Gli avvocati pubblici non possono essere soggetti ad un orario di lavoro rigido

Gli avvocati dipendenti da enti pubblici, nell’esercizio delle funzioni di rappresentanza e difesa giudiziale e stragiudiziale dell’Amministrazione, non possono essere costretti ad un’osservanza rigida e rigorosa dell’orario di lavoro alla stregua degli altri dipendenti.

Lo ha chiarito il TAR Lazio con sentenza n. 7713/19, depositata il 14 giugno. Il caso. A seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 150/2019, il codice disciplinare dei professionisti INAIL è stato unilateralmente aggiornato con riferimento alla disciplina delle sanzioni disciplinari e, in particolare, a determinati obblighi di servizio, tra cui l’orario di presenza in ufficio. Lamentando la violazione dei principi stabiliti in materia di pubblico impiego dal d.lgs. n. 165/2001 e la loro sottoposizione ad un’osservanza così rigida dell’orario di lavoro, gli avvocati e gli altri professionisti in servizio presso INAIL impugnano la determinazione del Commissario e ricorrono dinanzi al TAR Lazio. La P.A., in qualità di datore di lavoro, non può derogare alla contrattazione collettiva. Posto che con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2019 la normativa disciplinare è prevista, in via principale, dalla legislazione primaria e, in via subordinata, dalla contrattazione collettiva, i Giudici affermano che non vi è spazio in materia per determinazioni unilaterali ed autoritative della P.A. in qualità di datore di lavoro . A sostegno di ciò, il Tribunale Amministrativo ribadisce il principio cardine della riforma sulla contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico”, ampiamente condiviso dalla giurisprudenza, secondo cui deve escludersi in radice il potere del datore di lavoro pubblico di introdurre deroghe, anche a favore dei dipendenti, all’assetto definito in sede di contrattazione collettiva . L’attività degli avvocati sfugge alla potestà organizzativa della P.A di In tema poi di obblighi di servizio in capo ai professionisti, come l’orario di lavoro, è stato affermato che l’attività degli avvocati, anche se pubblici dipendenti, è soggetta a scadenza e ritmi di lavoro che sfugge alla potestà organizzativa della P.A. , proprio in virtù delle esigenze dei processi in corso nei quali essi sono impegnati. Pertanto, concludono i Giudici, gli avvocati dipendenti da enti pubblici, nell’esercizio delle funzioni di rappresentanza e difesa giudiziale e stragiudiziale dell’Amministrazione , in attuazione del mandato ricevuto, sono professionisti non suscettibili di essere costretti ad un’osservanza rigida e rigorosa dell’orario di lavoro alla stregua degli altri dipendenti . Sulla scorta di tali motivi, il TAR Lazio accoglie il ricorso e annulla la determinazione impugnata.

TAR Lazio, sez. III quater , sentenza 7 – 14 giugno 2019, n. 7713 Presidente Savoia – Estensore Santini Fatto e diritto I ricorrenti sono tutti avvocati o comunque professionisti in servizio presso INAIL. Con il ricorso in epigrafe indicato impugnano la determinazione del Commissario INAIL con il quale, a seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 150 del 2009, è stato unilateralmente aggiornato il codice disciplinare dei professionisti INAIL sia con riguardo ai presupposti ed alle singole fattispecie sia con riguardo alle relative sanzioni ed alle connesse procedure. Ciò anche con riguardo a determinati obblighi di servizio come l’orario di presenza in ufficio Si lamenta la violazione dei principi stabiliti, in materia di pubblico impiego, dal decreto legislativo n. 165 del 2001. Si lamenta altresì che gli Avvocati dipendenti da Enti Pubblici non potrebbero essere costretti ad un’osservanza rigida dell’orario di lavoro alla stessa stregua degli altri dipendenti. L’amministrazione intimata non si costituiva in giudizio. Alla pubblica udienza del 7 giugno 2019 la causa veniva infine trattenuta in decisione. Premessa la giurisdizione di questo GA in quanto l’atto amministrativo viene impugnato in via principale e non incidentale, in merito alla questione principalmente sottoposta a questo collegio si osserva brevemente che a L’art. 40 del decreto legislativo n. 165 del 2001, nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 150 del 2009, prevedeva al comma 1 che La contrattazione collettiva si svolge su tutte le materie relative al rapporto di lavoro”, dunque anche in relazione alla materia delle sanzioni disciplinari, dato che anche quest’ultima rientra pleno iure nel Titolo IV del suddetto Testo Unico b Con l’entrata in vigore del richiamato decreto legislativo n. 150 del 2009 detto anche Decreto Brunetta” è stato poi stabilito che Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge” art. 40, comma 1, ultimo periodo, del Testo Unico Pubblico Impiego c Dunque, mentre prima del decreto 150 la materia delle sanzioni disciplinari era interamente demandata alla contrattazione collettiva, con la sua entrata in vigore buona parte della disciplina è prevista direttamente dalla normativa primaria cfr. tutte le disposizioni dall’art. 55 in poi, ove ci si occupa a titolo esemplificativo di procedure nonché di alcune figure sanzionatorie più in particolare e per la parte non coperta dalla legislazione e nei limiti da questa previsti dalla contrattazione collettiva d È possibile dunque affermare che, nel quadro attualmente vigente o comunque di quello ratione temporis applicabile al caso di specie la normativa disciplinare è appannaggio in via principale della legislazione primaria oppure, in via subordinata, della contrattazione collettiva tertium non datur. Nessuno spazio, dunque, per determinazioni unilaterali ed autoritative della PA in qualità di datore di lavoro e La stessa giurisprudenza – seppure in un quadro ancora non completamente intaccato dalla profonda rivisitazione dei rapporti tra legge primaria e contrattazione collettiva operata dal Decreto Brunetta – ha del resto affermato che deve escludersi in radice il potere del datore di lavoro pubblico di introdurre deroghe, anche a favore dei dipendenti, all'assetto definito in sede di contrattazione collettiva. Si tratta infatti di uno dei principi cardine della riforma consistita nella contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico, espresso in numerose disposizioni del suo statuto d.lg. 165/2001 ”, secondo cui i rapporti di lavoro sono regolati esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul rapporto di lavoro privato”. Ed ancora che l'atto di deroga, anche in melius , alle disposizioni del contratto collettivo sarebbe quindi affetto in ogni caso da nullità, sia quale atto negoziale, per violazione di norma imperativa, sia quale atto amministrativo, perché viziato da difetto assoluto di attribuzione ai sensi della l. 241 del 1990, art. 21 septies”. E ciò in quanto l'ordinamento esclude che l'amministrazione possa intervenire con atti autoritativi nelle materie demandate alla contrattazione collettiva” oppure alla legge cfr. Cass. Civile, sez. lav., 25 febbraio 2011, n. 4653 Cass. Civile, sez. un., 14 ottobre 2009, n. 21744 . A ciò si aggiunga che, in tema di obblighi di orario in capo ai singoli professionisti degli enti pubblici, è stato tra l’altro affermato che l’attività degli avvocati, anche se pubblici dipendenti, è soggetta a scadenze e ritmi di lavoro che sfugge alla potestà organizzativa delle Amministrazioni, dipendendo dalle esigenze dei processi in corso nei quali essi sono impegnati, l’esercizio dell’attività di avvocato pubblico comportando, infatti, operazioni materiali precipuamente procuratorie ed intellettuali esemplificatamente studio della controversia e predisposizione delle difese necessitate dai tempi delle scadenze processuali e proiettate all’esterno, direttamente ascrivibili alla responsabilità del professionista che le svolge. Ne deriva che il principio da tenere fermo è che gli Avvocati dipendenti da Enti Pubblici, nell’esercizio delle funzioni di rappresentanza e difesa giudiziale e stragiudiziale dell’ Amministrazione, in attuazione del mandato in tal senso ricevuto, sono dei professionisti i quali non possono essere costretti ad un’osservanza rigida e rigorosa dell’ orario di lavoro alla stessa stregua degli altri dipendenti, senza tenere conto della peculiarità dell’attività da loro svolta” cfr., ex multis, Tribunale Chieti, sez. lav., 12 luglio 2018, n. 250 . Alla luce di quanto sopra considerato il ricorso deve dunque essere accolto, con conseguente annullamento dell’atto in epigrafe indicato. Le spese di lite possono essere compensate stante la particolarità delle esaminate questioni. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Quater , definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo accoglie e per l’effetto annulla la determinazione in epigrafe indicata. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.