Vietato accedere alla lista dei grandi debitori di crac bancari, anche per fini giudiziari

L’istanza promossa dal Codacons a tutela dei risparmiatori coinvolti nel crac della Banca Etruria è inammissibile per una pluralità di motivi l’espressione grandi debitori è troppo generica e non consente di individuarne le responsabilità nel dissesto della banca, l’ABI e la Nuova Banca dell’Etruria e del Lazio non sono soggetti tenuti a concedere l’accesso ex art. 23 l. n. 241/90, la Banca d’Italia non possiede tali dati ed in ogni caso i titolari degli stessi dovrebbero fare un gravoso lavoro di elaborazione per esibirli. Infine non è concesso l’accesso civico perché vietato dall’art. 7 d.lgs. n. 385/93 sono dati segretati.

È quanto puntualizzato dal TAR Lazio con la sentenza numero 9023/17 del 27 luglio. Il caso. Per tutelare i piccoli azionisti danneggiati dalle conseguenze del dissesto bail-in etc. , il Codacons chiedeva alla Banca d’Italia, all’ABI, a varie banche in crisi/fallite e all’Anac l’accesso agli atti e/o documenti relativi all'identità dei debitori dei principali istituti bancari italiani che hanno usufruito in qualsiasi modo di fondi statali di cui al d.l. numero 237 del 23 dicembre 2016 per il salvataggio dei grandi istituti di credito in difficoltà. Ciò era dovuto alla necessità di accedere alla lista dei debitori che avevano contribuito ad aggravare il dissesto non saldando i loro debiti, come riportato dai media, e di corroborare la fondatezza delle numerose cause pendenti contro le banche fallite od in grave stato d’insolenza avrebbe consentito di estendere l’area dei responsabili del dissesto stesso ovvero ravvisare in essi potenziali responsabili civili dei reati ascritti agli imputati nei giudizi penali pendenti e in cui il Codacons intende costituirsi parte civile, al fine di estendere a questi ultimi le istanze risarcitorie che altrimenti non potrebbero avere alcun esito . Il TAR ha convalidato il rifiuto all’accesso opposto dalla Banca d’ Italia per una pluralità di motivi. Grandi debitori è un lemma troppo generico. In primis , l’ABI e la nuova Banca Etruria, essendo un’associazione ed una società commerciale che operano nell’ambito del diritto privato, senza esercitare alcuna pubblica funzione, non rientrano nell’elenco tassativo di soggetti tenuti a concedere l’accesso ex art. 23 l. numero 241/90. Inoltre detta espressione risulta troppo generica, dato che nel nostro ordinamento non c’è alcuna nozione univoca, precisa e certa di questi soggetti e che la stessa comprende anche quelli solventi, estranei perciò al dissesto. Evocare fini giudiziari non sana l’indeterminatezza dell’istanza, perché le pendenze legali non dimostrano un concreto interesse all’ostensione. Elaborazione troppo onerosa no all’ostensione. La Banca d’Italia non possiede tali dati che sarebbero, però ricavabili dalle banche stesse o dalla Centrale dei rischi o dalle segnalazioni che a fini prudenziali le banche effettuano sulle grandi o sulle maggiori esposizioni, ma ciò comporterebbe un lavoro di elaborazione dei dati troppo gravoso. La legge è chiara, anche sulla base di norme internazionali UE, COE etc. , nel concedere l’accesso solo ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica amministrazione nei confronti dell’autorità competente a formare l’atto conclusivo o a detenerlo stabilmente , dato che la PA non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso per soddisfare tale diritto d’accesso art. 2, comma 2, d.P.R. numero 184/06 Cons. di Stato numero 2271/16 e CEDU Bubon c. Russia nella rassegna del 10/2/17 . Dov’è l’interesse? Manca poi un interesse attuale e concreto, condicio sine qua non per chiedere anche le nuove forme di accesso ex d.lgs. numero 33/2013 e 97/2016 la richiesta ha un chiaro intento esplorativo poichè non si tratta di conoscere dati di per sé rilevanti, ma quelli che possono assumere rilievo nella complessiva attività d’indagine per accertare eventuali responsabilità in detto dissesto. In breve si sottintende un potere generalizzato di vigilanza che non può essere attribuito nemmeno alle associazioni di tutela dei consumatori. Infatti la titolarità di interessi diffusi attribuisce il diritto alla conoscenza di atti che incidono in via immediata sugli interessi dei consumatori, e non a quelli che incidono in via meramente ipotetica e riflessa . Nessun tipo di accesso a dati segretati. Infine il TAR rileva che è impossibile anche invocare l’accesso civico ex art. 5 bis d.lgs. numero 33/2013, perché esso è espressamente vietato nei casi previsti dalla legge l’art. 7 d.lgs. numero 385/1993 impone il segreto d’ufficio su tutte tutte le notizie, le informazioni e i dati in possesso della Banca d’Italia in ragione della sua attività di vigilanza e prevede che tale segreto operi anche nei confronti della P.A

TAR Lazio, sez. II-bis, sentenza 31 maggio – 27 luglio 2017, n. 9023 Presidente Stanizzi – Estensore De Carlo Fatto e diritto L’associazione ricorrente chiedeva ad una serie di soggetti pubblici citati in giudizio come resistenti o controinteressati i documenti relativi all’identità dei debitori dei principali istituti bancari italiani che hanno usufruito in qualsiasi modo di fondi statali di cui al D.L. n. 237 del 2016. La richiesta nasceva da quanto appreso anche da fonti giornalistiche a seguito dell’approvazione del D.L. 237/2016 per il salvataggio degli istituti creditizi in grave difficoltà, circa il fatto che soggetti debitori di cifre consistenti non avrebbero onorato tali debiti contribuendo in modo rilevante al dissesto di quegli istituti di credito. I dati richiesti sarebbero necessari per corroborare sul piano probatorio le varie iniziative giudiziarie che l’associazione ha intrapreso per tutelare la posizione di tutti coloro che sono risultati danneggiati dalla grave crisi del settore creditizio. Solo la Banca d’Italia rispondeva alla richiesta inoltrata con un diniego argomentato sotto vari profili. L’associazione presentava, di conseguenza, il presente ricorso nel quale, dopo aver argomentato circa il suo interesse a ricorrere sia come associazione di consumatori sia come azionista del Monte dei Paschi di Siena, articolava quattro motivi di ricorso. Il primo contesta la violazione dell’art. 22 e art. 24 co. 7 L. 241/1990. Contrariamente alla tesi espressa nel provvedimento impugnato dalla Banca d’Italia, il Codacons è titolare di una situazione soggettiva volta a conferirle un interesse diretto, concreto ed attuale all’accesso. Essa si desume da un lato dalle finalità statutarie perseguite dall’associazione e, dall’altro, dalle effettive iniziative che la medesima associazione ha intrapreso a tutela degli interessi rappresentati facenti capo alla platea di risparmiatori danneggiati dalle condotte degli istituti bancari oggetto dell’intervento statale. L'associazione ha, tra le proprie finalità statutarie, la tutela del buon andamento dei mercati finanziari e la cura degli interessi collettivi dei consumatori, utenti, contribuenti e risparmiatori è iscritta nell'elenco delle associazioni rappresentative a livello nazionale, ex art. 137 d.lgs. n. 209/2005 è associazione di promozione sociale ai sensi dell'art. 26 della l. n. 383/2000, con espresso riconoscimento del diritto di accesso per la tutela delle situazioni giuridicamente rilevanti pertinenti al perseguimento degli scopi statutari. Agisce a tutela dei piccoli azionisti, in un contesto, in cui, presumibilmente, gli istituti bancari che hanno fruito dell’intervento statale hanno posto in essere irregolarità contabili e alterazioni della rappresentazione della propria situazione economica e patrimoniale, in relazione alle quali si ritiene che anche Banca d'Italia abbia omesso di intervenire. L’accesso ai documenti emarginati nell’istanza è strettamente funzionale alla tutela della posizione giuridica del CODACONS nei numerosi giudizi pendenti ed aventi ad oggetto le vicende che hanno interessato gli istituti bancari destinatari dell’istanza. Risalire alla lista dei c.d. grandi debitori” che possono aver contribuito all’aggravarsi dello stato di dissesto che poi ha condotto all’avvio delle procedure di risoluzione o all’intervento pubblico di salvataggio, consentirebbe di estendere l’area dei responsabili del dissesto stesso ovvero ravvisare in essi potenziali responsabili civili dei reati ascritti agli imputati nei giudizi penali pendenti e in cui il CODACONS intende costituirsi parte civile, al fine di estendere a questi ultimi le istanze risarcitorie che altrimenti non potrebbero avere alcun esito. Il secondo motivo censura l’affermazione della Banca d’Italia circa l’indeterminatezza della richiesta di accesso in relazione al concetto di grandi debitori che richiederebbe un’attività di elaborazione dati. La Banca d’Italia è perfettamente a conoscenza di quali tra i debitori delle banche in esame sono insolventi rispetto a quelli che stanno onorando il loro debito , quindi, non sarebbe necessaria alcuna attività di elaborazione, ma al massimo una richiesta volta ad acquisire dai soggetti vigilati le informazioni richieste con differimento dell’accesso. Il terzo motivo lamenta l’inopponibilità del segreto d’ufficio ex art. 24 L. 241/1990 in combinato disposto con l’art. 2 del Provvedimento del Governatore della Banca d’Italia 16 maggio 1994 e con l’art. 7, D.lgs. 385/1993. L’art. 24 L. 241/1990 non prevede in alcuna sua parte un divieto come quello opposto né esistono regolamenti che a tale norma rimandino che dispongano la secretazione di tali atti. L’art. 7 D.lgs. 385/1993 non è applicabile al caso di specie poiché la lista dei debitori ad oggi insolventi non può costituire un’informazione da potersi ricondurre ad un’attività di vigilanza sistematicamente svolta dalla Banca d’Italia. Le norme in materia di segreto d’ufficio rispondono alla ratio di consentire il perseguimento del preminente interesse pubblico alla stabilità dei mercati finanziari ed alla tutela del risparmio, di rilievo costituzionale, valori che in occasione della richiesta di accesso ai nominativi dei c.d. grandi debitori insolventi”, non vengono in alcun modo in rilievo. Il quarto motivo eccepisce la violazione dell’art. 5 del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, degli artt. 97 e 113 della Cost e dei principi di imparzialità e di trasparenza dell'attività amministrativa poiché in base alle norme che consentono l’accesso civico i documenti richiesti potevano essere messi a disposizione. In tale assetto normativo che tutela l’accesso agli atti quale forma premiale e di elezione per la tutela del principio democratico e che attribuisce una legittimazione a forme di controllo diffuso sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, l’azione dell’odierno ricorrente non può che trovare accoglimento. Nel caso di specie non è stato assicurato da Banca d’Italia e dalle restanti Amministrazioni pubbliche coinvolte, il diritto dell’odierno ricorrente di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle Pubbliche Amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione come previsto dall’art. 5 del D.Lgs n. 33/2013. Si costituiva in giudizio la Banca d’Italia che concludeva per il rigetto del ricorso. Nel costituirsi sia l’ABI che Nuova Banca dell’Etruria e del Lazio eccepivano il difetto di legittimazione passiva e l’inammissibilità del ricorso nei loro confronti. L’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dalle due controinteressate è fondata. Si tratta di un’associazione ed una società commerciale che operano nell’ambito del diritto privato e che non esercitano in alcun modo una funzione pubblica e pertanto non rientrano tra i soggetti indicati dall’art. 23 L. 241/1990 nei confronti dei quali si può esercitare il diritto di accesso. Ciò è sufficiente ad estrometterli dal giudizio a prescindere dalla considerazione che comunque non sarebbero in possesso dei dati richiesti con l’istanza di accesso. Venendo al merito del ricorso, l’istanza di accesso chiede di conoscere gli atti e/o documenti relativi all’identità dei debitori dei principali istituti bancari italiani che hanno usufruito in qualsiasi modo di fondi statali di cui al D.L. n. 237 del 2016” una richiesta siffatta appare estremamente generica e, senza ulteriori specificazioni, è inammissibile per l’assoluta indeterminatezza. Non basta affermare che sono in corso una serie di cause a tutela dei risparmiatori, lesi dalle vicende delle banche ricomprese nei provvedimento di cui al D.L. 237/2016, per ritenere dimostrato l’interesse a supporto della richiesta. Tra i debitori ci sono quelli solventi e quelli che, invece, hanno generato delle sofferenze bancarie ed, anche se la richiesta dovesse essere interpretata come volta a conoscere i c.d. grandi debitori , fa uso di una nozione per la quale non è rinvenibile nell’ordinamento una definizione legale cui fare riferimento in modo univoco. In questo senso è sufficiente rimandare a tutte le considerazioni contenute nella memoria della Banca d’Italia che illustrano l’impossibilità di attribuire un preciso significato normativo all’espressione grandi debitori . Sotto altro profilo la richiesta non può essere accolta perché la Banca d’Italia non possiede tutti i dati richiesti e, come affermato dalla stessa associazione ricorrente, avrebbe dovuto procurarseli richiedendoli alle banche di cui si tratta. Ma anche laddove, per effetto delle attività svolte, disponesse di alcuni dei dati richiesti, sarebbe necessaria un’inammissibile attività di elaborazione. I dati potrebbero essere ricavati dalla Centrale dei rischi o dalle segnalazioni che a fini prudenziali le banche effettuano sulle grandi o sulle maggiori esposizioni, ma dopo la loro estrazione combinarle tra loro sulla base degli elementi che le identificano. Quindi non vi sarebbe una mera attività di reperimento di un documento già formato ed in suo possesso, ma sarebbe necessaria un’elaborazione che è attività che non può essere richiesta ai soggetti tenuti a garantire l’accesso vedasi ex multis Consiglio di Stato 2271/2016 . Infatti ai sensi dell’art. 2, comma 2, D.P.R. 184/2006 il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica amministrazione nei confronti dell’autorità competente a formare l’atto conclusivo o a detenerlo stabilmente. La pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso”. Ulteriore motivo di inammissibilità dell’istanza di accesso è dato dall’art. 7 D.lgs. 385/1993 che prevede che tutte le notizie, le informazioni e i dati in possesso della Banca d’Italia in ragione della sua attività di vigilanza sono coperti da segreto d’ufficio anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni”. La Banca d’Italia ha precisato che i dati richiesti non sono nella sua disponibilità e che dovrebbe acquisirli e rielabolarli, ma ammesso che tali attività siano dovute in materia di accesso e si è in precedenza motivato in senso contrario, a quel punto scatterebbe il divieto di cui al citato art. 7 perché i dati sarebbero stati acquisiti nel corso di un attività di vigilanza. La richiesta, inoltre, appare carente anche sotto il profilo dell’interesse concreto e attuale all’accesso la lista di tutti i debitori, o solo dei grandi debitori insolventi”, delle banche di cui si tratta, non può, in sé, aiutare a comprendere le reali cause del dissesto delle banche stesse o le responsabilità dei soggetti coinvolti. Non si tratta di un dato di per sé immediatamente rilevante, ma di un elemento che può assumere rilievo nell’ambito di una complessiva attività di indagine finalizzata ad accertare eventuali responsabilità in ordine al dissesto delle banche interessate. Pertanto la richiesta ha un carattere meramente esplorativo e sottintende un potere generalizzato di vigilanza che non può essere attribuito neanche ad associazioni di tutela dei consumatori. La titolarità di interessi diffusi attribuisce il diritto alla conoscenza di atti che incidono in via immediata sugli interessi dei consumatori, e non a quelli che incidono in via meramente ipotetica e riflessa. Nell’ultimo motivo di ricorso vi è un riferimento all’accesso civico che non sembra pertinente in quanto la richiesta non soddisfatta è stata formulata ai sensi dell’art. 22 L. 241/1990. In ogni caso l’art. 5 bis, D.lgs. 33/2013, introdotto dal D.lgs. 97/2016, prevede infatti che il c.d. accesso civico generalizzato a dati e documenti detenuti dalle PP.AA. sia escluso nei casi di divieto di accesso o divulgazione previsti dalla legge. Nel caso di specie il divieto di accesso è dato dall’art. 7 D.lgs. 385/1993. Il ricorso è, quindi, infondato e va rigettato. Le spese di giudizio possono compensarsi in considerazione della natura di associazione volta alla tutela degli interessi diffusi dei consumatori. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda Bis, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Dichiara l’estromissione dal giudizio dell’Associazione Bancaria Italiana e di Nuova Banca dell'Etruria e del Lazio S.p.A. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.