L’equo processo nei procedimenti disciplinari

Il rispetto del giusto procedimento mutuato dall’anglosassone due process of law , delle garanzie processuali e del diritto alla difesa, letti anche alla luce dei principi e della prassi della CEDU e della CGUE, non si esauriscono nel passaggio formale dell’audizione o nell’acquisizione acritica delle deduzioni scritte dell’incolpato, ma deve integrare una completa valutazione delle circostanze e dei fatti alla luce degli apporti partecipativi, valutazione che deve altresì emergere dalla motivazione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare.

È quanto chiarito dalla sentenza del TAR Molise n. 529, depositata il 12/12/17, che de facto detta principi validi anche per altri procedimenti disciplinari. Il caso. Un poliziotto mandò un rapporto di servizio al Questore in cui segnalò criticità all’interno del proprio Ufficio e pochi giorni dopo ottenne di essere ricevuto dalla propria dirigente per fornirle spiegazioni in merito. L’incontro avvenne a porte chiuse, senza testimoni ed a seguito dello stesso la dirigente lo deferì in sede disciplinare per un asserito comportamento irriguardoso nei suoi confronti. L’istruttoria fu sbrigativa, non furono provate le accuse, non gli fu data una possibilità di effettiva difesa e gli fu inflitta la sanzione di una pena pecuniaria nella misura di 1/30 di una mensilità dello stipendio e degli altri assegni a carattere fisso e continuativo . La condanna non fu adeguatamente motivata. Inutili i ricorsi, sì che il ricorrente impugnò vittoriosamente la condanna e gli atti connessi al procedimento disciplinare presso il TAR. Oneri della prova e della motivazione. Nel procedimento disciplinare deve essere rispettato il diritto alla difesa anche se non trova applicazione piena come nel processo penale C. Cost. n. 108/08 , ma ciò non esclude il rispetto dell’onere della prova. In ogni giudizio questo onere sia sul piano sostanziale sia su quello processuale, spetta a colui che avanza una pretesa o una domanda e nel procedimento disciplinare poi è ineludibile la necessità che vi sia un adeguato riscontro probatorio circa l’addebitabilità dei fatti di cui l’incolpato è ritenuto responsabile C.d.S. n. 3843/16 . Non si può basare la condanna sulla sola dichiarazione dell’accusatore. Essa può essere usata per ascrivere responsabilità all’accusato, ma deve essere opportunamente esaminata e motivata. Le espressioni contestate devono essere contestualizzate, si deve vagliare l’attendibilità del teste e del suo resoconto Cass. pen. n. 44644/11 ciò non è stato fatto nella fattispecie. Principi dell’equo processo codificati da CEDU e CGUE. Si noti che la CEDU considera la sanzione disciplinare un’illecita e sproporzionata interferenza nei diritti altrui ed ha già rilevato deroghe all’equo processo ed alla tutela della vita professionale artt. 6 e 8 Cedu quando è stata elevata inaudita altera parte , senza un appropriato vaglio delle prove ed in assenza di adeguata motivazione, confermando la tesi espressa dal TAR ColgeÇ en ed altri c. Turchia, Paluda c. Slovacchia e Kulikov ed altri c. Ucraina nelle rassegne del 15/12, 26/5 e 14/4/17 ed in ogni caso non si può infliggere una condanna sulla sola scorta delle dichiarazioni dell’accusatore o di un teste senza che ne sia valutata attentamente l’attendibilità e che l’accusato sia stato sentito e messo nelle condizioni di controbattere e difendersi Cafagna c. Italia nella rassegna del 13/10/17 . Identico all’art. 6 CEDU è l’art. 41 Carta di Nizza laddove devono essere prese decisioni che pregiudichino gli interessi di un individuo questi ha diritto ad essere sentito, produrre prove e documenti, escutere i testi, a svolgere le proprie difese ed ha diritto al contraddittorio ed alla parità delle armi etc. EU C 1996 402,2016 989 e 175 nella rassegna dell’1/4/16 . Equo processo. Mutuato dal sistema anglosassone del due process of law è codificato dall’art. 13 d.P.R. n. 737/81 sulle sanzioni disciplinari al personale di pubblica sicurezza e dalla L. n. 241/90 in entrambi, conformemente ai suddetti principi, il contraddittorio ha un ruolo centrale anche per realizzare il pubblico interesse. Nella partecipazione al procedimento, poi, si ravvisano due finalità diverse e distinte da un lato la c.d. partecipazione difensiva” e quindi il principio di giusto procedimento vale essenzialmente per i procedimenti e i provvedimenti che producono effetti restrittivi della sfera giuridica soggettiva dei cittadini e l’interessato deve essere in grado di difendersi durante il giudizio prima che sia emesso il provvedimento. Dall’altro una meramente collaborativa la PA acquisisce ogni elemento utile a vagliare il caso concreto dalle informazioni e dai documenti prodotti dall’interessato e, quindi, questo principio di partecipazione gli attribuisce un ruolo collaborativo circa la completezza dell’istruttoria ed il miglioramento dei risultati della funzione . Come sopra detto nessuno di questi criteri e diritti è stato rispettato nella fattispecie, sì che è stato violato il diritto all’equo processo del ricorrente.

TAR Molise, sez. I, sentenza 5 – 12 dicembre 2017, n. 529 Presidente Silvestri – Estensore Ciliberti Fatto e diritto I – Il ricorrente, assistente capo della Polizia di Stato, in servizio presso -omissis-della Questura di Campobasso, in data 29.7.2014 rassegnava al suo Questore una relazione di servizio, per segnalare alcune criticità all’interno dell’Ufficio riduzione di personale addetto, aumento dei carichi di lavoro, eccessivo stress degli operatori, ecc. . Lo stesso chiedeva e otteneva poi, in data 13.11.2014, dalla sua dirigente, la dott.ssa -omissis-, di essere ricevuto per spiegare le ragioni della stesura e dell’invio della relazione scritta di doglianze al Questore. Il colloquio tra il ricorrente e la sua capufficio si svolgeva a porte chiuse, in assenza di testimoni, nella stanza della stessa dirigente. Sennonché, a conclusione dell’incontro, la d.ssa -omissis segnalava per iscritto al dirigente della Divisione del Personale della Questura, un presunto comportamento irriguardoso tenuto dal ricorrente nei suoi confronti, proprio nel corso del colloquio del 13.11.2014. Ne seguiva una contestazione d’addebito e l’applicazione della misura disciplinare. Il ricorrente insorge, con il ricorso notificato il 2.11.2015 e depositato il 20.11.2015, per impugnare i seguenti atti 1 il decreto n. 333-D/88470 del Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, emesso il 5.8.2015 e notificato il 31.8.2015, con il quale è stato respinto il ricorso gerarchico presentato dal ricorrente avverso la sanzione disciplinare di cui al decreto prot. n. 290/2.8/Pers./15, emesso in data 17 febbraio 2015 dal Questore della Provincia di Campobasso 2 il decreto prot. n. 290/2.8/Pers./15, emesso in data 17 febbraio 2015 dal Questore della Provincia di Campobasso, con il quale è stata inflitta la sanzione disciplinare della pena pecuniaria nella misura di 1/30 di una mensilità dello stipendio e degli altri assegni a carattere fisso e continuativo”, ex art. 4 n. 18 , in relazione all’art. 3 n. 6 del D.P.R. n. 737/1981, per la seguente mancanza Nel corso del colloquio con il proprio dirigente, avente ad oggetto problematiche d’ufficio, assumeva comportamenti ed atteggiamenti scorretti nei confronti dello stesso” 3 la contestazione di addebiti disciplinari di cui alla nota prot. n. 1837/2.8.Pers./14 del 18.11.2014, notificata l’1.12.2014 4 la relazione di servizio del Commissario Capo della Polizia di Stato di Campobasso del 13.11.2014 5 ogni atto o provvedimento connesso o conseguente. Il ricorrente deduce, all’uopo, i seguenti motivi 1 violazione dell’art. 2967 c.c. e difetto di istruttoria del procedimento 2 violazione e falsa applicazione dell’art. 120 del T.U. 10.1.1957 n. 3 3 violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 737/1981 e del D.P.R. n. 782/1985, violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, violazione dell’art. 97 Cost., violazione del DPCM n. 214/2012, difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità nella motivazione, eccesso di potere, erroneità manifesta. Si costituisce il Ministero intimato, per resistere nel giudizio. Con successiva memoria deduce l’infondatezza del ricorso. Conclude per la reiezione. All’udienza del 5 dicembre 2017, la causa è introitata per la decisione. II – Il ricorso è fondato. III – Non può escludersi che il ricorrente abbia usato parole poco consone o irriguardose nei confronti della sua capufficio e superiore gerarchico, ma ciò è avvenuto in un colloquio tra l’interessato e la capufficio medesima, svoltosi a porte chiuse, in assenza di testimoni, all’interno della stanza della dirigente. Nella specie, non risulta da riferimenti esterni che vi sia stata tra l’incolpato e la parte offesa una discussione dai toni concitati, dato che avrebbe potuto essere agevolmente acquisito o confermato mediante le testimonianze del personale presente in quel momento nelle stanze attigue. L’escussione dei testi a discarico, indicati dal ricorrente nel procedimento disciplinare, o anche solo una rapida interrogazione del personale presente al momento nelle vicinanze dell’ufficio dove è avvenuto il fatto contestato come illecito disciplinare , avrebbe consentito di accertare, quanto meno, se il colloquio avesse avuto toni pacati ovvero concitati. Sennonché, nessun teste è stato sentito. L’istruttoria, nella specie, è risultata alquanto sbrigativa e frettolosa, senza dire che, nel procedimento disciplinare, impedendo l’escussione dei testi a discarico, non si è consentito al dipendente di spiegare tutte le possibili difese e giustificazioni. Nella sentenza della Corte costituzionale n. 182/2008, il diritto di difesa non ha un’applicazione piena nell’ambito dei procedimenti disciplinari non è cioè paragonabile al diritto di difesa nel processo penale e, tuttavia, l’onere della prova non può essere del tutto obliterato. Com’è noto, per principio generale, l’onere della prova, sia sul piano sostanziale sia su quello processuale, spetta a colui che avanza una pretesa o una domanda, per cui anche nel procedimento disciplinare è ineludibile la necessità che vi sia un adeguato riscontro probatorio circa l’addebitabilità dei fatti di cui l’incolpato è ritenuto responsabile cfr. Cons. Stato III, 12.9.2016 n. 3843 . Nella specie, l’unica prova è la dichiarazione della stessa parte offesa. Anche senza dubitare della sincerità e della genuinità del resoconto del colloquio oggetto di addebito, reso dalla dirigente dell’Ufficio-immigrazione, non può non rilevarsi che detto funzionario potrebbe aver percepito come offensiva un’intonazione o una sfumatura o una forza illocutoria delle parole e delle proposizioni non mi fanno paura le sanzioni” il muro si alza sempre più” il giocattolo si è rotto” che, viceversa, quelle parole e quelle frasi potrebbero non aver avuto, traducendosi piuttosto in un mero sfogo di frustrazione da parte di chi le ha profferite. Il giudizio più irriguardoso attribuito al ricorrente nei confronti della sua capufficio per me lei è una persona sleale” , inteso che sia stata pronunciato nel corso dell’abboccamento, sarebbe un apprezzamento gratuito e insolente che, tuttavia, non può essere decontestualizzato dalla ricostruzione dei fatti, non emerge in modo chiaro per quale ragione e in quale momento esso sarebbe stato profferito. La prova del fatto contestato qui è tratta esclusivamente dalle dichiarazioni della parte offesa dalla condotta ritenuta violativa delle regole disciplinari. Mutuando utili suggerimenti dalla giurisprudenza penale, si può ritenere che le dichiarazioni della parte offesa possono essere legittimamente poste da sole e in assenza di riscontri oggettivi esterni a base dell´affermazione di responsabilità dell´incolpato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva e dell´attendibilità intrinseca del racconto cfr., ex multiis, Cass. penale IV n. 44644 del 18.10.2011 idem III n. 28913 del 03.05.2011 . Il vaglio positivo dell´attendibilità del dichiarante deve essere penetrante e rigoroso, più di quanto non lo sia quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, talché la deposizione della persona offesa può essere assunta da sola come fonte di prova unicamente se sottoposta al riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva. La valutazione della credibilità della persona offesa rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale. Nel caso di specie, tale valutazione è del tutto mancata o, quantomeno, non è stata esplicitata nella motivazione del provvedimento disciplinare. Inoltre, non può sottacersi – come evidenziato da parte ricorrente che l’intera vicenda acquisterebbe un significato di ripicca o puntiglio, se fosse ricondotta a possibili e personali motivi di risentimento della dirigente verso l’incolpato, a causa del report” da lui scritto direttamente al Questore, in data 29.7.2014, per segnalare le criticità del-OMISSIS-della Questura di Campobasso, scavalcando – invero in modo poco opportuno, ma senza violare alcuna disposizione o norma interna – il livello gerarchico del capoufficio. IV Ma vi è di più. L’art. 13 del D.P.R. n. 737/1981 recante sanzioni disciplinari per il personale dell’Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti” si occupa di enucleare le modalità con cui devono essere irrogate le sanzioni disciplinari per gli appartenenti alla Polizia di Stato, sancendo in particolare che Nello svolgimento del procedimento deve essere garantito il contraddittorio”. Analogamente, la legge n. 241/1990 ha introdotto il principio del giusto procedimento, in virtù del quale la determinazione del pubblico interesse si deve realizzare anche attraverso il contraddittorio con i portatori dei contrapposti interessi coinvolti dall’esercizio del potere pubblico. Nella partecipazione al procedimento si possono ravvisare due finalità diverse da un lato, una funzione di tutela della propria posizione giuridica soggettiva la c.d. partecipazione difensiva” , che è volta a consentire all’interessato di far valere le proprie ragioni, a procedimento ancora in corso e prima che sia emanato il provvedimento dall’altro, una funzione più prettamente collaborativa, dato che, attraverso le osservazioni e le informazioni fornite dal partecipante, l’Amministrazione può meglio conoscere ogni elemento utile per la migliore valutazione del caso concreto. Si è andata così affermando la distinzione tra il principio del giusto procedimento mutuato dal sistema anglosassone del due process of law” , che vale essenzialmente per i procedimenti e i provvedimenti che producono effetti restrittivi della sfera giuridica soggettiva dei cittadini, ed il principio di partecipazione, avente un ambito di applicazione più ampio, che assegna agli intervenienti nel procedimento un ruolo collaborativo riferito alla completezza della fase istruttoria e al miglioramento dei risultati della funzione. Anche l’art 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE proclamata a Nizza il 7 dicembre 2001 e recepita nel Trattato di Lisbona del 2007 ha ben definito il contenuto sostanziale rappresentato dal rispetto del diritto di ogni individuo – nei confronti delle istituzioni di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”. Di qui il basilare principio, sostanziale e processuale, concretizzatesi nel diritto dell’incolpato di potersi difendere, venendo sentito o producendo prove e documenti, prima che l’organo titolare di potestà sanzionatoria adotti misure afflittive. Nello stesso senso, secondo l’interpretazione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il diritto di difesa impone che i destinatari di decisioni che pregiudichino in maniera sensibile i loro interessi siano messi in condizione di far conoscere utilmente il loro punto di vista” cfr. Corte di giustizia, sentenza 24 ottobre 1996, C-32/95 P., Commissione Comunità europea c. Lisrestal . Il rispetto di tale regola non può esaurirsi nel passaggio formale dell’audizione o nell’acquisizione acritica delle deduzioni scritte dell’incolpato, ma deve integrare una completa valutazione delle circostanze e dei fatti alla luce degli apporti partecipativi, valutazione che deve altresì emergere dalla motivazione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare. Nel caso di specie, tale emersione non si è verificata, sicché anche il censurato profilo del difetto di motivazione del provvedimento impugnato è da ritenersi attendibile. V – In conclusione, il ricorso deve essere accolto. Si ravvisano giustificate ragioni per la compensazione delle spese del giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima , definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati. Compensa tra le parti le spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo a identificare le parti private.