Il gazebo del bar deve essere rimosso se troppo ingombrante

L'esercente che non rispetta i limiti dimensionali e le distanze previste dal codice stradale e dal regolamento comunale in materia di occupazione di suolo pubblico incorre nella decadenza della licenza. Anche se il dehors risulta in gran parte conforme al progetto approvato dagli uffici tecnici comunali.

Lo ha chiarito il Consiglio di stato, sez. V, con la sentenza n. 4101 del 4 luglio 2018. Occupazione di suolo pubblico. Il titolare di un bar munito di autorizzazione per l'occupazione di suolo pubblico ha ricevuto la notifica della decadenza dal titolo a causa del mancato rispetto dei limiti dimensionali del gazebo. Contro questo provvedimento l'interessato ha proposto ricorso al TAR ma senza successo. E il Consiglio di Stato ha confermato questa decisione. Il manufatto è stato realizzato in difformità alle previsioni del codice stradale in materia di occupazione dei marciapiedi. Ovvero ad una distanza inferiore a 2 metri dal bordo esterno del marciapiede, con una altezza superiore e con scavo abusivo della sede stradale. Il Comune ha quindi esercitato un potere vincolato avendo accertato nei fatti una delle ipotesi alle quali consegue automaticamente la revoca del titolo. A nulla sono valse le ulteriori doglianze dell'imprenditore ai giudici di palazzo Spada. Gli spazi di rispetto dell'area data in concessione risultato pacificamente superati, specifica la sentenza, anche in difformità alle prescrizioni dell'art. 20 c.d.s Anche a voler ammettere che l'amministrazione abbia posto in essere vari procedimenti per reimposessarsi dell'area in questione, conclude il collegio, i presupposti e le ragioni che giustificano il provvedimento di decadenza impugnato legittimano in ogni caso il comportamento della pubblica amministrazione.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 24 maggio – 4 luglio 2018, n. 4101 Presidente Saltelli – Estensore Prosperi Fatto e diritto 1.F. R., titolare di autorizzazione all’occupazione di suolo pubblico per la realizzazione di un dehors a servizio del Bar H. in Bisceglie, ha impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Puglia il provvedimento di decadenza di tale occupazione adottato dal Comune con provvedimento n. 139 del 31 agosto 2016. Con un unico articolato motivo ha lamentato eccesso di potere per insussistenza e falsità dei presupposti, carenza di attività istruttoria, contraddittorietà tra provvedimenti e ingiustizia manifesta, sviamento di potere violazione e falsa applicazione dell’art. 10 del vigente regolamento TOSAP approvato con delibera di C.C. n. 20 in data 11 maggio 2012 violazione e falsa applicazione del regolamento di Polizia Urbana approvato con delibera di C.C. n. 90 in data 30 novembre 2011. 2. Con la sentenza segnata in epigrafe, nella resistenza dell’intimata amministrazione comunale, l’adito tribunale amministrativo, prescindendo dalle eccezioni pregiudiziali, ha respinto il ricorso, rilevando che il provvedimento impugnato si fondava su autonomi capi di motivazione, dei quali uno di questi resisteva alle censure sollevate. Invero nelle premesse del provvedimento erano state dettagliate le difformità del manufatto in tema di distanze, altezza e scavo abusivo della sede stradale e della sua contrarietà alle previsioni del codice della strada sull’occupazione dei marciapiedi, previsioni riprese dall’art. 10 del regolamento comunale TOSAP di conseguenza il Comune aveva esercitato un potere vincolato, avendo accertato nei fatti una delle ipotesi alle quali conseguiva ope legis la decadenza dall'autorizzazione per l'occupazione permanente del suolo pubblico, la struttura de qua essendo posta a una distanza inferiore a due metri dal bordo esterno del marciapiede, non rilevando che i cassonetti prospicienti uno dei lati del dehors fossero stati rimossi, né che la pedana, sulla quale poggiava il manufatto, fosse alta soltanto dodici centimetri né poteva avere alcun rilievo il fatto che il Comune avesse contemporaneamente avviato il procedimento di revoca dell’autorizzazione, in quanto incompatibile con la realizzazione di un’opera pubblica, trattandosi di due procedimenti del tutto autonomi con distinte finalità e casualmente paralleli, quindi compatibili nel loro avviamento, né aveva valore la mancata contestazione sulle ulteriori difformità dei pannelli, poiché a tal fine non era necessaria la previa diffida. 3. Con atto di appello notificato il 19 gennaio 2018 il R. ha chiesto la riforma di tale sentenza, deducendo che il dehors in questione era del tutto conforme al progetto approvato dagli uffici comunali successivamente ad un complesso contraddittorio caratterizzato da molteplici pareri e controlli sulla planimetria e sollevando i seguenti motivi di gravam 1.Error in procedendo per falsa applicazione dell’art. 20, co. 3, d. lgs. 30 aprile 1992, n. 285. Erronea valutazione dei fatti di causa. 2. Error in procedendo per erronea valutazione dei fatti di causa. Abnormità ed illegittimità del procedimento amministrativo posto in essere dal Comune. 3. Error in procedendo per erronea valutazione dei fatti di causa. Abnormità ed illegittimità del procedimento amministrativo posto in essere dal Comune. 4.Omessa pronuncia del giudice di prime cure. 4. Il Comune di Bisceglie si è costituito in giudizio, sostenendo l’improcedibilità e l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto. 5. All’udienza pubblica del 24 maggio 2018 la causa è passata in decisione. 6. L’appello è infondato nel merito, il che esime la Sezione dall’esame della preliminare eccezione di improcedibilità sollevata dal Comune appellato. 6.1. In primo luogo le censure addotte dall’appellante per la mancata acquisizione di una c.t.u. da parte del giudice di primo grado e per l’asserito acritico suo appiattimento sugli accertamenti svolti dagli comunali non sono favorevolmente apprezzabili, poiché dall’ampia documentazione versata in atti emerge che gli spazi di rispetto per l’area data in concessione risultavano pacificamente superati e tra l’altro anche in difformità delle prescrizioni di cui all’art. 20 d. lgs n. 285 del 1992 codice della strada in particolare lo spazio di due metri richiesto dal titolo non sussisteva con tutta evidenza e specificamente riguardo all’ansa nel pubblico marciapiede, ansa funzionale alla posa dei cassonetti per i rifiuti. Sul punto l’assunto secondo il quale i cassonetti non erano presenti ed erano stati rimossi, per cui il Comune sarebbe stato obbligato a ricostituire il marciapiede secondo le misure ordinarie, è privo di qualsiasi fondamento giuridico, né d’altra parte è stata fornita alcuna indicazione in tal senso non è dato neppure sapere se la rimozione fosse o meno temporanea, non essendo decisivo il richiamo al mero avvio della raccolta porta a porta”, tanto più che quello spazio avrebbe potuto essere destinato a diverse funzioni di pubblico interesse, senza poi sottacere che lo slargo” era preesistente alla concessione in questione. D’altra parte è anche innegabile che l’altezza del dehors abbia superato quanto previsto dal titolo il fatto è ammesso dall’appellante, ma la giustificazione che la struttura avesse un’altezza difforme” perché sollevata dal suolo da una sorta di bordo per l’illuminazione, non solo non è di per sé convincente, per quanto, non essendo stato, per esempio, fornita alcuna prova inconfutabile della indispensabilità di quel bordo e quindi dell’impossibilità di rispettare altrimenti l’altezza consentita, non può costituire idonea ragione per vanificare i limiti imposti dal titolo. 6.2. In secondo luogo l’appellante si duole del fatto che il tribunale avrebbe ignorato che il Comune aveva attivato altri due procedimenti di rimozione dell’autorizzazione, l’uno di revoca per difformità per la realizzazione di una serie di pannelli di vetro facilmente amovibili e poi rimossi e l’altro di decadenza per aver deciso una diversa destinazione dell’area solo pochi mesi dopo il rilascio dell’autorizzazione, rendendo così abnorme il comportamento complessivo della P.A. Anche tale censura deve essere respinta. In disparte ogni considerazione sulla sua autonoma rilevanza ed anche a voler ammettere che l’amministrazione abbia posto in essere vari procedimenti per reimpossessarsi dell’area in questione attività che di per sé non può essere considerata in astratto illegittima, in carenza di puntuali e specifici riscontri di fatto , è sufficiente rilevare che i presupposti e le ragioni che giustificano il provvedimento di decadenza impugnato con il ricorso introduttivo, come in precedenza già evidenziato, legittimano in ogni caso il comportamento della P.A. ed il provvedimento impugnato. 6.3. In terzo luogo l’appellante sostiene che i pannelli contrari alle previsioni del titolo erano stati rimossi e non riposizionati, come assunto dal Comune, mentre quanto alle altre difformità, esse erano irrilevanti e tutte facilmente rimovibili e comunque non avrebbero giustificato di per sé un provvedimento di decadenza o revoca del titolo concessorio. Anche questo motivo è infondato. Fermo quanto già rilevato in ordine alle difformità che hanno giustificato il provvedimento impugnato, si rileva quanto ai pannelli di vetro che sarebbero stati rimossi a seguito delle primi contestazioni che la struttura era autorizzata al posizionamento di pannelli in vetro per l’intero perimetro con un’altezza massima di un metro, laddove nel sopralluogo di cui alla nota della polizia municipale dell’11 maggio 2016 gli stessi risultavano sul lato della via Sonnino a tutta altezza”, quindi pari all’intero manufatto e nella parete pari a m. 2,45. Tali rilievi sono stati confermati con ampio corredo fotografico e le censure in senso contrario contenute nell’atto di appello costituiscono mere asserzioni prive di qualsiasi supporto probatorio valido a contrastare gli assunti comunali. 6.4. In quarto luogo l’appellante ha reiterato censure non prese in considerazione nel primo grado di giudizio e concernenti la non comprensibilità della normativa applicata e l’oscurità sui presupposti di fatto del provvedimento, come ad esempio le difformità dell’opera. Anche a voler prescindere da quanto fin qui rilevato, si deve osservare che la dichiarazione di decadenza dall’occupazione di suolo pubblico risulta estremamente dettagliata nell’elencare pedissequamente le difformità del manufatto rispetto a quanto concesso, difformità reiterate - ad esempio quanto ai pannelli in vetro - che giustificavano il provvedimento di decadenza anche in relazione alle previsioni del regolamento regolamento T.o.s.a.p., più volte richiamato, riproduttivo a sua volta di norma statali, la cui mancata citazione non è decisiva ai fini della pretesa illegittimità del provvedimento impugnato, risultando pleonastica e meramente formale. 7. Per le suesposte considerazioni l’appello deve dunque essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta , definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l’appellante al pagamento in favore del Comune di Bisceglie delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in complessivi €. 2.500,00 duemilacinquecento/00 oltre agli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.