Lite violenta con il vicino di casa e addio al porto d’armi

La motivazione del provvedimento del Questore di revoca del porto d’armi non richiede una puntuale descrizione delle ragioni che hanno condotto alla decisione né una dettagliata valutazione della personalità del soggetto, ma solo l’indicazione dei presupposti fattuali e della loro idoneità a porre in dubbio la sua affidabilità nell’uso delle armi.

Così il TAR Lombardia con la sentenza n. 964/21, depositata il 16 aprile scorso. A seguito di una lite tra vicini di casa , scaturita dal taglio di una pianta e sfociata in una vera e propria rissa che cagionava ad entrambi lesioni personali certificate dal pronto soccorso, il Questore di Sondrio revocava la licenza di porto di fucile da caccia e il relativo libretto ad uno dei due protagonisti della vicenda. Il provvedimento è stato impugnato dall’interessato che lamenta la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca della licenza e il difetto di motivazione circa la sua inaffidabilità nell’uso delle armi. Il TAR ha rigettato le censure. Richiamando il contesto normativo in materia, la pronuncia ricorda che l’art. 43, comma 2, r.d. 18 giugno 1931, n. 773, attribuisce al Questore il potere ampiamente discrezionale , in quanto finalizzato alla tutela di rilevanti valori quali l’ordine pubblico e la pubblica sicurezza, di ricusare la licenza di portare le armi ai soggetti che non diano affidamento di non abusarne, sulla scorta dell’accertamento di circostanze atipiche, diverse dall’accertamento della responsabilità penale, il quale è invece richiesto dalla fattispecie contemplata nel primo comma per taluni reati tassativamente elencati . In tal senso, l’onere motivazionale della revoca del titolo di polizia risulta pertanto sufficientemente assolto mediante il riferimento a fatti atipici , a prescindere dalla loro rilevanza sotto il profilo penalistico, idonei a porre in dubbio, secondo la logica causale del più probabile che non ”, le stringenti garanzie di affidabilità che l’ordinamento esige dai soggetti autorizzati a portare le armi . In altre parole, la motivazione del provvedimento di revoca della licenza di porto d’armi non richiede una puntuale descrizione delle ragioni che hanno condotto alla sua adozione né una dettagliata valutazione della personalità del destinatario della misura preventiva e cautelare ma solo l’indicazione dei presupposti fattuali e della loro idoneità a porre in dubbio l’affidabilità del soggetto nell’uso delle armi . Nel caso di specie, il provvedimento del Questore risulta adeguatamente motivato con riferimento all’episodio che ha visto protagonista il ricorrente ed il vicino di casa, dal quale è stato ragionevolmente dedotto che la mancanza di fiducia nella possibilità che possano accadere nuovamente liti del genere o comunque comportamenti irrispettosi dell’ordine pubblico, dell’incolumità personale e della sicurezza collettiva. Per questo motivo, il ricorso viene rigettato.

TAR Lombardia, sez. I, sentenza 10 marzo – 16 aprile 2021, n. 964 Presidente Giordano – Estensore Perilli Fatto e diritto 1. Il signor - omissis - ha domandato l’annullamento del decreto con il quale il Questore di Sondrio gli ha revocato la licenza di porto di fucile per uso caccia e il relativo libretto personale, in seguito alla comunicazione della notitia criminis, acquisita a suo carico dai Carabinieri di Campodolcino, per i reati di percosse e di lesioni personali, presumibilmente commessi nei confronti di un vicino di casa, durante una lite verificatasi in data 28 ottobre 2017, ed oggetto di reciproche querele. Con il primo motivo di ricorso il signor - omissis - lamenta l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca della licenza, la quale gli avrebbe precluso di contestare la ricostruzione dei fatti fornita dai Carabinieri e di dimostrare di essere stato strumentalmente querelato dal vicino di casa, nei confronti del quale ha sporto anche una denuncia per il reato di calunnia. Il signor - omissis - lamenta altresì il difetto di motivazione e di istruttoria del provvedimento impugnato nonché la carenza dei presupposti per la sua adozione la Questura di Sondrio non avrebbe infatti adeguatamente giustificato il giudizio di inaffidabilità nell’uso delle armi e non avrebbe accertato la strumentalità della querela sporta nei suoi confronti dal vicino di casa, alla quale non sarebbe comunque seguito l’esercizio dell’azione penale. Con il secondo motivo di ricorso il signor - omissis - ha eccepito il mancato accertamento nei suoi confronti dei profili di pericolosità e di rischio di abuso delle armi, così come richiesto dall’articolo 39 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, ed ha censurato il giudizio di inaffidabilità nell’uso delle armi, in quanto fondato su un episodio isolato, oggetto di un’accusa infondata, strumentale e non supportata da riscontri istruttori. 1.1. Hanno resistito al ricorso il Ministero dell’Interno e la Questura di Sondrio. 1.2. In vista della trattazione del merito del ricorso, entrambe le parti hanno depositato memorie difensive. 1.3. Alla camera di consiglio del 10 marzo 2021 la causa è stata trattenuta in decisione sulla base degli atti depositati. 2. Il Collegio deve preliminarmente delimitare il thema decidendum del presente ricorso, il quale ha ad oggetto le censure proposte avverso il giudizio di inaffidabilità nell’uso delle armi, posto dal Questore di Sondrio a fondamento del provvedimento di revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia e del relativo libretto. Con separato ricorso, contraddistinto dal n.r.g. 1229 del 2018, il ricorrente ha domandato l’annullamento del decreto con il quale il Prefetto di Sondrio ha disposto nei suoi confronti il divieto di detenzione di armi, munizioni e prodotti esplodenti, in seguito al verificarsi della medesima lite tra vicini del 28 ottobre 2017. Esulano pertanto dall’oggetto del presente giudizio le censure contenute nel secondo motivo di ricorso, relative all’omesso accertamento dei presupposti di cui all’articolo 39 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773. E’ infatti evidente che i procedimenti, rispettivamente disciplinati dagli articoli 39 e 43 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, pur essendo accomunati dalla medesima funzione preventiva e cautelare, sono finalizzati all’adozione di misure diverse e richiedono l’accertamento di presupposti distinti ed autonomi, per cui la Questura, nel valutare le stringenti garanzie di affidabilità che devono circondare il mantenimento della licenza di porto armi, non è tenuta anche a valutare il concreto pericolo di abuso delle armi, che ne preclude la detenzione. 3. Devono invece essere trattate congiuntamente le censure, specificate nel primo e nel secondo motivo di ricorso, relative al difetto di motivazione e di istruttoria nonché alla carenza dei presupposti del giudizio prognostico di inaffidabilità nell’uso delle armi, formulato dalla Questura di Sondrio nei confronti del ricorrente. L’articolo 43, comma 2, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, attribuisce al Questore il potere ampiamente discrezionale, in quanto finalizzato alla tutela di rilevanti valori quali l’ordine pubblico e la pubblica sicurezza, di ricusare la licenza di portare le armi ai soggetti che non diano affidamento di non abusarne, sulla scorta dell’accertamento di circostanze atipiche, diverse dall’accertamento della responsabilità penale, il quale è invece richiesto dalla fattispecie contemplata nel primo comma per taluni reati tassativamente elencati. Con le sentenze dell’11 febbraio 1981, n. 24, e del 16 dicembre 1993, n. 440, la Corte costituzionale ha affermato che la licenza di porto delle armi costituisce un’eccezione al generale divieto di portare le armi al di fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, sancito dagli articoli 699 del codice penale e 4, comma 1, della legge 18 aprile 1975, n. 110, per cui deve ritenersi non irragionevole che il legislatore esiga la sussistenza di garanzie particolarmente rigorose per il suo rilascio o per il suo mantenimento. L’onere motivazionale della revoca del titolo di polizia risulta pertanto sufficientemente assolto mediante il riferimento a fatti atipici, a prescindere dalla loro rilevanza sotto il profilo penalistico, idonei a porre in dubbio, secondo la logica causale del < < più probabile che non> > , le stringenti garanzie di affidabilità che l’ordinamento esige dai soggetti autorizzati a portare le armi. La motivazione del provvedimento di revoca della licenza di porto delle armi non richiede perciò una puntuale descrizione delle ragioni che hanno condotto alla sua adozione né una dettagliata valutazione della personalità del destinatario della misura preventiva e cautelare ma solo l’indicazione dei presupposti fattuali e della loro idoneità a porre in dubbio l’affidabilità del soggetto nell’uso delle armi. 3.1. Alla luce delle predette coordinate ermeneutiche, i motivi di ricorso sono infondati. La Questura di Sondrio ha sufficientemente motivato il giudizio di inaffidabilità del ricorrente sulla scorta della oggettiva sussistenza di una grave situazione di conflitto con il vicino di casa, sfociata nella lite violenta avvenuta in data 28 ottobre 2017, in esito alla quale entrambi i litiganti hanno subito lesioni personali, certificate dal locale pronto soccorso sanitario. Dall’informativa di reato redatta dai Carabinieri di Campodolcino in data 2 novembre 2017, la Questura di Sondrio ha infatti accertato che, in data 28 ottobre 2017, il signor M. M. provvedeva a tagliare un tronco di larice apposto dal signor - omissis - in prossimità delle loro abitazioni e che il signor - omissis - si recava nei pressi dell’abitazione del M. per esternargli le proprie rimostranze. Da tale episodio si sviluppava una lite violenta tra i due soggetti e si trasformava repentinamente in una lotta fisica, all’esito della quale entrambi si recavano al pronto soccorso dell’ospedale di Chiavenna, ove venivano loro certificate lesioni personali. La Questura ha pertanto ragionevolmente dedotto, secondo un ragionamento privo di profili di illogicità, che la grave ed attuale situazione di conflittualità tra vicini di casa potesse, con un elevato grado di probabilità, trasmodare in altri episodi di violenza, per cui ha ritenuto di non poter più riporre in entrambi i soggetti la piena fiducia che gli stessi in futuro adotteranno comportamenti rispettosi dell’ordine pubblico, dell’incolumità personale e della sicurezza collettiva. Non sussistono pertanto i vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, dedotti dal ricorrente in merito al mancato accertamento dei presupposti per l’adozione del provvedimento impugnato. Nessuna valenza favorevole può essere inoltre attribuita alle circostanze prospettate dal ricorrente, per cui la querela sporta dal vicino di casa nei suoi confronti non sarebbe stata seguita dall’esercizio dell’azione penale, in quanto i fatti che la Questura ha posto alla base della revoca del titolo di polizia, anche se astrattamente corrispondenti a fattispecie di reato contro l’incolumità personale, rilevano nella loro oggettiva materialità, quali indicatori della assoluta mancanza di affidabilità del soggetto, e pertanto sono irrelati all’accertamento della responsabilità penale del ricorrente ed alle successive vicende del procedimento penale instaurato nei suoi confronti. 4. Alla luce dell’infondatezza delle censure prospettate dal ricorrente, anche il primo motivo di ricorso, nella parte in cui censura l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca della licenza di porto di fucile, è infondato. Ai sensi dell’articolo 21 octies, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento non determina l’annullamento del provvedimento amministrativo, ove l’Amministrazione, come avvenuto nel presente giudizio per il tramite delle memorie depositate il 20 febbraio 2018 e il 3 febbraio 202l, dimostri che, anche ove il ricorrente avesse introdotto nel procedimento le argomentazioni elaborate in sede processuale, queste non sarebbero state idonee ad incidere in concreto sul giudizio prognostico di inaffidabilità nell’uso delle armi, correttamente adottato dalla Questura sulla base degli elementi indiziari raccolti al momento della verificazione dei fatti e condotto secondo un criterio di regolarità causale, e dunque a determinare un esito del procedimento di segno contrario. 5. In conclusione il ricorso deve essere respinto. 6. Le spese di lite seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia Sezione prima , definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il ricorrente a corrispondere, in favore delle Amministrazioni resistenti, le spese di lite del giudizio, che liquida in complessivi euro 1.500,00 millecinquecento/00 oltre accessori. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente e le persone fisiche nominate nella presente sentenza.