Tesori nascosti e diritti statali: le monete della Magna Grecia ritrovate sottoterra non si possono esportare

È legittima la decisione di negare ai legittimi proprietari l’attestato di libera circolazione delle antiche monete ritrovate in un fondo privato, in base all’art. 68, comma 3, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, ed imporre sulle stesse il vincolo di eccezionale interesse archeologico.

Così ha affermato il Consiglio di Stato con la sentenza n. 892/17 depositata il 24 febbraio. Il tesoretto di Ognina”. Il 15 giugno 1923, ad Ognina, nei pressi di Catania, nel fondo di proprietà di un privato, venne ritrovato un deposito, lì nascosto in epoca storica, di 305 monete d’argento della Magna Grecia, comunemente noto come tesoretto di Ognina” e gli scopritori, come pure i proprietari del terreno, entrarono in possesso di un certo numero di monete, a seguito di una convenzione stipulata con lo Stato. Ma il poter vantare una tale ricchezza non significa che della stessa se ne può liberamente disporre. Ciò in quanto la rinuncia dello Stato contenuta nella convenzione andava interpretata in via testuale, come eccezione ad una regola che è nel senso della tutela massima, ovvero nel senso di escludere la sola misura alla quale si riferisce espressamente, la prelazione in caso di alienazione, e di tener ferme tutte le misure residue apprestate dalla legge. Rimane allora ferma la necessità, per il caso di esportazione del bene, che non è contemplato dalla rinuncia, di chiedere ed ottenere la relativa autorizzazione. Divieto di esportazione. I beni culturali, infatti, che si trovano sul territorio fanno parte del patrimonio storico della Nazione, non devono, in linea di principio, essere ceduti, portati altrove o fisicamente alterati, e nei casi di rinvenimento spettano allo Stato, che istituzionalmente è il soggetto tenuto a garantirli. E’ di particolare interesse ricordare, ha osservato la, come gli specifici divieti di esportazione abbiano costituito i primi esempi storici di tutela dei beni in questione. Così come il divieto in tal senso che condizionò il lascito allo Stato toscano della collezione artistica dei Medici da parte dell’ultima discendente della famiglia, collezione che forma il nucleo originario della Galleria degli Uffizi. La corresponsione del premio da parte dello Stato, proprietario per legge delle monete rinvenute, va infatti considerata un atto il cui contenuto non è determinato puntualmente dalla legge, che si limita a prevedere un limite massimo al suo ammontare, pari alla metà del valore del bene, e a consentire di corrisponderlo in denaro o in natura. A fronte di ciò, l’incertezza nell’interpretare l’atto che in concreto liquida il premio non si può che risolvere, ai sensi dell’art. 1371 c.c., nel senso meno gravoso per l’obbligato di cui si è detto, ovvero ritenendo che lo Stato abbia abdicato nella misura minima compatibile alla posizione di tutela che gli spettava.

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 12 gennaio – 24 febbraio 2017, numero 892 Presidente Maruotti – Estensore Spisani Fatto Il 15 giugno 1923, ad Ognina, nei pressi di Catania, nel fondo di proprietà di un privato, venne ritrovato un deposito, lì nascosto in epoca storica, di 305 monete d’argento della Magna Grecia, comunemente noto come tesoretto di Ognina”. I ricorrenti appellati sono gli eredi del proprietario del fondo ed in tale loro qualità sono divenuti -nei termini di cui oltre proprietari di una parte delle monete in questione. Essi hanno impugnato in primo grado i provvedimenti, indicati in epigrafe, con i quali, successivamente, hanno visto respingere dall’Ufficio esportazione oggetti d’arte di Roma la loro istanza per ottenere l’attestato di libera circolazione di cui all’art. 68, comma 3, d. lgs. 22 gennaio 2004, numero 42, e imporre sulle monete di loro proprietà il vincolo di eccezionale interesse archeologico dalla Soprintendenza per i beni archeologici della Lombardia. Con la sentenza di primo grado, il TAR Lazio Roma ha accolto il ricorso ed ha annullato i provvedimenti impugnati, ritenendo fondato e assorbente il motivo in base al quale le monete si sarebbero dovute ritenere nella libera disponibilità dei ricorrenti, perché lo Stato, con un accordo a suo tempo concluso, ritenuto di natura transattiva, avrebbe rinunciato in via definitiva a porre su di esse qualsiasi limite o vincolo. Contro tale sentenza, ha proposto appello il MIBAC, il quale ha chiesto che in riforma di essa sia respinto il ricorso di primo grado. Il Ministero ha sostenuto, nell’unico motivo proposto, che il citato accordo avrebbe avuto un significato più ristretto lo Stato avrebbe riconosciuto la libera disponibilità nel senso della commerciabilità senza vincoli delle monete attribuite ai ricorrenti, ma non si sarebbe in alcun modo impegnato a considerarle liberamente esportabili, riservandosi per il futuro il controllo in merito. Gli appellati hanno resistito, con memoria 9 maggio 2016, ed hanno chiesto la reiezione dell’appello. Alla camera di consiglio del giorno 12 maggio 2016, fissata per decidere l’istanza cautelare proposta con l’appello stesso, la Sezione ha disposto rinvio per abbinamento al merito. Alla udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2017, la parte appellante ha poi rinunciato formalmente ad una pronuncia espressa sulla domanda cautelare e la Sezione stessa ha quindi trattenuto il ricorso in decisione quanto al merito. Diritto 1. L’appello è in parte fondato, per le ragioni ora esposte. 2. Il titolo in base al quale i ricorrenti appellati hanno acquistato la proprietà delle monete per cui è causa è rappresentato dalla convenzione conclusa con l’atto 27 marzo 1957, rep. numero 67652, raccomma numero 10921 Notaio Mirone di Catania, intestato distacco di quota”, convenzione che si riassume per quanto necessario. 3. In primo luogo, parti della convenzione sono lo Stato, nella persona del Soprintendente competente per territorio, il quale dichiaratamente agisce in nome e per conto del Ministro, nonché le eredi del proprietario del fondo e danti causa degli appellati, e l’avente causa del ritrovatore, ossia tutti i soggetti interessati. 4. Ciò posto, la convenzione riassume nelle premesse le vicende del ritrovamento delle monete e il contenzioso che ne è seguito, concluso con tre distinte sentenze del Giudice ordinario passate in giudicato, puntualmente citate, le quali attribuirono il complesso delle monete per la quota indivisa di metà allo Stato, e per le residue quote di un quarto ciascuna rispettivamente alle eredi del proprietario del fondo, nel frattempo deceduto, e ai ritrovatori. L’ultima sentenza in ordine di tempo stabilì poi che per dividere la comunione così creata si dovesse procedere alla stima dei singoli pezzi, per mezzo di una commissione da costituire secondo la norma allora vigente, l’art. 44 della legge 1° giugno 1939, numero 1089, commissione la quale in concreto concluse i propri lavori il giorno 20 giugno 1948. 5. Sempre la convenzione dà atto che successivamente, con provvedimento 20 febbraio 1954, revocato il 15 dicembre 1956, il Ministero provvide a dichiarare il complesso monetario” di particolare interesse archeologico, ai sensi della l. 1089/1939 – la cd. notifica” assoggettandolo a tutte le disposizioni di tutela contenute nella legge stessa”. 6. Tanto premesso, la convenzione contiene l’accordo raggiunto dalle parti dopo lunghe e laboriose trattative” sulla ripartizione delle monete” e su ogni altra quistione”. In dettaglio, lo Stato a tacitazione, saldo e pieno soddisfo della sua quota di proprietà, pari alla metà si attribuisce” sette monete puntualmente descritte, ritenute di maggior pregio e, in base alla perizia, di valore complessivo pari a quello di tutte le restanti. La convenzione dà atto che queste ultime restano di proprietà delle eredi del proprietario del fondo e dell’avente causa dei ritrovatori, forma due quote uguali per valore e le attribuisce per sorteggio alle due parti. 7. Di seguito, la convenzione all’art. 3 dice testualmente è patto espresso ed essenziale della presente transazione dalle parti voluta e determinante della loro volontà che lo Stato italiano rinunzi, come ha rinunziato, e rinunzi definitivamente a porre qualsiasi vincolo o limitazione alla libera disponibilità e commerciabilità delle monete rimaste comuni fra le altre due parti contraenti, e ciò in conformità alla relazione” della commissione peritale di cui s’è detto che ha formato la base della presente convenzione e di tutti i patti relativi [la] quale perizia così testualmente conclude ‘E prima di chiudere questa relazione peritale avvertiamo che essa è valida soltanto qualora non vengano imposte ai privati aventi diritto notifiche e limitazioni di sorta al loro pieno diritto di proprietà e disponibilità delle monete stesse, essendo noto che qualsiasi limitazione del genere annullerebbe ogni prezzo di stima o per lo meno sposterebbe notevolmente i relativi valori’”. 8. Nello stesso art. 3, lo Stato si riserva soltanto l’opzione di acquisto, ad un prezzo predeterminato, di altre 29 monete ritenute di particolare interesse si conviene poi che delle residue monete le parti private potranno disporre come meglio crederanno da pieni ed assoluti proprietari e potranno anche alienarle liberamente” v. atto notarile in questione, docomma 3 ricorrenti appellati in fascicolo di primo grado . Per completezza, consta che lo Stato abbia effettivamente esercitato l’opzione ed acquistato le monete ulteriori, e che l’avente causa dei ritrovatori abbia alienato le proprie fatti pacifici in causa . 9. Ai fini del decidere, si deve interpretare la convenzione transattiva così riassunta, e stabilire l’esatta portata della rinunzia” con essa compiuta dallo Stato, e per far ciò si deve ricostruire, per quanto di interesse, il regime previsto dal nostro ordinamento per i beni culturali come le monete in questione nel periodo nel quale si è svolta la vicenda, ovvero il regime previsto in successione dalla l. 20 giugno 1909, numero 364, prima legge organica in materia, dalla successiva legge numero 1089 del 1939, e dal vigente codice approvato con il d. lgs. 42/2004. 10. Le tre leggi citate presentano una continuità nei principi ispiratori. Esse prevedono tutte che i beni di interesse storico, archeologico, paletnologico o artistico”, fra i quali menzionano espressamente le cose di interesse numismatico”, nel caso in cui appartengano allo Stato, o agli enti locali o a enti morali” siano anzitutto inalienabili e non esportabili artt. 1 e 2 l. 364/1909 artt. 1 e 23 e ss. l. 1089/1939 artt. 10, commi 1 e 2, e 54 codice numero 42 del 2004 . Le leggi prevedono ancora che i beni di privati, quando ne sia riconosciuta la qualità attraverso un’apposita dichiarazione di interesse culturale, comunemente detta, come si è già detto, notifica”, siano soggetti per i casi di alienazione ad un diritto di prelazione dello Stato, e che l’esportazione di essi, qui rilevante, debba essere autorizzata artt. 5 e 6 nonché 8 l. 364/1909 artt. 30 e 31 e ss. nonché 35 e ss. l. del 1939 artt. 10 commi 3 e ss. e 60 nonché 65 del codice del 2004 . 11. Le misure in questione non esauriscono peraltro la tutela, completata in ciascuna delle leggi in esame, da misure conservative come divieti di distruzione ed alterazione fisica, con previsione dei relativi poteri di vigilanza da parte degli organi competenti artt. 12 e ss. l. 364/1909 artt. 11 ss. l. del 1939 artt. 20 e ss. codice del 2004 . In particolare, l’apposizione del vincolo sul bene di un privato è funzionale non solo alla prelazione, ma anche a queste ultime cautele. 12. Nel caso particolare, che interessa, di un bene culturale oggetto di ritrovamento archeologico fortuito, la proprietà dello stesso è infine dello Stato, come si desume in via logica dall’art. 18 della l. 364/1909 ed è previsto in modo espresso dalla l. del 1939 all’art 44 e dal codice del 2004 agli artt. 91 e 92. Ad evidente scopo di incentivo, la stessa normativa prevede infine, a vantaggio del ritrovatore e del proprietario del fondo interessato, il premio corrisposto anche nel caso presente, che è commisurato ad una quota di quanto rinvenuto e può essere corrisposto in danaro oppure, come avvenuto nella specie, mediante rilascio di una parte delle cose ritrovate. 13. Il principio è all’evidenza nel senso di una tutela particolarmente intensa. I beni culturali che si trovano sul territorio fanno parte del patrimonio storico della Nazione, non devono, in linea di principio, essere ceduti, portati altrove o fisicamente alterati, e nei casi di rinvenimento spettano allo Stato, che istituzionalmente è il soggetto tenuto a garantirli. E’ di particolare interesse ricordare come gli specifici divieti di esportazione abbiano costituito i primi esempi storici di tutela dei beni in questione v. ad es. il divieto in tal senso che condizionò il lascito allo Stato toscano della collezione artistica dei Medici da parte dell’ultima discendente della famiglia, collezione che forma il nucleo originario della Galleria degli Uffizi . 14. In tale contesto, per interpretare la convenzione 27 marzo 1957, occorre partire dal presupposto che l’intero complesso di monete di cui si tratta, in quanto oggetto di ritrovamento, in origine era dello Stato, e quindi era sottoposto senz’altro al livello massimo di tutela previsto dalla legge, quindi era in linea di principio non alienabile né esportabile, e soggetto a tutte le cautele previste per la sua conservazione materiale. Il provvedimento di vincolo di cui s’è detto, imposto e poi revocato, interviene infatti dopo le sentenze che sul complesso delle monete stabiliscono la comunione fra lo Stato e i privati, e si spiega con la necessità di mantenere la tutela preesistente anche nei confronti di questi ultimi. 15. Ciò posto, la rinuncia contenuta nella convenzione va interpretata in via testuale, come eccezione ad una regola che è nel senso della tutela massima, ovvero nel senso di escludere la sola misura alla quale si riferisce espressamente, la prelazione in caso di alienazione, e di tener ferme tutte le misure residue apprestate dalla legge, che sono come si è visto del medesimo contenuto sia che si abbia riguardo all’epoca del rinvenimento, sia che si considerino l’epoca della convenzione ovvero l’epoca attuale. Rimane allora ferma la necessità, per il caso di esportazione del bene, che non è contemplato dalla rinuncia, di chiedere ed ottenere la relativa autorizzazione. 16. Si noti per completezza che a tale risultato conducono, in base ad una distinta, ma convergente, linea argomentativa, anche i principi del diritto civile comune. La corresponsione del premio da parte dello Stato, proprietario per legge delle monete rinvenute, va infatti considerata un atto il cui contenuto non è determinato puntualmente dalla legge, che si limita a prevedere un limite massimo al suo ammontare, pari alla metà del valore del bene, e a consentire di corrisponderlo in denaro o in natura. A fronte di ciò, l’incertezza nell’interpretare l’atto che in concreto liquida il premio non si può che risolvere, ai sensi dell’art. 1371 c.c., nel senso meno gravoso per l’obbligato di cui si è detto, ovvero ritenendo che lo Stato abbia abdicato nella misura minima compatibile alla posizione di tutela che gli spettava. 17. In conclusione, pronunciando sull’appello e sulle censure di primo grado, quindi gli atti impugnati, che hanno respinto la domanda di autorizzazione all’esportazione, avviato il procedimento di vincolo con la relativa misura di salvaguardia di cui all’art. 14, comma 4, del codice del 2004, e imposto il vincolo vanno annullati nella sola parte in cui impongono il vincolo della prelazione di cui al successivo art. 60, e vanno tenuti invece fermi nella parte in cui impongono ogni diversa forma di tutela prevista dalla legge. 18. La particolarità e novità del caso deciso, sul quale non constano precedenti editi negli esatti termini, è giusto motivo per compensare per intero fra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta , definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto ricorso numero 1313/2016 R.G. , lo accoglie in parte e in riforma parziale della sentenza impugnata, annulla i provvedimenti 7 marzo 2011, numero 2315, dell’Ufficio esportazione oggetti d’arte di Roma, 21 novembre 2011, numero 16350, e 3 aprile 2012, numero 4419, della Soprintendenza per i beni archeologici della Lombardia, nonché il decreto 6 luglio 2012 del Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia, nella sola parte in cui impongono sui beni in oggetto il vincolo di prelazione di cui all’art. 60 d. lgs. 22 gennaio 2004, numero 42, fermi restando gli effetti di tali atti per le restante parti e in particolare quanto al diniego di autorizzazione alla esportazione. Compensa per intero fra le parti le spese di entrambi gradi di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.