A quale autorità deve rivolgersi la madre che abbandona il figlio dopo il parto e vuole conoscerne l’identità?

L’ufficiale di anagrafe o qualsiasi altro ente pubblico o privato, autorità o pubblico ufficio devono rifiutarsi di fornire notizie, informazioni, certificati, estratti dai quali possa risultare il rapporto di adozione, salvo autorizzazione dell’autorità giudiziaria.

Così il TAR Toscana, con sentenza n. 1269/18 depositata l’8 ottobre. Il caso. La ricorrente, una madre che ha abbandonato la figlia in giovane età subito dopo il parto bambina che è stata presumibilmente affidata in adozione , richiede di volerne conoscere l’identità e formula istanza di accesso agli atti all’ospedale dove partorì e all’ufficio anagrafe dello stesso Comune, ricevendone diniego. Il diritto di accesso. Al riguardo della richiesta della ricorrente gli enti chiamati in giudizio, destinatari dell’istanza, fanno valere il disposto normativo secondo cui l’ufficiale di stato civile, l’ufficiale di anagrafe e qualsiasi altro ente pubblico o privato devono rifiutarsi di fornire notizie, informazioni, certificazioni o copie dai quali possa risultare il rapporto di adozione, salvo espressa autorizzazione dell’autorità giudiziaria. A tal proposito occorre ricordare che il diritto di accesso è escluso nei casi in cui la legge preveda un divieto di divulgazione dei dati contenuti nei documenti di cui si intenda ottenere l’ostensione . Solo attraverso l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria ordinaria può essere rimosso il divieto di divulgazione degli atti da cui possa ricavarsi notizia relativa ad un rapporto di adozione. Inoltre, le questioni afferenti la costituzionalità della norma in esame non possono essere prese in considerazione in questa sede ma solo davanti alla Consulta quale giudice della tutela dell’adottato o in sede di volontaria giurisdizione. Il ricorso, pertanto, deve essere respinto.

TAR Toscana, sez. I, sentenza 19 settembre – 8 ottobre 2018, n. 1269 Presidente Atzeni – Estensore Gisondi Fatto e diritto La ricorrente premesso di aver abbandonato la figlia in giovane età subito dopo il parto e che la stessa sarebbe stata presumibilmente affidata in adozione, volendo oggi conoscerne la identità ha formulato istanza di accesso agli atti all’Azienda ospedaliera - omissis - di - omissis - ove partorì, e all’Ufficio anagrafe dell’omonimo Comune, ricevendone diniego. Entrambi gli enti destinatari dell’istanza hanno fatto valere il disposto dell’art. 28 comma 3 secondo cui l'ufficiale di stato civile, l'ufficiale di anagrafe e qualsiasi altro ente pubblico o privato, autorità o pubblico ufficio debbono rifiutarsi di fornire notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie dai quali possa comunque risultare il rapporto di adozione, salvo autorizzazione espressa dell'autorità giudiziaria. Avverso i provvedimenti negativi insorge l’istante osservando che il divieto di ostensione previsto dalla menzionata norma sarebbe stato reso meno rigido dalla Corte costituzionale nei confronti del figlio che voglia conoscere la identità dei genitori naturali e la stessa regola dovrebbe, quindi, valere anche nella situazione inversa. Il ricorso è infondato. Il diritto di accesso è escluso nei casi in cui la legge preveda un divieto di divulgazione dei dati contenuti nei documenti di cui si intenda ottenere l’ostensione art. 24 comma 1 L. 241/90 . Nella specie il comma terzo dell’art. 28 della L. 184 del 1983 prevede appunto un divieto di divulgazione degli atti da cui possano ricavarsi notizie relative ad un rapporto di adozione che solo attraverso la autorizzazione della Autorità giudiziaria ordinaria può essere rimosso. Le questioni afferenti la costituzionalità della norma non possono essere prese in considerazione in questa sede. La menzionata norma infatti rimette al giudice ordinario in sede di volontaria giurisdizione la tutela della riservatezza dell’adottato. E’ a tale plesso giurisdizionale che spetta pertanto sollevare la questione di costituzionalità della norma innanzi alla Consulta ancorché si pronunci come giudice della tutela Corte Cost. 464/97 e/o in sede di volontaria giurisdizione Corte Cost. n. 24/1958 . Operare una remissione in questa sede non sarebbe, invece, possibile per difetto di rilevanza della questione, posto che in ogni caso il giudice amministrativo non potrebbe ordinare l’ostensione degli atti in difetto di autorizzazione della a.g.o alla quale, peraltro, è già stata chiesta con esito negativo dalla interessata. Il ricorso deve essere perciò respinto. Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione I, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui agli artt. 52 commi 1,2 e 5 e 22, comma 8 D.lgs. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare l’identità delle parti o di persone comunque ivi citate.