Sull’inquinamento da PM10 niente sconti, condannata l'Italia

La Corte di Giustizia sentenza del 19 dicembre 2012, causa -68/11 condanna l’Italia per il mancato rispetto dei valori limite inerenti le concentrazioni di PM 10 nell’aria. Nonostante la violazione sia stata contestata in relazione ad un periodo temporale ben definito, emerge con chiarezza come il superamento dei predetti parametri da parte dell’Italia sia, secondo la Commissione, costante e sistemico.

Le ammissioni” dell’Italia. I fatti, oggetto della decisione in commento, prendono avvio dalle contestazioni che, in fase precontenziosa, erano state mosse dalla Commissione UE alla Repubblica italiana con riguardo al rispetto dei parametri normativi, fissati all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 1999/30/CE del Consiglio, del 22 aprile 1999, per gli anni 2005/2007. In quella sede, l’Italia aveva presentato alla Commissione delle relazioni sul rispetto dei valori limite applicabili alle concentrazioni di PM 10 nell’aria ambiente relativamente al periodo indicato. Nell’esaminare tali documenti, la Commissione aveva rilevato il superamento dei suddetti valori limite per un lungo periodo in numerose zone del territorio italiano. A seguito dell’ iter procedurale, l’Italia era stata formalmente diffidata dalla Commissione ad adottare le misure idonee a conformarsi alla disciplina comunitaria di riferimento. Tuttavia, come è emerso dagli stessi atti prodotti in giudizio, alla scadenza del termine assegnatole dalla Commissione per rispondere al parere motivato, i valori limite applicabili alle concentrazioni di PM 10 nell’aria ambiente erano ancora superati in numerose zone e agglomerati italiani e, pertanto, la Commissione aveva proposto ricorso alla Corte di Giustizia. La difesa dell’Italia richiama anche l’inquinamento dei vulcani”. Colpisce come, rispetto alle contestazioni mosse dalla Commissione, l’Italia abbia tentato di giustificarsi, in un primo momento, rilevando che i parametri imposti dalla normativa europea sarebbero troppo rigidi e penalizzanti sul piano economico e sociale, oltre a violare diritti e libertà fondamentali, quali la libera circolazione delle merci e delle persone, l’iniziativa economica privata e il diritto dei cittadini ai servizi di pubblica utilità. Ma, è stato anche eccepito che le emissioni di PM 10 provengono sia da fonti di origine antropica, come il riscaldamento, sia da fonti naturali, come i vulcani, sia da reazioni chimiche che si producono nell’atmosfera tra gli inquinanti detti precursori . Le concentrazioni di PM 10 nell’aria ambiente sarebbero inoltre fortemente influenzate dalle condizioni meteorologiche e dall’entità del sollevamento delle particelle depositate al suolo. In particolare, secondo la difesa italiana esisterebbero almeno cinque ragioni per le quali i valori limite applicabili alle concentrazioni di PM 10 non sono stati rispettati entro i termini assegnati 1. la complessità del fenomeno di formazione delle particelle PM 10 2. l’influenza della meteorologia sulle concentrazioni atmosferiche di PM 10 3. l’insufficiente conoscenza tecnica del fenomeno della formazione delle particelle PM 10 4. il fatto che le differenti politiche dell’Unione Europea finalizzate a ridurre i precursori delle particelle PM 10 non hanno prodotto i risultati attesi 5. l’assenza di coordinamento tra la politica dell’Unione in materia di qualità dell’aria e, in particolare, quella finalizzata a ridurre i gas a effetto serra. Insomma, più che una difesa, appare un mea culpa dell’Italia che, preso atto della innegabile violazione dei parametri comunitari, cerca di individuare altre possibili fonti e centri di responsabilità. Dalle stesse relazioni dell’Italia si desume l’inadempimento. Secondo il giudizio della Corte i dati forniti dalla Commissione non sono risultati circostanziati in modo da permettere una definizione nel periodo di riferimento. Tuttavia, tale limite viene superato dalla stesse relazioni prodotte dall’Italia, dalle quali i Giudici comunitari traggono spunti concreti per desumere che l’inadempimento degli obblighi previsti dall’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 1999/30 si estende comunque al periodo degli anni 2006 e 2007 e riguarda 55 zone e agglomerati italiani. Inoltre, preso atto dei documenti prodotti ma anche delle stesse ammissioni della Repubblica italiana, la Corte ha quindi stabilito che quest’ultima, avendo omesso di provvedere, per gli anni 2006 e 2007, affinché le concentrazioni di PM10 nell’aria ambiente non superassero, nelle 55 zone e agglomerati italiani considerati nella diffida della Commissione europea del 2 febbraio 2009, i valori limite fissati all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 1999/30/CE del Consiglio, del 22 aprile 1999, concernente i valori limite di qualità dell’aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle e il piombo, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale disposizione . Rigettate invece le ulteriori richieste della Commissione che, tra l’altro, rilevando la persistenza dell’inadempimento dell’Italia, aveva rilevato che se la Corte si fosse limitata a constatare l’inadempimento solo per gli anni 2005‑2007, tale sentenza non avrebbe alcun effetto utile. Infatti, permanendo l’inadempimento, la Commissione sarebbe costretta a proporre un nuovo ricorso per gli anni 2008‑2010, e così di seguito. La partita rimane aperta. La partita” dunque non pare possa ritenersi conclusa, stante il preannunciato nuovo contenzioso della Commissione. Viene da chiedersi se in quella eventuale e futura sede, la difesa italiana possa finalmente opporre l’adozione di concrete ed efficaci misure di salvaguardia, evitando di continuare a imbastire giustificazioni più o meno fondate.

Corte di Giustizia UE, Prima Sezione, sentenza 19 dicembre 2012, causa C ‑68/11 * Inadempimento di uno Stato – Ambiente – Direttiva 1999/30/CE – Controllo dell’inquinamento – Valori limite per le concentrazioni di PM10 nell’aria ambiente Sentenza 1 Con il suo ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo omesso di provvedere, per diversi anni consecutivi, affinché le concentrazioni di PM10 nell’aria ambiente non superassero, in numerose zone e agglomerati situati sul territorio italiano, i valori limite fissati all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 1999/30/CE del Consiglio, del 22 aprile 1999, concernente i valori limite di qualità dell’aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle e il piombo GU L 163, pag. 41 , divenuto articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa GU L 152, pag. 1 , è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del suddetto articolo 5. Contesto normativo La direttiva 96/62/CE 2 Conformemente all’articolo 11 della direttiva 96/62/CE del Consiglio, del 27 settembre 1996, in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria ambiente GU L 296, pag. 55 , gli Stati membri sono tenuti a presentare alla Commissione relazioni annuali sul rispetto dei valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10. 3 Ai sensi dell’articolo 8 di tale direttiva 1. Gli Stati membri elaborano l’elenco delle zone e degli agglomerati in cui i livelli di uno o più inquinanti superano i valori limite oltre il margine di superamento. 3. Nelle zone e negli agglomerati di cui al paragrafo 1, gli Stati membri adottano misure atte a garantire l’elaborazione o l’attuazione di un piano o di un programma che consenta di raggiungere il valore limite entro il periodo di tempo stabilito. Tale piano o programma, da rendere pubblico, deve riportare almeno le informazioni di cui all’allegato IV. 4. Nelle zone e negli agglomerati di cui al paragrafo 1 in cui il livello di più inquinanti supera i valori limite, gli Stati membri predispongono un piano integrato che interessi tutti gli inquinanti in questione. . La direttiva 1999/30 4 Le particelle PM10 sono definite, all’articolo 2, punto 11, della direttiva 1999/30, come le particelle che penetrano attraverso un ingresso dimensionale selettivo con un’efficienza di interruzione del 50% per un diametro aerodinamico di 10 μm. 5 Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, di tale direttiva Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che le concentrazioni di particelle PM10 nell’aria ambiente, valutate a norma dell’articolo 7, non superino i valori limite indicati nella sezione I dell’allegato III a decorrere dalle date ivi indicate. . 6 L’articolo 5, paragrafo 4, della citata direttiva afferma quanto segue Se i valori limite per le PM10 di cui alla sezione I dell’allegato III sono superati a causa di concentrazioni di PM10 nell’aria ambiente dovute a eventi naturali e ne derivano concentrazioni significativamente superiori ai normali livelli di [fondo originati da] fonti naturali, gli Stati membri ne informano la Commissione a norma del paragrafo 1 dell’articolo 11 della direttiva 96/62/CE, fornendo le necessarie giustificazioni a riprova del fatto che il superamento è dovuto a eventi naturali. In tali casi, gli Stati membri sono obbligati ad applicare piani d’azione a norma del paragrafo 3 dell’articolo 8 di detta direttiva soltanto dove i valori limite di cui alla sezione I dell’allegato III sono superati per cause diverse dagli eventi naturali . 7 Al fine di garantire la protezione della salute umana, l’allegato III della direttiva 1999/30 fissa due tipi di limiti per le particelle PM10, distinguendo due fasi, le quali sono a loro volta divise in due periodi. Riguardo ai periodi della fase 1, che si estende dal 1° gennaio 2005 al 31 dicembre 2009, da un lato, il valore giornaliero di 50 μg/m3 non deve essere superato più di 35 volte per anno civile e, dall’altro, il valore annuo da non superare è di 40 μg/m3. Per quanto concerne i periodi della fase 2, a partire dal 1° gennaio 2010, da un lato, il valore giornaliero da non superare più di 7 volte per anno civile è di 50 μg/m3 e, dall’altro, il valore limite annuo è di 20 μg/m3. 8 Ai fini della valutazione delle concentrazioni di PM10 prevista all’articolo 7 della medesima direttiva, occorre distinguere tra una zona e un agglomerato . 9 In forza dell’articolo 2, punto 8, della direttiva 1999/30, una zona designa una parte del territorio degli Stati membri da essi delimitata . 10 L’articolo 2, punto 9, di tale direttiva definisce agglomerato una zona con una concentrazione di popolazione superiore a 250 000 abitanti o, allorché la concentrazione di popolazione è pari o inferiore a 250 000 abitanti, una densità di popolazione per km2 tale da rendere necessarie per gli Stati membri la valutazione e la gestione della qualità dell’aria ambiente . 11 Secondo l’articolo 12 della citata direttiva, gli Stati membri dovevano adottare i provvedimenti legislativi, regolamentari ed amministrativi necessari per conformarsi alla stessa entro il 19 luglio 2001. La direttiva 2008/50 12 La direttiva 2008/50, entrata in vigore l’11 giugno 2008, ha disposto, in virtù del suo articolo 31, l’abrogazione delle direttive 96/62 e 1999/30 a decorrere dall’11 giugno 2010, fatti salvi gli obblighi degli Stati membri riguardanti i termini per il recepimento e l’applicazione di queste ultime direttive. 13 L’articolo 13 della direttiva 2008/50, rubricato Valori limite e soglie di allarme ai fini della protezione della salute umana , stabilisce, al paragrafo 1, quanto segue Gli Stati membri provvedono affinché i livelli di biossido di zolfo, PM10, piombo e monossido di carbonio presenti nell’aria ambiente non superino, nell’insieme delle loro zone e dei loro agglomerati, i valori limite stabiliti nell’allegato XI. Il rispetto di tali requisiti è valutato a norma dell’allegato III. I margini di tolleranza fissati nell’allegato XI si applicano a norma dell’articolo 22, paragrafo 3 e dell’articolo 23, paragrafo 1 . 14 Bisogna constatare che l’allegato XI della direttiva 2008/50 non ha modificato i valori limite fissati per le particelle PM10 dall’allegato III della direttiva 1999/30 per la fase 1. 15 Per contro, l’articolo 22 della direttiva 2008/50 stabilisce norme relative alla proroga dei termini fissati per conseguire i valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 e, in particolare, le condizioni per la deroga all’obbligo di applicarli. 16 Ai sensi dell’articolo 22 di questa direttiva 1. Se in una determinata zona o agglomerato non è possibile raggiungere i valori limite fissati per il biossido d’azoto o il benzene entro i termini di cui all’allegato XI, uno Stato membro può prorogare tale termine di cinque anni al massimo per la zona o l’agglomerato in questione, a condizione che sia predisposto un piano per la qualità dell’aria a norma dell’articolo 23 per la zona o per l’agglomerato cui si intende applicare la proroga. Detto piano per la qualità dell’aria è integrato dalle informazioni di cui all’allegato XV, punto B, relative agli inquinanti in questione e dimostra come i valori limite saranno conseguiti entro il nuovo termine. 2. Se in una determinata zona o agglomerato non è possibile conformarsi ai valori limite per il PM10 di cui all’allegato XI, per le caratteristiche di dispersione specifiche del sito, per le condizioni climatiche avverse o per l’apporto di inquinanti transfrontalieri, uno Stato membro non è soggetto all’obbligo di applicare tali valori limite fino all’11 giugno 2011 purché siano rispettate le condizioni di cui al paragrafo 1 e purché lo Stato membro dimostri che sono state adottate tutte le misure del caso a livello nazionale, regionale e locale per rispettare le scadenze. 4. Gli Stati membri notificano alla Commissione i casi in cui ritengono applicabili i paragrafi 1 o 2 e le comunicano il piano per la qualità dell’aria di cui al paragrafo 1, comprese tutte le informazioni utili di cui la Commissione deve disporre per valutare se le condizioni pertinenti sono soddisfatte. In tale valutazione la Commissione tiene conto degli effetti stimati sulla qualità dell’aria ambiente negli Stati membri, attualmente e in futuro, delle misure adottate dagli Stati membri e degli effetti stimati sulla qualità dell’aria ambiente delle attuali misure comunitarie e delle misure comunitarie previste che la Commissione proporrà. Se la Commissione non solleva obiezioni entro nove mesi dalla data di ricevimento di tale notifica, le condizioni per l’applicazione dei paragrafi 1 o 2 sono considerate soddisfatte. In caso di obiezioni, la Commissione può chiedere agli Stati membri di rettificare i piani per la qualità dell’aria oppure di presentarne di nuovi . Fatti di causa e procedimento precontenzioso 17 In applicazione dell’articolo 11 della direttiva 96/62, la Repubblica italiana presentava alla Commissione alcune relazioni relative al rispetto dei valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 nell’aria ambiente per gli anni 2005‑2007. 18 Nell’esaminare tali relazioni, la Commissione rilevava il superamento dei suddetti valori limite, fissati nella sezione I dell’allegato III della direttiva 1999/30, per un lungo periodo, in numerose zone del territorio italiano. 19 Con lettera del 30 giugno 2008, la Commissione informava la Repubblica italiana della sua intenzione di avviare il procedimento previsto dall’articolo 226 CE nel caso in cui non avesse ricevuto, entro il 31 ottobre 2008, un’istanza di deroga a norma dell’articolo 22 della direttiva 2008/50. 20 Con lettere del 3 e del 16 ottobre 2008, la Repubblica italiana informava la Commissione delle misure programmate o adottate da quattordici regioni e da due province autonome al fine di evitare il superamento dei valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 nelle zone di loro competenza. 21 Non avendo ricevuto, alla data del 14 gennaio 2009, alcuna istanza di deroga da parte di tale Stato membro, la Commissione concludeva che l’articolo 22 della direttiva 2008/50 non trovava applicazione. 22 Pertanto, ritenendo che la Repubblica italiana non avesse rispettato gli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 1999/30, la Commissione, in data 2 febbraio 2009, inviava a tale Stato membro una lettera di diffida. A tale lettera era allegato un elenco che indicava 55 zone e agglomerati italiani nei quali i limiti giornalieri e/o annui applicabili alle concentrazioni di PM10 erano stati superati durante gli anni 2006 e 2007. 23 Con lettere del 1° e del 30 aprile, del 22 ottobre e dell’11 novembre 2009, la Repubblica italiana rispondeva alla Commissione affermando di averle inviato, il 27 gennaio e il 5 maggio 2009, due istanze di deroga a norma dell’articolo 22 della direttiva 2008/50, relative, l’una, a 67 zone situate in 12 regioni e 2 province autonome, e, l’altra, a 12 zone situate in altre 3 regioni. 24 Dopo aver analizzato queste due istanze di deroga, la Commissione adottava due decisioni relative a tali istanze, rispettivamente il 28 settembre 2009 e il 1° febbraio 2010. 25 Nella sua decisione del 28 settembre 2009, la Commissione formulava alcune obiezioni all’istanza presentata dalla Repubblica italiana il 27 gennaio 2009, relativamente a 62 delle 67 zone censite da quest’ultima e situate nelle Regioni dell’Emilia‑Romagna, del Friuli‑Venezia Giulia, del Lazio, della Liguria, della Lombardia, delle Marche, dell’Umbria, del Piemonte, della Toscana e del Veneto, nonché nella Provincia autonoma di Trento. 26 Nella sua decisione del 1° febbraio 2010, la Commissione formulava alcune obiezioni all’istanza presentata dalla Repubblica italiana il 5 maggio 2009, relativamente a undici delle dodici zone censite da quest’ultima e situate nelle Regioni della Campania, della Puglia e della Sicilia. 27 In seguito, tale Stato membro non presentava nuove istanze di deroga a norma dell’articolo 22 della direttiva 2008/50. 28 Considerato che la Repubblica italiana aveva superato i valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 nell’aria ambiente per diversi anni consecutivi, in numerose zone del territorio italiano, la Commissione, il 7 maggio 2010, adottava un parere motivato nel quale concludeva che la Repubblica italiana non aveva rispettato gli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 1999/30. La Commissione invitava pertanto tale Stato membro ad adottare i provvedimenti necessari a conformarsi ai suoi obblighi entro un termine di due mesi decorrenti dalla notifica del suddetto parere. 29 Nella sua risposta del 6 luglio 2010, la Repubblica italiana faceva valere di aver elaborato una strategia nazionale, che doveva tradursi nell’adozione di un insieme di misure legislative e regolamentari, su scala nazionale, nonché in linee guida relative ai settori di attività maggiormente responsabili delle emissioni di PM10 e di sostanze inquinanti suscettibili di trasformarsi in PM10. La Repubblica italiana, inoltre, chiedeva di tenere una riunione con i servizi della Commissione al fine di discutere delle misure legislative e regolamentari programmate. Tale riunione si teneva a Bruxelles Belgio il 26 luglio 2010. 30 Con lettera del 25 agosto 2010, la Repubblica italiana ammetteva che, alla scadenza del termine assegnatole per rispondere al parere motivato, i valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 nell’aria ambiente erano ancora superati in numerose zone e agglomerati italiani. Tale Stato membro trasmetteva alla Commissione altre informazioni relative alle misure nazionali che sarebbero state adottate nell’autunno del 2010 e comunicate prima del mese di novembre 2010, accompagnate da una valutazione di impatto riguardante le zone e gli agglomerati nei quali tali valori limite erano ancora superati, al fine di poter beneficiare di una deroga a norma dell’articolo 22 della direttiva 2008/50. 31 In seguito, la Commissione non veniva informata dell’adozione di tali misure nazionali. Essa non riceveva neanche valutazioni di impatto riguardanti le zone e gli agglomerati interessati, né nuove istanze di deroga a norma dell’articolo 22 della direttiva 2008/50. 32 Alla luce di tali fatti, la Commissione proponeva il presente ricorso. Sul ricorso Argomenti delle parti 33 Nel suo ricorso, la Commissione sostiene che le relazioni presentate a norma dell’articolo 11 della direttiva 96/62 dalla Repubblica italiana per l’anno 2005 e per gli anni successivi mostrano l’esistenza di superamenti dei valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 nell’aria ambiente per un lungo periodo e in numerose zone del territorio italiano. 34 Inoltre, secondo le informazioni trasmesse da tale Stato membro per l’anno 2009, il superamento di tali valori limite perdurerebbe in 70 zone situate nelle Regioni della Campania, dell’Emilia‑Romagna, del Friuli‑Venezia Giulia, del Lazio, della Liguria, della Lombardia, delle Marche, dell’Umbria, del Piemonte, della Puglia, della Sicilia, della Toscana e del Veneto, nonché nella Provincia autonoma di Trento. 35 Ebbene, la Repubblica italiana non avrebbe adottato le misure necessarie per assicurare il rispetto dei valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 e non avrebbe presentato nuove istanze di deroga a norma dell’articolo 22 della direttiva 2008/50. 36 La Repubblica italiana rileva che le emissioni di PM10 provengono sia da fonti di origine antropica, come il riscaldamento, sia da fonti naturali, come i vulcani, sia da reazioni chimiche che si producono nell’atmosfera tra gli inquinanti detti precursori . Le concentrazioni di PM10 nell’aria ambiente sarebbero inoltre fortemente influenzate dalle condizioni meteorologiche e dall’entità del sollevamento delle particelle depositate al suolo. 37 Essendo stato rilevato a partire dall’anno 2001 il superamento dei valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10, le regioni italiane avrebbero adottato i piani di cui all’articolo 8 della direttiva 96/62 al fine di ridurre le emissioni di tali particelle. Tali piani avrebbero riguardato principalmente il settore dei trasporti. In seguito, altre misure sarebbero state adottate progressivamente a partire dall’anno 2006 per quanto riguarda il settore civile, l’agricoltura e l’allevamento. 38 Anche su scala nazionale, le autorità competenti avrebbero adottato misure nei settori civile, dell’industria, dell’agricoltura e dei trasporti al fine di ridurre le concentrazioni di PM10 nell’aria ambiente. 39 L’insieme di tali disposizioni avrebbe contribuito ad un netto miglioramento della qualità dell’aria tra l’anno 1990 e l’anno 2009, con una diminuzione del numero di giorni di superamento del valore limite giornaliero per le particelle PM10. Tuttavia, tale miglioramento non sarebbe stato sufficiente per assicurare il rispetto dei valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 entro i termini assegnati. 40 In effetti, secondo la Repubblica italiana, tale obiettivo era impossibile da raggiungere. Per riuscirvi, sarebbe stato necessario adottare misure drastiche sul piano economico e sociale e violare diritti e libertà fondamentali, quali la libera circolazione delle merci e delle persone, l’iniziativa economica privata e il diritto dei cittadini ai servizi di pubblica utilità. 41 La Repubblica italiana ritiene che esistano almeno cinque ragioni per le quali i valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 non sono stati rispettati entro i termini assegnati, cioè in primo luogo, la complessità del fenomeno di formazione delle particelle PM10 in secondo luogo, l’influenza della meteorologia sulle concentrazioni atmosferiche di PM10 in terzo luogo, l’insufficiente conoscenza tecnica del fenomeno della formazione delle particelle PM10 che ha indotto a fissare termini troppo brevi per il rispetto di tali valori limite in quarto luogo, il fatto che le differenti politiche dell’Unione europea finalizzate a ridurre i precursori delle particelle PM10 non hanno prodotto i risultati attesi, e, in quinto luogo, l’assenza di coordinamento tra la politica dell’Unione in materia di qualità dell’aria e, in particolare, quella finalizzata a ridurre i gas a effetto serra. 42 Nella sua replica, la Commissione rileva che, nell’ambito delle direttive 96/62, 1999/30 e 2008/50, essa può basarsi, per il controllo del rispetto dei valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10, soltanto sui dati presentati dallo Stato membro in questione, il quale stabilisce le zone di misurazione delle concentrazioni di PM10 e si fa carico di effettuare tali misurazioni. In questa situazione, il fatto che tali valori limite siano stati superati per diversi anni consecutivi, in numerose zone, sarebbe perfettamente noto alla Repubblica italiana. 43 Per quanto riguarda l’argomento relativo all’esistenza di motivi di ordine generale che non avrebbero permesso alla Repubblica italiana di rispettare i valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 entro i termini assegnati, la Commissione ricorda che l’articolo 22 della direttiva 2008/50 prevede, a certe condizioni, una deroga all’obbligo di applicare tali valori limite. Ebbene, la Repubblica italiana non avrebbe presentato alcuna nuova istanza di deroga in seguito alle obiezioni formulate dalla Commissione nelle sue decisioni del 28 settembre 2009 e del 1° febbraio 2010. 44 Inoltre, nella sua decisione del 28 settembre 2009, la Commissione avrebbe affermato che l’argomento relativo all’emissione di PM10 su scala mondiale e continentale può essere preso in considerazione soltanto in alcune situazioni specifiche e non in via generale. Riguardo al bacino del Po, essa avrebbe sottolineato che il contributo stimato dell’inquinamento transfrontaliero nel bacino del Po non può essere considerato rappresentativo a causa della particolare situazione geografica di questa zona circondata dalle montagne e dal mare . La Commissione rileva che il contributo transfrontaliero è comunque d’importanza limitata in questa zona . 45 Allo stesso modo, nelle sue decisioni del 28 settembre 2009 e del 1° febbraio 2010, la Commissione avrebbe rilevato l’assenza di informazioni fornite dalla Repubblica italiana, ai sensi dell’articolo 20 della direttiva 2008/50, in merito al contributo delle fonti naturali al superamento dei valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 nelle zone in questione. Inoltre, la Repubblica italiana, pur avendo presentato alla Commissione alcuni piani regionali, non le avrebbe ancora presentato un piano nazionale per la qualità dell’aria. 46 A proposito dell’argomento relativo alla necessità di adottare misure drastiche sul piano economico e sociale e di violare diritti fondamentali, la Commissione rileva che nessuno Stato membro ha proposto ricorsi di annullamento contro le direttive 1999/30 e 2008/50. 47 La Commissione aggiunge che la Repubblica italiana riconosce, nel suo controricorso, che i valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 continuano a non essere rispettati e che tale situazione non sarà risolta a breve o a medio termine. La Commissione ne deduce che la situazione di superamento di tali valori limite presenta un carattere costante e sistemico. 48 Pertanto, se la Corte si limitasse a constatare l’inadempimento per gli anni 2005‑2007, tale sentenza non avrebbe alcun effetto utile. Infatti, permanendo l’inadempimento, la Commissione sarebbe costretta a proporre un nuovo ricorso per gli anni 2008‑2010, e così di seguito. Dunque, la Commissione chiede alla Corte di pronunciarsi anche sulla situazione presente, dal momento che il ricorso riguarda il rispetto continuativo delle direttive 1999/30 e 2008/50. Giudizio della Corte 49 In via preliminare occorre rilevare che, sebbene la Repubblica italiana non abbia sollevato alcuna eccezione di irricevibilità del presente ricorso, la Corte può esaminare d’ufficio se ricorrano i presupposti previsti dall’articolo 258 TFUE per la proposizione di un ricorso per inadempimento v., in particolare, sentenze del 31 marzo 1992, Commissione/Italia, -362/90, Racc. pag. I‑2353, punto 8 del 26 gennaio 2012, Commissione/Slovenia, -185/11, punto 28, e del 15 novembre 2012, Commissione/Portogallo, -34/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 42 . 50 In tale prospettiva, si deve verificare se il parere motivato e il ricorso presentino le censure in modo coerente e preciso, così da consentire alla Corte di conoscere esattamente la portata della violazione del diritto dell’Unione contestata, presupposto necessario affinché la Corte possa verificare l’esistenza dell’inadempimento addotto v., in tal senso, sentenze del 1° febbraio 2007, Commissione/Regno Unito, -199/04, Racc. pag. I‑1221, punti 20 e 21, nonché Commissione/Portogallo, cit., punto 43 . 51 Infatti, come risulta in particolare dall’articolo 38, paragrafo 1, lettera c , del regolamento di procedura della Corte, nella versione in vigore alla data di presentazione del ricorso, e dalla giurisprudenza relativa a tale disposizione, l’atto introduttivo del giudizio deve indicare l’oggetto della controversia e contenere l’esposizione sommaria dei motivi dedotti, e tali indicazioni devono essere sufficientemente chiare e precise per consentire alla parte convenuta di preparare la sua difesa e alla Corte di esercitare il suo controllo. Ne discende che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali si fonda un ricorso devono emergere in modo coerente e comprensibile dal testo dell’atto introduttivo stesso e che le conclusioni di quest’ultimo devono essere formulate in modo inequivoco, al fine di evitare che la Corte statuisca ultra petita ovvero ometta di pronunciarsi su una censura v. sentenza Commissione/Portogallo, cit., punto 44 e la giurisprudenza ivi citata . 52 Nel caso di specie, la Commissione non precisa, né nelle conclusioni del proprio atto introduttivo del giudizio né nelle motivazioni di quest’ultimo, gli anni per i quali l’inadempimento viene contestato. In effetti, essa si limita ad affermare che la Repubblica italiana ha superato i valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 per diversi anni consecutivi . Essa sostiene che si tratta di un inadempimento attuale e che la decisione della Corte deve riguardare il presente e non il passato, senza precisare il periodo in questione. 53 Ciò considerato, è giocoforza constatare che la mancata indicazione di un elemento indispensabile del contenuto dell’atto introduttivo del giudizio, quale il periodo in cui la Repubblica italiana avrebbe violato, secondo le affermazioni della Commissione, il diritto dell’Unione, non risponde ai requisiti di coerenza, di chiarezza e di precisione v., in tal senso, sentenza Commissione/Portogallo, cit., punto 47 . 54 Inoltre, la Commissione non indica il periodo preciso interessato dall’inadempimento contestato e si astiene, per di più, dal fornire prove pertinenti, sottolineando laconicamente che essa non ha alcun interesse ad agire, nella presente causa, per ottenere dalla Corte una pronuncia su fatti passati, dato che essa non trae alcun vantaggio da una sentenza che accerti una situazione passata. Così, detta istituzione non solo viola manifestamente gli obblighi, sia per la Corte sia per sé stessa, che discendono dalla giurisprudenza citata ai punti 50 e 51 della presente sentenza, ma neppure mette la Corte in condizione di esercitare il suo controllo sul presente ricorso per inadempimento. 55 Occorre tuttavia rilevare che la verifica delle relazioni annuali presentate dalla Repubblica italiana e riguardanti gli anni 2005-2007 ha mostrato che i valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 erano stati superati in diverse zone e agglomerati. Sulla base di tali relazioni, la Commissione ha ritenuto che la Repubblica italiana non avesse rispettato gli obblighi previsti dall’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 1999/30 per il fatto che, in 55 zone e agglomerati italiani, indicati in allegato alla diffida, i valori limite giornalieri e/o annui applicabili alle concentrazioni di PM10 erano stati superati negli anni 2006 e 2007. 56 Da tali elementi si può desumere che l’inadempimento degli obblighi previsti dall’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 1999/30 si estende comunque sul periodo degli anni 2006 e 2007 e riguarda 55 zone e agglomerati italiani. 57 Pertanto, il presente ricorso per inadempimento, nei limiti così definiti, può essere dichiarato ricevibile. Viceversa, nella misura in cui esso riguarda l’anno 2005 e il periodo successivo all’anno 2007, detto ricorso deve essere respinto in quanto irricevibile. 58 Quanto alla fondatezza del presente ricorso, va ricordato che la Repubblica italiana ammette, nelle sue osservazioni, il superamento dei valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 nei limiti constatati al punto 56 della presente sentenza. 59 La Repubblica italiana aggiunge che tali valori limite non potevano essere rispettati entro i termini assegnati dalla direttiva 1999/30 per almeno cinque ragioni, enunciate al punto 41 della presente sentenza. In tale situazione, assicurare il rispetto di tali valori limite avrebbe implicato l’adozione di misure drastiche sul piano economico e sociale, nonché la violazione di diritti e libertà fondamentali, quali la libera circolazione delle merci e delle persone, l’iniziativa economica privata e il diritto dei cittadini ai servizi di pubblica utilità. 60 A questo proposito, occorre sottolineare che, in mancanza di modifica di una direttiva ad opera del legislatore dell’Unione allo scopo di prorogare i termini di attuazione, gli Stati membri sono tenuti a rispettare i termini originariamente fissati. 61 Inoltre, occorre constatare che la Repubblica italiana non sostiene di aver domandato, in particolare, l’applicazione dell’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 1999/30, riguardante la situazione in cui i valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 nell’aria ambiente sono superati a causa di eventi naturali, i quali danno luogo a concentrazioni che superano notevolmente i normali livelli di fondo originati da fonti naturali. 62 Orbene, il procedimento previsto dall’articolo 258 TFUE si basa sull’accertamento oggettivo dell’inosservanza da parte di uno Stato membro degli obblighi impostigli dal Trattato FUE o da un atto di diritto derivato v. sentenze del 1° marzo 1983, Commissione/Belgio, 301/81, Racc. pag. 467, punto 8, e del 4 marzo 2010, Commissione/Italia, -297/08, Racc. pag. I‑1749, punto 81 . 63 Una volta giunti, come nella fattispecie, a un siffatto accertamento, è irrilevante che l’inadempimento derivi dalla volontà dello Stato membro cui è addebitabile, dalla negligenza di tale Stato, oppure dalle difficoltà tecniche cui quest’ultimo abbia dovuto far fronte sentenze del 1° ottobre 1998, Commissione/Spagna, -71/97, Racc. pag. I‑5991, punto 15, e del 4 marzo 2010, Commissione/Italia, cit., punto 82 . 64 In ogni caso, uno Stato membro che si trovi a dover far fronte a difficoltà momentaneamente insormontabili che gli impediscono di conformarsi agli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione può appellarsi a una situazione di forza maggiore solo per il periodo necessario a porre rimedio a tali difficoltà v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 2001, Commissione/Francia, -1/00, Racc. pag. I‑9989, punto 131 . 65 Invece, nel caso di specie, gli argomenti addotti dalla Repubblica italiana sono troppo generici e imprecisi per poter configurare un caso di forza maggiore che giustifichi il mancato rispetto dei valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 nelle 55 zone e agglomerati italiani considerati dalla Commissione. 66 Di conseguenza, si deve accogliere il ricorso entro i limiti indicati al punto 56 della presente sentenza. 67 Alla luce delle considerazioni sopraesposte, si deve dichiarare che la Repubblica italiana, avendo omesso di provvedere, per gli anni 2006 e 2007, affinché le concentrazioni di PM10 nell’aria ambiente non superassero, nelle 55 zone e agglomerati italiani considerati nella diffida della Commissione del 2 febbraio 2009, i valori limite fissati all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 1999/30, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale disposizione. Sulle spese 68 Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 3, prima frase, dello stesso regolamento, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. 69 Nella presente controversia, si deve tener conto del fatto che l’addebito della Commissione relativo al mancato rispetto degli obblighi risultanti dall’articolo 5 della direttiva 1999/30, divenuto articolo 13 della direttiva 2008/50, è stato dichiarato irricevibile per quanto concerne l’anno 2005 e il periodo successivo all’anno 2007. 70 Di conseguenza, occorre condannare la Commissione e la Repubblica italiana a sopportare ciascuna le proprie spese. Per questi motivi, la Corte Prima Sezione dichiara e statuisce 1 La Repubblica italiana, avendo omesso di provvedere, per gli anni 2006 e 2007, affinché le concentrazioni di PM10 nell’aria ambiente non superassero, nelle 55 zone e agglomerati italiani considerati nella diffida della Commissione europea del 2 febbraio 2009, i valori limite fissati all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 1999/30/CE del Consiglio, del 22 aprile 1999, concernente i valori limite di qualità dell’aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle e il piombo, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale disposizione. 2 Il ricorso è respinto quanto al resto. 3 La Commissione europea e la Repubblica italiana sopportano ciascuna le proprie spese. * Fonte http //curia.europa.eu/