Le somme prestate alla moglie si presumono reddito imponibile se incoerenti con il reddito dichiarato

Va pertanto respinto il ricorso presentato da un manager che aveva prestato alla moglie una grossa somma di denaro, somma con la quale quest’ultima aveva comprato un appartamento. Non ha rilevanza che la moglie avesse chiesto e ottenuto dalla banca un mutuo con il quale aveva restituito il denaro al consorte.

Tale assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza del 17 dicembre 2012, n. 23293. Il caso la capacità contributiva del marito. Nel caso di specie , il giudice del gravame ha confermato la fondatezza dell’accertamento sintetico art. 38 D.P.R. n. 600 del 1973 a carico di un contribuente in virtù di indici desunti dalla disponibilità economica di quest’ultimo che aveva consentito alla propria moglie di acquistare un immobile. Detto giudice, preso atto dell’incongruenza tra somme erogate alla partner e reddito dichiarato dal contribuente ,ha accolto l’appello proposto dal fisco contro la sentenza di primo grado, che aveva parzialmente accolto l’opposizione del contribuente relativa a due avvisi di accertamento IRPEF fondati sul metodo sintetico”, consistente nell’identificazione della capacità contributiva in virtù di indici desunti dalla disponibilità economica che aveva permesso alla moglie del ricorrente di acquistare un immobile del quale la stessa era risultata intestataria. Avverso la sentenza di secondo ha proposto ricorso in cassazione il contribuente , dolendosi, in particolare, della violazione dell’articolo 38 del D.P.R. n. 600 del 1973. La motivazione della decisone d’appello doveva infatti considerarsi illogica e contraddittoria, laddove la CTR non aveva rilevato che il contribuente non era né utilizzatore né acquirente del bene immobile, sicché non gli si poteva riferire la capacità contributiva su cui era fondato l’accertamento. L’incoerenza tra reddito dichiarato e somme prestate. Il giudice di legittimità, nel confermare la pretesa erariale e precisamente nel dichiarare inammissibile il ricorso in cassazione, ha statuito che in caso di accertamento sintetico”, la pretesa impositiva del Fisco è legittima se sussiste un’incoerenza tra il reddito dichiarato e le somme prestate dall’imprenditore al coniuge per l’acquisto di un immobile. In particolare, gli Ermellini hanno precisato che la censura – di fatto improntata esclusivamente al vizio di motivazione, nonostante l’intestazione in rubrica – appare inammissibile per difetto di attinenza alla ratio della decisione che, invero, non concerne la questione della disponibilità o proprietà dell’immobile ma la disponibilità delle somme” che il contribuente stesso ha ammesso di avere utilizzato al fine di consentire al coniuge di acquistare l’immobile. Spetta al contribuente provare il flusso di denaro. L'onere di provare la provenienza del denaro non incombe sull'amministrazione finanziaria va accolta la tesi secondo cui spetta al contribuente tracciare il flusso di denaro. E’conforme alla scelta interpretativa operata dalla sentenza in commento l’assunto secondo cui i versamenti fatti al professionista da un'impresa sono imponibili dal fisco come reddito diverso a meno che il contribuente non riesca a fornire, con prova certa, che il passaggio di denaro ha un'altra natura, per esempio la restituzione di un prestito Cassazione n. 23037/2012 .

Corte di Cassazione, sez VI Civile – T, ordinanza 27 novembre – 17 dicembre 2012, n. 23293 Presidente Cicala – Relatore Caracciolo In fatto e diritto Accertamento -Somme erogate dal manager alla coniuge - Incongruenza con il reddito dichiarato - Reddito imponibile - Sussiste Le somme prestate dal manager alla moglie si presumono reddito imponibile se incoerenti con il reddito dichiarato. È quanto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 23293 del 17 dicembre 2012 Ritenuto che, ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ è stata depositata in cancelleria la seguente relazione La CTR di Venezia ha accolto l'appello dell'Agenzia - appello proposto contro la sentenza n. 4/13/2008 della CTP di Padova che aveva parzialmente accolto i ricorsi di P. A. avverso avvisi di accertamento IRPEF per gli anni 1999-2000 - ed ha perciò confermalo i predetti avvisi, fondati sul metodo sintetico consistente nell'identificazione della capacità contributiva in virtù di indici desunti dalla disponibilità economica che aveva consentito alla moglie del P. di rendersi acquirente di un immobile che era risultato intestato a quest'ultima. La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso che, da un canto non risultava fondata l'eccezione preliminare di parte appellante circa l'inammissibilità dell'appello per difetto di motivi specifici di censura dall'altro canto, nel senso che la questione centrale della lite era stabilire come e quando il P. si fosse procuralo le somme da lui poi versate a tale società A. srl a titolo di finanziamento e da quest'ultima restituite in occasione dell'atto di compravendita, anche atteso che la menzionata società aveva iniziato la sua attività nel 1998 e che il P. aveva dichiarato nelle annualità 1988-2000 importi insufficienti a giustificare il predetto esborso. Poiché nessun elemento di prova il P. aveva addotto, la Commissione aveva ritenuto legittimo l'avviso di accertamento. Il contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. L'Agenzia non si è costituita. Il ricorso - ai sensi dell'art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore - può essere definito ai sensi dell'art. 375 cpc. Infatti, con il primo motivo di impugnazione rubricato contempo alla nullità della sentenza per violazione dell'art. 53 del D.Lg. 546/1992 e a vizio di motivazione , la ricorrente si duole di omessa motivazione in ordine all'eccezione di inammissibilità di erroneità del giudizio circa l'ammissibilità del ricorso di appello contenente la mera e generica richiesta di riforma della decisione impugnata di insufficienza della motivazione a tal proposito adottata dalla Commissione Regionale. II motivo di impugnazione appare inammissibile, per l’evidente contraddittorietà intima delle ragioni che lo sostengono tra loro logicamente configgenti , oltre che per il difetto di autosufficienza del profilo di impugnazione centrato sulla ribadita affermazione di inammissibilità dell'appello, a proposito di che ove mai la parte ricorrente avesse potuto invocare un nuovo giudizio in questa sede si sarebbe dovuto fare carico di anzitutto dare conto in maniera autosufficiente delle modalità di proposizione delle censure, di che non costituisce surrogato il richiamo alla riproduzione in fotocopia con spillatura al ricorso per cassazione. Con il secondo motivo di ricorso centrato contempo sulla nullità della sentenza per violazione dell'art. 38 del DPR n. 600/1973 e degli art. 2, 3, 4 del DM 10.9.1992 e sul vizio di motivazione - dato atto che il P. aveva provveduto ad effettuare il pagamento del corrispettivo nello stesso giorno in cui la A. srl, della quale il P. stesso era amministratore, si era procurato la provvista a mezzo di un mutuo bancario, mutuo a mezzo del quale aveva rimborsato al P. i finanziamenti da quest'ultimo effettuati nel corso degli anni a favore della società - la parte ricorrente censurava di illogicità e contraddittorietà la sentenza impugnata, per avere omesso di rilevare che il P. non era né utilizzatore né acquirente del bene immobile, sicché non gli si poteva riferire la capacità contributiva su cui era fondato l’accertamento. La censura - di fatto improntata esclusivamente al vizio di motivazione, nonostante l’intestazione in rubrica - appare inammissibile per difetto di attinenza alla ratio della decisione che, invero, non concerne la questione della disponibilità o proprietà dell’immobile ma la disponibilità delle somme che il P. come quello stesso ha ammesso ha utilizzato ai fini di consentire al coniuge di acquistare l'immobile, previo l'ottenimento della loro restituzione dalla A. srl alla quale come il giudice del merito ha accertato dette somme erano state certamente concesse a titolo di finanziamento nel periodo interessato dall'accertamento di cui trattasi. Con il terzo motivo di impugnazione centrato contempo sulla nullità della sentenza per violazione dell'art. 7 della legge n. 212/2000 e sul vizio di motivazione la parte ricorrente si duole della estensione del thema decidendum a fatti che esulano da quelli oggetto di accertamento sintetico e della novità dell’argomento valorizzato nella decisione impugnata secondo cui il P. non aveva dimostrato la provenienza delle somme da lui versate alla A. srl cosi prescindendo il giudicante ''dall’analisi delle originarie motivazioni dell'atto impositivo e, soprattutto, dei fatti ivi enunciati . Il motivo appare inammissibilmente formulato, per difetto del requisito di autosufficienza, non avendo la parte ricorrente illustrato analiticamente il contenuto del provvedimento impositivo, rispetto al quale esulerebbero gli argomenti valorizzati nella sentenza impugnala, requisito che non può essere surrogato come ha fatto il ricorrente con il mero richiamo alla copia del provvedimento impositivo che è stata spillata al ricorso introduttivo di questo grado. Pertanto, si ritiene che il ricorso può essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità. Che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti che la sola parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa, dalla quale non si desumono ragioni per modificare o integrare gli argomenti su cui si fonda la relazione che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato nulla sulle spese perché la parte vittoriosa non si è costituita. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.