L’uso sistematico di droghe leggere costa caro all’operatore in divisa

Un documentato uso non terapeutico di sostanze stupefacenti confermato dalla commissione medica interforze comporta l’allontanamento definitivo dell’ufficiale dai ruoli operativi della Polizia di Stato.

Lo ha chiarito il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza n. 6892 del 5 dicembre 2018. La vicenda. Un ispettore di Polizia è stato sottoposto ad una severa sanzione disciplinare con conseguente allontanamento da tutti i ruoli della polizia di stato per inidoneità permanente ai servizi di istituto. La vicenda è insorta perché la commissione medica interforze ha riscontrato residui di hascisc su peli e capelli dell’ufficiale ritenendo che questo tipo di riscontro denoterebbe un uso personale della sostanza e non un semplice assorbimento passivo della droga dall’ambiente. Contro le conseguenti severe determinazioni dell’amministrazione l’interessato ha proposto censure che sono state accolte dal Tar ma successivamente smentite dai Giudici di Palazzo Spada che hanno confermato la sanzione disciplinare. L’esclusione della contaminazione da fumo passivo è stata effettuata dai medici con verifiche puntuali. E non si tratta di verificare l’eventuale superamento di un valore soglia. Ai fini della sanzione, specifica la sentenza, conta l’uso non terapeutico di sostanze stupefacenti anche nel periodo precedente all’accertamento. Allora, l’accertamento anche di una presenza minima di sostanza è idoneo a fondare la sanzione”. In pratica i test effettuati dalla commissione medica indicano l’esposizione cronica o ripetuta del soggetto a sostanze stupefacenti. E poco importa se una consulenza tecnica di parte sostiene il contrario. La specificità del giudizio della commissione, conclude il collegio, risulta prevalente perché è effettuato in relazione alla particolarità delle mansioni espletate ed è di natura tecnico discrezionale.

Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 18 ottobre – 5 dicembre 2018, n. 6892 Presidente Maruotti – Estensore Carluccio Fatto e diritto 1. L’appellata, ispettore superiore presso la Polizia di Stato, con il ricorso n. 591 del 2016, ha impugnato dinanzi al T.a.r. per il Veneto – Sez. prima - il verbale del 22 febbraio 2016 della Commissione Medica Interforze, contenente il giudizio di non idoneità permanente ai servizi di istituto - il decreto del 25 marzo 2015, di irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per un mese - la nota del 2 maggio 2016, relativa al procedimento di revisione della patente di guida - il decreto del 24 giugno 2016, di collocamento in aspettativa speciale - la nota dell’11 luglio 2016, concernente la procedura di transito nei ruoli dell’amministrazione civile del Ministero dell’Interno. L’interessata ha chiesto altresì il risarcimento del danno. La vicenda in sostanza è sorta poiché in sede di accertamenti l’Amministrazione ha constatato residui di hasish su peli e capelli, mentre l’appellata ha sostenuto, già in sede amministrativa, che ciò sarebbe dipeso dal ‘fumo passivo di sostanze stupefacenti’. 2. Il primo giudice, con sentenza non definitiva n. 287 del 2017, ha annullato il decreto di irrogazione della sanzione disciplinare, ravvisando la violazione del contraddittorio, il difetto di istruttoria con erronea applicazione dei presupposti normativi relativi all’accertamento dell’uso di stupefacenti e il difetto di motivazione. Con separata ordinanza, il T.a.r. ha disposto l’espletamento della consulenza tecnica ed ha ordinato la prosecuzione del processo. 3. Con la sentenza definitiva n. 23 del 2018, il T.a.r. ha accolto il ricorso, valutando illegittimo il verbale di non idoneità permanente ai servizi di istituto, ed ha annullato tutti gli altri provvedimenti consequenziali al primo ha riconosciuto il diritto al reintegro, al trattamento retributivo intero per il periodo di sospensione dal servizio, al risarcimento del danno non patrimoniale per un importo di euro 30.000. 4. Il Ministero dell’Interno ha proposto distinti appelli avverso le sentenze del T.a.r. L’appellata si è costituita in entrambi i giudizi di appello ed ha chiesto che i gravami siano respinti. Le parti hanno depositato memorie, anche di replica. Il Ministero ha depositato tardivamente, in data 3 ottobre 2018, atti inerenti agli sviluppi dei procedimenti penali. 4.1. Con l’ordinanza n. 3862 del 2017, questo Consiglio ha respinto l’istanza cautelare volta alla sospensione della sentenza non definitiva. 4.2. Con l’ordinanza n. 1550 del 2018, questo Consiglio ha sospeso l’esecutività della sentenza definitiva ed ha disposto la trattazione dei due appelli nella stessa udienza. 4.3. All’udienza pubblica del 18 ottobre 2018, i due appelli sono stati discussi e trattenuti dal Collegio in decisione. 5. Tutti e due gli appelli, che vanno riuniti per la stretta connessione, sono fondati e vanno accolti. 6. Con riguardo alla sanzione disciplinare irrogata – oggetto della sentenza non definitiva - non sono ravvisabili le illegittimità ritenute dal primo giudice. 6.1. Secondo il T.a.r., la mancata disponibilità da parte della ricorrente del verbale relativo alla testimonianza di una persona, determinante per l’avvio degli accertamenti relativi alla assunzione di sostanze stupefacenti, avrebbe integrato la violazione del contraddittorio per l’impossibilità di difendersi e provare adeguatamente che era stata esposta a fumo passivo, frequentando a fini assistenziali proprio la testimone. 6.1.1. Ritiene il Collegio che il contraddittorio non sia stato leso per plurime ragioni a ai fini della difesa incentrata sul fumo passivo, la testimonianza è del tutto non influente, atteso che, come si evidenzierà nel prosieguo, l’esclusione del fumo passivo è stata ravvisata su valutazioni espresse in sede di accertamenti medici b la testimonianza, resa nell’ambito di un procedimento penale, era secretata per via delle indagini in corso, come ha messo in evidenza l’appellante c la ricorrente non ha mai proposto domanda di accesso agli atti. 6.2. Il primo giudice ha rinvenuto una erronea applicazione dei presupposti normativi relativi all’accertamento dell’uso di stupefacenti, rilevando che, mentre dagli accertamenti posti a base del provvedimento risultava la presenza di cannabinoidi nella percentuale 0,04 ng/mg su capelli e peli pubici, l’allegato all’Intesa Stato-Regioni del 30 ottobre 2007 prevedeva una concentrazione soglia pari a 0,1 ng/mg quale discrimine tra assunzione volontaria ed esposizione a fumo passivo. 6.2.1. L’argomentazione del TAR non può essere condivisa. Il valore soglia o cut-off individuato nell’allegato richiamato dal giudice, o i diversi valori soglia risultanti da altre linee guida, come quelle richiamate dall’appellata e dalla sua consulente di parte, individuano, con carattere convenzionale, il limite di separazione tra positività e negatività del test al momento del prelievo e non il discrimine tra l’assunzione volontaria e la esposizione a fumo passivo, come ritenuto dal giudice. Nella fattispecie è indubbio che il valore accertato è, rispetto a tutte le linee guida, inferiore alla soglia di positività. Questo dato, però, non rileva rispetto all’accertamento e alla sanzione disciplinare sullo stesso basata. Infatti, ai fini della sanzione conta l’uso non terapeutico di sostanze stupefacenti anche nel periodo precedente all’accertamento. Allora, l’accertamento anche di una presenza minima di sostanza è idoneo a fondare la sanzione visto che, secondo tutte le linee guida evocate, i test forniscono indicazioni circa l’esposizione cronica o ripetuta del soggetto a sostanze stupefacenti o psicotrope per un periodo variabile antecedente al prelievo da 3 a 12 mesi . La conseguenza è che non rilevano le argomentazioni dell’appellata rispetto alla circostanza che i valori accertati sono inferiori a quelli soglia per la positività, che è riferita alla attualità dell’uso, così come non rileva la mancata effettuazione dell’ulteriore test THC-COOH, ritenuto necessario dalla consulenza di parte, atteso che lo stesso misurerebbe il principio attivo utile per la differenziazione tra un ultimo impiego e vecchi residui d’uso. 6.2.2. La sanzione disciplinare si basa sulla documentata esistenza delle sostanze riferibili ad uso non terapeutico nei periodi precedenti da 3 a 12 mesi prima e sull’esclusione del fumo passivo. Tale esclusione –sostenuta nelle relazioni del medico accertatore dott. Puglisi e confermata in sede di approfondimento istruttorio prof. Ferrara - è ragionevole, stante la presenza di cannabinoidi nelle matrici cheratiniche di zone corporee pube , generalmente non esposte all’ambiente. 6.3. Come mette in evidenza l’appellante, le suddette conclusioni non sono scalfite da molteplici esami successivi dedotti dall’appellata, tutti risultati negativi, posto che ai fini della sanzione rileva solo il pregresso uso di sostanze stupefacenti. 6.4. Né ha fondamento la censura di difetto di istruttoria unitamente al difetto di motivazione, accolta dal primo giudice, atteso che – come mette in evidenza l’appellante - la consulenza di parte e gli accertamenti successivi prodotte dalla ricorrente hanno determinato un supplemento di inchiesta. 6.5. Anzi, proprio il tempo reso necessario dagli approfondimenti disposti spiega il ritardo nella conclusione del procedimento che l’appellata lamenta. 7. Con riguardo al giudizio di non idoneità permanente ai servizi di istituto, basato sul verbale del 22 febbraio 2016 della Commissione Medica Interforze – oggetto della sentenza definitiva - non è ravvisabile l’illegittimità ritenuta dal primo giudice. 7.1. La Commissione medica ha accertato una persistente Sindrome ansiosa in soggetto con tratti istrionici-narcisistici di personalità testologicamente documentati – allegato pregresso uso sostanze stupefacenti”. 7.1.1. Il T.a.r. ha ritenuto evidente il travisamento e l’erronea valutazione dei fatti da parte della Commissione sulla base della consulenza tecnica, la quale ha escluso disturbi psichici, rinvenendo solo sofferenza psichica di natura reattiva alla vicenda professionale ritenuta ingiusta. 7.1.2. Il Ministero appellante ha censurato la decisione sottolineando - l’erroneità di una comparazione tra un giudizio della Commissione del febbraio 2016 e la consulenza tecnica espletata nell’ottobre del 2017 - la specificità del giudizio della Commissione, che è effettuato in relazione alla natura delle mansioni espletate ed è di natura tecnico discrezionale - l’invasione da parte del giudice della valutazione di merito, riservata all’amministrazione. 7.1.3. Le censure sono fondate e meritano accoglimento. Oltre ai corretti rilievi dell’appellante, il Collegio rileva che il primo giudice ha acriticamente fatto proprie le valutazioni del consulente, senza attribuire alcun rilievo alla circostanza che le stesse, al contrario di quella della Commissione medica dell’amministrazione, non sono state supportate da accertamenti testologici della personalità, con conseguente opinabilità delle opinioni espresse. 7.2. Come già rilevato, il primo giudice sulla base della ritenuta illegittimità del giudizio di non idoneità permanente ai servizi di istituto ha annullato tutti gli atti impugnati, consequenziali allo stesso. In mancanza di impugnazione incidentale sul punto, vanno ripristinati gli effetti degli atti conseguenti, che sono stati annullati dal TAR per illegittimità derivata. 8. L’accoglimento degli appelli comporta il rigetto della domanda di annullamento proposta dinanzi al tar, il che comporta anche il rigetto della domanda di risarcimento del danno, non essendo risultati illegittimi gli atti impugnati. 9. In ragione della particolarità della controversia, soccorrono giusti motivi per la integrale compensazione delle spese processuali del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta , definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti, li accoglie e, in riforma totale della sentenza appellata, rigetta il ricorso proposto dinanzi al Tar. Compensa integralmente le spese processuali del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellata.