Caso Luxleaks: lecito sanzionare il whistleblower che rivela ai media i documenti fiscali rubati alla società

Il ricorrente dette il via al celebre caso Luxleaks cedendo ai media migliaia di documenti fiscali segretati, sottratti al proprio datore di lavoro da queste rivelazioni era emerso un accordo tra il Lussemburgo e diverse multinazionali, clienti della società di revisione contabile per cui lavorava il ricorrente, per godere di un regime fiscale particolarmente agevolato. Per la CEDU questo comportamento, seppure disinteressato, visti i danni di immagine e professionali arrecati al datore e la tenuità della multa inflitta al whistleblower, non poteva rientrare tra quelli tutelati dalla libertà di espressione ex art. 10 Cedu.

È quanto deciso dalla CEDU nel caso Halet c. Lussemburgo ric.21884/18 dell’11 maggio. Il ricorrente, cittadino francese, lavorava per una società di revisione contabile , consulenza fiscale e di gestione d’impresa curava le dichiarazioni dei redditi per conto ed a nome dei clienti e contrattava decisioni anticipate con le autorità fiscali di altri paesi che riguardavano l’applicazione della normativa fiscale per operazioni future , denominate AdvanceTaxAgreements abbreviato in ATAs o rulingstax o tax edicts . Il ricorrente, funzionario amministrativo che si occupava di raccogliere, scansionare, salvare ed inviare le dichiarazioni fiscali, cedette ad un giornalista centinaia di migliaia di dichiarazioni, di questi ruling fiscali e di dossier tributari avuti anche da un uditore che li aveva copiati illegalmente prima di dimettersi da questa società. Da tali documenti emerse che tra il 2002 ed il 2012 erano stati siglati accordi tra il Lussemburgo e multinazionali di 12 paesi, tra cui diversi colossi mondiali, cui era stato applicato un regime fiscale particolarmente vantaggioso . L’inchiesta giornalistica condotta dal Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi ICIJ , un collettivo di 80 cronisti di 26 paesi, prese il nome di Luxleaks . Il ricorrente fu condannato ad un’ammenda di mille euro per violazione del segreto professionale e per altri reati in considerazione del fatto che aveva agito disinteressatamente. Quando è possibile riconoscere a priori al dipendente lo status di whistleblower? La Direttiva 2016/643/UE sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate segreti commerciali contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione degli illeciti, tutela l’attività del whistleblower laddove egli sveli informazioni secretate che risultano d’interesse pubblico perché finalizzate a rendere noti rilevanti negligenze, illeciti od attività illegali. Più precisamente, come si evince anche dal Rapporto A/70/361/ONU dell'8/9/15 e dalla Direttiva 2019/1937/UE sul whistleblowing e da varie Raccomandazioni del COE, da ultimo la 2300/2019,gli Stati devono attuare leggi e misure atte a tutelare il whistleblower le cui rivelazioni sono idonee ad evitare fatti che lui considera una minaccia od un pregiudizio all’interesse generale tra questi s’inseriscono anche informazioni coperte da copyright, segreto, dati fiscali etc. nel contesto dell’impiego pubblico o privato Heinischv.Germania del 2011 , anche quando non si tratta di illeciti, ma semplicemente d’informazioni nascoste” ma che devono essere conosciute nell’interesse del pubblico . È perciò riconosciuta agli informatori una protezione speciale e rafforzata. La CEDU nel suo caso Guja c. Moldova [GC] del 2008 ha dettato i criteri in base ai quali può essere riconosciuta a priori la qualità di whistleblower 1 l’informatore disponeva o meno di altri mezzi per procedere alla divulgazione, 2 l’interesse pubblico presentato da dette informazioni, 3 l’autenticità delle stesse, 4 la buona fede del segnalatore, 5 il danno causato al datore e 6 la gravità della sanzione. Alla luce di questi criteri la CEDU ha ritenuto a priori il ricorrente un whistleblower. La soffiata sul datore è una libera espressione del whistleblower? La libertà di espressione è un diritto universale ed uno dei pilastri della democrazia. La CEDU rimarca come l’art. 10 Cedu estende la tutela della libertà di opinione alle relazioni lavorative tra datore e dipendente regolate dal diritto privato. Da un lato perciò il ricorrente aveva precisi doveri di lealtà, riservatezza e discrezione , dall’altro si era procurato i documenti secretati alla base della soffiata alla stampa in ragione del suo rapporto lavorativo . Se è vero che la libertà di espressione dell’informatore per i suddetti fini deve essere ampiamente tutelata, è anche vero che nel nostro caso l’ingerenza in questa libertà è lecita perché prevista dalla legge e persegue fini legittimi nel limite di quanto necessario in una società democratica il ricorrente aveva commesso reati e la sanzione inflittagli aveva il fine di proteggere reputazione del datore e di impedire la divulgazione di dati sensibili dei clienti ed altre informazioni confidenziali. Denunciare il malaffare non sempre paga. In alcuni casi però la segnalazione non è tutelata come libera espressione dell’informatore la suddetta protezione è concessa quando ricorrono i criteri delineati dal caso Guja non vi sono dubbi che nella fattispecie siano stati rispettati i primi quattro. È stato violato il quinto criterio. Se, da un lato, non era prevedibile che dalla soffiata sarebbe scaturito lo scandalo Luxleaks, dall’altro va detto che l’ interesse pubblico circa queste informazioni era limitato alle sole pratiche fiscali poste in essere dalle multinazionali, non aggiungendo nulla al dibattito sull’evasione fiscale. Ciò, però, ha provocato un grave danno al datore , che ha avuto un’annata difficile e gravi perdite per l’eco mediatica della vicenda, fortunatamente non a lungo termine, dato che successivamente ha avuto un incremento di affari. Alla luce dell’equo bilanciamento tra la tutela dell’interesse pubblico ad ottenere queste informazioni ed il danno subito dal datore la CEDU ha ritenuto che le divulgazioni non presentavano un interesse pubblico sufficiente a ponderare la lesione della reputazione e la perdita di fiducia della clientela subita dal datore. Lecita anche la sanzione perché tenue, non era dissuasiva per l’esercizio di questa libertà ed era stata presa in considerazione l’attenuante del carattere disinteressato del gesto. Nel complesso, l’operato delle corti lussemburghesi è stato corretto avendo ispezionato minuziosamente tutti gli elementi del caso alla luce dei citati criteri della prassi della CEDU non vi è stata alcuna ingerenza sproporzionata ed irrazionale perciò la condanna del ricorrente e delle altre fonti dello scandalo era lecita.

CEDU_Affaire_Halet_c._Luxembourg