Non è previsto per la fondazione che entra nella gestione della banca

Per applicare lo sconto Irpeg alle fondazioni bancarie occorre aver riguardo alle attività effettivamente svolte e non solo alle coordinate statutarie.

Niente sconto Irpeg per le fondazioni che entrano nella gestione della banca. Tale assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza 644/2012, in accoglimento del ricorso dell'Agenzia delle Entrate, con il quale quest’ultima aveva contestato l'agevolazione riconosciuta dai giudici di merito a una fondazione bancaria. Il caso. Nella fattispecie in esame, la fondazione ha impugnato il rifiuto dell'amministrazione finanziaria di rimborso dell'Irpeg articolo 6, d.p.r. n. 601/1973 a cui l'ente riteneva di aver diritto. I giudici di merito tributari hanno accolto il ricorso proposto dalla Fondazione avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di rimborso Irpeg relativa al periodo ottobre 1996-settembre 1997, ritenendo sussistere il diritto alla riduzione dell'imposta previsto dalla disposizione agevolativa di cui al d.p.r. n. 601/1973, art. 6. Il giudice d'appello ha, in particolare, ritenuto che l'attività di gestione delle partecipazioni bancarie doveva ritenersi secondaria rispetto a quella primaria d'interesse pubblico ed utilità sociale, prevista dallo Statuto e perseguita dalla Fondazione il d.lgs. n. 153/1999, art. 12, - in base al quale il regime agevolativo invocato era applicabile alle fondazioni non aventi natura commerciale - aveva efficacia interpretativa, e la prevista dismissione della partecipazione azionaria, da valutarsi alla scadenza del termine di quattro anni concesso all'uopo dalla legge, non era riferibile ai precedenti periodi d'imposta. Le prove si possono fornire con estratti dei libri contabili o di certificazioni dei revisori. Tale pronuncia, in linea con l’insegnamento delle Sezioni unite del giudice di legittimità sent. nn. 1576/2009 e 27619/2006 ,ha denotato i seguenti capisaldi - Deve presumersi l'esercizio dell'attività di impresa bancaria in capo ai soggetti che, in relazione all'entità della partecipazione al capitale sociale, sono in grado di influire sull'attività dell'ente creditizio. - Occorre dimostrare di aver svolto per l'anno di imposta in contestazione un'attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale anziché quella di controllo e governo delle partecipazioni bancarie. - Occorre inoltre che, nell'introdurre il giudizio davanti al giudice tributario, la fondazione si dia cura di dimostrare di non aver esercitato la funzione di controllo e governo dell'ente creditizio, non incombendo all'amministrazione finanziaria l'onere di sollevare in proposito specifiche contestazioni . - La prova non è diabolica, perché può essere ottenuta producendo estratti dei libri contabili o di certificazioni del collegio dei revisori o del collegio sindacale delle società partecipate. Presunzione di esercizio di impresa bancaria? Sussiste tale presunzione in capo ai soggetti che, in relazione all'entità della partecipazione al capitale sociale, sono in grado di influire sull'attività dell'ente creditizio e, dall'altro,la possibile fruizione dei predetti benefici, per gli enti considerati, solo a seguito della dimostrazione, di cui sono onerati secondo il comune regime della prova ex art. 2697 c.c.,di aver in concreto svolto un'attività, per l'anno d'imposta rilevante, del tutto differente da quella prevista dal legislatore, dunque un'attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale anziché quella di controllo e governo delle partecipazioni bancarie e sempre che il relativo tema sia stato introdotto nel giudizio secondo le regole proprie del processo tributario, ovverosia mediante la proposizione di specifiche questioni nel ricorso introduttivo, non incombendo all'Amministrazione finanziaria l'onere di sollevare in proposito precise contestazioni.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 14 dicembre 2011 – 18 gennaio 2012, n. 644 Presidente Pivetti – Relatore Sambito Svolgimento del processo La CTR della Sardegna, con sentenza n. 97/9/06, depositata il 9.5.2006, confermando la decisione di primo grado, ha accolto il ricorso proposto dalla Fondazione Banco di Sardegna avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di rimborso IRPEG relativa al periodo ottobre 1996-settembre 1997, ritenendo sussistere il diritto alla riduzione dell'imposta previsto dalla disposizione agevolativa di cui all'art. 6 del dPR n. 601 del 1973. I giudici d'appello hanno, in particolare, ritenuto che 1 l'attività di gestione delle partecipazioni bancarie doveva ritenersi secondaria rispetto a quella primaria d'interesse pubblico ed utilità sociale, prevista dallo Statuto e perseguita dalla Fondazione 2 l'art. 12 del D.Lgs. n. 153 del 1999 in base al quale il regime agevolativo invocato era applicabile alle fondazioni non aventi natura commerciale aveva efficacia interpretativa, e la prevista dismissione della partecipazione azionaria, da valutarsi alla scadenza del termine di quattro anni concesso all'uopo dalla legge, non era riferibile ai precedenti periodi d'imposta. L'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, la contribuente ha resistito con controricorso, successivamente illustrato con memoria. Motivi della decisione Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 6 del dPR n. 601 del 1973 e 10 bis della L. n. 1745 del 1962, 1 e 2 della L. n. 218 del 1990, 1, 11 e 12 del D.Lgs. n. 356 del 1990, 3 della L. n. 461 del 1998, 12 del D. Lgs. 153 del 1999, 2195 cc, nonché vizio di motivazione, in relazione all'art, 360, 1 co n. 3 e 5 cpc, la ricorrente sostiene che, nel ritenere sussistente il diritto ai benefici fiscali invocati, i giudici d'appello hanno, anzitutto, erroneamente focalizzato la loro attenzione sulle sole previsioni statutarie, quando invece avrebbero dovuto valutare, anche, la natura dell'attività esercitata in concreto, ed hanno errato, pure, nell'analisi delle norme di riferimento, che, proprio distinguendo l'attività degli Enti dal rispettivo scopo, hanno demandato a detti Enti la gestione dell'azienda bancaria, attraverso il controllo del relativo capitale e lo svolgimento di attività speculative realizzate a mezzo di ingenti capitali operazioni di compravendita di titoli azionari e di investimento in titoli , di carattere tipicamente commerciale. Di ciò si ha riprova, prosegue la ricorrente, con l'esclusione degli Enti conferenti ex art. 218 del 1990 dalle ONLUS e col successivo riconoscimento, ad opera della L. n. 153 del 1999, della qualifica di Fondazioni , a condizione che gli stessi provvedano, entro quattro anni, a dismettere la partecipazione di controllo, disposizione certamente innovativa che lascia inalterato il pregresso sistema, in base al quale il riconoscimento dei benefici fiscali è subordinato, appunto, alla specifica prova dell'effettivo svolgimento di attività no-profit. Inoltre, la giurisprudenza comunitaria Corte di Giustizia del 10.1.2006 nel procedimento C 222/04 , ha precisato che la fondazione bancaria deve esser considerata come un'impresa in quanto svolge un'attività economica, nonostante il fatto che l'offerta di beni e servizi sia fatta senza scopo di lucro, poiché l'offerta stessa si pone in concorrenza con quella degli operatori che tale scopo perseguono, ed analogamente, la Corte Cost. sentenze n. 300 e 301 del 2003 a proposito della competenza legislative delle Regioni ai sensi dell'art. 117, 3 co, Cost., ha affermato che le fondazioni sorte dalla trasmissione degli originari enti conferenti, non sono più a differenza degli originari enti elementi costitutivi dell'ordinamento del credito e del risparmio. Col secondo motivo, la ricorrente deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 6 del dPR n. 601 del 1973, in relazione all'art. 360, 1 co, n. 3 cpc, sostiene che, anche a voler prescindere dalla natura dell'attività esercitata, dovrebbe ugualmente escludersi il titolo della controricorrente a godere del beneficio agevolativo, tenuto conto della natura eccezionale della disposizione in questione e dell'insuscettibilità delle Fondazioni bancarie ad essere inquadrate tra i beneficiari contemplati dalla norma stessa. I motivi, che, per la loro connessione, vanno congiuntamente esaminati, sono fondati. Le sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 1576 del 2009 coerentemente alla precedente decisione n. 27619 del 2006 delle stesse SU hanno affermato, per quanto qui interessa, che 1. gli enti di gestione delle partecipazioni bancarie c.d. fondazioni , quali risultanti dal conferimento delle aziende di credito in apposite società per azioni sono gravati dall'obbligo di detenzione e conservazione della maggioranza del relativo capitale ai sensi della L. n. 218 del 1990, ed in base al D.Lgs. n. 356 del 1990, art. 12, a causa del particolare vincolo genetico che univa tali Enti alle aziende scorporate, non possono essere assimilati agli enti ed istituti di interesse generale aventi scopi esclusivamente culturali, di cui all'art. 6, del dPR n. 601 del 1973, ai fini del riconoscimento della riduzione a metà dell'aliquota sull'IRPEG 2. la disciplina agevolativa di cui al citato art. 6 del dPR n. 601 del 1973 non trova applicazione agli Enti considerati né in via analogica, trattandosi di disposizioni eccezionali, né in via estensiva, poiché la sua ratio va ricercata nella esclusività e tipicità del fine sociale previsto per ciascun Ente, individuato in maniera tassativa quale già esistente al momento dell'entrata in vigore delle predette norme 3. la successiva disciplina di riforma del sistema creditizio, nell'attribuire a tali Enti, ai sensi dell'art. 12 del D.Lgs. n. 153 del 1999, ed ove si siano adeguati alle nuove prescrizioni, la qualifica di fondazioni con personalità giuridica di diritto privato, così estendendo ad essi il regime tributario proprio degli enti non commerciali, ex art. 87 comma 1, lett. c , del dPR n. 917 del 1986, non ha assunto valenza interpretativa, e, quindi, efficacia retroattiva, avendo essa previsto adempimenti collegati all'attuazione della riforma stessa, senza influenza sui periodi precedenti 4. ne consegue che deve presumersi l'esercizio di impresa bancaria in capo ai soggetti che, in relazione all'entità della partecipazione al capitale sociale, sono in grado di influire sull'attività dell'ente creditizio e che la fruizione dei predetti benefici fiscali, per gli enti considerati, può esser riconosciuta, solo, a seguito della dimostrazione, di cui essi sono onerati secondo il comune regime della prova ex art. 2697 cc -, di avere in concreto svolto un'attività, per l'anno d'imposta rilevante, del tutto differente da quella prevista dal legislatore, dunque un'attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale anziché quella di controllo e governo delle partecipazioni bancarie e sempre che il relativo tema sia stato introdotto nel giudizio secondo le regole proprie del processo tributario, ovverosia mediante la proposizione di specifiche questioni, nel ricorso introduttivo, non incombendo all'Amministrazione finanziaria l'onere di sollevare in proposito precise contestazioni. In base a tali principi elaborati, anche, in considerazione del citato arresto, in tema di esenzione dalla ritenuta sui dividendi ex art. 10 bis della L. n. 1745 del 1965, della Corte di giustizia, secondo cui spetta al giudice nazionale di ricostruire sistema e significato delle norme interne ai fini della qualificazione del soggetto come impresa e quindi della sua sottoposizione alle norme comunitarie in materia di aiuti di Stato ai sensi dell'art. 87, n. 1, CE accolti e ribaditi in successive decisioni Cass. 25738 del 2009, 26883 del 2009 n. 12243 del 2010 , il ricorso va accolto e la sentenza va cassata. Poiché non risulta fornita la prova che l'attività svolta in concreto fosse sussumibile ai modelli legislativi invocati per beneficiare dell'agevolazione fiscale la cui prova non è affatto diabolica, come sostiene la controricorrente, potendo esser documentata mediante la produzione di estratti dei libri contabili o di certificazioni del collegio dei revisori o del collegio sindacale delle società partecipate e, prima ancora, poiché non consta che il relativo tema d'indagine sia stato introdotto nel giudizio mediante la proposizione di specifiche questioni nel ricorso introduttivo, non incombendo, appunto, all'Ufficio, al contrario di quanto postulato dalla Fondazione, l'onere di sollevare in proposito precise contestazioni Cass. 7883/07 conf. 10255/07, 13559/07 , resta esclusa la necessità di disporre il rinvio al giudice del merito per il relativo accertamento, sicché la causa va decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384 cpc, col rigetto del ricorso introduttivo, dovendo, da ultimo, precisarsi che la questione, trattata dalla controricorrente in seno alla memoria, secondo cui sussisterebbe un credito d'imposta pari a L. 1.475.136.000 risultante dall'applicazione dell'aliquota ordinaria, è inammissibile per la sua novità non rientrando tra quelle esaminate nella sentenza impugnata e non avendo la Fondazione neppure specificato dove e con quali argomenti avrebbe introdotto tale tema nel processo. La Corte ravvisa giusti motivi, tenuto conto che la giurisprudenza si è consolidata in epoca successiva alla proposizione del ricorso per cassazione, per compensare, interamente, tra le parti le spese del giudizio. P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso della contribuente. Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio.