L’avvocato ha il diritto di criticare un giudice e non può essere condannato dallo Stato

La sanzione inflitta ad un legale che, nell’esercizio del suo mandato difensivo e nell’interesse del cliente, abbia criticato e denunciato nelle opportune sedi il comportamento parziale e/o razzista di un giudice, non solo è sproporzionata e contraria a quanto necessario in uno Stato democratico, ledendo la sua libertà di espressione ex art. 10 Cedu, ma ha anche un effetto dissuasivo sull’intera categoria professionale. Infatti gli avvocati sarebbero, così, dissuasi dall’accettare difese tecniche, con conseguente ed ovvia lesione del diritto di accesso alla giustizia della collettività.

È quanto ribadito dalla CEDU sez. III nel caso L.P. e Carvalho comma Portogallo ricomma 24845/13 e 49103/15 dell’8 ottobre. Il caso. Due avvocati furono condannati per diffamazione nei confronti di altrettanti giudici. Il primo aveva promosso una causa civile e rilevò un comportamento parziale e non consono di A.A. che aveva anche dimostrato di avere una particolare intimità con l’avvocato difensore della controparte . Segnalò, perciò, al CSM il suo comportamento e le irregolarità compiute durante tutta la procedura. Fu querelato per diffamazione per aver leso la reputazione di A.A e fu condannato ad indennizzarla per complessivi 5.000 euro oltre a 300 euro di ammenda. Nel secondo caso il legale, su incarico di due clienti, di etnia gitana, denunciò, anche in sede penale, A.F. per alcune sue espressioni razziste usate nella sentenza contro di loro, per diffamazione e discriminazione fondata sull’etnia. Queste espressioni erano state stigmatizzate pure dai media con vari e duri editoriali e servizi. Tutte le azioni furono rigettate ed A.F. promosse vittoriosamente un’azione di responsabilità civile contro il ricorrente fu condannato a versarle un indennizzo pari ad 10.000 euro. Vani i ricorsi dei due avvocati contro queste condanne. Quando una critica ad un giudice è diffamatoria? La CEDU preliminarmente ribadisce come un’ingerenza in una libertà od in un diritto fondamentale sia lecita se ha un fondamento legale, persegue fini legittimi nella fattispecie tutelare la reputazione dei giudici, l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario ed è necessaria in una società democratica. Nel nostro caso questi criteri non sono stati rispettati tanto più che le Corti interne nel condannare gli avvocati non hanno fornito motivi pertinenti, sufficienti e relativi alla tutela di alcun bisogno sociale imperativo . In entrambi i casi i legali avevano agito nell’esercizio del loro mandato difensivo a tutela degli interessi dei clienti era loro diritto denunciare al CSM la condotta parziale di A.A. e le accuse mosse contro gli assistiti contenute nella sentenza emessa da A.F. a tutela della loro reputazione, essendo stati diffamati in ragione della loro etnia. In entrambi i casi è stata violata la libertà di espressione dei ricorrenti tutelata dall’art. 10 Cedu. È lecito accusare un giudice per tutelare un cliente. In primis per stabilire se una critica ecceda i limiti consentiti e costituisca, perciò, una diffamazione occorre distinguere tra dichiarazioni fattuali e giudizi di valore, che non sono sindacabili salvo una dettagliata motivazione. Nella fattispecie è chiaro che si tratti di giudizi di valore, aventi una solida e dimostrata base fattuale, espressi nell’esercizio del mandato difensivo e nell’interesse dell’assistito, tanto più che nessuno dei due ricorrenti aveva commesso infrazioni deontologiche. Il legale può anche usare espressioni dure per stigmatizzare un comportamento del magistrato non rispettoso dei suoi doveri etici e professionali era loro diritto e dovere scrivere al CSM e promuovere azioni in sede civile e penale Ceferin c Slovenia, in cui sono indicate le linee guida per stabile se la critica mossa dal legale è lecita o meno, Ottan comma Francia e Morice comma Francia [GC] nei quotidiani del 16/1 e 19/4/18 e nella rassegna del 24/4/15 . In definitiva le Corti interne non hanno offerto sufficienti, adeguate e pertinenti ragioni per giustificare la dura condanna dei legali e soprattutto non vi era stata alcuna lesione dell’onore di A.A. e A.F. dato che nel primo caso la lettera al CSM non era stata resa pubblica e nell’altro i media avevano dato ampia copertura alla vicenda stigmatizzando le espressioni razziste contenute nella sentenza emessa da A.F In ogni caso i clienti di Carvalho non avevano avuto alcun indennizzo per le diffamazioni e le discriminazioni razziali subite. Ergo non vi era stato alcun equo bilanciamento tra i contrapposti interessi. No a sanzioni troppo severe. La CEDU, infine, rileva come queste sanzioni siano prive di fondamento giuridico, irrazionali, non corrispondenti ad alcun bisogno sociale imperioso ed immotivate e rischino di avere un grave effetto dissuasivo sull’intera professione forense. Infatti gli avvocati potrebbero rifiutare di assumere la difesa di terzi per non incorrere in queste sanzioni con ovvia lesione del diritto di questi ultimi di accedere alla giustizia, tutelato dall’art. 6 Cedu. La lesione della libertà d’espressione e la gravità della sanzione non è mitigata dal fatto che ad un ricorrente sia stata inflitta una modesta ammenda e/o che la condanna non sia stata menzionata nel casellario giudiziale.

CEDU_Affaire_L.P._ET_Carvalho_c._Portugal