dell'accertamento difetto dì titolarietà andava proposto sin dal ricorso introduttivo, restando preclusa alla parte la possibilità di sottoporre alla CTP ulteriori profili di illegittimità rispetto a quelli originariamente dedotti non sussiste, invero, alcuna ragione per discostarsi dal consolidato principio di questa Corte, secondo cui nel processo tributario, caratterizzato dall'introduzione della domanda nella forma della impugnazione dell'atto tributario per vizi formali o sostanziali, l'indagine sul rapporto sostanziale non può che essere limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell'Amministrazione che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado, con la conseguenza che, ove il contribuente deduca specifici vizi di invalidità dell'atto impugnato, il giudice deve attenersi all'esame di essi e non può, ex officio , annullare il provvedimento impositivo per vizi diversi da quelli dedotti, anche se risultanti dagli stessi elementi acquisiti al giudizio, in quanto tali ulteriori profili di illegittimità debbono ritenersi estranei al thema controversum , come definito dalle scelte del ricorrente. L'oggetto del giudizio, come circoscritto dai motivi di ricorso, può essere modificato solo nei limiti consentiti dalla disciplina processuale e, cioè, con la presentazione di motivi aggiunti, consentita però, ex art. 24 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel solo caso di deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione Cass. 19337/2011 , ipotesi non verificatasi nel caso di specie. Ciò posto, va tuttavia rilevato a che, come appare evidente anche dalla lettura della gravata sentenza, i ricorsi in questione, pur introducenti controversie di valore superiore ad euro 2.582,28, sono stati proposti dapprima, in data 11-11-1994, con atto sottoscritto personalmente dalla parte , e solo successivamente integrati con memoria tecnica e, cioè, con memoria sottoscritta da difensore abilitato all'assistenza tecnica dinanzi alle Commissioni Tributarie art. 12 d.lgs 546/92 depositata il 13-2-2006, nella quale è stato per la prima volta eccepito il difetto di qualità di soggetto d'imposta per non essere il ricorrente proprietario dell'immobile siffatta eccezione di carenza di legittimazione passiva è stata sollevata dalla difesa tecnica nel ricorso introduttivo , e quindi, per la prima volta, con la su menzionata memoria tecnica depositata il 13-2-20Q6j che, in tema di assistenza tecnica del contribuente nei giudizi tributari di importo superiore ad euro 2.582,28, questa Corte, in continuità con ì principi enunciati dalla Corte Costituzionale nelle note sentenze 189/2000 e 158/2003, ha condivisibilmente affermato che la mancanza di siffatta difesa tecnica determina semplicemente il dovere per il giudice tributario adito di imporre l'ordine dì munirsi di detta assistenza, ai sensi dell'art. 12, comma quinto, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ciò in quanto la disposizione va interpretata, in una prospettiva costituzionalmente orientata, in linea con l'esigenza di assicurare l'effettività del diritto di difesa nel processo e l'adeguata tutela contro gli atti della P.A., evitando nel contempo irragionevoli sanzioni di inammissibilità, che si risolvano in danno per il soggetto che si intende tutelare Cass. 3166/2012 v. anche Cass. Sez. unite 22601/2004 . Tanto premesso, appare doversi ritenere come corollario indefettibile che nel caso in cui -in una causa di valore superiore ad euro 2.582,28 la parte, dopo avere proposto personalmente il ricorso, sani l'irritualità del detto ricorso, munendosi di assistenza tecnica, è al primo atto del difensore che vanno ricollegate le prescritte preclusioni processuali siffatta interpretazione appare, invero, l'unica compatibile con l'esercizio effettivo del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., essendo indubbio che, una volta ritenuto dal legislatore necessaria per i giudizi di importo superiore ad euro 2.582,28 l'assistenza tecnica, deve essere consentito al difensore abilitato la più ampia difesa del contribuente, senza che la stessa sia limitata pena, appunto, la violazione dell'art. 24 Cost. da precedenti impostazioni del contribuente, difesosi personalmente, e quindi, come detto in modo non rituale. In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato e, sia pur con la motivazione di cui sopra, va confermata l'impugnata decisione nulla per le spese, attesa la mancata costituzione dell'intimato. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Â