Costa caro trascurare il deposito regolare delle proprie armi

Il proprietario delle armi regolarmente denunciate deve prestare la massima attenzione all'uso e alla custodia delle pistole e dei fucili, nel rispetto delle dotazioni personali. Ed evitare di consentirne il potenziale impiego da parte di terzi.

Lo ha chiarito il Consiglio di stato, sez. III, con la sentenza n. 4658 del 9 novembre 2016. La vicenda. Un imprenditore è stato arrestato dai carabinieri che hanno trovato nella sede della sua azienda armi di proprietà del padre, munizioni non denunciate e una custodia poco rigorosa di tutte queste dotazioni in un armadio metallico a disposizione anche di un dipendente. Contro il conseguente provvedimento di divieto di detenzione di armi da fuoco disposto dal prefetto di Foggia l'interessato ha proposto con successo ricorso al TAR ma il collegio ha ribaltato il risultato confermando l'ordine severo della prefettura. Contesto normativo. Gli artt. 11, 39 e 43 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza n. 733/1931 parlano chiaro. Il legislatore, specifica la sentenza, ha individuato i casi in cui l’Autorità amministrativa è titolare di poteri strettamente vincolati e quelli in cui, invece, è titolare di poteri discrezionali. In relazione all’esercizio dei relativi poteri discrezionali, l’art. 39 attribuisce alla prefettura il potere di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti a chi chieda il rilascio di una autorizzazione di polizia o ne sia titolare, quando sia riscontrabile una capacità di abusarne”, mentre l’art. 43 consente alla competente autorità – in sede di rilascio o di ritiro dei titoli abilitativi - di valutare non solo tale capacità di abuso, ma anche – in alternativa - l’assenza di una buona condotta, per la commissione di fatti, pure se estranei alla gestione delle armi, munizioni e materie esplodenti, ma che comunque non rendano meritevoli di ottenere o di mantenere la licenza di polizia . In pratica la prefettura ha adeguatamente motivato la sua scelta discrezionale evidenziando l'inaffidabilità del soggetto in relazione alla detenzione di armi e munizioni. Per questo motivo il Consiglio di Stato ha annullato la decisione di primo grado confermando il divieto di detenzione di armi e munizioni.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 3 – 9 novembre 2016, n. 4658 Presidente / Estensore Maruotti Fatto e diritto 1. Col provvedimento n. 14083 del 28 aprile 2014, la Prefettura di Foggia ha richiamato le risultanze del procedimento e – in applicazione dell’art. 39 del testo unico n. 773 del 1931 – ha disposto nei confronti dell’appellato il divieto di detenere armi e munizioni. A fondamento dell’atto, il Prefetto ha rilevato che in data 19 novembre 2013, nel corso di un controllo della Stazione dei Carabinieri di Ascoli Satriano, è emerso che egli era tratto in arresto, perché deteneva illegalmente le armi di proprietà del padre, alcune delle quali avevano il caricatore inserito e il colpo in canna, nonché 106 cartucce calibro 7,65 non denunciate all’autorità, custodite all’interno di un armadio metallico situato in una rimessa, le cui chiavi erano in possesso di un dipendente. 2. Col ricorso di primo grado n. 1297 del 2014 proposto al TAR per la Puglia, Sede di Bari , l’interessato ha impugnato il provvedimento emesso il 28 aprile 2014, lamentandone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere. 3. Il TAR, con la sentenza n. 477 del 2016, ha accolto il ricorso, ravvisando i vizi di dofetto di istruttoria e di inadeguata motivazione, ed ha compensato tra le parti le spese del giudizio. 4. Con l’appello in esame, le Amministrazioni statali soccombenti hanno chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia respinto. Esse hanno richiamato gli atti istruttori del procedimento ed hanno dedotto che il Prefetto ha formulato valutazioni discrezionali, da considerare non viziate da eccesso di potere. L’appellato non si è costituito nel corso del secondo grado del giudizio. All’udienza del 3 novembre 2016 la causa è stata trattenuta per la decisione. 5. Ritiene la Sezione che l’appello sia fondato e vada accolto. 5.1. Per comodità di lettura, va riportato il contenuto degli articoli 11, 39 e 43 del testo unico n. 773 del 1931. L’art. 11 dispone che Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate 1 a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione 2 a chi è sottoposto all'ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza. Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta. Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione . L’art. 39 dispone che Il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne . L’art. 43 dispone che oltre a quanto è stabilito dall'art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi a a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione b a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico c a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi. La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi . Da tale quadro normativo, emerge che il legislatore ha individuato i casi in cui l’Autorità amministrativa è titolare di poteri strettamente vincolati ai sensi dell’art. 11, primo comma e terzo comma, prima parte, e dell’art. 43, primo comma, che impongono il divieto di rilascio di autorizzazioni di polizia ovvero il loro ritiro e quelli in cui, invece, è titolare di poteri discrezionali ai sensi dell’art. 11, secondo comma e terzo comma, seconda parte, e dell’art. 39 e 43, secondo comma . In relazione all’esercizio dei relativi poteri discrezionali, l’art. 39 attribuisce alla Prefettura il potere di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti a chi chieda il rilascio di una autorizzazione di polizia o ne sia titolare, quando sia riscontrabile una capacità di abusarne , mentre l’art. 43 consente alla competente autorità – in sede di rilascio o di ritiro dei titoli abilitativi - di valutare non solo tale capacità di abuso, ma anche – in alternativa - l’assenza di una buona condotta, per la commissione di fatti, pure se estranei alla gestione delle armi, munizioni e materie esplodenti, ma che comunque non rendano meritevoli di ottenere o di mantenere la licenza di polizia non occorrendo al riguardo un giudizio di pericolosità sociale dell’interessato Cons. Stato, Sez. III, 3 agosto 2016, n. 3516 Sez. III, 1° agosto 2014, n. 4121 Sez. III, 12 giugno 2014, n. 2987 . 5.2. Nella specie, la Prefettura di Foggia ha disposto il divieto di detenere armi e munizioni, in applicazione dell’art. 39 e, dunque, esercitando un potere discrezionale, ritenendo che l’appellato vada ritenuto capace di abusare della detenzione di armi e munizioni. Ritiene la Sezione che, in considerazione delle circostanze emerse nel corso del procedimento amministrativo, il provvedimento della Prefettura impugnato in primo grado non sia affetto dai profili di eccesso di potere, rilevati dal TAR. Il medesimo provvedimento ha richiamato le risultanze istruttorie e, in particolare, quanto è avvenuto il giorno 19 novembre 2013 nel corso di un controllo della Stazione dei Carabinieri di Ascoli Satriano, l’appellato è stato tratto in arresto, perché deteneva illegalmente le armi di proprietà del padre, alcune delle quali avevano il caricatore inserito e il colpo in canna, nonché 106 cartucce calibro 7,65 non denunciate all’autorità, custodite all’interno di un armadio metallico situato in una rimessa, le cui chiavi erano in possesso di un dipendente. La sentenza impugnata non ha considerato irrilevanti tali circostanze, ma ha ritenuto che la Prefettura di Foggia avrebbe dovuto ciononostante formulare una valutazione specifica sulla ‘inaffidabilità’ dell’interessato, sia per la collaborazione da lui mostrata nel corso dell’attività svolta dai Carabinieri della Stazione di Ascoli Satriano, sia per le modalità con cui gli sono state consegnate le chiavi della rimessa dal dipendente, oltre che per il fatto che in sede penale è stato formulato un giudizio di non pericolosità. Ritiene la Sezione che, invece, sia adeguatamente motivata e del tutto ragionevole – e di per sé insindacabile in sede di legittimità - la valutazione del Prefetto sul mancato affidamento di non abusare delle armi come ha più volte rilevato questo Consiglio cfr. Sez. III, 20 ottobre 2016, n. 4391 Sez. III, 6 giugno 2016, n. 2407 Sez. III, 31 maggio 2016, n. 2310 e n. 2309 , va ravvisato un abuso quando il titolare della licenza custodisca la propria arma in modo tale che altri possa utilizzarla, ovvero quando possieda armi altrui, ovvero altrui o cartucce non denunciate. Né si può ritenere che vi fosse una giustificazione del possesso delle armi del padre, peraltro risultato residente in altro Comune, come si evince da p. 2 della relazione della Prefettura, redatta in data 14 ottobre 2014 ed acquisita nel corso del giudizio. 6. Quanto precede induce la Sezione a ritenere che il contestato atto del Prefetto risulta basato su una accurata istruttoria e su una adeguata motivazione, sicché – in accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza impugnata – il ricorso di primo grado va respinto. La condanna al pagamento delle spese e degli onorari dei due gradi del giudizio segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza accoglie l’appello n. 6346 del 2016 e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado n. 1297 del 2014, proposto al TAR per la Puglia, Sede di Bari. Condanna l’appellato al pagamento di euro 1.500 millecinquecento per spese ed onorari dei due gradi del giudizio, di cui 500 per il primo grado e 1.000 per il secondo. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.