La spettanza del bene della vita e il risarcimento del danno

Progetto illegittimamente bocciato per difetto di motivazione e perdita di contributo il contadino resta a bocca asciutta, nonostante le aspettative conseguenti alla decisione del TAR il quale aveva ritenuto che il Comune doveva corrispondere, quale risarcimento del danno, l'importo del contributo non riscosso.

Lo afferma il Consiglio di Stato con sentenza numero 3392/17 depositata il 10 luglio. Spettanza del bene della vita. La regola del nostro ordinamento, ha osservato il Consiglio di Stato, sezione VI, nella sentenza 3392 emessa a seguito del ricorso del Comune avverso la sentenza del TAR del Friuli Venezia Giulia , secondo la quale per danno ingiusto” risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c. si intende non qualsiasi perdita economica, nella fattispecie il contributo di circa 100 mila euro per la realizzazione di infrastrutture agrituristiche ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto. Conseguenza logica della regola è quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la cd. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico. Nelle fattispecie analoghe al caso sottoposto all'attenzione del Collegio, ovvero di domanda di risarcimento proposta contro la pubblica amministrazione in dipendenza da un atto amministrativo illegittimo, la giurisprudenza ha affermato - da ultimo, C.d.S. sez. IV 30 gennaio 2017 numero 361- che il mero annullamento giurisdizionale dell’atto, di per sé, non consente di riconoscere un risarcimento. E’ infatti necessario che il giudicato di annullamento relativo abbia riconosciuto all’interessato, appunto, la spettanza del bene della vita, il che non si verifica quando l’annullamento avvenga per vizi formali, ovvero principalmente per violazione delle norme sul procedimento ovvero per difetto di motivazione. In tali casi, infatti, l’annullamento non vincola senz’altro l’amministrazione a riconoscere all’interessato quanto da lui richiesto, e quindi non si può dire che un danno ingiusto per non averlo ottenuto esista. Permesso di costruire. Nel caso specifico di istanza di modifica di destinazione d'uso ed interventi edilizi connessi, alla luce dei principi sopra esposti, la sentenza precisa in primo luogo che il Giudice di primo grado dava per scontato che l’annullamento operato con la precedente sentenza desse senz’altro titolo al ricorrente appellato per ottenere quanto da lui richiesto all’amministrazione, ovvero in sintesi gli riconoscesse la spettanza del bene della vita. La stessa sentenza poi proseguiva, affermando in sintesi che il bene della vita in questione avrebbe consentito al ricorrente appellato di incassare il contributo già riconosciutogli, e quindi di far proprio il corrispondente vantaggio economico, del quale risarcisce la perdita. Ma il Collegio ha condiviso, invece, la tesi opposta del comune sostenuta nell’appello, in quanto a suo avviso corretta. La sentenza, infatti, annullava il provvedimento di diniego del permesso di costruire richiesto dal ricorrente appellato proprio per difetto di motivazione, vincolando il Comune a riesaminare l’affare e a deciderlo motivatamente, ma non si imponeva un esito determinato, ovvero, non si riconosceva in alcun modo il bene della vita come effetto dell’annullamento. Sulla base di questo fatto, in sede di ottemperanza il Comune è tenuto appunto a riesaminare la richiesta e a deciderla con motivazione congrua, non già, come ritenuto dalla sentenza impugnata. ad accoglierla senz’altro e a rilasciare il permesso.

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 27 giugno – 10 luglio 2017, numero 3392 Presidente Caracciolo – Estensore Spisani Rilevato che il ricorrente appellato, proprietario di un fabbricato rurale a Pinzano al Tagliamento, ha a suo tempo richiesto a quel Comune il rilascio del permesso di costruire necessario a recuperarlo e a realizzarne il cambio d’uso, trasformandolo in un’attività agrituristica, per la quale era stato ammesso a ricevere un contributo pubblico ricevuto il diniego rappresentato dal parere contrario della Commissione edilizia, lo ha impugnato con un primo ricorso avanti il TAR territoriale con sentenza 14 ottobre 2010 numero 698, il TAR ha accolto il ricorso e, come da dispositivo, annullato l’atto impugnato v. sentenza in questione, da cui risulta la vicenda in fatto relativa alla pratica edilizia l’ottenimento del contributo pubblico risulta invece a p. 13 della sentenza qui impugnata il ricorrente appellato ha quindi proposto un nuovo ricorso di primo grado, iscritto al numero 459/2011 R.G., per l’ottemperanza della suddetta sentenza e per il risarcimento dei relativi danni nelle more del relativo giudizio, il Comune appellante ha emanato l’ordinanza di demolizione 20 gennaio 2016 numero 1 e prot. numero 266, sul presupposto del carattere abusivo dell’immobile in questione, il che, a dire del Comune stesso, avrebbe impedito comunque il cambio d’uso richiesto, e quindi reso improcedibile il ricorso per ottemperanza il ricorrente appellato ha impugnato tale ordinanza di demolizione con motivi aggiunti nel ricorso numero 459/2011 con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha anzitutto proceduto alla separazione dei due giudizi ha poi accolto il ricorso principale e per l’effetto ordinato di dare esecuzione alla sentenza 698/2010 provvedendo sulla domanda di cambio di destinazione d’uso ha poi condannato l’amministrazione al risarcimento del danno limitatamente alla somma di € 100.139,96, pari al contributo pubblico accordato e perduto per effetto della mancata esecuzione dei lavori contro tale sentenza, il Comune ha proposto impugnazione, con appello fondato su quattro motivi con il primo di essi, deduce violazione degli artt. 112 e 114 c.p.a. e difetto di motivazione, e sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, la sentenza 698/2010 non avrebbe affatto previsto l’obbligo del Comune di rilasciare senz’altro il permesso di costruire per il cambio d’uso con il secondo motivo, deduce difetto di motivazione della condanna al risarcimento, per avere la sentenza impugnata omesso di motivare sull’effettiva spettanza al ricorrente appellante del bene della vita di cui chiede il ristoro, ovvero del permesso di costruire richiesto con il terzo motivo, deduce violazione dell’art. 2043 c.c. circa l’accertamento della colpa dell’amministrazione con il quarto motivo, deduce infine violazione dell’art. 1223 c.c. e sostiene che il danno liquidato non è conseguenza immediata e diretta del preteso fatto dannoso, poiché per incassare il contributo il ricorrente appellante avrebbe comunque dovuto realizzare, collaudare e portare a rendiconto i lavori cui il contributo stesso si riferisce il ricorrente appellato ha resistito, con memoria 16 marzo 2017, contenente appello incidentale, in cui chiede in sintesi la reiezione dell’appello principale e la condanna dell’amministrazione appellante principale anche per le voci di danno non riconosciute dal Giudice di primo grado con ordinanza 6 aprile 2017 numero 1512, la Sezione ha respinto la domanda cautelare e fissato la camera di consiglio per la decisione del merito con successive memorie e repliche 9 giugno e 15 giugno 2017 per il Comune, nonché 11 giugno e 16 giugno 2017 per l’appellato, le parti hanno ribadito le loro rispettive asserite ragioni. In particolare, con la memoria 9 giugno 2017, il Comune ha eccepito l’irricevibilità dell’appello incidentale, perché notificato a mezzo posta elettronica certificata oltre le ore 21 dell’ultimo giorno utile 6 marzo 2017, e quindi da aversi per notificato il giorno successivo, 7 marzo 2017, ovvero a termine ormai scaduto, in forza del disposto dell’art. 16 septies del d.l. 18 ottobre 2012 numero 179. Ha citato a sostegno della propria tesi la sentenza Cass. sez. lav. 4 maggio 2017 numero 8886, secondo la quale in questo caso non opererebbe la scissione degli effetti della notifica rispetto alle posizioni del richiedente e del destinatario. Ha parimenti chiesto l’espunzione dagli atti di causa della memoria dell’appellato 11 giugno 2017, perché depositata fuori termine preliminarmente, la memoria 11 giugno 2017 viene espunta dagli atti, perché effettivamente depositata in ritardo va poi respinta l’eccezione preliminare di irricevibilità dell’appello principale, che contiene all’evidenza una serie di critiche alla decisione impugnata, come tali certo non qualificabili come tardive l’appello principale è poi nel merito fondato, per le ragioni di seguito esposte i primi due motivi di appello sono all’evidenza connessi, vanno esaminati congiuntamente e risultano fondati, nei termini che seguono. Per chiarezza, però, va resa esplicita l’argomentazione giuridica che essi sottintendono in termini generali, è del tutto nota, e non necessita quindi di puntuali citazioni giurisprudenziali, la regola del nostro ordinamento secondo la quale per danno ingiusto” risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto. Conseguenza logica della regola è quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la cd. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico. Nel caso particolare che qui rileva, della domanda di risarcimento proposta contro la pubblica amministrazione in dipendenza da un atto amministrativo illegittimo, la giurisprudenza ha allora affermato da ultimo, C.d.S. sez. IV 30 gennaio 2017 numero 361 che il mero annullamento giurisdizionale dell’atto, di per sé, non consente di riconoscere un risarcimento. E’infatti necessario che il giudicato di annullamento relativo abbia riconosciuto all’interessato, appunto, la spettanza del bene della vita, il che non si verifica quando l’annullamento avvenga per vizi formali, ovvero principalmente per violazione delle norme sul procedimento ovvero per difetto di motivazione. In tali casi, infatti, l’annullamento non vincola senz’altro l’amministrazione a riconoscere all’interessato quanto da lui richiesto, e quindi non si può dire che un danno ingiusto per non averlo ottenuto esista così, fra le molte, C.d.S. sez. V 6 marzo 2017 numero 1037 e 10 febbraio 2015 numero 675, ove ampie ulteriori citazioni ciò posto, se si esamina il caso particolare alla luce dei principi sopra esposti, in primo luogo la sentenza di primo grado dà per scontato che l’annullamento operato con la precedente sentenza 698/2010 desse senz’altro titolo al ricorrente appellato per ottenere quanto da lui richiesto all’amministrazione, ovvero in sintesi gli riconoscesse la spettanza del bene della vita. La stessa sentenza poi prosegue, affermando in sintesi che il bene della vita in questione avrebbe consentito al ricorrente appellato di incassare il contributo già riconosciutogli, e quindi di far proprio il corrispondente vantaggio economico, del quale risarcisce la perdita la tesi contraria è invece quella sostenuta dal Comune nell’appello la tesi in questione è corretta. A semplice lettura, la sentenza 698/2010 annulla il provvedimento di diniego del permesso di costruire richiesto dal ricorrente appellato proprio per difetto di motivazione, ovvero per il vizio dedotto specificamente nei due motivi proposti si veda il testo della sentenza stessa, che li riporta 1 Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento –violazione di legge per difetto assoluto di motivazione illogicità contraddittorietà falsa applicazione dell’art. 4 della delibera 2/98 Autorità di Bacino2 violazione di legge contraddittorietà difetto di motivazione difetto di istruttoria, travisamento dei fatti falsa applicazione dell’art. 2 della delibera 2/98 Autorità di Bacino .”. Nella motivazione dell’annullamento poi scrive Nel caso di specie pertanto, non trattandosi di nuova costruzione, il diniego di concessione sarebbe stato atto dovuto solo in tanto in quanto il progetto di ristrutturazione comportasse aumento di superficie coperta o di volume, del che non veniva peraltro data contezza alcuna. Per quanto sopra il profilo di difetto di motivazione dedotto con entrambi i motivi di ricorso è fondato.” In tal modo, si vincola il Comune a riesaminare l’affare e a deciderlo motivatamente, ma non si impone un esito determinato, ovvero, come si è detto, non si riconosce in alcun modo il bene della vita come effetto dell’annullamento su questa base, va accolto anzitutto il primo motivo di appello, nel senso che in sede di ottemperanza il Comune è tenuto appunto a riesaminare la richiesta e a deciderla con motivazione congrua, non già, come ritenuto dalla sentenza impugnata, ad accoglierla senz’altro e a rilasciare il permesso. Pertanto, la sentenza impugnata va riformata nel senso che l’obbligo di ottemperare alla sentenza 698/2010 abbia questo contenuto va parimenti accolto anche il secondo motivo, nel senso che, mancando il danno ingiusto” e quindi una perdita non solo economica, ma anche giuridicamente rilevante, non va riconosciuto risarcimento alcuno per completezza, va poi aggiunto quanto segue. Il Collegio non ignora che in astratto nel caso di annullamento per vizio formale è possibile configurare un danno da ritardo, derivante dall’ incertezza illegittimamente causata sul modo in cui regolarsi nell’attesa che l’amministrazione si pronunci sulla stessa spettanza del bene della vita si veda sul principio C.d.S. sez. IV 7 marzo 2005 numero 875. Anche in tali fattispecie, infatti, è possibile configurare l’esistenza della lesione, che comunque andrebbe rigorosamente provata, di un interesse economicamente rilevante tale prospettazione, peraltro, è radicalmente alternativa rispetto a quella con cui, come nella specie, si domandi il risarcimento di un danno emergente e di un lucro cessante pieni ed attuali, ovvero commisurati al valore che avrebbe il bene della vita reclamato, ove l’amministrazione lo avesse riconosciuto. Ne consegue quindi che la relativa domanda, in quanto fondata su un diverso e distinto titolo, si deve proporre in tali termini sin dal primo grado, ciò che non è accaduto nel caso in esame i restanti motivi dell’appello principale sono assorbiti, in quanto presuppongono secondo logica che un danno ingiusto nella specie possa sussistere va invece respinto l’appello incidentale, volto ad ottenere il risarcimento di voci di danno ulteriori, le quali presuppongono a loro volta l’ingiustizia dello stesso per tal ragione, è superfluo esaminare l’eccezione preliminare per cui l’appello incidentale stesso sarebbe tardivo la particolarità della fattispecie, basata in sintesi sull’interpretazione di un giudicato, è giusto motivo per compensare le spese dell’intero giudizio P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta , definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto ricorso numero 935/2017 , accoglie l’appello principale, respinge l’appello incidentale e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie la domanda di ottemperanza alla sentenza TAR Friuli Venezia Giulia numero 698/2010 ai sensi e nei limiti di cui in motivazione e respinge la domanda di risarcimento del danno. Spese dell’intero giudizio compensate.