La congruità rispetto agli studi di settore diventa un espediente difensivo nelle mani del contribuente

Gli studi di settore sono uno strumento statistico affidabile, utilizzabile per sconfessare le risultanze dei parametri nell’ambito della strategia difensiva del contribuente.

Il caso. Un contribuente impugnava un avviso di accertamento, con il quale venivano rettificate Irpef, Iva e Irap relative al periodo di imposta 1998 mediante l’applicazione dei parametri di cui all’art. 3, commi 181 ss., l. 28 dicembre 1995, n. 549. Il ricorrente lamentava - il difetto di motivazione dell’atto impugnato, perché fondato esclusivamente sulla discrepanza tra dati dichiarati e risultanze degli strumenti di accertamento standardizzato - la congruità dei dati dichiarati rispetto allo studio di settore successivamente approvato. Queste prospettazioni erano accolte dalla Commissione Tributaria Provinciale adita. La Commissione Tributaria Regionale, parzialmente riformando la pronuncia di prime cure, rilevava l’insussistenza di un obbligo di applicazione delle risultanze del successivo studio di settore. Nella sentenza n. 22599/2012, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione cassa con rinvio la pronuncia impugnata. I principi di diritto fissati dalle Sezioni Unite in tema di accertamenti standardizzati. Il Collegio ritiene che la sentenza impugnata non abbia fatto buon governo dei principi di diritto fissati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza del 18 dicembre 2009, n. 26635. Secondo l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, le procedure standardizzate rappresentano un sistema di presunzioni semplici. La rettifica non può essere basata sul mero scostamento del reddito dichiarato rispetto alle risultanze degli strumenti standardizzati, trattandosi di mere elaborazioni statistiche finalizzare alla ricostruzione della normale redditività delle attività economiche. L’attendibilità dell’accertamento è garantita soltanto dall’attuazione del contraddittorio endoprocedimentale, fase di confronto con il contribuente da attivare obbligatoriamente durante l’istruttoria, pena la nullità dell’atto impositivo. In tale sede, il contribuente ha l’onere di dimostrare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame. L’esito del contraddittorio non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. L’obbligo di motivazione. Venendo ai principi di diritto più strettamente rilevanti per la soluzione della controversia sub iudice, il Collegio ricorda che la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. Qualora il contribuente non abbia partecipato al contraddittorio endoprocedimentale, l’Ufficio procedente può motivare l’atto impositivo sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il confronto in sede istruttoria, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito. La congruità rispetto allo strumento standardizzato più recente diventa un espediente difensivo nelle mani del contribuente. La pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è altresì richiamata per giustificare la fondatezza della seconda censura formulata dal contribuente. Secondo l’orientamento richiamato, le procedure di accertamento standardizzato costituiscono un sistema unitario. Con il passaggio dai parametri agli studi di settore è stato realizzato un progressivo affinamento degli strumenti di rilevazione della normale redditività per categorie omogenee di contribuenti ciò giustifica la prevalenza delle risultanze degli studi di settore su quelle derivanti dall’applicazione dei parametri, perché lo strumento più recente è quello più affinato e, pertanto, più affidabile.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 8 novembre - 11 dicembre 2012, n. 22599 Presidente Merone – Relatore Cappabianca Svolgimento del processo N.D. propose ricorso avverso avviso, con il quale l'Agenzia - con metodo induttivo e sulla base dei parametri , di cui al D.P.C.M. 29 gennaio 1996 e 27 marzo 1997, emessi ai sensi della L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e ss. - aveva accertato a suo carico, per l'anno 1998, maggiori irpef, iva e irap. A fondamento del ricorso, il contribuente lamentava il difetto di motivazione dell'avviso impugnato e rilevava la congruità della dichiarazione rispetto al pertinente studio di settore. L'adita commissione tributaria accolse il ricorso, con sentenza che, in esito all'appello dell'Agenzia, fu, tuttavia riformata dalla Commissione regionale, sul presupposto dell'insussistenza di un obbligo dell'Amministrazione all'applicazione retroattiva delle risultanze degli studi di settore e, comunque, sulla relativa erronea applicazione da parte del contribuente. Avverso la sentenza di appello, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione in quattro motivi, censurando, in particolare la decisione impugnata per non aver rilevato il difetto di motivazione dell'avviso impugnato, in quanto esclusivamente fondato sulla discrepanza tra dichiarazione e risultanze derivanti dall'applicazione dei parametri, nonchè la prevalenza delle risultanze degli studi di settore rispetto a quelle dei parametri. L'Agenzia si è costituita senza depositare controricorso. Deceduto il ricorrente in data 8 dicembre 2008, in giudizio sono intervenute le sue eredi, S.B.M., N.M. e No.Mo., che hanno fatto proprie le richieste e le argomentazioni del dante causa. Motivi della decisione Il ricorso è fondato, non risultando la decisione impugnata aderente ai principi affermati, in materia, dalle SS.UU. di questa Corte. Con sentenza n. 26635/09, è stato, infatti, affermato che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività , ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente che, in tale sede, quest'ultimo ha l'onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell'attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell'atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell'applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente che l'esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l'impugnabilità dell'accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l'applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall'ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente il quale, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all'invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte, nel qual caso, tuttavia, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l'ufficio può motivare l'accertamento sulla base della sola applicazione degli standards, dando conto dell'impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all'invito . Alla luce del riportato criterio - ed atteso che la richiamata decisione della ss.uu. ha, altresì, puntualizzato che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri e degli studi di settore costituisce un sistema unitario, frutto di un processo di progressivo affinamento degli strumenti di rilevazione della normale redditività per categorie omogenee di contribuenti, che giustifica la prevalenza, in ogni caso, e la conseguente applicazione retroattiva dello strumento più recente rispetto a quello precedente, in quanto più affinato e, pertanto, più affidabile s'impone l'accoglimento del ricorso. La sentenza impugnata va, dunque, cassata, con rinvio della causa, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia. P.Q.M. la Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la regolamentazione delle spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.