L’autosalone fai da te paga dazio per l’esposizione abusiva

Il Comune che individua un deposito abusivo di automobili in un tratto urbano adiacente ad un ex campo nomadi deve ordinarne l’immediata chiusura. Anche se si tratta di una esposizione a cielo aperto che è attiva da tanti anni senza alcun titolo e che inizialmente è stata incentivata dalle forze dell’ordine che hanno proceduto allo sgombero del campo.

Lo ha evidenziato il TAR Lazio, sez. II – ter, con la sentenza n. 8949 del 9 agosto 2018. La vicenda. La polizia municipale di Roma capitale ha effettuato un sopralluogo in un concessionario di automobili posizionato in un quartiere periferico della città metropolitana riscontrando un deposito abusivo di veicoli a cielo aperto. Contro la conseguente ordinanza dirigenziale che ha disposto la cessazione immediata dell’attività abusiva di deposito a cielo aperto di autoveicoli l’interessato ha proposto senza successo censure al collegio. Abusivismo. A parere del ricorrente l’area in questione è stata recintata su sollecitazione delle forze dell’ordine che sono intervenute in occasione di uno sgombero di un campo abusivo. Inoltre l’esposizione non sarebbe finalizzata ad attività commerciali trattandosi di un deposito di autovetture dimostrative. Il TAR ha rigettato tutte le doglianze confermando l’ordinanza comunale di sgombero. Non interessa tanto lo scopo del deposito a cielo aperto dei veicoli quanto il fatto che questa occupazione sia totalmente abusiva. L’espletamento di fatto dell’attività sull’area ed il relativo possesso, specifica la sentenza, ancorché prolungato, non costituiscono titolo per il permanere dell’occupazione dell’area pubblica ai fini del deposito a cielo aperto . Il ricorso quindi è infondato e va respinto.

TAR Lazio, sez. II-ter, sentenza 16 luglio – 9 agosto 2018, n. 8949 Presidente Morabito – Estensore Costantino Fatto e diritto Nell’odierno giudizio, ricorre la società in epigrafe, titolare di un salone di autovetture esposizione e vendita di automobili nell’esercizio di Via della Magliana 370, adiacente al cavalcavia dello svincolo della Magliana , che agisce per l’annullamento del provvedimento impugnato con il quale l’Amministrazione comunale ha intimato la cessazione dell’attività di esposizione a cielo aperto di autoveicoli della stessa azienda. Premette in fatto di avere ricevuto l’area di che trattasi in custodia nel 2005, a seguito di un intervento delle Forze dell’Ordine che sgomberavano la stessa area da un campo abusivo che vi si era insediato, a ridosso del sottopasso della Magliana. In quell’occasione, riferisce la ricorrente, i funzionari ed i dirigenti delle Forze dell’Ordine, intervenute su sollecitazione del legale rappresentante dell’odierna ricorrente, lo avrebbero invitato a recintare l’area medesima, prospettandone l’affidamento in custodia, così da scongiurare e prevenire il ripetersi di abusivi insediamenti di terzi ed i conseguenti inconvenienti di ordine pubblico che ne sarebbero potuti derivare. La ricorrente, per tutelare la propria immagine commerciale e facendosi carico della sicurezza dell’attività e dell’abitato circostante, solertemente provvedeva a recintare l’area impegnando una somma considerevole risultante da giustificativi di spesa prodotti in atti ed ottenendone l’affidamento in custodia da parte dei predetti funzionari in luogo dell’amministrazione comunale. Sostiene anche di aver curato a proprie spese la manutenzione delle opere infrastrutturali pertinenti alla zona ed alla infrastruttura fogna, servizi etc. . In data 23.03.2018 e dunque a distanza di ben dieci anni, il Corpo di Polizia Municipale di Roma Capitale effettuava un sopralluogo nei pressi dell’area in questione, che si concludeva con l’emissione del verbale di violazione amministrativa n. 81160043740 avente ad oggetto l’utilizzo da parte del sig. Z. – legale rappresentante della ditta - della parte di sottopassaggio in sua custodia, adibito a deposito a cielo aperto di veicoli a servizio della propria attività. In data 05.04.2018 la Società ricorrente invitava e diffidava formalmente Roma Capitale dal continuare a porre in essere accertamenti e dal comminare sanzioni amministrative, preavvertendo, in difetto, che avrebbe proceduto con il recupero delle spese sostenute pari ad € 104.697,96, per il ristoro dei danni tutti subiti e subendi. La predetta missiva non sortiva alcun esito, anzi in data 16.05.2018 veniva notificata la determina dirigenziale n. rep. CP/658/2018 n. prot. CP/ 47991/2018 recante data 23.04.2018, con la quale Roma Capitale disponeva con effetti immediati la cessazione attività abusiva di deposito a cielo aperto di autoveicoli, nei confronti della Autocolosseo S.r.l. perché sprovvisto di SCIA”. Tale provvedimento è stato impugnato con l’odierno ricorso, mediante il quale la società lamenta, innanzitutto, che la propria attività della concessionaria non integrerebbe un deposito a cielo aperto” di autoveicoli, necessitante della SCIA, ma andrebbe qualificato come leasing finanziario” che costituisce di fatto un prestito di denaro da parte della società concessionaria, la quale, al pari di una banca, concede un finanziamento al proprio cliente con la facoltà al termine della predetta durata contrattuale di acquistare i beni ad un prezzo prestabilito la ricorrente, più precisamente, insieme alla società ALD Automotive Srl, con la quale ha stipulato un contratto di compravendita di autoveicoli, deposita le proprie autovetture dimostrative nell’area oggetto di contestazione, che mette a disposizione dei propri clienti, a fronte del pagamento di un canone periodico per un determinato periodo di tempo, al termine del quale gli stessi clienti possono scegliere di riscattare il mezzo ovvero sostituirlo con altro differente . Evidente sarebbe la differenza con il deposito a cielo aperto” di autovetture che si caratterizzerebbe per una mera attività di custodia. Da qui, deriverebbe primo motivo l’illegittimità del provvedimento per falsa applicazione dell’art. 19 della legge 241 del 1990, che esclude espressamente, al comma 4 bis, dal novero delle attività necessitanti la c.d. SCIA le attività economiche a prevalente carattere finanziario” provvedimento che sarebbe altresì viziato per difetto di motivazione sotto vari profili, inclusa la violazione dell’affidamento secondo motivo , atteso anche il lungo arco di tempo trascorso, la mancata valutazione dell’interesse pubblico alla misura e la circostanza che, a seguito della comunicazione della ricorrente, effettuata all’inizio dell’attività di recinzione dell’area, non erano mai state avanzate pretese liberatorie inoltre terzo motivo , sin dall’inizio dei lavori di recinzione, in data 30 gennaio 2008, la ricorrente aveva inoltrato idoneo avviso al Comune di Roma e da tale data dovrebbe decorrere il termine entro il quale l’Amministrazione avrebbe dovuto apporre il proprio rifiuto, ai sensi dell’art. 2 e art. 19 della legge 241/1990, e non a distanza di 10 anni. Conclude, pertanto, per il rigetto del gravame. Si costituisce Roma Capitale, che evidenzia quanto attestato dalla verbalizzazione dei funzionari di Polizia Locale in occasione del sopralluogo del 23 marzo 2018, e secondo quanto direttamente desumibile dalla documentazione fotografica versata in atti, ovvero che la società ricorrente ha edificato una rampa abusiva di accesso all’area demaniale sottostante al cavalcavia dello svincolo della Magliana, ampliando indebitamente, su tale area, in difetto di qualsivoglia titolo autorizzatorio o concessorio, la propria attività commerciale, posizionandovi decine di autovetture peraltro, la difesa di Roma Capitale evidenzia anche che, avendo la ricorrente affermato di avere ricevuto l’area, l’Ufficio, con nota del 26 aprile 2018 chiedeva di esibire i titoli dell’affidamento in custodia allegato 6 , che tuttavia non venivano esibiti. La ricorrente sarebbe quindi priva di titolo non solo sotto il profilo commerciale, ma anche sotto quello edilizio. Conclude per il rigetto del gravame. Nella camera di consiglio del 16 luglio 2018, chiamata la causa per l’esame della domanda cautelare, il ricorso è stato trattenuto in decisione per essere risolto nel merito, con sentenza in forma semplificata previa conversione del rito in pubblica udienza, con rinuncia delle parti ai relativi termini a difesa, allo scopo di una celere risoluzione della controversia. Rileva il Collegio che il presupposto in fatto delle censure dedotte – secondo il quale la ricorrente avrebbe ottenuto l’area in questione in affidamento in custodia a seguito di eventi di rilievo per l’ordine pubblico puntualmente descritti in ricorso – è del tutto recessivo rispetto all’oggetto del provvedimento impugnato, che è rivolto a determinare la cessazione dell’attività di deposito a cielo aperto di autoveicoli, questione che attiene all’utilizzazione in atto dell’area, non alla sua titolarità in capo alla ricorrente stessa. Quest’ultima trascura di considerare che la collocazione di autoveicoli in area a cielo aperto in uso all’azienda comporta la qualificazione dell’attività come di deposito, senza che rilevi lo specifico scopo commerciale che può variare a seconda della natura dell’attività di impresa ai fini del quale l’esposizione degli automezzi è rivolta e finalizzata in ordine al rapporto tra il deposito a cielo aperto, l’attività di tipo imprenditoriale cui è riferita e la necessità della SCIA, si veda TAR Lazio, II ter, 18 gennaio 2018 nr. 651 per il rapporto tra l’attività in parola ed il regime del titolo edilizio, si veda, della stessa Sezione, sentenza nr. 11090 del 7 novembre 2017 , con la conseguenza che, ai fini dell’odierno giudizio, l’asserita locazione finanziaria degli autoveicoli medesimi non implica la qualificazione del relativo esercizio in termini di attività finanziaria sottratta all’applicazione dell’art. 19 della l. 241/90 quanto al regime delle attività semplificate, però, non nei termini della possibilità di esercitare senza alcun titolo . In ogni caso, non sussiste dimostrazione alcuna né della titolarità dell’affidamento dell’area in custodia che parte ricorrente afferma, ma non comprova, di avere ricevuto peraltro da funzionari di altra amministrazione, non proprietaria dell’area, né titolare di poteri di amministrazione attiva di tipo territoriale né della circostanza, del pari meramente meramente affermata, secondo la quale sarebbe stata comunicata l’attività di collocazione della recinzione ciò rileva sia ai fini della decorrenza dei termini di cui alla seconda censura, sia al fine di valutare la regolarità edilizia della recinzione, che, pertanto, allo stato va ritenuta insussistente, dal momento che il relativo regime dipende dalle caratteristiche tipologiche e rimane esclusa la necessità di un titolo solo in caso di modesta consistenza senza opere murarie di alcun genere, vedasi da ultimo Consiglio di Stato, IV 15 dicembre 2017, n. 5908 . Nessuna delle censure dedotte può quindi trovare accoglimento, stante l’irrilevanza della natura finanziaria o meno dell’attività, nonché essendo palese l’insussistenza di qualsiasi legittimo affidamento difettando un provvedimento di assegnazione dell’area come pure un titolo per la sua trasformazione , ed avendo riguardo alla completezza dell’istruttoria condotta dall’ufficio che aveva richiesto di dimostrare il titolo dell’assegnazione dell’area . Quanto agli ulteriori profili inerenti le spese eseguite dalla ricorrente sull’area, deve affermarsi che l’espletamento di fatto dell’attività sull’area ed il relativo possesso, ancorchè prolungato, non costituiscono titolo per il permanere dell’occupazione dell’area pubblica ai fini del deposito a cielo aperto ogni questione inerente il rapporto economico tra il valore e l’utilità dell’occupazione, anche sotto il profilo della tutela di ordine pubblico della zona, si colloca in fase esecutiva della determinazione impugnata ed attiene allo stato a poteri non ancora esercitati non risultando avanzata dalla ricorrente alcuna richiesta di indennizzo o di risarcimento, né, di converso, adottata alcuna determinazione in merito da parte dell’Amministrazione , con conseguente impossibilità per il giudice di pronunciarsi al riguardo. Resta salva, naturalmente, l’azione della PA cui compete di valutare, nel procedimento amministrativo, ogni eventuale istanza che il privato riterrà di proporre ai fini della valutazione del valore delle opere eseguite. Il ricorso è quindi infondato e come tale va respinto, con ogni conseguenza in ordine alle spese di lite che si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda Ter , definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la ricorrente alle spese di lite in favore di Roma Capitale, che liquida in euro 2.500,00 oltre accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.