Il consumo elettrico giustifica le presunzioni semplici

La bolletta giustifica l'accertamento induttivo. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22242/11 del 26 ottobre 2011, ha statuito che se dopo la cessazione dell'attività, il consumo di energia elettrica da parte di un artigiano continua a essere il medesimo, il fisco può legittimamente presumere la prosecuzione dell'attività in evasione di imposta. In presenza di omessa presentazione della dichiarazione, la quantificazione dei ricavi può avvenire sulla base di presunzioni semplici prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. È legittimo risalire al reddito del piccolo artigiano, anche mediante un'indagine finalizzata al controllo dei consumi di energia elettrica. Peraltro, se i consumi in bolletta permangono, non si può assumere la cessazione dell'attività. Il caso. Due coniugi hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della C.T.R. del Veneto la quale, in una controversia concernente l'impugnazione di taluni avvisi di accertamento relativi ad Iva per gli anni 1995 e 1996 - riguardanti il solo marito, artigiano - nonché relativi ad Irpef, Ilor e Ssn - riguardanti entrambi i contribuenti, trattandosi di dichiarazione congiunta, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva ridotto gli imponibili e i volumi di affari determinati nei provvedimenti impositivi impugnati. I giudici d'appello hanno precisato che, se è vero che il consumo di energia elettrica nel contatore autonomamente riferibile al capannone artigianale del contribuente, per nulla diminuito dopo la formale cessazione dell'attività artigiana, consentiva di ritenere che detta attività non fosse mai cessata, lo stato di salute del contribuente, opportunamente documentato, consentiva di presumere che tale attività non fosse proseguita in termini tali da assicurare il medesimo reddito dichiarato in precedenza. Energia consumata? Attività non cessata. La Cassazione con la predetta sentenza ,dal caso di un artigiano, che dopo la cessazione dell'attività continuava a consumare, nel capannone dove era la sede della sua azienda, l'energia elettrica con il medesimo consumo di quando l'attività era in essere, ha dichiarato legittima la presunzione di prosecuzione di attività in evasione di imposta da parte dell'Ufficio fiscale. La Suprema Corte ha evidenziato che in presenza di omessa presentazione della dichiarazione, la quantificazione dei ricavi può essere fatta sulla base di presunzioni semplici prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Infatti, in assenza della presentazione della dichiarazione il potere dovere dell'Amministrazione è disciplinato non già dell'art. 39, bensì dall'art. 41 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, ai sensi del quale, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, l'Ufficio determina il reddito complessivo del contribuente medesimo, a tal fine utilizzando qualsiasi elemento probatorio e potendo fare ricorso al metodo induttivo, anche avvalendosi di presunzioni c.d. supersemplici cioè prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all'art. 38, terzo comma, del d.p.r. n. 600 del 1973, che determinano un'inversione dell'onere della prova, ponendo a carico del contribuente la deduzione di elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall'Ufficio . La produzione di certificati medici non basta. Se dopo la cessazione dell'attività il consumo di energia elettrica da parte di un artigiano continua a essere il medesimo, l'Ufficio può legittimamente presumere la prosecuzione dell'attività in evasione di imposta. A nulla rileva opporre che la malattia del contribuente non avrebbe consentito il proseguimento dell'attività stessa. Non giova alla difesa del contribuente la sola produzione in giudizio dei certificati medici attestanti le precarie condizioni di salute che non gli avrebbero permesso di lavorare. Una prova, questa, insufficiente per il fisco e per i giudici. Grava sul contribuente, al di là del certificato medico, l'onere della prova contraria la cui valutazione è fra l'altro rimessa ai giudici di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione . La modestissima entità dei consumi elettrici riscontrati presso il capannone non può essere considerato univocamente decisivo nel senso di svalutare la determinazione presuntiva dei ricavi. * Esperto tributario

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 27 maggio - 26 ottobre 2011, n. 22242 Presidente Cappabianca - Relatore Di Iasi In fatto e in diritto 1. I coniugi B.A., e L.M.L. propongono ricorso per cassazione nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze e dell'Agenzia delle Entrate che resistono con controricorso e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avvisi di accertamento relativi ad va per gli anni 1995 e 1996 - riguardanti il solo B. - nonché relativi ad Irpef, Ilor e SSN - riguardanti entrambi i contribuenti, trattandosi di dichiarazione congiunta -, la C.T.R. Veneto, per quel che in questa sede ancora rileva, in parziale riforma della sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso introduttivo , riduceva gli imponibili e i volumi di affari determinati nei provvedimenti impositivi impugnati ed annullava l'avviso opposto con riferimento all'Ilor. In particolare, essendo gli avvisi de quibus fondati su di un p.v.c. della G.d.F. nel quale si affermava che il B. artigiano - falegname , pur avendo dichiarato di aver cessato la propria attività, aveva di fatto continuato ad esercitarla senza tuttavia dichiarare fiscalmente i ricavi, i giudici d'appello rilevavano che, se vero che il consumo di energia elettrica nel contatore autonomamente riferibile al capannone artigianale del contribuente, per nulla diminuito dopo la formale cessazione dell'attività artigiana, consentiva di ritenere che detta attività non fosse mai cessata, lo stato di salute del suddetto B. documentato, ancorché con certificazioni non particolarmente fidefacenti consentiva di presumere che tale attività non fosse proseguita in termini tali da assicurare il medesimo reddito dichiarato in precedenza. 2. Deve innanzitutto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze, risultando l'appello depositato il 16.3.2004 ed avendo partecipato al relativo giudizio la sola Agenzia delle Entrate. Col primo motivo, deducendo violazione del D.P.R. n. 917 del 1985, art. 51, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, artt. 21955, 2697, 2727 e 2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., nonché d.lgs. n. 546 del 1992, art. 36, i ricorrenti si dolgono della qualificazione come attività di impresa dell'attività svolta dal contribuente, in particolare evidenziando che non sussistevano i presupposti per ritenere che detta attività fosse professionale e non occasionale e che la sentenza impugnata si basava su di un unico elemento il consumo di energia elettrica che non solo mancava di relazione con l'attività svolta ma risultava anche contraddetto dallo stesso giudice d'appello, il quale, pur rilevando l'identità dei consumi di energia, tuttavia, a causa del documentato stato di salute del B., riteneva che tale attività non assicurasse un reddito pari a quello dichiarato nel periodo anteriore alla formale cessazione dell'attività. Col secondo motivo, deducendo violazione del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 41 bis, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, artt. 115 e 116 c.p.c., d.lgs. n. 546 del 1992, art. 36, nonché artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., oltre che vizio di motivazione, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata in ordine alla quantificazione del presunto volume di affari e del reddito sottratto all'imposizione, rilevando che erroneamente i presunti ricavi erano stati ricostruiti mediante l'applicazione di un ricavo medio per ogni Kw di energia elettrica consumato, senza considerare l'irrazionalità di detto criterio nonché le circostanze di fatto evidenziate dai contribuenti cioè il modestissimo quantitativo di energia e di legname utilizzato, compatibile con l'esercizio dell'attività in maniera assolutamente occasionale e con finalità diverse da quelle economiche . I due motivi possono, per ragioni logiche e di economia espositiva, essere trattati congiuntamente. Essi sono infondati. Giova innanzitutto evidenziare che nella specie per il periodo in contestazione non risulta presentata alcuna dichiarazione e che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, nel caso di omessa dichiara2 ione da parte del contribuente, il potere-dovere dell'Amministrazione è disciplinato non già dell'art. 39, bensì dal d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41, ai sensi del quale, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, l'Ufficio determina il reddito complessivo del contribuente medesimo, a tal fine utilizzando qualsiasi elemento probatorio e potendo fare ricorso al metodo induttivo, anche avvalendosi di presunzioni c.d. supersemplici - cioè prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, -, che determinano un'inversione dell'onere della prova, ponendo a carico del contribuente la deduzione di elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall'Ufficio v. tra le altre Cass. n. 3115 del 2006, n. 20708 del 2007 . È altresì da evidenziare che i giudici d'appello hanno considerato la circostanza che i consumi di energia elettrica riscontrati presso un contatore autonomamente riferibile al capannone dove aveva lavorato ed in ipotesi continuava a lavorare il B. utilizzando macchinari che comportavano il consumo di elettricità non erano diminuiti successivamente alla formale cessazione dell'attività, e tale circostanza può certamente costituire un indizio ancorché non particolarmente grave e/o preciso della continuazione dell'attività negli stessi termini, e con i medesimi ricavi. Tanto premesso, gravava dunque sui contribuenti l'onere della prova contraria da fornirsi eventualmente anche per presunzioni, tuttavia -in assenza di diversa previsione - dotate dei requisiti di cui al secondo comma dell'art. 2729 c.c. , la cui valutazione è rimessa al giudice di merito ed è censurabile dinanzi a questo giudice di legittimità solo per vizio di motivazione, e non risulta che la sentenza impugnata sia stata censurata tantomeno in maniera specifica, autonoma ed autosufficiente per vizio di motivazione in ordine alla omessa o insufficiente considerazione della prova contraria fornita dai contribuenti circa la mancata produzione di reddito tassabile ovvero la produzione di esso in misura inferiore a quella accertata. In particolare, nel primo motivo i ricorrenti non hanno censurato la sentenza per vizio di motivazione e si sono limitati ad affermazioni generiche tendenti alla mera contestazione del valore indiziario degli elementi forniti dall'Amministrazione la quale peraltro, come sopra esposto, poteva avvalersi anche di indizi privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza , mentre nel secondo motivo, al di la della contestazione della mancata correlazione tra consumi di energia e r ricavi che si traduce in una ennesima contestazione della idoneità degli elementi indiziar valutati al fine di determinare esistenza e ammontare dei ricavi , i ricorrenti hanno denunciato la mancata considerazione di alcune circostanze di fatto quali il modestissimo quantitativo di energia consumato ed il modestissimo ammontare di legname acquistato. In proposito, tuttavia, è sufficiente evidenziare che in sentenza non vi è alcun accenno né all'acquisto di legname né alla relativa quantità e che il ricorso sul punto risulta privo di autosufficienza. Quanto alla asseritamente modestissima entità dei consumi elettrici riscontrati presso il capannone, è appena il caso di sottolineare, prescindendo da ogni altra considerazione, che, secondo quanto emergente dalla sentenza impugnata, si tratta pur sempre di un consumo di energia non inferiore a quello riscontrato nel periodo di attività dichiarata in cui il B. utilizzava il capannone e i macchinari ivi presenti per il proprio lavoro , onde il riferimento alla limitata quantità di energia consumata nel capannone non può essere considerato univocamente decisivo nel senso di svalutare la determinazione presuntiva dei ricavi. L'unico elemento di prova fornito dai contribuenti per contrastare la prova presuntiva offerta dall'Amministrazione è costituito dallo stato di salute del B. peraltro risultante da documentazione medica non particolarmente fidefacente, come accertato dalla sentenza impugnata, non censurata sul punto e tale elemento è stato effettivamente preso in considerazione dai giudici d'appello, i quali sulla base di esso hanno ridotto l'entità dei ricavi accertati, senza che peraltro sul punto sia riscontrabile la contraddittorietà della motivazione denunciata dai ricorrenti. In proposito occorre infatti innanzitutto evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, non ogni contraddittorietà è suscettibile di infirmare la motivazione, ma soltanto quella che si verifica quando le ragioni esposte per giustificare l'accoglimento o il rigetto delle pretese fatte valere in giudizio siano tra loro inconciliabili al punto da impedire l'individuazione della ratio decidendi, dovendosi invece escludere il vizio quando, ad onta di una formale ed esteriore contraddittorietà, questa non incida sulla sostanza del decidere e non impedisca di individuare l'iter logico seguito dal giudice v. tra le altre Cass. n. 11918 del 2003 . Peraltro nella specie non sussiste contraddittorietà neppure meramente formale ed apparente. Giova in proposito infatti rilevare che i giudici d'appello hanno considerato il valore indiziante dell'esistenza e della entità dei ricavi rappresentato dal consumo di energia elettrica presso il capannone dove il B. svolgeva la propria attività artigianale in quanto risultato non inferiore al consumo riscontrato nel periodo di attività dichiarata e tuttavia hanno anche calcolato l'incidenza sui ricavi della malattia dedotta dal B. specificando che un minor lavoro quindi un minor ricavo in ragione delle peggiorate condizioni di salute era possibile nonostante non fosse variato il consumo di energia elettrica presso il capannone, poiché l'attività di falegname si svolge anche all'esterno. Tale ultima considerazione non è però idonea ad inficiare il valore indiziario dei consumi elettrici non diminuiti nel periodo successivo alla cessazione dell'attività, trattandosi di un indizio ancorché non grave né specifico che, pur tenendo conto che il lavoro del falegname non si svolge solo all'interno del capannone o della bottega artigiana, conserva una propria logica e una propria valenza, ancorché non assolute e suscettibili di ridimensionamento in relazione alla emersione di elementi probatori di segno contrario, come nel specie è accaduto. 3. Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorso nei confronti dell'Agenzia delle Entrate deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze. Rigetta il ricorso proposto nei confronti dell'Agenzia e condanna parte ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.