Cedere quote in luogo della fusione per incorporazione non sempre è abuso del diritto

Non rappresenta necessariamente abuso del diritto la cessione di quote di una società, che possiede un terreno edificabile, in luogo di una fusione per incorporazione, più onerosa della prima sotto il profilo fiscale.

Si può trattare, infatti, di una scelta legittima della soluzione più vantaggiosa e non, quindi, di una operazione elusiva, considerato che non c'è fungibilità tra le possibili operazioni da compiere in relazione all'obiettivo economico prefissato. A tal fine, occorre valutare le motivazioni addotte dal contribuente. Tale principio è stato statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 21390 del 30 novembre 2012. Il caso. Il fisco ha notificato un avviso di accertamento, disconoscendo la cessione di quote perché ritenuta operazione elusiva. Per il fisco la cessione di un terreno edificabile poteva essere conseguita alternativamente con la vendita dell'area o con una fusione per incorporazione, mentre l'operazione posta in essere non aveva valide ragioni economiche, mirando solo a perseguire il vantaggio di eludere il versamento dell'imposta sostitutiva da disavanzo di fusione. La Commissione tributaria provinciale ha accolto il ricorso, annullando la pretesa fiscale conseguente al sindacato antielusivo compiuto dall'Ufficio. La Commissione tributaria regionale ha accolto l'appello del fisco, confermando integralmente l'avviso di accertamento a carico della società contribuente. Non sempre dietro una cessione di quote si nasconde l’abuso del diritto. Il giudice di legittimità, accogliendo il ricorso del contribuente, ha puntualizzato che - In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati nella specie, imposte sui redditi , nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell'imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell'imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l'applicazione di norme fiscali. Esso comporta l'inopponibilità del negozio all'Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall'operazione elusiva. - Tuttavia il divieto di comportamenti abusivi non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta. La prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull'Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l'onere di allegare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate. - In particolare il carattere abusivo di un'operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali. - La Commissione tributaria regionale ha ravvisato la legittimità della pretesa fiscale esercitata con l'avviso di accertamento impugnato dalla contribuente, sul presupposto della sussistenza nella specie del requisito, previsto dall'art. 37 bis, d.P.R. n. 600/1973, della mancanza di valide ragioni economiche a fondamento dell'operazione posta in essere dalla società contribuente. - Tuttavia così motivando i giudici di appello, nel ritenere sostanzialmente equiparabili sotto il profilo degli effetti giuridici ed economici le operazioni di acquisizione delle partecipazioni sociali della società alienante e di fusione per incorporazione, oltre a non fare corretta applicazione dei principi giuridici regolatori delle due diverse fattispecie, non si sono neppure uniformati all'orientamento giurisprudenziale in tema di divieto di comportamenti abusivi Invero il carattere elusivo, sotto il profilo fiscale, di una determinata operazione, nel fondarsi normativamente sul difetto di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale, presuppone l’esistenza di un valido strumento giuridico che, pur se alternativo a quello scelto dal contribuente, sia comunque funzionale al raggiungimento dell'obiettivo economico perseguito dal contribuente. Ciò premesso, è pacifico, in punto di fatto, che la vicenda traslativa delle quote sociali della società alienante è avvenuta nel corso del 2003 ed infatti l'avviso di accertamento di cui trattasi riguarda riprese a tassazione relative all'anno finanziario 2003 . Pertanto l'eventuale operazione di fusione per incorporazione della società alienante nella società acquirente, che i giudici di appello hanno ritenuto avrebbe dovuto essere posta in essere nella fattispecie, sarebbe stata regolata, anche in ordine agli effetti, dalla disciplina antecedente alla riforma del diritto societario di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003. n. 6, entrata in vigore dall'1 gennaio 2004. Orbene, nelle fusioni di società perfezionatesi prima dell'entrata in vigore della riforma, l'incorporazione di una società realizzava una situazione giuridica corrispondente a quella della successione universale e produceva gli effetti, tra loro indipendenti, dell'estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo a questa, della nuova persona giuridica con conseguente esposizione della società incorporante, con tutto il proprio patrimonio, ad eventuali iniziative giudiziarie ed esecutive dei creditori della società incorporata. Diversamente, la cessione delle quote della società alienante realizzatasi nella specie ha determinato esclusivamente il trasferimento a titolo derivativo in capo all'acquirente delle partecipazioni sociali acquistate, con mantenimento della sopravvivenza della società alienante e della sua autonomia patrimoniale. Differenti sono, pertanto, gli effetti giuridici ed economici delle due operazioni, come differenti sono i percorsi procedimentali da seguire per porre in essere le operazioni medesime, appalesandosi in particolare più articolato e più oneroso quello previsto dagli artt. 2501 e ss. c.c. per la fusione, che richiede certamente, inoltre, tempi più lunghi di quelli necessari per la cessione delle quote sociali. - Le considerazioni che precedono consentono pertanto di rilevare come non vi sia fungibilità, rispetto all'obiettivo economico da conseguire, tra l'operazione di cessione delle quote e quella di fusione e come pertanto, nella specie, sussistessero nella specie specifiche e valide ragioni economiche per optare, come soluzione più vantaggiosa per la società acquirente e indipendentemente dai benefici fiscali conseguiti, in favore dell'acquisto delle quote della società alienante anziché alla fusione per incorporazione.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 18 aprile - 30 novembre 2012, n. 21390 Presidente Adamo – Relatore Schirò Svolgimento del processo La controversia attiene alla natura elusiva di un'operazione di acquisto di un terreno edificabile attraverso l'acquisizione delle quote della società proprietaria dell'area interessata. Secondo l'Amministrazione finanziaria l'operazione fiscalmente corretta sarebbe stata la fusione per incorporazione, mentre l'operazione posta in essere non avrebbe avuto valide ragioni economiche, mirando solo a perseguire il vantaggio di eludere il versamento dell'imposta sostitutiva da disavanzo di fusione. La società contribuente indicata in rubrica ha proposto ricorso avverso l'avviso di accertamento dell'Agenzia delle entrate di Milano. Con sentenza del 13 febbraio 2007 la Commissione tributaria provinciale di Milano ha accolto il ricorso, annullando la pretesa fiscale conseguente al sindacato antielusivo compiuto dall'Ufficio, ma ha confermato la ripresa riferita alla indeducibilità delle spese di noleggio di un'autovettura, riqualificate dall'Ufficio medesimo come spese di rappresentanza. Con la sentenza indicata in rubrica la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto l'appello della Amministrazione, confermando integralmente l'avviso di accertamento a carico della società contribuente, la quale ha proposto contro la sentenza di appello ricorso per cassazione articolato su nove motivi, illustrati con memoria. L'Agenzia delle entrate intimata ha depositato atto di costituzione. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 53, comma 1, del d. Lgs. 1992/546 e si duole che i giudici di appello abbiano rigettato la censura avente ad oggetto l'inammissibilità dell'appello dell'Ufficio per difetto di specifici motivi di impugnazione. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'art. 112 c.p.c. e si deduce che la Commissione tributaria regionale ha omesso di pronunciarsi sulla doglianza afferente alla nullità dell'avviso di accertamento nella parte in cui reca il sindacalo antielusivo per violazione dell'art. 37 bis, comma 4. del d.P.R. 1973/600, prospettata sotto il profilo che nella richiesta di chiarimenti inviata dall'Ufficio alla società contribuente non erano stati esposti in maniera compiuta i presupposti da cui muoveva la contestazione. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 37 bis, comma 5, del d.P.R. 1973/600, per avere i giudici di secondo grado escluso il difetto di motivazione dell'avviso di accertamento impugnato, nella parte in cui reca il sindacato antielusivo. Con il quarto motivo si prospetta la violazione dell'art. 37 bis. comma 1, del d.P.R. 1973/600, nonché degli artt. 1470 e 2504 bis c.c., e si critica la sentenza impugnata per aver confermato il sindacato antielusivo esercitato attraverso l'avviso di accertamento impugnato dalla contribuente. Il quinto motivo ha per oggetto la denuncia della violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 37 bis, comma 2, del d.P.R. 1973/600, 6 del d. Lgs. 1997/358 e 123, comma 2, del d.P.R. 1986/917, nel testo applicabile ratione temporis. Afferma la ricorrente che la Commissione tributaria regionale non ha tenuto conto che l'imposta sostitutiva da disavanzo di fusione e applicabile in forza di una libera scelta del contribuente rispetto al regime ordinario di tassazione previsto dall'art. 127, comma 2, del d.P.R. 1986/917 ai sensi del quale gli elementi dell'attivo e del passivo trasferiti per effetto di fusioni o di scissioni mantengono i valori fiscali che avevano presso la società fusa o scissa, considerando quindi fiscalmente irrilevante l'eventuale iscrizione di avanzi o disavanzi di fusione - e non può essere applicata d'ufficio in sede di accertamento, al fine di individuare il carico fiscale dell'operazione ritenuta alternativa a quella effettivamente posta in essere. Con il sesto motivo la ricorrente prospetta vizio di motivazione, per avere i giudici di appello ritenuto sussistente nella specie il requisito dell' assenza di valide ragioni economiche a fondamento delle operazioni poste in essere, senza spiegare in maniera sufficientemente compiuta le ragioni del proprio convincimento. Il settimo motivo attiene alla denuncia della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, del d.P.R. 1986/917, nel testo applicabile ratione temporis, per avere la Commissione tributaria regionale - in relazione alla pretesa fiscale riguardante la indeducibilità di taluni costi sostenuti, per ragioni di rappresentanza, per il noleggio di un'autovettura con conducente e contabilizzati dalla contribuente come spese generali amministrative respinto il motivo di appello applicando la disciplina di cui all'art. 74, comma 2, del d. P.R. 1986/917 ad una fattispecie costi sostenuti nell'interesse di una società per la conclusione di una trattativa commerciale del tutto estranea al proprio ambito di applicazione. Con l'ottavo motivo viene denunciata violazione dell'art. 37 bis del d.P.R. 1973/600, per avere i giudici di appello confermato, con riferimento al sindacato antielusivo. l'applicazione delle sanzioni. Con il nono e ultimo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 6, comma 2, del d. Lgs, 1997/472 e 10, comma 3, della legge 2000/212. per avere la Commissione tributaria regionale respinto la censura afferente alla illegittima applicazione delle sanzioni in presenza di incolpevole errore da parte del contribuente sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma antielusiva. 2. La doglianza svolta con il primo motivo è priva di fondamento, in quanto le critiche sollevate con l'atto di appello nei confronti della sentenza di primo grado sono sufficientemente precise e specifiche rispetto alla motivazione posta a base della decisione impugnata. Osserva il collegio che, in tema di contenzioso tributario, l'indicazione dei motivi specifici dell'impugnazione, richiesta dall'art. 53 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell'appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza Cass. 2005/1574 2007/1224 . In particolare, qualora l'Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell'avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l'onere d'impugnazione specifica previsto dall'art. 53 del d lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, secondo il quale il ricorso in appello deve contenere i motivi specifici dell'impugnazione e non già nuovi motivi , atteso il carattere devolutivo pieno dell'appello, che è un mezzo di impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito Cass. 2012/3064 . 3. I motivi da due a sei, riguardanti sotto diversi profili una medesima questione, possono essere esaminati congiuntamente e vanno accolti nei termini qui di seguito precisati. In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati nella specie, imposte sui redditi , nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell'imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell'imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l'applicazione di norme fiscali. Esso comporta l'inopponibilità del negozio all'Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall'operazione elusiva Cass. S.U. 2003/30005 Cass. 2011/11236 2011/21782 . Tuttavia il divieto di comportamenti abusivi non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta. La prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull'Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l'onere di allegare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate Cass. 2010/20029 . In particolare il carattere abusivo di un'operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali Cass. 2011/1372 . 3.1. - Nella sentenza impugnata, la Commissione tributaria regionale - premesso che l’operazione straordinaria di acquisto di un terreno tramite l’acquisizione delle quote della società proprietaria invece che del solo terreno era stata ritenuta dall' Amministrazione finanziaria posta in essere per conseguire un non consentito risparmio fiscale - ha confermalo la legittimità della ripresa a tassazione, osservando che con tale operazione si è ottenuto il risultato di separare un determinato immobile dal patrimonio della società e si è pervenuti di fatto all'acquisizione del terreno sterilizzando l'emersione di plusvalenze e ottenendo anche una migliore deducibilità di spese e costi . I giudici di appello hanno altresì osservato che nello specifico la S. cedendo la T. alla F., ma solo dopo averla svuotata dell'immobile, ha potuto anche utilizzare un credito di imposta , soggiungendo essere del tutto evidente che giustificare tale operazione con la semplice affermazione che i soci della T. avevano posto come condizione sine qua non la cessione delle quote sociali non è dirimente, posto che lo stesso effetto poteva essere raggiunto con una fusione per incorporazione ma certo questa operazione avrebbe comportato il pagamento dell'imposta sostitutiva del disavanzo di fusione . Da tale articolato passaggio argomentativo si desume pertanto che la Commissione tributaria regionale ha ravvisato la legittimità della pretesa fiscale esercitata con l'avviso di accertamento impugnato dalla contribuente, sul presupposto della sussistenza nella specie del requisito, previsto dall'art. 37 bis del d.P.R. 1973/600, della mancanza di valide ragioni economiche a fondamento dell'operazione posta in essere dalla società contribuente. 3.2. Tuttavia così motivando i giudici di appello, nel ritenere sostanzialmente equiparabili sotto il profilo degli effetti giuridici ed economici le operazioni di acquisizione delle partecipazioni sociali della società alienante e di fusione per incorporazione, oltre a non fare corretta applicazione dei principi giuridici regolatori delle due diverse fattispecie, non si sono neppure uniformati all'orientamento giurisprudenziale in tema di divieto di comportamenti abusivi in precedenza enunciato. Invero il carattere elusivo, sotto il profilo fiscale, di una determinata operazione, nel fondarsi normativamente sul difetto di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale, presuppone resistenza di un valido strumento giuridico che, pur se alternativo a quello scelto dal contribuente, sia comunque funzionale al raggiungimento dell'obiettivo economico perseguito dal contribuente. Ciò premesso, è pacifico, in punto di fatto, che la vicenda traslativa delle quote sociali della società alienante è avvenuta nel corso del 2003 ed infatti l'avviso di accertamento di cui trattasi riguarda riprese a tassazione relative all'anno finanziario 2003 . Pertanto l'eventuale operazione di fusione per incorporazione della società alienante nella società acquirente, che i giudici di appello hanno ritenuto avrebbe dovuto essere posta in essere nella fattispecie, sarebbe stata regolata, anche in ordine agli effetti, dalla disciplina antecedente alla riforma del diritto societario di cui al d. lgs. 17 gennaio 2003. n. 6, entrata in vigore dall'1 gennaio 2004. Orbene, nelle fusioni di società perfezionatesi prima dell'entrata in vigore della riforma, l'incorporazione di una società realizzava una situazione giuridica corrispondente a quella della successione universale e produceva gli effetti, tra loro indipendenti, dell'estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo a questa, della nuova persona giuridica Cass. S.U. 2010/19648 Cass. 201 1/4740 2011/27905 . con conseguente esposizione della società incorporante, con tutto il proprio patrimonio, ad eventuali iniziative giudiziarie ed esecutive dei creditori della società incorporata. Diversamente, la cessione delle quote della società alienante realizzatasi nella specie ha determinato esclusivamente il trasferimento a titolo derivativo in capo all'acquirente delle partecipazioni sociali acquistate, con mantenimento della sopravvivenza della società alienante e della sua autonomia patrimoniale. Differenti sono, pertanto, gli effetti giuridici ed economici delle due operazioni, come differenti sono i percorsi procedimentali da seguire per porre in essere le operazioni medesime, appalesandosi in particolare più articolato e più oneroso quello previsto dagli artt. 2501 e segg. c.c. per la fusione, che richiede certamente, inoltre, tempi più lunghi di quelli necessari per la cessione delle quote sociali. 3.3. Le considerazioni che precedono consentono pertanto di rilevare come non vi sia fungibilità, rispetto all'obiettivo economico da conseguire, tra l'operazione di cessione delle quote e quella di fusione e come pertanto, nella specie, sussistessero nella specie specifiche e valide ragioni economiche per optare, come soluzione più vantaggiosa per la società acquirente e indipendentemente dai benefici fiscali conseguiti, in favore dell'acquisto delle quote della società alienante anziché alla fusione per incorporazione. Deve di conseguenza concludersi sul punto nel senso che dell'insussistenza, nella fattispecie dedotta in causa, dei presupposti per l’applicazione delle disposizioni antielusive previste dall'art. 37 bis del d.P.R. 1973/600. restando assorbite le ulteriori argomentazioni difensive svolte dalla ricorrente pei escludere l'applicabilità di dette disposizioni. 4. Parimenti assorbite dall'accoglimento, nei termini sopra enunciati, dei motivi di ricorso svolti dal n. 2 al n. 6 restano le censure svolte dalla ricorrente con l'ottavo e nono motivo, attinenti all'applicazione delle sanzioni conseguenti a sindacato antielusivo illegittimamente posto in essere dall'Amministrazione finanziaria. Non merita invece accoglimento la doglianza svolta dalla ricorrente con il settimo motivo, atteso che legittimamente i giudici di appello hanno qualificato come spese di rappresentanza quelle sostenute dalla società contribuente per condurre il rappresentante legale della società presso la sede della società alienante al fine di definire le trattative dell'acquisto immobiliare a bordo di un'autovettura di lusso ''Mercedes s ' con autista a disposizione , le cui caratteristiche esorbitavano dalla semplice funzione di trasporto, anche in condizioni di comodità, del rappresentante legale, ma erano finalizzate piuttosto a supportare l'immagine commerciale della società acquirente, così da giustificare la qualificazione dei relativi costi di noleggio come spese di rappresentanza, ai sensi dell'art. 74, comma 2, del d.P.R. 1986/917 e non come spese generali di amministrazione, a differenza di quanto invece sostenuto dalla contribuente. 6. Le considerazioni che precedono comportano l’accoglimento del ricorso nei limiti e nei termini in precedenza esposti. Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con l'accoglimento del ricorso della contribuente limitatamente alla ripresa a tassazione effettuata dall'Amministrazione finanziaria con riferimento all'operazione di acquisto di un terreno attraverso l'acquisizione delle quote della società proprietaria dell'immobile e in applicazione delle disposizioni antielusive di cui all'art. 37 bis del d.P.R. 1973/600 e all'applicazione delle relative sanzioni. La complessità della vicenda e l'alterno esito dei giudizi di merito giustificano la integrale compensazione tra le parti delle spese processuali dell'intero giudizio. P.Q.M. Accoglie il ricorso nei limiti e nei termini di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata in ordine alle censure accolte e, decidendo nel merito, accoglie l'originario ricorso della contribuente limitatamente alla ripresa a tassazione effettuata dall'Amministrazione finanziaria, a norma delle disposizioni antielusive di cui all'art. 37 bis del d.P.R. 1973/600, con riferimento all'operazione di acquisto di un terreno attraverso l'acquisizione delle quote della società proprietaria dell'immobile e all'applicazione delle relative sanzioni. Compensa integralmente tra le parti le spese processuali relative all'intero giudizio.