Processo amministrativo: inammissibile il ricorso che viola il principio di sinteticità

Il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibile l’atto di appello che ha violato i principi di sinteticità e chiarezza, anche se proposto prima dell’adozione del decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 2016 sui limiti dimensionali.

Il Consiglio di Stato ha affermato l’inammissibilità del ricorso che viola il principio di sinteticità , a nulla rilevando che il gravame sia stato proposto prima dell’adozione del d.P.C.S. n. 167/2016 sui limiti dimensionali , e ciò in quanto ha riconosciuto al dovere di sinteticità una valenza peculiare nel giudizio amministrativo caratterizzato dalla centralità dell’interesse pubblico in occasione del controllo sull’esercizio della funzione pubblica . Palazzo Spada, con sentenza n. 7622/20 , pubblicata il 1° dicembre, ha chiarito che nella loro strumentalità all’attuazione del principio di ragionevole durata del processo, ex art. 111, comma 2, Cost., i principi di chiarezza e sinteticità , quanto alla causa petendi ed al petitum , rendono più immediata ed agevole la decisione del giudice, evitando l’attardarsi delle parti su argomentazioni ed eccezioni proposte a mero scopo tuzioristico, rendendo meno probabile il ricorso ai mezzi di impugnazione e, tra questi, in particolare al ricorso per revocazione . Nella fattispecie , la Sezioni ha ritenuto che l’atto di appello risultasse caratterizzato da diverse reiterazioni delle medesime argomentazioni e dalla conseguente esposizione delle stesse in modo talvolta non specifico ed esaustivo. Pertanto, considerato il mancato rispetto del precetto di cui all’art. 3, comma 2, c.p.a. da parte dell’appellante, il Consiglio ha deciso per la declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione, non già per l'irragionevole estensione del ricorso la quale non è normativamente sanzionata , ma in quanto rischia di pregiudicare l'intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l'esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata .

Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 8 ottobre – 1 dicembre 2020, n. 7622 Presidente Poli – Estensore D’Angelo Fatto e Diritto 1. La società Morivione è proprietaria di un’area nel Comune di Milano, tra Via dei Fontanili e Via Corrado II il Salico, della superficie di mq 1.447,00. Nel precedente Piano Regolatore Generale di seguito PRG l’area era classificata come zona omogenea B3, con destinazione funzionale I/R”, ossia zone industriali-residenziali”, con un indice di fabbricabilità pari a 1 mq/mq. Con il nuovo Piano di Governo del Territorio di seguito PGT , adottato con deliberazione del Consiglio comunale n. 25 del 14 luglio 2010, la stessa area è stata poi assoggettata ad un indice di edificabilità di 0,5 mq/mq, nonché, per una porzione, alla destinazione a strada pubblica”. 1.1. Per questa ragione, la società ha presentato in sede di adozione del PGT osservazioni consistenti soprattutto nella circostanza che il comparto di sua proprietà rivestiva carattere di mero relitto” nell’ambito di un contesto urbanizzato. Nelle medesime osservazioni ha quindi chiesto la conferma delle capacità edificatorie previste dalla disciplina del PRG. 1.2 Con deliberazione n. 7 del 4 febbraio 2011, il Consiglio comunale ha approvato il PGT. Con successiva delibera del Consiglio comunale n. 60 del 21 novembre 2011, l’approvazione del piano è stata revocata. 1.3. Di conseguenza, è stata rinnovata la fase di verifica e di valutazione delle osservazioni già presentate e dei pareri già espressi. In tale fase, società ha presentato, il 5 gennaio 2012 e il 15 marzo 2012, un’istanza volta a ottenere la rettifica della qualificazione, operata dagli atti di PGT, di parte dell’area a strada pubblica”. 1.4. Con delibera del Consiglio comunale n. 16 del 22 maggio 2012, pubblicata sul BURL in data 21 novembre 2012, il PGT è stato definitivamente approvato. Il nuovo strumento urbanistico ha previsto, con riferimento allo stesso comparto, una capacità edificatoria ulteriormente ridotta, fissando un indice di 0,35 mq/mq. E’ stata inoltre confermata la destinazione a strada pubblica di una porzione rilevante dell’area. 1.5. Nel corso degli eventi sopra riassunti, la società Morivione, nel 1998 e nel 1999, aveva anche chiesto al Comune di Milano l’approvazione di un piano particolareggiato di iniziativa privata per la riqualificazione ambientale dell’area attraverso un progetto di un insediamento caratterizzato da un mix funzionale” residenza, terziario, artigianato . Il Comune aveva riscontrato negativamente la richiesta evidenziando che l’area ricadeva nell’ambito degli studi di revisione urbanistica del relativo contesto urbano cd. area ex OM . 1.6. Con nota del 18 giugno 2001, la Morivione ha poi sollecitato la definizione del piano particolareggiato, ma l’Amministrazione, nel 2002, nel ribadire l’impossibilità di dar corso alla richiesta, aveva ipotizzato di spostare l’intervento in altra area vicina di proprietà dello stesso Comune mediante una permuta mai giunta a definizione il 3 giugno 2009 la società ha poi diffidato il Comune a concludere il procedimento finalizzato alla variante urbanistica e alla permuta dei terreni. A tale richiesta il Comune ha fornito riscontro evidenziando la sopravvenuta inidoneità dell’area proposta in permuta per motivi idrogeologici . 1.7. Infine, il 28 giugno 2010 la società ha presentato una DIA, ai sensi dell’art. 41 della legge regionale della Lombardia n. 12/2005, per la realizzazione di un fabbricato per civile abitazione Con nota n. 5419 del 29 luglio 2010 il Comune di Milano ha tuttavia ordinato di non dare corso ai lavori programmati sul presupposto dell’intervenuta adozione del PGT e delle sue diverse previsioni urbanistiche. 2. Ciò premesso, con un primo ricorso, la società Morivione ha impugnato dinanzi al Tar per la Lombardia, sede di Milano, la suddetta nota del 29 luglio 2010, prot. n. 5419. 2.1. Con un secondo ricorso ha chiesto invece il risarcimento del danno subito per effetto della complessiva condotta tenuta dal Comune. Con motivi aggiunti, ha poi integrato la domanda risarcitoria proposta, allo scopo di tenere conto nella quantificazione del danno della delibera di approvazione del PGT che aveva ulteriormente ridotto la capacità edificatoria dell’area di proprietà della ricorrente a 0,35 mq/mq. 2.3. Con un terzo ricorso ha infine impugnato la delibera di approvazione del PGT. 3. In particolare, per la parte di interesse nel presente appello, con il secondo ricorso proposto al Tar la società Morivione ha agito nei confronti del Comune di Milano al fine di ottenere il risarcimento dei danni derivante dalla mancata realizzazione dell’intervento edilizio di cui al precedente punto 1.6., lamentando la violazione degli articoli 1, 2, 2-bis e 3 della legge n. 241 del 1990, dell’articolo 30 del decreto legislativo n. 104 del 2010, degli articoli 1337 e 2043 cc e dell’articolo 97 della Costituzione, nonché la violazione dell’affidamento del privato e del principio del giusto procedimento. 3.1. In sostanza, la società ricorrente ha chiesto il risarcimento del danno derivante dalla mancata conclusione entro un termine ragionevole delle trattative svolte con il Comune per la permuta di un’area a fini immobiliari e, in subordine, a titolo di responsabilità precontrattuale, la lesione dell’affidamento e della buona fede nelle stesse trattative. Ha inoltre chiesto il risarcimento per il ritardo nel rilascio del certificato di destinazione urbanistica e nella definizione delle varianti al PRG necessarie per realizzare il suo progetto edilizio. 3.2. Nei motivi aggiunti la ricorrente ha nuovamente articolato le proprie domande risarcitorie, a seguito dell’approvazione del PGT che ha ulteriormente ridotto l’indice di edificabilità dell’area a 0,35 mq/mq. 3.3. L’impugnata sentenza – T.a.r. per la Lombardia, sez. II, n. 1031 del 24 maggio 2015 - a ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo proposta dal Comune di Milano tale capo non è stato impugnato b ha ritenuto infondata la richiesta di risarcimento dei danni per l’insussistenza, nel caso di specie, di provvedimenti amministrativi illegittimi i ricorsi proposti dinanzi allo stesso Tribunale dalla Morivione contro la nota comunale che ha dichiarato l’operatività delle misure di salvaguardia e contro il PGT sono stati entrambi respinti rispettivamente con sentenze n. 1030 e n. 1032 del 2015 c ha evidenziato che c1 il primo segmento di attività posto in essere dall’Amministrazione fosse identificabile nella fase che ha avuto inizio con la presentazione delle istanze con cui la ricorrente ha manifestato, tra il 1999 e il 2001, la propria volontà di edificare sul suolo di sua proprietà. Tale fase è stata chiusa a seguito della nota comunale del 25 giugno 2002 con la quale si sottolineavano le perplessità” in merito alla soluzione planivolumetrica proposta dalla società e si ipotizzava la riorganizzazione complessiva dell’area mediante la redazione di un piano particolareggiato proposta rispetto alla quale la ricorrente ha espresso il proprio assenso di massima, manifestando disponibilità ad avviare una negoziazione con il Comune finalizzata alla permuta dell’area c2 eventuali ritardi del Comune nel riscontrare le istanze del 1999-2001 non potevano essere considerati, di per sé soli, fonte di danno risarcibile, posto che la stessa ricorrente aveva ritenuto di non insistere ulteriormente in tali iniziative accettando di chiudere i procedimenti in questione con l’avvio della negoziazione finalizzata alla permuta del proprio terreno con altro offerto dall’Amministrazione d quanto allo svolgimento della negoziazione finalizzata alla stipula della convenzione con il Comune, ha rilevato che nell’articolata fase procedimentale non poteva ravvisarsi il superamento di termini specifici entro cui concludere la trattativa anche alla luce delle connesse e complesse variazioni allo strumento urbanistico. Né poteva ravvisarsi una responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione in ragione del fatto che le convenzioni stipulate ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 241 del 1990, coerentemente con la loro natura giuridica di accordi di diritto pubblico, non potevano ritenersi direttamente ed interamente disciplinate dall’insieme delle regole proprie del diritto privato e che in tema di lesione dell’affidamento la stessa non fosse ravvisabile nel caso in esame, posto che l’Amministrazione aveva avviato la trattativa con una seria intenzione di pervenire alla stipulazione e che solo per un giustificato motivo aveva dovuto interromperla l’ostacolo alla conclusione della stessa è stato rappresentato da aspetti di rischio idrogeologico relativi al rispetto delle distanze delle costruzioni con la Roggia Vettabbia e relativamente ai profili di responsabilità connessi al ritardo nel rilascio del certificato di destinazione urbanistica, ha escluso che tale ritardo possa essere considerato in rapporto di causalità rispetto al pregiudizio lamentato dalla ricorrente, consistente nella sopravvenuta impossibilità di utilizzare le capacità edificatorie previste dal PRG. La società, infatti, avrebbe potuto autocertificare i dati contenuti nel certificato di destinazione urbanistica peraltro non sollecitato ai fini della presentazione della DIA o comunque si sarebbe potuta attivare per presentare tempestivamente la medesima dichiarazione ben prima dell’approvazione del nuovo PGT. 4. Contro la suddetta sentenza la società Morivione ha quindi proposto appello sulla base di quattro motivi gravame di seguito sinteticamente riassunti. 4.1. Error in procedendo vel in iudicando. Violazione degli articoli 1, 2, 2-bis e 3 della legge n. 241 del 1990, dell’articolo 30 del decreto legislativo n. 104 del 2010, degli articoli 1337 e 2043 cc e dell’articolo 97 della Costituzione. 4.1.1. Parte appellante contesta la partizione della vicenda in esame in tre fasi distinte, quella relativa alle richieste di costruire presentate negli anni dal 1999 al 2001, quella della trattativa per la permuta e quella del ritardo della certificazione di destinazione urbanistica e del sopravvenuto PGT. Secondo la società ricorrente il Tar avrebbe erroneamente diversificato una vicenda invece unitaria da cui è scaturito complessivamente un pregiudizio. Inoltre, sarebbe inconferente il richiamo fatto nella sentenza all’art. 11 della legge n. 241/1990 non essendo previsto un atto teso a integrare o sostituire un precedente provvedimento amministrativo. 4.1.2. Secondo l’appellante, non si sarebbe trattato poi di un ritardo nella conclusione delle trattative sulla permuta e sulla conseguente variante al PRG, ma di un’omessa conclusione del relativo procedimento. 4.2. Sulla responsabilità del Comune di Milano da ritardato avvio e/o omessa/ritardata conclusione del procedimento di variante urbanistica e dal ritardato rilascio del certificato di destinazione urbanistica. 4.2.1. Un termine ragionevole per le conclusioni delle trattative avrebbe potuto comunque essere desunto, secondo l’appellante, dagli artt. 2 e 7 della legge regionale n. 23/1997 sulla procedura semplificata di variante complessivamente 270 giorni . 4.2.2. Ulteriore rilevante ritardo sarebbe stato poi quello relativo al rilascio del certificato di destinazione urbanistica presupposto per la richiesta del titolo edilizio. Ciò peraltro avrebbe comportato, al di là della complessità progettuale, la presentazione della DIA in prossimità dell’adozione del nuovo PGT. 4.2.3. In ogni caso, l’Amministrazione avrebbe assunto un comportamento dilatorio aggravando il procedimento con richieste di pareri idrogeologici non necessari e ripetitivi. 4.3. Violazione del dovere di buona fede e correttezza nelle trattative e nella formazione del contratto. 4.3.1. L’Amministrazione comunale nel 2005 in sede di avvio delle procedure di variante aveva ipotizzato, su un terreno dello stesso Comune oggetto di eventuale permuta, la realizzazione del fabbricato a 4 metri dalla Roggia. Solo nel 2009 ha poi ritenuto di bloccare l’iter del procedimento perché era intervenuto un nuovo parere della Metropolitana Milanese che fissava in 10 metri la distanza minima delle opere dallo stesso canale. Da ciò, secondo l’appellante, si doveva ricavare la negligenza del Comune nella conduzione delle trattative e la lesione dell’affidamento posto che il Comune avrebbe potuto derogare la distanza maggiore indicata nel successivo parere. 4.3.2. In sostanza, il Comune ha interrotto le trattative senza un adeguato motivo, eludendo le legittime aspettative dell’appellante e facendole perdere l’occasione di utilizzare per l’edificazione la propria proprietà prima dell’intervento di un regime urbanistico meno favorevole. 4.4. Error in procedendo. Omessa pronuncia in ordine al quantum del risarcimento riproposizione delle relative deduzioni. 4.4.1. La sentenza appellata si è arrestata sull’an senza entrare nel merito del quantum prospettato, sia sotto il profilo del danno da ritardo, sia del danno precontrattuale. In particolare, a titolo di responsabilità aquiliana, la società assume un danno per un totale di euro 8.515,061,00 per il mancato guadagno derivante dalla mancata costruzione ed utilizzazione del fabbricato e per l’impossibilità di realizzare un fabbricato con un indice volumetrico identico a quello previsto dal PRG a titolo di responsabilità precontrattuale, per un totale di euro 7.203.461,00 per i maggiori costi di un fabbricato con indice volumetrico inferiore secondo il PGT, per le spese di adesione alla permuta, per l’impossibilità di realizzare un fabbricato con un indice volumetrico identico a quello previsto dal PRG . 4.1.2. L’appellante ha anche riproposto un’ipotesi risarcitoria nel caso fosse stata riconosciuta la possibilità di edificare secondo le previsioni del PRG, relativamente al danno emergente e al lucro cessante, secondo parametri già indicati in primo grado. 5. Il Comune di Milano si è costituito in giudizio il 23 dicembre 2015, chiedendo il rigetto dell’appello, ed ha depositato memorie il 22 gennaio 2016 e il 4 settembre 2020, nonché documenti il 27 luglio 2020. 6. La società appellante ha depositato ulteriori documenti il 28 luglio 2020 e una memoria il 7 settembre 2020. 7. Sia il Comune che la società appellante hanno infine depositato memorie di replica rispettivamente il 16 settembre 2020 e il 17 settembre 2020. 8. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica dell’8 ottobre 2020. 9. L’appello è, all’evidenza, sia inammissibile che infondato e deve essere respinto nella sua globalità. 10. Preliminarmente, deve essere condivisa l’eccezione del Comune appellato formulata nella memoria di replica del 16 settembre 2020 in ordine all’inammissibilità delle deduzioni della società appellante svolte nella memoria del 7 settembre 2020 relativamente agli esiti di un’istanza di accesso del 26 giugno 2020 agli atti richiamati nella citata nota del Comune del 25 giugno 2002. Queste ultime prospettazioni si fondano su fatti nuovi, mai dedotti in precedenza, né in primo grado, né nell’atto d’appello, e non possono essere giustificate dalla circostanza che i relativi documenti siano stati acquisiti solo recentemente. 10.1. L’art. 104 del c.p.a. consente, infatti, la produzione di nuovi documenti in grado d’appello in via del tutto eccezionale, solo qualora la parte dimostri di non averli potuti produrre in primo grado per causa ad essa non imputabile. E nel caso in esame, l’istanza di accesso avrebbe potuto essere agevolmente presentata in precedenza, senza contare il fatto che la nota a cui ha fatto riferimento la stessa istanza di accesso nota del 25 giugno 2002 non è stata a suo tempo neppure impugnata. 11. Sempre in via preliminare, va anche rilevato che l’appello, che nei primi tre motivi si dilunga sull’an della pretesa risarcitoria e nel quarto sul quantum, si pone, per la sua dimensione, in violazione del dovere di sinteticità sancito dall’art. 3, comma 2, c.p.a 11.1. Il ricorso in esame seppure presentato in data antecedente al decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 22 dicembre 2016 sui limiti dimensionali, appare eludere il richiamato dovere di sinteticità che ha una valenza peculiare nel giudizio amministrativo caratterizzato dalla centralità dell’interesse pubblico in occasione del controllo sull’esercizio della funzione pubblica cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 4636 del 2016 . 11.2. Nella loro strumentalità all’attuazione del principio di ragionevole durata del processo, ex art. 111, comma 2 della Costituzione, i principi di chiarezza e sinteticità, quanto alla causa petendi ed al petitum, rendono infatti più immediata ed agevole la decisione del giudice, evitando l’attardarsi delle parti su argomentazioni ed eccezioni proposte a mero scopo tuzioristico, rendendo meno probabile il ricorso ai mezzi di impugnazione e, tra questi, in particolare al ricorso per revocazione cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 4413 del 2018 . 11.3. Nel caso di specie, il Collegio rileva invece che l’atto di appello risulta caratterizzato da diverse reiterazioni delle medesime argomentazioni e dalla conseguente esposizione delle stesse in modo talvolta non specifico ed esaustivo. 11.4. Il mancato rispetto del precetto di cui all’art. 3, comma 2, c.p.a., espone pertanto l’appellante alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione, non già per l'irragionevole estensione del ricorso la quale non è normativamente sanzionata , ma in quanto rischia di pregiudicare l'intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l'esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata cfr. Cass. civ., n. 8009 del 2019 . 12. Ciò premesso, il Collegio ritiene, anche al fine di dissipare ogni incertezza in ordine alla controversia, di dovere esporre sinteticamente anche le ulteriori, concorrenti ragioni per le quali lo stesso gravame con riferimento ai motivi desumibili nei limiti del possibile , deve essere comunque dichiarato infondato. 13. La vicenda in esame, che ha per oggetto innanzitutto la trattativa negoziale intercorsa tra l’appellante e il Comune di Milano finalizzata alla stipula di un contratto di permuta, rispetto alla quale il procedimento di variante si poneva in funzione servente, non può ritenersi caratterizzata da termini procedimentali ineludibili, trattandosi di una complessa attività negoziale sulla quale hanno inciso anche rilevanti interessi pubblici. La mancata approvazione della variante è dipesa infatti dalla mancata stipula della permuta a causa della distanza insufficiente delle opere edilizie dalla Roggia Vettabbia. 13.1. La trattativa, di notevole complessità, ha infatti richiesto molteplici approfondimenti ed adempimenti soprattutto con riferimento ai presupposti relativi alla necessaria variante alla pianificazione urbanistica vigente ratione temporis. 13.2. La proposta di permuta della società appellante richiedeva ad ogni modo che la permuta si perfezionasse entro il 30 giugno 2009. In tale arco di tempo, tuttavia, la Metropolitana Milanese ha concluso il proprio studio sul reticolo idrico minore, reso ufficiale mediante informativa alla Giunta del 15 maggio 2009, da cui è emersa l’impossibilità, anche alla luce del mutato orientamento del Consorzio della Roggia Vettabbia, di fissare in quattro metri la fascia di rispetto dallo stesso canale. L’Amministrazione ha dunque inevitabilmente tenuto conto degli studi e dei pareri specifici resi nel corso del tempo e del mutato orientamento del Consorzio Roggia Vettabbia, che ha infine ritenuto non opportuna alcuna deroga alla distanza generale di 10 metri fissata dall’art. 96 del RD 523/1904. 13.3. In ogni caso, non c’è prova che vi sia stata una lesione della libertà negoziale cagionata dal ritardo ovvero che la società appellante a causa delle trattative infruttuose abbia perduto in concreto contratti cfr. Cons. Stato, Ad. plen., n. 5 del 2018 . 14. Quanto all’asserita responsabilità del Comune relativamente al rilascio del certificato urbanistico, la società appellante, come rilevato dal Tar, avrebbe potuto presentare la DIA anche in assenza dello stesso, autocertificando i relativi dati. D’altra parte, la stessa ricorrente non ha sollecitato, anche attraverso iniziative giudiziali in ordine al silenzio serbato, il mancato rilascio. 14.1. E non può considerarsi irrilevante anche un’ulteriore circostanza e cioè che la società avrebbe potuto proporre per tempo il progetto di cui alla richiamata DIA così da evitare l’entrata in vigore delle misure di salvaguardia dell’adottato PTG. 15. Non sussiste poi alcuna colpa dell’Amministrazione, ma eventualmente una responsabilità della Metropolitana Milanese per il suo revirement prima parere per una distanza di 4 metri dalla roggia, poi parere per una distanza minima di 10 metri . Dinanzi al parere più restrittivo, l’Amministrazione, anche alla luce di un ragionevole principio di precauzione, non poteva fare diversamente. 16. Dalla vicenda complessiva, che il T.a.r. ha giustamente articolato in fasi distinte sulla base delle rivendicazioni di parte ricorrente, non emerge poi in alcun modo la spettanza del bene della vita, non avendo la società mai maturato il diritto di edificare. 16.1. Per la consolidata giurisprudenza, è infatti possibile pervenire al risarcimento del danno da lesione dell’interesse legittimo soltanto se l’attività illegittima della pubblica amministrazione abbia determinato la lesione del bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento. Il rilievo centrale, quindi, è assunto dal danno, del quale è previsto il risarcimento qualora sia ingiusto, sicché la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria ma non sufficiente per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 30, comma 2, del c.p.a., in quanto occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima e rimproverabile dell’Amministrazione pubblica, l’interesse materiale al quale il soggetto aspira. E’ soltanto la lesione al bene della vita, infatti, che qualifica in termini di ingiustizia” il danno derivante dal provvedimento illegittimo e rimproverabile dell’Amministrazione e lo rende risarcibile cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1437 del 2020 n. 358 del 2019 . 16.2. La pretesa al risarcimento del danno ingiusto derivante dalla lesione dell’interesse legittimo riferisce dunque il carattere dell’ingiustizia al danno e non alla condotta, di modo che presupposto essenziale della responsabilità non è tanto la condotta rimproverabile, ma l’evento dannoso che ingiustamente lede una situazione soggettiva protetta dall’ordinamento ed affinché la lesione possa considerarsi ingiusta è necessario verificare attraverso un giudizio prognostico se, a seguito del corretto agire dell’amministrazione, il bene della vita sarebbe effettivamente spettato al titolare dell’interesse. 16.3. In particolare, per gli interessi pretensivi, occorre stabilire se il pretendente sia titolare di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la conclusione positiva del procedimento, e cioè di una situazione che, secondo la disciplina applicabile, era destinata, in base a un criterio di normalità, ad un esito favorevole. 16.4. L’obbligazione risarcitoria, quindi, affonda le sue radici nella verifica della sostanziale spettanza del bene della vita ed implica un giudizio prognostico in relazione al se, a seguito del corretto agire dell’amministrazione, il bene della vita sarebbe effettivamente o probabilmente cioè secondo il canone del più probabile che non” spettato al titolare dell’interesse. Cosicché, ove il giudizio si concluda con la valutazione della sua spettanza, certa o probabile, il danno, in presenza degli altri elementi costitutivi dell’illecito, può essere risarcito, rispettivamente, per intero o sotto forma di perdita di chance. 16.5. L’art. 2 bis della legge n. 241 del 1990 obbliga poi le pubbliche amministrazioni al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, introducendo il c.d. danno da ritardo Nel disciplinare le azioni di condanna, il codice del processo amministrativo, all’art. 30, comma 2, ha previsto che possa essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante non solo dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa, ma anche dal mancato esercizio di quella obbligatoria. 16.6. L’appellante ha fatto discendere la responsabilità dell’amministrazione dalla lesione alla spettanza del bene della vita costituente il lato interno della posizione di interesse legittimo dedotto nell’istanza pretensiva. 16.7. L’inerzia amministrativa, quindi, per essere fonte della responsabilità risarcitoria come prospettata, richiede, tuttavia oltre ai presupposti di carattere generale, non solo il preventivo accertamento in sede giurisdizionale della sua illegittimità, ma, ancor più, il concreto esercizio della funzione amministrativa in senso favorevole all’interessato, ovvero il suo esercizio virtuale, in sede di giudizio prognostico da parte del giudice investito della richiesta risarcitoria. 16.8. La positivizzazione dell’istituto della responsabilità per c.d. danno da ritardo, come evidenziato, è avvenuta in un primo tempo attraverso l’introduzione dell’art. 2 bis l. n. 241 del 1990, aggiunto dall’art. 7 della l. n. 69 del 2009. In tal modo, il legislatore ha previsto un nuovo strumento di tutela delle posizioni giuridiche soggettive contro l’inerzia della pubblica amministrazione, strumento che trova la sua collocazione nell’ambito del rito ordinario, affiancandosi in posizione autonoma a quello rappresentato dal rito speciale in camera di consiglio contro il silenzio rifiuto. 16.9. L’espresso riferimento al danno ingiusto”, contenuto nell’art. 2 bis della legge n. 241/1990 così come nel secondo comma dell’art. 30 c.p.a. - secondo cui può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria” - induce a ritenere che per poter riconoscere la tutela risarcitoria in tali fattispecie, come in quelle in cui la lesione nasce da un provvedimento espresso, non possa in alcun caso prescindersi dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest’ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante tanto dal provvedimento illegittimo e colpevole dell’amministrazione quanto dalla sua colpevole inerzia e lo rende risarcibile. 16.10. L’ingiustizia del danno e, quindi, la sua risarcibilità per il ritardo dell’azione amministrativa, pertanto, è configurabile solo ove il provvedimento favorevole sia stata adottato, sia pure in ritardo, dall’autorità competente, ovvero avrebbe dovuto essere adottato, sulla base di un giudizio prognostico effettuabile sia in caso di adozione di un provvedimento negativo sia in caso di inerzia reiterata, in esito al procedimento. In altri termini, il riferimento, per la risarcibilità del danno, al concetto di danno ingiusto”, ove la posizione considerata e tutelata sia quella avente ad oggetto il bene della vita richiesto con l’istanza che ha dato origine al procedimento, non può che postulare la subordinazione dell’accoglimento della domanda risarcitoria all’accertamento della fondatezza della pretesa avanzata, altrimenti si perverrebbe alla conclusione paradossale e contra legem di risarcire un danno non ingiusto. 17. Nel caso di specie, tuttavia le suddette condizioni non sono rinvenibili. In primo luogo, non vi è stata, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, l’elusione di termini certi per il procedimento di negoziazione della permuta delle aree e della connessa variante ed il ritardo nel rilascio del certificato di destinazione urbanistica non è stato oggetto di azione giudiziale sul silenzio. 17.1. Più in generale, nel momento in cui la stessa società ricorrente ha preso atto dell’impossibilità di realizzare sul suo terreno l’intervento programmato tant’è che avviato la trattativa per la permuta deve ritenersi che l’intervenuta diversa regolamentazione urbanistica ha inciso definitivamente e negativamente sulle pretese dell’appellante. 18. Infine, sulle doglianze relative al quantum, non può ritenersi che il T.a.r. abbia omesso di valutarle nel momento in cui ha ritenuto insussistente l’an della richiesta risarcitoria. 19. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata. 20. Le spese della presente fase di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo, tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014 n. 55, e sono comprensive della misura indennitaria di cui agli artt. 26, comma 1, c.p.a. e 96, comma 3, c.p.c. ricorrendone i presupposti applicativi cfr. Cons. Stato, Sez. IV, nn. 1117 e 1186 del 2018 cit. Sez. IV, 24 maggio 2016, n. 2200 Cass. civ., Sez. VI, 2 novembre 2016, n. 2215, cui si rinvia ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d c.p.a. . P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta , definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la società appellante alle spese della presente fase di giudizio in favore del Comune di Milano nella misura complessiva di euro 4.000,00 quattromila/00 , comprensiva anche dell’indennità di cui all’art. 26, comma 1, c.p.a., oltre agli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.