Valido l'accertamento basato sull'acquisto del bene sottocosto e sulla circostanza che il fornitore non ha pagato l'Iva

Il meccanismo messo in atto e lo scopo che lo stesso si propone di raggiungere fanno presumere la piena conoscenza della frode e, dunque, rendono valido l'accertamento anche motivandolo sul semplice acquisto del bene sottocosto e sulla circostanza che il fornitore non ha pagato l'Iva.

Il contribuente deve, infatti, provare la sua buona fede e cioè dimostrare di non essere a conoscenza di aver trattato con una cartiera. Nel quadro di una frode carosello l’Amministrazione Finanziaria può dar prova dei fatti, ricorrendo a presunzioni semplici. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza n. 9107 del 6 giugno 2012. Il caso. La vicenda prende le mosse dall’impugnazione di una serie di avvisi di accertamento IRPEG, IVA e IRAP emessi in relazione a un’attività di acquisto di autoveicoli provenienti dall’estero per il tramite di società intermediarie e successiva rivendita, realizzando un meccanismo contabile di fatturazione soggettivamente inesistenti nell’ambito di una frode carosello. Il giudice del gravame ha appurato, su base documentale, l'acquisto e rivendita di autoveicoli a prezzi sottocosto, il mancato versamento dell'Iva da parte delle ditte interposte nei confronti dell'Erario che rappresenta una delle principali ragioni della frode carosello e la detrazione Iva posta in essere dall'interponente. Secondo la Suprema Corte nelle frodi carosello, si presume la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all'accordo simulatorio del beneficiario finale, con la conseguenza che, in applicazione del relativo principio sancito dall'art. 17 della direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, l'Iva assolta dal medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute. Un esempio di f rode carosello. Il caso classico di interposizione vede la necessaria presenza di almeno tre soggetti A il fornitore comunitario B l'acquirente comunitario - cedente nazionale C il cessionario nazionale. Il soggetto A e quello C sono soggetti passivi dell'IVA nei rispettivi Paesi di appartenenza e sono i reali attori della cessione merce sottoposta a d imposizione il soggetto B è un soggetto interposto che simula l'acquisto del bene dal cedente comunitario e la successiva vendita all'acquirente nazionale. Il perno fraudolento dell'operazione è rinvenibile nella figura dell'acquirente interposto che partecipa solo cartolarmente all'operazione e non versa l'imposta addebitata fittiziamente all'acquirente nazionale che invece la porta in detrazione. Il meccanismo dell'operazione e gli scopi che la stessa si propone acquisizione di materiali a prezzi più contenuti al fine di praticare prezzi di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato , fanno presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all'accordo simulatorio del beneficiario finale, con la conseguenza che, in applicazione del relativo principio sancito dall'art. 17 della direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, l'IVA assolta dal medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile ai sensi dell'art. 19, D.P.R. n. 633/1972, anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell'intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari. Si deve, infatti, intendere che l'acquisto - apparentemente effettivo, contabilmente e fiscalmente regolare - compiuto da un'impresa, ultima beneficiaria di una filiera di società appositamente costituita per regolarizzare i.e. rendere apparentemente regolari una serie di operazioni in evasione o elusione dell’IVA, realizzi esso stesso la comune intenzione fraudolenta dell'intero meccanismo, creato proprio in vista di questo risultato finale e che pertanto l'IVA, in tal caso, non è detraibile dal beneficiario finale dell'intero apparato fraudolento, anche se le fatture e l'intera documentazione contabile relative alle operazioni commerciali da lui effettivamente compiute sembrino perfettamente regolari. Va infine rilevato che l'onere della prova circa l'esistenza di fatti che danno luogo ad oneri o costi deducibili incombe sul contribuente che invoca la deducibilità, posto che la legge la subordina espressamente alla circostanza che essi siano documentati in maniera idonea.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 13 marzo – 6 giugno 2012, n. 9107 Presidente Adamo – Relatore Botta Svolgimento del processo La controversia concerne l'impugnazione di una serie di avvisi di accertamento ai fini IVA, IRPEG ed IRAP relativamente ad una attività di acquisto di autoveicoli di provenienza estera cessioni intracomunitarie da società intermediarie e successiva rivendita realizzando un meccanismo contabile di fatturazioni soggettivamente inesistenti nel quadro di una frode carosello . La Commissione adita rigettava il ricorso della società contribuente, e la decisione era confermata in appello, con la sentenza in epigrafe, avverso la quale la società contribuente propone ricorso per cassazione con sei motivi. Resiste l'amministrazione con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la nullità dell'impugnata sentenza, in quanto resa solo nei confronti della società e non anche del sig. M., il quale aveva proposto appello in proprio quale autore della violazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 7. Il motivo è infondato. Infatti, la sentenza da atto dell'appello proposto anche dal sig. M. in proprio e nel dispositivo espressamente rigetta sia l'appello proposto dalla società, sia l'appello proposto dal M Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono l'erroneità della decisione del giudice d'appello laddove esclude la rilevanza dell'assenza, nella sentenza di prime cure di ogni riferimento alla posizione personale del M., ponendo l'accento sul fatto che nessun specifico rilievo era stato mosso con il ricorso originario in ordine alla responsabilità personale di quest'ultimo e sulla non delibabilità della memoria depositata successivamente, che ampliava il thema decidendum. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto non dimostra che, contrariamente a quanto asserito dal giudice di merito, erano state dedotte con il ricorso originario circostanze relative alla responsabilità personale del M La memoria effettivamente ampliava la domanda, impugnando l'applicazione della sanzione per difetto di un presupposto normativo, questione che avrebbe dovuto essere eccepita contestualmente all'impugnazione dell'atto impositivo. Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono la nullità dell'atto impositivo per mancanza della firma del capo dell'Ufficio, nullità esclusa per difetto di prova dal giudice d'appello. Il motivo è infondato. Poichè i giudici di primo grado hanno dichiarato che la firma apposta all'atto impositivo è quella del Direttore dell'Ufficio, correttamente il giudice d'appello ha ritenuto che fosse necessario da parte del contribuente offrire prova della non corrispondenza della firma, prova la parte ricorrente nemmeno deduce. Si tratta comunque di un accertamento di fatto, compiuto, peraltro, in primo grado, e che concerne più l'atto impositivo che la sentenza impugnata, incensurabile in sede di legittimità. Con il quarto motivo, i ricorrenti deducono la nullità della sentenza d'appello per essere essa motivata mediante una adesione acritica alla sentenza di primo grado. Il motivo, generico nelle argomentazioni, è infondato, in quanto la sentenza d'appello esprime, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti Cass. n. 11238 del 2011 . Con il quinto motivo, le parti ricorrenti denunciano vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all'art. 2697 c.c. e alla L. n. 212 del 2000, art. 7 con siffatte censure le parti ricorrenti lamentano il mancato assolvimento da parte dell'amministrazione dell'onere probatorio ad essa spettante relativamente alla supposta frode carosello. Si tratta di censure infondate. Tenuto conto che, nelle fattispecie del tipo considerato, l'amministrazione può dar prova dei fatti mediante presunzioni semplici, va rilevato che il giudice di merito ha accertato, su base documentale, l'acquisto e la rivendita di autoveicoli a prezzi da considerarsi sottocosto, il mancato versamento dell'IVA da parte delle ditte interposte nei confronti dell'Erario che rappresenta una delle principali ragioni della frode carosello , e la detrazione IVA posta in essere dall'interponente. Va, peraltro, condiviso quanto affermato da questa Corte circa il fatto che in tema di IVA, nelle c.d. frodi carosello - fondate sul mancato versamento dell'imposta incassata da società cartiere a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l'interposizione di una o più società filtro buffers - il meccanismo dell'operazione e gli scopi che la stessa si propone acquisizione di materiali a prezzi più contenuti al fine di praticare prezzi di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato , fanno presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all'accordo simulatorio del beneficiario finale, con la conseguenza che, in applicazione del relativo principio sancito dall'art. 17 della direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, l'IVA assolta dal medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell'intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari Cass. n. 867 del 2010 . Il contribuente da parte sua nulla ha provato, nemmeno in ordine alla propria buona fede, come era suo onere a fronte di operazioni soggettivamente inesistenti v. Cass. n. 8132 del 2011 . Con il sesto motivo, le parti ricorrenti denunciano omessa motivazione in ordine alla disponibilità e valutazione delle prove. Il motivo è inammissibile, in quanto non soddisfa il principio di autosufficienza l'allegazione mediante spillatura al ricorso degli atti del giudizio, senza che ne sia predisposto un opportuno apparato critico che ne segni il percorso di valutazione richiesto al giudice di legittimità per l'esercizio del controllo sulla motivazione. La mera allegazione di atti non coordinati si traduce in una inammissibile revisione tout court del giudizio di merito che è inibita al giudice di legittimità. Peraltro la sentenza impugnata è adeguatamente motivata, avendo fondato la propria decisione sulla rilevata reiterata omissione degli adempimenti fiscali sulla base del confronto di quanto emerso dalle indagini condotte presso gli istituti bancari e la scritture contabili delle società interessate. Il ricorso, pertanto, deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese della presente fase del giudizio che liquida in complessivi Euro 10.000,00 per onorari, oltre le spese prenotate a debito, le spese generali e gli accessori di legge.