Il Comune non rimborsa le spese legali al consigliere processato nonostante l'assoluzione con formula piena

Il TAR Puglia prende in esame una fattispecie abbastanza ricorrente che nasce dalla sottoposizione a processo penale di un dipendente del Comune o di un consigliere comunale o di un assessore o di un sindaco per fatti connessi con la propria attività svolta in occasione della propria attività.

La sentenza in questione è la n. 1821/2016 del TAR Puglia, sezione di Lecce. La richiesta di rimborso. Ebbene, nell'ipotesi che l'imputato venga assolto - come nel caso di specie - con formula piena perché il fatto non sussiste, l'imputato assolto chiede al Comune il rimborso delle spese legali che ha dovuto sostenere per la propria difesa nel giudizio penale. Nel caso deciso dalla sentenza del TAR era accaduto che il soggetto sottoposto a processo penale fosse un consigliere comunale che, all'esito del giudizio penale, aveva inoltrato la richiesta di rimborso delle spese legali. Il Comune aveva, però risposto negativamente argomentando in ragione della inestensibilità della normativa dettata per i pubblici dipendenti agli amministratori, per l'esistenza di un conflitto di interessi nonché mancata osservanza dell’iter per la nomina di un legale di comune gradimento. Nonostante formalmente la parte abbia impugnato un atto amministrativo e cioè quello di rigetto la pretesa avrebbe dovuto essere decisa dal giudice ordinario spettando a quest’ultimo la giurisdizione su diritti soggettivi come riconosciuto, in esatti termini, dalle Sezioni Unite della Cassazione sentenza n. 478 del 2006 . Il quadro normativo Per il TAR Lecce è necessario muovere dalla ricostruzione del quadro normativo che regola la materia del rimborso spese per consiglieri, assessori e sindaci. Ed infatti, l’equiparazione tra l’amministratore e il dipendente dell’ente locale, operante solo sul terreno generalissimo della responsabilità ai sensi dell’art. 58 della legge 142/1990, è letteralmente venuta meno per effetto dell’abrogazione della disposizione che la contemplava ad opera dell’art. 274, comma 1, lett. q , d.lgs. n. 267/2000. la differenza tra dipendente e consigliere. In ogni caso, il principio che vale per il giudice amministrativo è che la regola che onera l'ente locale di farsi carico delle spese legali è inapplicabile al consigliere comunale, all’assessore comunale o al sindaco a causa della diversa struttura ontologica del rapporto che li lega all’ente. Ed infatti, mentre il dipendente è legato all’ente locale da un rapporto di servizio vero e proprio che giustifica la possibilità di conseguire il rimborso delle spese legali, da intendere alla stregua di istituto volto alla tutela del dipendente, il consigliere comunale è vincolato all’ente da mero rapporto di carattere onorario . Un rapporto che deve essere ascritto alla figura della rappresentanza politica più che del mandato con conseguente inapplicabilità anche dell'art. 1720 c.c. che obbliga il mandante a tenere indenne il mandatario delle spese che abbia dovuto subire per l'esecuzione del mandato cfr., in senso contrario, pur arrivando alla medesima conclusione della non rimborsabilità Cassazione civile, sez. III, n. 8103/2013 . Conflitto di interessi per costituzione di parte civile. Ma v'è di più. Ed infatti, il TAR ha comunque riconosciuto che il caso di specie rappresentava un'ipotesi di conflitto di interessi tra consigliere e Comune. Per il giudice amministrativo il conflitto di interessi è dimostrato - nel caso di specie - dalla avvenuta costituzione di parte civile ad opera del Comune nell'ambito del processo penale ove era imputato il consigliere. Del resto, per il TAR, la costituzione di parte civile dell’ente territoriale non rappresenta esito automatico della instaurazione di un procedimento penale nei confronti di un amministratore locale ma è frutto, semmai, di autonoma scelta processuale rimessa alla piena discrezionalità dell’ente con la conseguenza che determina, senz’altro, una situazione di incompatibilità nei confronti dell’imputato, che appare pienamente riconducibile al conflitto di interessi . Esclusa con molte perplessità la disparità con l'archiviazione. Ma c'è un passaggio finale della sentenza che merita di essere approfondito. Ed infatti, con un ulteriore argomentazione il consigliere aveva lamentato che il Comune in altre due occasioni aveva liquidato le spese legali ad altri due consiglieri. Per il TAR, tuttavia, non vi è disparità di trattamento in quanto vi era stata un'ordinanza di archiviazione dal Gip, su richiesta dello stesso P.m. e non già un'assoluzione all'esito di un dibattimento. Le situazioni sarebbero differenti perché la circostanza che nei confronti dei due consiglieri comunali in questione non sia stata nemmeno esercitata l’azione penale, essendosi ritenuta l’insussistenza di elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio si veda art. 125 disp. att. c.p.p. rende palese la disomogeneità delle situazioni poste a confronto ed impedisce di parlare di disparità di trattamento . Senonché, a mio avviso, non può essere che la situazione di un imputato assolto con formula piena all'esito di un dibattimento possa essere in qualche modo più deteriore di un indagato nei cui confronti non è stata esercitata l'azione penale per archiviazione. Colui il quale merita sicuramente maggior favore, se così possiamo dire, è il condannato perché, non soltanto ha subito un processo che probabilmente avrebbe dovuto o potuto essere evitato con l'udienza preliminare magari o con una richiesta di archiviazione , ma è anche il soggetto la cui responsabilità, per quel fatto non potrà mai essere messa in discussione. Ed infatti, la sentenza di assoluzione pronunciata all'esito del dibattimento ha efficacia di giudicato nei processi civili e amministrativi nonché in quelli disciplinari. Si tratta cioè di un giudicato che fa stato a tutto tondo e quindi sarebbe preferibile rimborsare le peraltro maggiori spese all' assolto piuttosto che all' archiviato ove l'archiviazione non possiede la medesima forza espansiva .

TAR Puglia, sez. II – Lecce, sentenza 11 maggio – 28 novembre 2016, numero 1821 Presidente Di Santo – Estensore Dibello Fatto Con deliberazione del Commissario Prefettizio del Comune di Ruffano numero 1 dell’8/08/2011, è stata respinta la richiesta di rimborso delle spese legali sostenute dal dott. C., ex consigliere comunale nel quinquennio 2000-2005, nell’ambito del procedimento penale contrassegnato dal numero 3921/08 R.G.N.R., celebratosi innanzi al Tribunale di Lecce, e conclusosi con sentenza di assoluzione del medesimo dai reati ascrittigli perché il fatto non sussiste”. Il provvedimento sfavorevole è stato assunto dall’organo commissariale dell’ente civico per le seguenti ragioni sinteticamente riportate a inestensibilità della normativa dettata per i pubblici dipendenti agli amministratori b esistenza di un conflitto di interessi c mancata osservanza dell’iter per la nomina di un legale di comune gradimento. Il C. dubita della legittimità della decisione in questione alla luce delle seguenti censure Violazione di legge a articolo 58 legge 142/90 b articolo 16 D.P.R. numero 199/1979 c articolo 67 D.P.R. numero 268/1987 d articolo 50 D.P.R. 333/90 e articolo 22 D.P.R. 25 giugno 1983 f articolo 28 del CCNL 14.9.2000 Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà della motivazione, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, erronea applicazione dell’articolo 1720 c.c. Eccesso di potere. Disparità di trattamento e ingiustizia manifesta. Violazione del principio di ragionevolezza. Il Comune di Ruffano si è costituito in giudizio ed ha eccepito l’inammissibilità del ricorso e la sua infondatezza nel merito. Le parti hanno versato memorie illustrative delle reciproche tesi. La controversia è poi passata in decisione alla pubblica udienza dell’11 maggio 2016. Diritto Con il primo motivo di ricorso, il C. sostiene che il Comune di Ruffano, negandogli il rimborso delle spese legali, è incorso nella violazione dell’articolo 58 della legge 142/90, il quale dispone che per gli amministratori degli enti locali si osservano le disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato. Dovrebbe, pertanto, trovare applicazione l’articolo 16 del D.p.r. numero 199/1979 che, richiamato dall’articolo 67 del D.p.r. numero 268/1987 in combinato disposto con l’articolo 50 del D.p.r. numero 333/90 prevede l’assistenza processuale per i dipendenti degli enti locali in conseguenza di atti e fatti connessi all’espletamento dei compiti d’ufficio, purchè non vi sia conflitto d’interessi con l’ente e sia riconosciuta l’assenza di dolo o colpa grave. Anche la normativa di recepimento degli accordi tra la P.a. e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sin dal menzionato D.p.r. 1.6.1979 numero 199 articolo 16 prevede che l’ente locale, datore di lavoro, debba assumere ogni onere derivante da procedimenti civili e penali che coinvolgono i propri dipendenti per fatti o atti connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, purchè non sussista un conflitto di interessi e non sia accertato il dolo o la colpa grave. A sostegno della tesi militerebbero ulteriori norme quali l’articolo 22 del D.p.r. 25 giugno 1983, l’articolo 67 del D.p.r. 13 maggio 1987 numero 268 e di recente, l’articolo 28 del CCNL 14 settembre 2000. Si sottolinea, altresì, che anche in giurisprudenza, sia essa ordinaria o anche amministrativa, è consolidato il principio in base al quale i dipendenti pubblici e gli amministratori devono essere tenuti indenni dall’onere delle spese legali sostenute per difendersi nei giudizi penali che abbiano dovuto affrontare per fatti, atti o omissioni, connessi all’esercizio delle loro funzioni e semprechè il giudizio si sia concluso in modo pienamente favorevole per loro. La tesi non può essere condivisa dal Collegio. Le norme di rango primario e secondario richiamate dalla difesa del ricorrente sono state tutte abrogate e non possono trovare applicazione ai fini della presente controversia. Ed invero, la legge 8 giugno 1990 numero 142, recante Ordinamento delle autonomie locali, è stata abrogata espressamente dall’articolo 274, comma 1 lettera q del D.lgs. 18 agosto 2000, numero 267. Deriva, da tanto, che l’articolo 58 della legge 142 del 1990, il quale prevedeva che per gli amministratori e per il personale degli enti locali si osservano le disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato” non produce più effetti, essendo stata espunta dall’ordinamento la fonte normativa che lo contiene. Ciò vuol dire che l’equiparazione tra l’amministratore e il dipendente dell’ente locale, operante solo sul terreno generalissimo della responsabilità ai sensi dell’articolo 58 della legge 142/1990, è letteralmente venuta meno per effetto dell’abrogazione della disposizione che la contemplava. Quanto alla invocata applicazione dell’articolo 67 del D.P.R. 13 maggio 1987, numero 268 – peraltro abrogato anch’esso dall’articolo 62, comma 1, del D.L. 9 febbraio 2012, numero 5 – si osserva che la norma in questione contiene la regola dell’assunzione, da parte dell’ente locale, degli oneri di difesa sostenuti dal dipendente a causa dell’apertura di un procedimento penale per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, a condizione che non sussista conflitto di interessi, che non sia accertato il dolo o la colpa grave e che la scelta del difensore sia stata di comune gradimento. Ma siffatta regola, contrariamente a quanto opinato dalla difesa del ricorrente, è inapplicabile al consigliere comunale, all’assessore comunale o al sindaco. L’orientamento giurisprudenziale più avveduto esclude la possibilità di equiparare, ai fini del rimborso delle spese legali sostenute per affrontare un procedimento penale, il dipendente dell’ente locale al consigliere comunale per la diversa struttura ontologica del rapporto che lega costoro all’ente medesimo. Mentre, infatti, il dipendente è legato all’ente locale da un rapporto di servizio vero e proprio che giustifica la possibilità di conseguire il rimborso delle spese legali, da intendere alla stregua di istituto volto alla tutela del dipendente, il consigliere comunale è vincolato all’ente da mero rapporto di carattere onorario. Si tratta, in altri termini, di soggetto che non presta le sue energie esclusivamente in favore dell’ente locale presso cui è stato eletto e nei confronti del quale non può ritenersi sussistente analoga finalità protezionistica. si veda, tra le altre, Cass.civ. sez I, 17 marzo 2015, numero 5264 . Lamenta, poi, il ricorrente, con il secondo motivo di gravame, che il Comune di Ruffano abbia dato erronea applicazione all’articolo 1720 c.c. Il Comune avrebbe, in altri termini, ritenuto che il rapporto tra il consigliere comunale e l’ente possa inquadrarsi alla stregua di un contratto di mandato ma avrebbe erroneamente interpretato il principio generale di diritto civile dettato dall’articolo 1720, secondo comma c.c. in base al quale il mandante ha l’obbligo di risarcire al mandatario i danni che questo ha subito a causa dell’incarico, purchè il danno sia stato causa immediata e diretta dell’incarico. Si sostiene, sotto tale profilo, che tra l’adempimento del mandato e la perdita pecuniaria subita dal consigliere C. a causa dell’incarico espletato c’è un nesso di causalità immediata e diretta che discende, sia dal capo di imputazione, ossia dal tipo di reati ascrittigli, sia dalla sentenza di assoluzione. Ed ancora, il rimborso delle spese legali sarebbe stato erroneamente negato ritenendosi sussistente un conflitto di interessi con l’ente locale che avrebbe indotto il Comune a costituirsi parte civile nel dibattimento incardinato nei confronti del C. al solo fine di stigmatizzare la mancata comunicazione all’ente dei fatti che lo coinvolgevano in sede penale. Anche il secondo motivo di ricorso non è fondato. Il Collegio dubita della possibilità di applicare al rapporto tra consigliere comunale ed ente locale presso il quale lo stesso svolge il proprio incarico le coordinate civilistiche del contratto di mandato. Il rapporto che vincola il consigliere comunale all’ente non è, per vero, assimilabile ad un mandato in senso proprio. Una volta eletto in base alle regole della democrazia rappresentativa, il consigliere comunale viene investito, infatti, di un compito più ampio di quello del mandatario. Mentre quest’ultimo agisce per conto del mandante, ossia nell’interesse esclusivo del mandante, il consigliere comunale è chiamato a curare gli interessi di tutta la comunità locale in cui opera o, quanto meno, di tutta la parte politica che lo ha eletto, il che genera un rapporto che può definirsi di rappresentanza politica. Deve, d’altra parte, sottolinearsi che, nel caso di specie, pur volendo dare il giusto risalto alla sentenza di assoluzione, pronunciata nei riguardi del ricorrente con la formula perché il fatto non sussiste”, la costituzione di parte civile del Comune di Ruffano nella sede dibattimentale ha palesato la chiara sussistenza di un conflitto di interessi tra amministratore ed ente locale. Detto conflitto di interessi emerge non appena si consideri che la costituzione di parte civile dell’ente territoriale non rappresenta esito automatico della instaurazione di un procedimento penale nei confronti di un amministratore locale ma è frutto, semmai, di autonoma scelta processuale rimessa alla piena discrezionalità dell’ente. La costituzione di parte civile rivela, d’altra parte, la volontà dell’ente di affiancare l’ufficio del pubblico ministero a sostegno delle ragioni della pubblica accusa e determina, senz’altro, una situazione di incompatibilità nei confronti dell’imputato, che appare pienamente riconducibile al conflitto di interessi. Né è emerso che la parte civile costituita e, cioè, il Comune di Ruffano abbia inteso revocare la propria scelta in sede penale, ai sensi dell’articolo 82 del c.p.p., circostanza questa che avrebbe determinato il venir meno del conflitto di interessi. Perdurando tale conflitto, il Comune di Ruffano ha legittimamente negato il rimborso delle spese legali sostenute dal ricorrente, pur al cospetto di una sentenza di assoluzione con formula ampiamente liberatoria. Con il terzo motivo di ricorso, il sig. C. si duole del fatto che la P.a. ha trattato la sua richiesta di rimborso spese legali in modo difforme rispetto a fattispecie oggettivamente e soggettivamente uguali,- quelle di tali consiglieri Gaetani e Morello - in violazione dei principi di eguaglianza, ragionevolezza, legalità, buon andamento e imparzialità di cui all’articolo 97 Cost. Anche questa doglianza non può essere condivisa. La lettura delle determine con le quali è stato autorizzato il rimborso delle spese legali sostenute dai due consiglieri comunali citati rivela la diversa situazione in cui entrambi sono venuti a trovarsi. Si tratta, infatti, di due soggetti nei cui riguardi è stata pronunciata ordinanza di archiviazione dal Gip, su richiesta dello stesso P.m. La circostanza che nei confronti dei due consiglieri comunali in questione non sia stata nemmeno esercitata l’azione penale, essendosi ritenuta l’insussistenza di elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio si veda articolo 125 disp.att. c.p.p. rende palese la disomogeneità delle situazioni poste a confronto ed impedisce di parlare di disparità di trattamento. Per le ragioni che si sono esposte, il ricorso va respinto. Sussistono tuttavia eccezionali ragioni per procedere ad una compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Seconda definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.