Daspo urbano: non basta fare l’elemosina per essere allontanati dai marciapiedi

Chi fa la questua senza porre in essere comportamenti molesti non può essere sottoposto all’ordine di allontanamento e al successivo divieto di accesso nel centro abitato.

Lo ha chiarito il TAR Lombardia, sez. I, con la sentenza n. 2360/19 dell’11 novembre. Il caso. Una persona è stata ripetutamente trovata nel centro di Pavia a fare la questua, occupando il marciapiede. La polizia municipale della città bagnata dal Ticino ha quindi adottato alcuni ordini di allontanamento ai sensi dell’art. 9 d.l. n. 14/2017. E il Questore, in considerazione della reiterazione della condotta ritenuta molesta, ha adottato un divieto temporaneo di accesso. Contro questi provvedimenti l’interessato ha proposto con successo censure al collegio. Daspo urbano. Gli artt. 9 e 10 del decreto legge Minniti” consentono l’adozione di ordinanze di allontanamento e divieto di acceso di un soggetto da determinati spazi pubblici qualora egli ponga in essere condotte che ne impediscano l’accessibilità e la fruizione, con la precisazione che le relative ordinanze devono riportare le motivazioni sulla base delle quali sono state adottate. I provvedimenti adottati dalla polizia locale del comune di Pavia si limitano ad evidenziare che il ricorrente ha occupato il marciapiede, chiedendo la questua, precisando che tale comportamento avrebbe impedito la fruizione dello spazio pubblico . Questa motivazione a parere del Collegio è troppo sintetica e non evidenzia le particolari modalità moleste del ricorrente. Il difetto dell’istruttoria comunale si riverbera poi sul successivo provvedimento di divieto adottato dal Questore. Anche questo atto infatti non palesa le concrete ragioni per cui la condotta riferita al ricorrente sarebbe idonea a causare pericolo per la sicurezza pubblica .

TAR Lombardia, sez. I, sentenza 6 – 11 novembre 2019, n. 2360 Presidente Giordano – Estensore Fornataro Considerato che, in relazione agli elementi di causa, sussistono i presupposti per l'adozione di una decisione in forma semplificata, adottata in esito alla camera di consiglio per la trattazione dell'istanza cautelare, stante l'integrità del contraddittorio e l'avvenuta esaustiva trattazione delle questioni oggetto di giudizio, nonché la mancanza di opposizioni delle parti avvisate dal Presidente del collegio in ordine alla possibile definizione con sentenza semplificata Ritenuta la fondatezza delle censure proposte, con le quali il ricorrente lamenta il difetto di istruttoria e la carenza motivazionale dei provvedimenti impugnati, in quanto - gli artt. 9 e 10 del d.l. 2017 n. 14 consentono l'adozione di ordinanze di allontanamento di un soggetto da determinati spazi pubblici qualora egli ponga in essere condotte che ne impediscono l'accessibilità e la fruizione, con la precisazione che le relative ordinanze devono riportare le motivazioni sulla base delle quali sono state adottate - i provvedimenti adottati dalla Polizia Locale del Comune di Pavia si limitano ad evidenziare che il ricorrente ha occupato il marciapiede, chiedendo la questua, precisando che tale comportamento avrebbe impedito la fruizione dello spazio pubblico - si tratta di un'argomentazione che non soddisfa la previsione dell'art. 3 della legge 1990 n. 241 e dell'art. 10 del d.l. 2017 n. 14, trattandosi di una motivazione del tutto generica, che non evidenzia quali concrete e particolari modalità abbia posto in essere il ricorrente nel chiedere la questua, tali da impedire la fruizione o l'accesso allo spazio pubblico - in tale contesto e in base alla documentazione in atti, l'asserito impedimento alla fruizione dello spazio pubblico si sostanzia in un'affermazione del tutto apodittica e, pertanto, inidonea a supportare la determinazione assunta, perché priva di riscontri istruttori concreti, tali da evidenziare comportamenti oggettivamente idonei ad incidere sulla fruibilità degli spazi pubblici - ancora più evidenti sono la carenza motivazionale e il difetto di istruttoria che viziano il provvedimento del Questore, che si basa sulla mera rilevazione della reiterazione delle condotte contestate dal Comune - consistite nel chiedere la questua - senza palesare le concrete ragioni per cui la condotta riferita al ricorrente sarebbe idonea a causare un pericolo per la sicurezza pubblica - insomma, tanto i provvedimenti comunali, quanto il provvedimento del Questore, sono connotati da una marcata carenza istruttoria e motivazionale, con conseguente fondatezza delle censure articolate esaminate Ritenuto, in definitiva, che il ricorso è fondato e deve essere accolto, mentre la considerazione della fattispecie complessiva conduce a compensare tra le parti le spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Prima definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e per l'effetto annulla i provvedimenti impugnati, indicati in epigrafe. Compensa tra le parti le spese di lite. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.