L’interpretazione delle clausole contrattuali ed i vantaggi della P.A.

Tenere in considerazione non significa legittimare indebiti vantaggi. Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso del Comune il quale pretendeva di interpretare, a proprio vantaggio, l’articolo di una convenzione stipulato con una impresa alla quale era stato ceduto, in zona PIP, un’area per la costruzione di un opificio. L’articolo contestato prevedeva che, in caso di alienazioni anticipate, la società avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione all’amministrazione comunale, la quale avrebbe valutato l’oggettiva necessità e versato la differenza tra il costo di acquisto del terreno e il suo valore attuale di mercato laddove oggetto della cessione fosse stato una porzione di fabbricato, la predetta differenza avrebbe dovuto tenere in considerazione anche i costi di realizzazione del fabbricato.

La IV sezione, con la sentenza n. 4034/17 depositata il 18 agosto, ha confermato la tesi del giudice di prime cure, il quale aveva affermato che la finalità della norma contrattuale era chiaramente quella di evitare che l’assegnatario di aree PIP, che abbia l’oggettiva necessità di alienare aree e fabbricati produttivi prima del termine quinquennale, possa indebitamente lucrare una plusvalenza data dall’eventuale maggiore valore acquisito dal fondo in dipendenza o anche per effetto della sua edificazione. La convenzione, infatti, disciplina due ipotesi distinte quella in cui è alienato il solo terreno non ancora edificato e quella in cui sono alienati terreno e soprastante fabbricato. Vantaggi. In entrambe le ipotesi l’imposta equiparazione tra i due valori il costo di acquisto originario del terreno e quello di rivendita al terzo importa l’obbligo del pagamento del conguaglio in favore dell’amministrazione comunale, proprio allo scopo di evitare che trasferimenti immobiliari entro il quinquennio avvantaggino indebitamente l’assegnatario di un bene in area PIP, essendo – di norma – i costi delle cessioni a terzi ben superiori a quelli di acquisto in virtù dell’assegnazione. Nel caso di edificazione del suolo la convenzione prevede che vengano tenuti in considerazione i costi di realizzazione del fabbricato dato, questo, generalmente rappresentativo – a livello presuntivo – del maggiore valore acquisito dal fondo e del maggiore valore della cessione del bene a terzi. La suddetta clausola convenzionale, tuttavia, - ha rilevato la Sezione - va intesa secondo i canoni ermeneutici che governano l’interpretazione delle obbligazioni e dei contratti in generale, ossia tenendo conto del significato letterale delle espressioni utilizzate e della volontà comune delle parti risultante dal contesto complessivo dell’atto. Interpretazione . In sostanza, come correttamente ravvisato dal giudice di prime cure, lo spirito della clausola è quello di tenere in considerazione i costi di edificazione in modo da evitare manovre speculative o indebiti arricchimenti a vantaggio di una parte sull’altra. Vantaggio indebito, in questo caso, che sarebbe conseguito dall’amministrazione, ove si interpretasse la clausola contrattuale nel senso di sommare, sempre e comunque, i costi della edificazione del manufatto a quello del valore del fondo nell’equiparazione con il valore di acquisto originario del terreno, a prescindere dal raffronto comparativo tra i due valori. Il senso della previsione contrattuale, infatti, è quello di ristabilire l’equità e l’equiordinazione degli scambi nelle ipotesi in cui il privato venda ad un altro privato ad un prezzo maggiore di quello sborsato per l’assegnazione, ma non già quello – nelle ipotesi, invero residuali, in cui il prezzo della cessione sia pari o addirittura inferiore a quello dell’acquisto – di far conseguire all’amministrazione un valore che il bene assegnato non ha mai posseduto o acquistato successivamente, anche per effetto della edificazione, e che rappresenta un costo sostenuto interamente dal privato assegnatario, e che egli ha diritto a ripetere. Ha errato, pertanto, l’amministrazione nell’interpretare la clausola nel senso di pretendere, come sempre dovuta, la differenza tra il costo di acquisto dell’area e il suo valore attuale di mercato dato dal valore dell’area attualizzato e dai costi di costruzione del fabbricato , senza considerare – invece – la differenza negativa, nel caso di specie tra i costi sostenuti dalla società per l’edificazione che, nel caso specifico, ammontavano ad euro 2.423.370,22, il valore attuale del terreno euro 360.000,00 e il prezzo di cessione al terzo euro 2.092.440,20 . L’obbligo di tenere in considerazione i costi di costruzione del manufatto, pertanto, è previsione che si rivela posta a vantaggio, a seconda del caso concreto, dell’una o dell’altra parte, in vista della parificazione degli scambi contrattuali laddove, infatti, il risultato differenziale segna un limite positivo per il privato cedente, questi è tenuto a riversare all’amministrazione, a titolo di conguaglio, il vantaggio conseguito pari alla differenza tra i due valori di acquisto e di cessione, tenuto conto dei costi della edificazione nel caso in cui il terreno sia ceduto edificato nell’ipotesi, invece, in cui il risultato differenziale segni un limite negativo per il cedente come è avvenuto nel caso di specie , la previsione contrattuale di tenere in considerazione i costi della edificazione si risolve nella necessità di non computarli nel calcolo del valore del bene ceduto o meglio, di consentirne la detrazione fino e non oltre il punto di parificazione tra costo di acquisizione e valore di mercato attuale del bene , perché questo valore è comunque superiore a quello di cessione e sarebbe iniquo far ulteriormente gravare sul privato cedente un costo soltanto da lui sopportato e non recuperato dal terzo per effetto della cessione, avvenuta.

Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 4 maggio – 18 agosto 2017, n. 4034 Presidente Anastasi – Estensore Di Carlo Ffatto e diritto 1.La controversia ha ad oggetto l’impugnazione, da parte della società S. srl, della deliberazione della giunta municipale del comune di Santa Croce sull’Arno, prot. n. 243 del 1 dicembre 2004, nonché l’accertamento del diritto della società medesima alla ripetizione, da parte dell’amministrazione comunale, della somma di euro 149.586,20 ingiustamente pagata in base al suddetto provvedimento impugnato. 2. Questi, in sintesi, i fatti. La società S. e il comune di Santa Croce sull’Arno stipulavano la convenzione rep. n. 8858 in data 15 gennaio 1999, in virtù della quale l’ente cedeva alla società, operante nel settore della lavorazione del pellame, il diritto di proprietà su un’area il lotto n. 8B, di superficie di circa 3.600 mq compresa all’interno di un P.I.P. destinato al trasferimento delle imprese conciarie ubicate in zone urbanisticamente incompatibili, in cambio della corresponsione della quota parte di oneri espropriativi e di urbanizzazione, quantificati in complessivi euro 210.413,00. Le parti pattuivano che, in ipotesi di alienazione, cessione, locazione o trasferimento a qualsiasi titolo dell’immobile prima del decorso di cinque anni dal rilascio del certificato di agibilità, la società avrebbe dovuto ottenere la previa autorizzazione da parte dell’ente e pagare la differenza tra il costo di acquisto del terreno e il valore attuale di mercato. Le parti precisavano, inoltre, che qualora l’oggetto della cessione sia una porzione di fabbricato l’equiparazione tra il costo di acquisto del terreno e il suo valore di mercato attuale dovrà tenere in considerazione anche i costi di realizzazione del fabbricato stesso” art. 7 della convenzione . Accadeva che la società S., terminati i lavori di edificazione del fabbricato nell’anno 2003, si determinasse a venderlo a terzi l’anno seguente per questo otteneva, da parte dell’amministrazione comunale, con l’impugnata deliberazione n. 243/2004, l’autorizzazione al trasferimento in tale sede veniva altresì determinata in euro 149.586,20 la somma dovuta da parte della società al comune, a termini della convenzione stipulata, pari alla differenza tra il valore attuale del lotto di terreno comprensivo dei costi di edificazione del fabbricato 2.783.370,22 e il prezzo di cessione ai terzi euro 2.092.440,29 . La società effettivamente pagava la detta somma, salvo poi domandarne la restituzione perché ritenuta indebita nella misura in cui l’amministrazione pretendeva di sommare al valore di mercato attuale del lotto euro 360.000,00 quello del costo di costruzione del fabbricato 2.423.370,22 per poi sottrarre il prezzo di cessione ai terzi 2.092.440,20 . 3. Il Tar per la Toscana, sede di Firenze, sezione I, con la sentenza n. 37 del 20 gennaio 2009 a accoglieva il ricorso della società S. b per l’effetto dichiarava il diritto della società medesima alla ripetizione della somma pagata sine titulo, oltre alla corresponsione degli interessi legali c condannava il comune alla refusione delle spese di lite quantificate in euro 2.000,00 oltre accessori di legge. 4. Il Comune impugna la sentenza deducendo i seguenti motivi 4.1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2495 c.c. – Violazione e falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c. per difetto della capacità di stare in giudizio. Violazione e falsa applicazione dell’art. 24, l. n. 1034/1971. L’appellante assume che alla data in cui la causa è stata rattenuta in decisione 19.11.2008 la S. aveva perso la propria capacità giuridica per essere stata cancellata dal registro delle imprese in data 9.7.2007 e, conseguentemente, anche la legittimazione ad agire in giudizio. 4.2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 27, ultimo comma della l. n. 865/1971- Violazione e falsa applicazione dell’art. 35, comma 8, lett. f della l. n. 865/1971 e dell’art. 10 della l. n. 167/1962 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della l. n. 241/1990 e dei principi generali in tema di amministrazione per accordi. L’appellante assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha interpretato l’accordo nel senso che la previsione contrattuale di tenere in considerazione il costo di costruzione del fabbricato importasse di non computare nel calcolo il costo suddetto anziché sommarlo ai fini della quantificazione della differenza da versare al comune nel raffronto tra il costo di acquisto del terreno ed il suo valore di mercato. 5. Si sono costituiti, con separate memorie, la società S. in liquidazione, la società Volpell srl in liquidazione e i soci signori Gianfranco Di Giuseppe, Luigi Di Giuseppe e Sabrina Di Giuseppe, chiedendo di dichiarare l’appello inammissibile, improcedibile o, comunque, infondato nel merito, con il favore delle spese di lite. 6. Le parti hanno ulteriormente approfondito le rispettive difese tramite il deposito di documenti, memorie difensive e di replica. 7. All’udienza del 4 maggio 2017 la causa è stata discussa e trattenuta in decisione. 8. L’appello è infondato e non merita accoglimento per le seguenti ragioni. 8.1. Va innanzitutto rigettato il motivo con cui viene denunciata la mancata interruzione del giudizio di primo grado a cagione della perdita della capacità di stare in giudizio della società S. a seguito della sua cancellazione dal registro delle persone giuridiche. Secondo la pacifica giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, la corretta interpretazione degli artt. 299 e 300 c.p.c. - applicabili anche al processo amministrativo sia sotto il vigore dell’art. 24 della legge Tar che sotto il vigente codice - impone di verificare l’esatto momento in cui si realizza la causa estintiva. Infatti, laddove questa si verifichi prima della costituzione in giudizio, il processo è interrotto ex lege diversamente, se la stessa si verifica dopo la formalità della costituzione in giudizio e l’evento è dichiarato nei modi prescritti dalla legge, il processo è dichiarato interrotto dal giudice qualora, invece, l’evento non è dichiarato nei modi prescritti, gli effetti si stabilizzano per tutto il grado del giudizio in corso. Nel senso suddetto è la chiara formulazione del principio di diritto da parte della Cassazione civile, sezione I, sentenza n. 6208 del 13 marzo 2013, secondo cui La soppressione di un ente pubblico, con il trasferimento dei relativi rapporti giuridici ad un altro ente, determina l'interruzione automatica del processo, ai sensi dell'art. 299 cod. proc. civ., soltanto ove intervenga tra la notificazione della citazione e la costituzione in giudizio, trovando altrimenti applicazione l'art. 300 cod. proc. civ. che impone, ai fini della interruzione, la corrispondente dichiarazione in udienza del procuratore costituito per la parte interessata dall'evento configurabile non come mera dichiarazione di scienza, ma come vera e propria manifestazione di volontà diretta a provocare la predetta interruzione o la notifica di quest'ultimo alle altre parti. Pertanto, in assenza di una siffatta dichiarazione entro la chiusura della discussione, la posizione della parte rappresentata resta stabilizzata, rispetto alle altre parti ed al giudice, quale persona giuridica ancora esistente, con correlativa ultrattività della procura ad litem , nessun rilievo assumendo, ai fini suddetti, la conoscenza dell'evento aliunde acquisita, ancorché evincibile da un provvedimento legislativo che ha disposto quella soppressione”. Sempre in argomento, Cassazione civile, sezione V, sentenza n. 21517 del 20 settembre 2013, secondo cui La cancellazione della società dal registro delle imprese, determinandone l'estinzione, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio pertanto, qualora l'estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si dà un evento interruttivo, disciplinato dall'art. 299 cod. proc. civ., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell'art. 110 cod. proc. civ. qualora l'evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l'impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d'inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l'evento estintivo è occorso”. Nel caso di specie l’estinzione della persona giuridica è avvenuta nel 2007, ovvero quando il giudizio era in corso, e non risulta provato che il procuratore abbia dichiarato l’evento nei modi prescritti dalla legge, sicché il giudizio non avrebbe potuto essere dichiarato interrotto, producendosi l’effetto legale tipico della stabilizzazione degli effetti del rapporto processuale almeno per il grado in corso. Quanto, invece, al presente grado, l’impugnazione è stata correttamente notificata ai soci della società estinta, giacché al momento dell’estinzione dell’ente si costituisce una comunione tra i soci per i debiti e i crediti ancora in essere. Essi, in ogni caso, si sono ritualmente costituiti in giudizio per resistere al presente appello Cassazione civile, sezione I, sentenza n. 18128 del 26 luglio 2013 Qualora uno degli eventi idonei a determinare l'interruzione del processo si verifichi nel corso del giudizio di primo grado, anteriormente alla scadenza dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ai sensi del nuovo testo dell'art. 190 cod. proc. civ., e tanto non venga dichiarato, né notificato, dal procuratore della parte cui esso si riferisce a norma dell'art. 300 cod. proc. civ., il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro il soggetto effettivamente legittimato, desumendosi dall'art. 328 cod. proc. civ. la volontà del legislatore di adeguare il processo di impugnazione alle variazioni intervenute nelle posizioni delle parti, sia ai fini della notifica della sentenza che dell'impugnazione, con piena parificazione, a tali effetti, tra l'evento verificatosi dopo la sentenza e quello intervenuto durante la fase attiva del giudizio e non dichiarato né notificato” . 8.2. Parimenti destituito di fondamento è il secondo motivo di appello. L’art. 7 della convenzione prevede che, in caso di alienazioni anticipate, la società deve chiedere l’autorizzazione all’amministrazione comunale, che ne valuta l’oggettiva necessità, e versare la differenza tra il costo di acquisto del terreno e il suo valore attuale di mercato laddove oggetto della cessione sia una porzione di fabbricato, la predetta differenza deve tenere in considerazione anche i costi di realizzazione del fabbricato. Come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, la finalità della norma è chiaramente quella di evitare che l’assegnatario di aree P.I.P., che abbia l’oggettiva necessità di alienare aree e fabbricati produttivi prima del termine quinquennale, possa indebitamente lucrare una plusvalenza data dall’eventuale maggiore valore acquisito dal fondo in dipendenza o anche per effetto della sua edificazione. La convenzione, infatti, disciplina due ipotesi distinte quella in cui è alienato il solo terreno non ancora edificato e quella in cui sono alienati terreno e soprastante fabbricato. In entrambe le ipotesi l’imposta equiparazione tra i due valori il costo di acquisto originario del terreno e quello di rivendita al terzo importa l’obbligo del pagamento del conguaglio in favore dell’amministrazione comunale, proprio allo scopo di evitare che trasferimenti immobiliari entro il quinquennio avvantaggino indebitamente l’assegnatario di un bene in area PIP, essendo – di norma – i costi delle cessioni a terzi ben superiori a quelli di acquisto in virtù dell’assegnazione. Nel caso di edificazione del suolo la convenzione prevede che vengano tenuti in considerazione i costi di realizzazione del fabbricato dato, questo, generalmente rappresentativo – a livello presuntivo – del maggiore valore acquisito dal fondo e del maggiore valore della cessione del bene a terzi. La suddetta clausola convenzionale, tuttavia, va intesa secondo i canoni ermeneutici che governano l’interpretazione delle obbligazioni e dei contratti in generale, ossia tenendo conto del significato letterale delle espressioni utilizzate e della volontà comune delle parti risultante dal contesto complessivo dell’atto. Come correttamente ravvisato dal giudice di prime cure, lo spirito della clausola è quello di tenere in considerazione” i costi di edificazione in modo da evitare manovre speculative o indebiti arricchimenti a vantaggio di una parte sull’altra. Vantaggio indebito, in questo caso, che sarebbe conseguito dall’amministrazione, ove si interpretasse la clausola contrattuale nel senso di sommare, sempre e comunque, i costi della edificazione del manufatto a quello del valore del fondo nell’equiparazione con il valore di acquisto originario del terreno, a prescindere dal raffronto comparativo tra i due valori. Il senso della previsione contrattuale, infatti, è quello di ristabilire l’equità e l’equiordinazione degli scambi nelle ipotesi in cui il privato venda ad un altro privato ad un prezzo maggiore di quello sborsato per l’assegnazione, ma non già quello – nelle ipotesi, invero residuali, in cui il prezzo della cessione sia pari o addirittura inferiore a quello dell’acquisto – di far conseguire all’amministrazione un valore che il bene assegnato non ha mai posseduto o acquistato successivamente, anche per effetto della edificazione, e che rappresenta un costo sostenuto interamente dal privato assegnatario, e che egli ha diritto a ripetere. Erra, pertanto, l’amministrazione nell’interpretare la clausola nel senso di pretendere, come sempre dovuta, la differenza tra il costo di acquisto dell’area e il suo valore attuale di mercato dato dal valore dell’area attualizzato e dai costi di costruzione del fabbricato , senza considerare – invece – la differenza negativa, nel caso di specie tra i costi sostenuti dalla società per l’edificazione 2.423.370,22 , il valore attuale del terreno euro 360.000,00 e il prezzo di cessione al terzo euro 2.092.440,20 . L’obbligo di tenere in considerazione” i costi di costruzione del manufatto, pertanto, è previsione che si rivela posta a vantaggio, a seconda del caso concreto, dell’una o dell’altra parte, in vista della parificazione degli scambi contrattuali laddove, infatti, il risultato differenziale segna un limite positivo per il privato cedente, questi è tenuto a riversare all’amministrazione, a titolo di conguaglio, il vantaggio conseguito pari alla differenza tra i due valori di acquisto e di cessione, tenuto conto dei costi della edificazione nel caso in cui il terreno sia ceduto edificato nell’ipotesi, invece, in cui il risultato differenziale segni un limite negativo per il cedente come è avvenuto nel caso di specie , la previsione contrattuale di tenere in considerazione” i costi della edificazione si risolve nella necessità di non computarli nel calcolo del valore del bene ceduto o meglio, di consentirne la detrazione fino e non oltre il punto di parificazione tra costo di acquisizione e valore di mercato attuale del bene , perché questo valore è comunque superiore a quello di cessione e sarebbe iniquo far ulteriormente gravare sul privato cedente un costo soltanto da lui sopportato e non recuperato dal terzo per effetto della cessione, avvenuta – come sopra già detto - a prezzo inferiore euro 2.092.440,20 rispetto addirittura ai costi di edificazione del manufatto euro 2.423.370,22 , sicché nel raffronto comparativo avrebbe dovuto essere calcolato il solo maggiore valore assunto dal terreno rispetto all’originario acquisto. La differenza pagata, pari a euro 149.586,20, va pertanto ripetuta. 9. Le spese di lite del presente grado possono essere equitativamente compensate in ragione della difficoltà ricostruttiva e interpretativa della fattispecie. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta , definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto conferma le statuizioni della sentenza di primo grado. Compensa tra le parti le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa