Attività di taxi e interdittiva antimafia

Legittima la revoca della licenza di taxi disposta dal Comune e basata sulla interdittiva antimafia del Prefetto quando sorgono dubbi sulla trasparenza dell’attività svolta dalla precedente amministrazione, peraltro sciolta per infiltrazione mafiosa.

La vicenda. Il Consiglio di Stato, sezione III, con la sentenza 4451 ha annullato la decisione del giudice di primo grado il quale aveva ritenuto, in sostanza, che l’infiltrazione mafiosa sarebbe inconcepibile nei confronti di imprese individuali come quella di taxi, che fornirebbe solo prestazioni personali nei confronti dei clienti, oltre il fatto che l’amministrazione non avrebbe indicato le modalità concrete con cui il condizionamento mafioso avrebbe potuto realizzarsi. Ma la tesi secondo cui l’impresa servizio di taxi” non fosse assoggettabile alla misura di prevenzione e precauzione in quanto un’impresa individuale priva cioè di una struttura complessa non è stata condivisa dal Tribunale di appello in relazione al fatto che l’art. 91 d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 non prevede né il requisito dell’organizzazione complessa e né distinzioni di sorta tra imprese individuali o strutturate. Infatti la lettera d del comma 4 del predetto art. 91, nel delineare il soggetto passivo dell’accertamento fa espressamente riferimento alle complete generalità dell'interessato e, ove previsto, del direttore tecnico [] degli altri soggetti di cui all'articolo 85 . La costruzione letterale della norma, - osserva infatti il Collegio - con il riferimento diretto all’ interessato , rende evidente che la norma è riferita indifferentemente a tutte le tipologie di impresa, a prescindere dalla struttura individuale o complessa. La configurabilità del rischio di infiltrazione mafiosa in qualsivoglia categoria di impresa del resto è direttamente avvalorata proprio dalla considerazione delle generali finalità di prevenzione della norma. Rischio di condizionamento. Nel caso in esame, precisa la sentenza, sussisteva indubbiamente un considerevole numero di indizi tale da rendere logicamente attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata, tenendo conto anche della circostanza per cui il Comune di Reggio Calabria era stato sciolto anche a causa dell’ingerenza mafiosa e sia per il fatto che, prima dello scioglimento, aveva rilasciato numerose licenze di servizio pubblico taxi ad appartenenti alla criminalità organizzata e che tra queste persone, alcune di esse appartenenti alla stessa famiglia dell’interessato , destinatari di autonome informative antimafia. Il dato obiettivo costituito dall’infiltrazione mafiosa nel Comune e la circostanza relativa alla ricordata concessione di licenze di taxi a numerose imprese appartenenti a soggetti legati alla presenza mafiosa, dovevano dunque indurre il TAR ad una seria valutazione probabilistica ed alla conclusione della piena legittimità del provvedimento prefettizio.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 20 luglio – 25 settembre 2017, n. 4451 Presidente Frattini – Estensore Realfonzo Fatto Con il presente gravame la Prefettura di Reggio Calabria-UTG chiede la riforma della sentenza del Tar Reggio Calabria con cui è stato pronunciato l’annullamento della revoca adottata dal Comune di Reggio Calabria di autorizzazione del servizio pubblico di taxi e del presupposto provvedimento interdittivo antimafia. La sentenza è affidata alle considerazioni per cui -- l’infiltrazione mafiosa sarebbe inconcepibile nei confronti di imprese individuali come quella di taxi riconducibile all’odierna appellante, che fornirebbe solo prestazioni personali nei confronti dei clienti -- l’amministrazione non avrebbe indicato le modalità concrete con cui il condizionamento mafioso avrebbe potuto realizzarsi. L’appello è affidato alla denuncia della violazione dell’articolo 91 del D.lgs. n. 159/2011. Si è costituito in giudizio il comune di Reggio Calabria sottolineando, nel corpo della memoria, l’erroneità della decisione. Con memoria di costituzione in data 2 marzo 2017, l’appellata ha contrastato le tesi di controparte richiamando alcune risalenti pronunce di questo Consiglio di Stato, concludendo per il rigetto dell’appello. Con ordinanza n. - omissis - è stata accolta l’istanza di sospensione cautelare della sentenza impugnata. All’udienza pubblica di discussione, uditi i difensori delle parti la causa è stata ritenuta in decisione dal Collegio. Diritto Con l’unico mezzo di censura, articolato in più profili, l’amministrazione appellante sottolinea che il riferimento alla pretesa struttura individuale dell’impresa sarebbe stato, del tutto infondatamente, utilizzato dal primo giudice esclusivamente per indebolire la rilevanza dell’impianto indiziario su cui si basa l’interdittiva impugnata. La sentenza introduce una tesi che non trova riscontro nel disposto dell’articolo 91 del D.lgs. n. 159/2011 il quale fa riferimento a tutte le imprese, senza operare alcuna distinzione circa l’esistenza, o meno, di una forma di organizzazione delle stesse. Tale distinzione contrasterebbe quindi con la definizione dell’articolo 2082 c.c. di impresa, che è identica sia per quella in forma societaria che individuale. Sotto un secondo profilo dell’appellante lamenta che, erroneamente, la sentenza ha contestato l’assenza del quomodo dell’infiltrazione mafiosa ignorando il fatto che altri soggetti della famiglia titolari di licenza, sono stati destinatari di informativa antimafia e che il Comune di Reggio Calabria era stato sciolto anche a causa dell’ingerenza della -OMISSIS- cfr. pag. -OMISSIS- . In ogni caso il provvedimento impugnato in primo grado non operava un mero richiamo ai rapporti parentali, ma individua elementi indiziari che, complessivamente considerati sul piano della prevenzione, deponevano per il rischio di infiltrazione. L’appello è fondato Infatti, come puntualmente osservato dalla Sezione già in sede cautelare, la sentenza impugnata erroneamente fonda l’annullamento dell’informativa interdittiva sulla circostanza che l’impresa servizio di taxi” non fosse assoggettabile alla misura di prevenzione e precauzione in quanto un’impresa individuale priva cioè di una struttura complessa. Al riguardo infatti ha ragione l’Amministrazione quando sottolinea che l’art. 91 del d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 non prevede né il requisito dell’ organizzazione complessa” e né distinzioni di sorta tra imprese individuali o strutturate. Infatti la lettera d del comma 4 del predetto articolo 91, nel delineare il soggetto passivo dell’accertamento fa espressamente riferimento alle complete generalità dell'interessato” e, ove previsto, del direttore tecnico degli altri soggetti di cui all'articolo 85”. La costruzione letterale della norma, con il riferimento diretto all’ interessato”, rende evidente che la norma è riferita indifferentemente a tutte le tipologie di impresa, a prescindere dalla struttura individuale o complessa. La configurabilità del rischio di infiltrazione mafiosa in qualsivoglia categoria di impresa del resto è direttamente avvalorata proprio dalla considerazione delle generali finalità di prevenzione della norma. La ratio dell’istituto della interdittiva antimafia è infatti la salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della p.a. cfr. Consiglio di Stato sez. III 03 maggio 2016 n. 1743 . Deve poi concordarsi con l’appellante quando afferma che erroneamente la sentenza appellata -- ha ravvisato un ulteriore profilo del provvedimento prefettizio che avrebbe ritenuto necessario l’accertamento di un completo quadro dimostrativo e probatorio che invece la giurisprudenza di questo Consiglio ha sempre costantemente sempre escluso -- non avrebbe specificato, con un evidente difetto di motivazione, con quali modalità si sarebbe realizzata l’infiltrazione della delinquenza organizzata -OMISSIS-. Come la giurisprudenza della Sezione ha costantemente ripetuto, il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione ha introdotto una misura a carattere preventivo che si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia, la cui valutazione complessiva costituisce espressione di ampia discrezionalità da parte del Prefetto territorialmente competente. L’interdittiva risponde infatti ad una logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata. Come tale non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti di carattere definitivo in sede penale circa l'esistenza della contiguità dell'impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da fattori sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo di un tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità organizzata cfr. infra multa Consiglio di Stato sez. III 23 febbraio 2015 n. 898 . Nel caso in esame sussisteva indubbiamente considerevole numero di indizi tale da rendere logicamente attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata. Come già sottolineato in sede cautelare, il TAR non ha adeguatamente considerato, ai fini del richiamato, la presenza di un quadro indiziario sufficiente, coerente e coordinato composto, tra l’altro sia della circostanza per cui il Comune di Reggio Calabria era stato sciolto per infiltrazione mafiosa anche a causa dell’ingerenza della -OMISSIS- e sia del fatto che il Comune, prima dello scioglimento, aveva rilasciato numerose licenze di servizio pubblico taxi ad appartenenti alla -OMISSIS- e che tra queste persone, alcune di esse appartenenti alla stessa famiglia dell’odierna appellata , destinatari di autonome informative antimafia. Il dato obiettivo costituito dall’infiltrazione mafiosa nel Comune e la circostanza relativa alla ricordata concessione di licenze di taxi a numerose imprese appartenenti a soggetti legati alla presenza mafiosa, dovevano dunque indurre il T.A.R. ad una seria valutazione probabilistica ed alla conclusione della piena legittimità del provvedimento prefettizio. In conclusione, l’appello deve essere accolto e per l’effetto deve essere pronunciato l’annullamento della sentenza. Le spese secondo le regole generali seguono la soccombenza e sono liquidati come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza , definitivamente pronunciando 1. accoglie l'appello, come in epigrafe proposto e, per l'effetto, annulla la sentenza impugnata. 2. Condanna l’appellante al pagamento delle spese di giudizio che sono liquidate 2.a per e 1.500,00 oltre all’IVA ed alla CPA in favore dell’Avvocatura Generale dello Stato. 2.b per e 1.500,00 oltre all’IVA ed alla CPA in favore del Comune di Reggio Calabria, Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.