Scavo con telo in PVC: non è una piscina “ultimata”…

e pertanto non può essere condonata a seguito della domanda di sanatoria.

Gli estimatori delle bio-piscine sono avvertiti. Ciò in quanto per la Soprintendenza e per il giudice è priva di rilevanza la perizia giurata nella quale si afferma che l’opera è del tutto ultimata e che, ai fini del suo corretto utilizzo, occorrono soltanto modesti interventi di manutenzione sull’impianto di depurazione e la pavimentazione dell’area circostante. Perché, secondo il giudice, lo scavo così come realizzato non presenta i caratteri di una piscina ultimata” ai sensi della normativa sul condono edilizio. La VI Sezione del Consiglio di Stato sentenza n. 5060 del 2 dicembre 2016 ha fatto proprie le conclusioni cui era giunto il giudice di prime cure in relazione all’articolo 39, comma 1, l. n. 724/1994, secondo il quale il condono edilizio è consentito per le opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993 . Ultimazione”. Il concetto di ultimazione, ha chiarito il giudice, è specificato nell’articolo 31 l. n. 47/85, laddove si precisa che ai fini delle disposizioni di cui al comma precedente, si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, esse siano state completate funzionalmente . In sostanza, secondo la Sezione, la norma offre utili elementi per la definizione della questione alla piscina. La prima parte della disposizione si riferisce a interventi realizzati ex novo , richiedendo l’esistenza di una struttura che ne definisca la loro rilevanza urbanistico-edilizia e consenta di identificarne la specifica natura. La seconda parte riguarda, invece, le opere interne a edifici già esistenti e quelle non destinate alla residenza, in relazione alle quali il concetto di completamento è riferito alla funzionalità dell’opera. Pur tuttavia, va comunque evidenziato che in ogni caso l’opera abusiva, per poter essere ritenuta ultimata, deve presentare comunque in modo inequivoco gli elementi strutturali tipici e caratterizzanti la tipologia cui la stessa appartiene. E questo è elemento prioritario e presupposto anche per vagliarne l’elemento funzionale, atteso che quest’ultimo va comunque rapportato con la tipologia dell’opera connotantesi in termini essenziali per le sue caratteristiche strutturali . Si vuole in buona sostanza affermare che l’esistenza dell’opera in termini strutturali, in modo tale che ne sia identificabile in modo inequivoco natura e tipologia, costituisce presupposto indispensabile per poter attribuire valenza alla sua funzionalità in quanto tale. La piscina. Nel caso specifico posto all’attenzione della Sezione si è ritenuto che con riferimento specifico alla fattispecie piscina”, la stessa costituisce opera interrata, destinata a contenere acqua, similmente ad una vasca, la quale si connota per uno spazio ben definito, strutturalmente limitato in maniera definitiva e non precaria, sia con riferimento alla sua base che alle pareti circostanti, in modo da assicurare, in termini di impermeabilità, la possibilità del contenimento dell’acqua. Di conseguenza, anche a volere accedere alla tesi dell’interessato, secondo cui fossero presenti tutte le componenti facenti parte dell’impianto di depurazione, è stato osservato che l’opera, così come chiaramente evincibile dalla documentazione fotografica allegata alla domanda di condono, non presentava affatto le caratteristiche strutturali di una piscina ultimata”. Invero, se lo scavo del terreno è certamente elemento costitutivo della stessa, esso non è sufficiente a connotarne l’esistenza in termini di specifica tipologia edilizia, atteso che lo scavo costituisce unicamente il primo e certamente non esaustivo intervento per la realizzazione dell’opera piscina”. Né valenza dirimente, ha aggiunto la Sezione, può attribuirsi all’esistenza di teli in PVC all’interno dello scavo, utili a contenere acqua e ad evitarne la dispersione e l’assorbimento nel terreno circostante, considerandosi che gli stessi, per come emerge dalla documentazione fotografica allegata alla domanda di condono, risultano coprire lo spazio dello scavo in maniera precaria, senza delimitarne, mediante realizzazione di pareti fisse e definitive, il relativo spazio, così costituendo in termini certi ed ultimativi l’esistenza di un manufatto piscina”. I teli in PVC risultanti dalla documentazione fotografica in atti risultano appoggiati all’interno dello scavo e comunque non fissati in modo definitivo e coerente alle ordinarie tecniche costruttive, sì da poter affermare che l’opera in questione fosse una piscina” ultimata in base alla definizione di opera ultimata contenuta nel richiamato articolo 31 l. n. 47/85. Del tutto irrilevanti, in pratica, le osservazioni dell’appellante che, a sostegno della propria tesi, aveva afferma che evidentemente sia l’Amministrazione convenuta che il giudice non sanno che le moderne piscine prefabbricate altro non sono che scavi al cui interno viene posta una struttura su cui poggia un telo di plastica ed il cui funzionamento viene assicurato da piccoli motori completamente interrati . Peraltro, ha osservato il Collegio, la documentazione fotografica esibita aveva evidenziato l’esistenza di teli in PVC appoggiati direttamente al terreno dello scavo, mentre non evidenziava la struttura interna alla quale si opera riferimento.

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 3 novembre – 2 dicembre 2016, n. 5060 Presidente Giovagnoli – Estensore Mele Fatto Con sentenza n. 3413/2009 del 22-6-2009 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania rigettava il ricorso proposto dal signor Solima Ludovico, inteso ad ottenere l’annullamento del decreto del 31-12-2004 con il quale la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio e per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di Napoli e Provincia aveva disposto l’annullamento del provvedimento n. 350 del 4-11-2004 del Comune di Massa Lubrense che aveva espresso, ai sensi dell’articolo 32 della legge n. 47/85, parere favorevole al rilascio di concessione in sanatoria per opere realizzate dal predetto in località Massa di Turro. La sentenza esponeva in fatto quanto segue. Con ricorso iscritto al n. 1954 dell’anno 2008, la parte ricorrente impugnava il provvedimento indicato in epigrafe. A sostegno delle sue doglianze premetteva -di aver presentato, in data 3.3.95, una domanda di condono ai sensi della l. 724/94, avente ad oggetto la realizzazione di una piscina l’opera è allo stato grezzo e necessita solo di alcuni modesti interventi di completamento - che il Comune rilasciava l’autorizzazione paesistica perché l’opera non risultava visibile dal mare o da particolari scorci panoramici e non impattava negativamente con l’ambiente circostante tuttavia, solo in seguito alla richiesta di notizie, gli veniva comunicato l’annullamento della Soprintendenza. Instava quindi per l’annullamento degli atti impugnati con vittoria di spese processuali. Si costituiva l’Avvocatura dello stato chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.”. Avverso la prefata sentenza il signor Solima ha proposto appello dinanzi a questo Consiglio di Stato, deducendone l’erroneità e chiedendone l’integrale riforma. Ha dedotto 1 Error in iudicando – violazione dell’articolo 31 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724 – eccesso di potere per erroneità in fatto ed illogicità manifesta – difetto di istruttoria 2 Error in iudicando – violazione degli artt. 7 e 8 della legge 2 agosto 1990 n. 241. L’appellante ha depositato documentazione e note difensive. La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 3-11-2016. Diritto Con il primo motivo il signor Solima lamenta Error in iudicando – violazione dell’articolo 31 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724 – eccesso di potere per erroneità in fatto e illogicità manifesta – difetto di istruttoria. Censura la sentenza gravata nella parte in cui assume che la piscina non fosse ultimata alla data di presentazione della domanda di condono. Rileva in proposito che, come emerge dalle perizie giurate depositate in corso di giudizio, l’opera è del tutto ultimata e che, ai fini del suo corretto utilizzo, occorrono soltanto modesti interventi di manutenzione sull’impianto di depurazione e la pavimentazione dell’area circostante. Dallo stesso decreto di autorizzazione paesaggistica n. 350 del 4-11-2004, rilasciato dal Comune di Massa Lubrense emergerebbe che l’opera consiste nella realizzazione di una piscina e in un progetto di completamento che prevede l’utilizzazione di materiali e finiture compatibili con la cultura architettonica lubrense. Sarebbe , pertanto, erronea l’affermazione che l’opera oggetto di condono fosse un semplice scavo e non una piscina in grado di funzionare. Invero, l’Amministrazione convenuta ed il giudice di primo grado non hanno pensato che le moderne piscine prefabbricate altro non sono che scavi al cui interno viene posta una struttura su cui poggia un telo di plastica e il cui funzionamento viene assicurato da piccoli motori completamente interrati. Deduce ancora che la stessa Sovrintendenza, nel provvedimento impugnato, riconosce che la documentazione grafica e fotografica allegata alla domanda di condono dimostra l’esistenza di uno scavo ricoperto da un telo in pvc, né motiva in alcun modo perché l’opera oggetto di condono non possa essere considerata una piscina. La sentenza impugnata così motiva sul punto. Il ricorso non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati. Infatti, come correttamente eccepito dall’Amministrazione, il condono presuppone che le opere siano state ultimate ai sensi dell’articolo 39, comma 1 della legge n. 724/1994, Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, e successive modifiche ed integrazioni, come ulteriormente modificate dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993”. Nel caso di specie, è pacifico che la piscina non fosse ultimata alla data di presentazione della domanda di condono l’opera era , pertanto, in ogni caso non sanabile. Né si può condividere l’assunto di parte ricorrente, secondo cui l’opera sia stata realizzata nelle sue strutture essenziali la legge richiede l’ultimazione, ciò che significa completamento nel caso di una piscina, deve pertanto trattarsi di una piscina in grado di funzionare e non di un semplice scavo”. Il motivo di appello non è meritevole di favorevole considerazione per le ragioni che di seguito si espongono. Il provvedimento soprintendentizio impugnato evidenzia che dall’esame degli atti acclusi al provvedimento comunale si rileva che trattasi del condono edilizio di uno scavo ai sensi della legge 724/94. Esaminata la documentazione trasmessa, si rileva che la C.E.I. esprime parere favorevole all’abuso realizzato, definendolo realizzazione di una piscina”. Dalla documentazione fotografica e grafica pervenuta si evince che la piscina in effetti è solo uno scavo ricoperto da un telo di plastica. Pertanto si ritiene che non sia possibile sanare l’intervento realizzato”. Dalla lettura dell’atto impugnato emerge, dunque, che l’organo ministeriale ha disposto l’annullamento della rilasciata autorizzazione paesaggistica in relazione alla circostanza della non corrispondenza tra l’opera realizzata al momento della presentazione della domanda di condono scavo ricoperto da un telo di plastica e l’opera per la quale il beneficio viene richiesto realizzazione di una piscina . Ciò posto, il punto dirimente della controversia consiste nello stabilire se l’opera realizzata al momento della presentazione della domanda di sanatoria potesse essere considerata una piscina”. In proposito il giudice di primo grado ha rilevato che lo scavo così come realizzato non presentasse i caratteri di una piscina ultimata” ai sensi della normativa sul condono edilizio. La Sezione condivide le conclusioni cui è giunto il giudice di prime cure. Invero, ai sensi dell’articolo 39, comma 1, della legge n. 724/1994 il condono edilizio è consentito per le opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993”. Il concetto di ultimazione è specificato nell’articolo 31 della legge n. 47/85, laddove si precisa che ai fini delle disposizioni di cui al comma precedente, si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, esse siano state completate funzionalmente”. La norma offre utili elementi per la definizione della questione oggetto del presente giudizio. La prima parte della disposizione si riferisce a interventi realizzati ex novo, richiedendo l’esistenza di una struttura che ne definisca la loro rilevanza urbanistico-edilizia e consenta di identificarne la specifica natura. La seconda parte riguarda, invece, le opere interne a edifici già esistenti e quelle non destinate alla residenza, in relazione alle quali il concetto di completamento è riferito alla funzionalità dell’opera. Purtuttavia, va comunque evidenziato che in ogni caso l’opera abusiva, per poter essere ritenuta ultimata, deve presentare comunque in modo inequivoco gli elementi strutturali tipici e caratterizzanti la tipologia cui la stessa appartiene. Questo è, invero, elemento prioritario e presupposto anche per vagliarne l’elemento funzionale, atteso che quest’ultimo va comunque rapportato con la tipologia dell’opera connotantesi in termini essenziali per le sue caratteristiche strutturali . Si vuole in buona sostanza affermare che l’esistenza dell’opera in termini strutturali, in modo tale che ne sia identificabile in modo inequivoco natura e tipologia, costituisce presupposto indispensabile per poter attribuire valenza alla sua funzionalità in quanto tale. Orbene, venendo nello specifico alla fattispecie della piscina”, deve evidenziarsi che la stessa costituisce opera interrata, destinata a contenere acqua, similmente ad una vasca, la quale si connota per uno spazio ben definito, strutturalmente limitato in maniera definitiva e non precaria, sia con riferimento alla sua base che alle pareti circostanti, in modo da assicurare, in termini di impermeabilità, la possibilità del contenimento dell’acqua. Di conseguenza, anche a volere accedere alla tesi di parte appellante, secondo cui fossero presenti tutte le componenti facenti parte dell’impianto di depurazione, va osservato che l’opera, così come chiaramente evincibile dalla documentazione fotografica allegata alla domanda di condono, non presentava affatto le caratteristiche strutturali di una piscina ultimata”. Invero, se lo scavo del terreno è certamente elemento costitutivo della stessa, esso non è sufficiente a connotarne l’esistenza in termini di specifica tipologia edilizia, atteso che lo scavo costituisce unicamente il primo e certamente non esaustivo intervento per la realizzazione dell’opera piscina”. Né valenza dirimente può attribuirsi all’esistenza di teli in pvc all’interno dello scavo, utili a contenere acqua e ad evitarne la dispersione e l’assorbimento nel terreno circostante, considerandosi che gli stessi, per come emerge dalla documentazione fotografica allegata alla domanda di condono, risultano coprire lo spazio dello scavo in maniera precaria, senza delimitarne, mediante realizzazione di pareti fisse e definitive, il relativo spazio, così costituendo in termini certi ed ultimativi l’esistenza di un manufatto piscina”. I teli in pvc risultanti dalla documentazione fotografica in atti risultano appoggiati all’interno dello scavo e comunque non fissati in modo definitivo e coerente alle ordinarie tecniche costruttive, sì da poter affermare che l’opera in questione fosse una piscina” ultimata in base alla definizione di opera ultimata contenuta nel richiamato articolo 31 della legge n. 47/85. Parte appellante, a sostegno della propria tesi, afferma che evidentemente sia l’Amministrazione convenuta che il giudice non sanno che le moderne piscine prefabbricate altro non sono che scavi al cui interno viene posta una struttura su cui poggia un telo di plastica ed il cui funzionamento viene assicurato da piccoli motori completamente interrati”. Orbene, la documentazione fotografica in atti evidenzia l’esistenza di teli in pvc appoggiati direttamente al terreno dello scavo, mentre non evidenziano la struttura interna alla quale si opera riferimento. Rileva, poi, la Sezione che la stessa documentazione allegata alla domanda di condono non depone univocamente per l’esistenza del manufatto piscina” del quale è richiesto il condono edilizio. Nella relazione tecnico-descrittiva allegata alla domanda di sanatoria, se pur nella descrizione dell’opera, si afferma che trattasi di una piscina a servizio della costruzione adibita alla residenza, si aggiunge, con riferimento agli effetti prodotti dalla costruzione”, che allo stato non è completa, quindi priva di finiture di qualsiasi genere”. Tale circostanza appare confermata dalla dichiarazione sostitutiva resa dal privato in allegato alla domanda di condono, laddove egli afferma di aver realizzato uno scavo a sezione per piscina” e che le opere abusive consistono in uno scavo a sezione obbligata per una profondità di circa 2,20 per la realizzazione di una piscina”, specificando, quanto allo stato dei lavori, della esistenza di scavo esistente ultimata al rustico, come si evince anche dalla documentazione fotografica allegata”. Dunque, nella documentazione allegata alla istanza di condono non vi è riferimento alcuno all’esistenza delle opere descritte nelle perizie di parte depositate né alla esistenza di opere strumentali e tecnologiche che ne garantiscano l’attualità di un ordinario utilizzo. Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, risulta, dunque, condivisibile l’affermazione del giudice di primo grado e della Soprintendenza che escludono l’esistenza di una piscina” ultimata nei termini di legge, con le caratteristiche tipiche per poter considerare sussistente il concetto di ultimazione previsto dalla normativa di settore sul condono edilizio. Né può ritenersi il difetto di motivazione in ordine alle ragioni per le quali il manufatto non potesse essere considerato una piscina, risultando in proposito sufficiente il riferimento alla esistenza di uno scavo ricoperto da un telo di plastica. Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, pertanto, il primo motivo di appello deve essere rigettato. Con il secondo motivo di appello il signor Solima lamenta error in iudicando – violazione degli artt. 7 e 8 della legge 2 agosto 1990 n. 241. Espone che il provvedimento impugnato rileva che la comunicazione del Comune di Massa Lubrense alla Soprintendenza è stata contestualmente inviata anche al privato. Evidenzia, peraltro, che tale comunicazione non è sufficiente a soddisfare la garanzia partecipativa di cui agli artt. 7 e 8 della legge n. 241/1990. Invero, era necessaria la comunicazione all’interessato della intenzione dell’eventuale annullamento, di modo che lo stesso avesse potuto formulare le proprie osservazioni ed introdurre nel procedimento gli interessi dei quali era portatore. Richiama in proposito la pronuncia di questa Sezione n. 1473/2007, in base alla quale la comunicazione comunale di inoltro dell’autorizzazione paesaggistica non chiarisce né se l’organo intende esercitare il suo potere di annullamento, né quale sia il termine del medesimo e il responsabile del procedimento presso cui attivare il contraddittorio. La sentenza di primo grado avrebbe errato nel respingere il relativo motivo di ricorso, facendo applicazione dell’articolo 21 octies della legge n. 241/1990 in quanto l’atto non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato, deducendo in proposito che il coinvolgimento del privato nel procedimento di annullamento avrebbe potuto consentirgli di produrre le prove della ultimazione della piscina e del suo funzionamento. Il motivo di appello non è meritevole di favorevole considerazione. Va, invero, in primo luogo evidenziato che il Comune ha comunicato anche al privato la trasmissione alla Sovrintendenza degli atti relativi all’autorizzazione paesaggistica v. nota del 4-11-2004 , onde il privato è stato avvisato dell’avvio del procedimento volto al controllo ministeriale di legittimità sull’assenso paesaggistico comunale. Tanto in un’ottica sostanzialistica e di leale cooperazione tra soggetto pubblico e privato, ben avrebbe consentito a quest’ultimo di partecipare al procedimento di controllo dinanzi alla Soprintendenza, introducendo i propri interessi e le proprie ragioni. Sicchè può affermarsi che da un punto di vista sostanziale la garanzia partecipativa è stata rispettata, trovando tale conclusione fondamento nella successiva introduzione dell’articolo 159, comma 2, dell’articolo 159 del d.lgs. n. 42/2004, in base al quale l’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione dà immediata comunicazione alla soprintendenza delle autorizzazioni rilasciate, trasmettendo la documentazione prodotta dall’interessato nonché le risultanze degli accertamenti eventualmente esperiti. La comunicazione è inviata contestualmente agli interessati, per i quali costituisce avviso di avvio del procedimento ai sensi e per gli effetti della legge 7 agosto 1990 n. 241”. Pur non trovando la prefata disposizione normativa applicazione, ratione temporis, alla fattispecie in esame, essa è comunque indice di una equipollente, avvenuta conoscenza aliunde del procedimento da parte del privato attraverso la disposta comunicazione, sufficiente, in termini sostanziali, a consentirgli l’interlocuzione con l’organo statale. D’altra parte, l’avviso di avvio va riferito in generale al procedimento di secondo grado svolto dall’autorità ministeriale e non anche alla specifica determinazione annullatoria, considerandosi pure che il controllo ministeriale è attività necessaria, direttamente prevista dalla legge e che il privato, adoperando l’ordinaria diligenza a seguito dell’avvenuta comunicazione, ben avrebbe potuto acquisire presso la Sovrintendenza ogni utile elemento e spiegare la propria partecipazione procedimentale. Ciò posto, va peraltro evidenziata la peculiarità del caso di specie, laddove l’opera realizzata, così come fotograficamente rappresentata negli atti allegati alla domanda di condono edilizio, escludeva in maniera certa la configurabilità di una piscina” ultimata. La Sezione, pertanto, condivide l’affermazione del Tribunale, laddove afferma che l’atto non poteva avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato, con conseguente applicabilità dell’articolo 21 octies della legge n. 241/1990”. In conclusione, dunque, l’appello deve essere rigettato. La peculiarità e la complessità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del grado. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.