È bravo a fare i biscotti ed ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato, ma…

viene rispedito al Paese di origine il cittadino extracomunitario che per ottenere asilo politico in Italia aveva contraffatto il passaporto dichiarando di essere cittadino liberiano mentre proveniva dal Ghana.

Rispedito al Paese di origine. È quanto affermato dal Consiglio di Stato con la pronuncia n. 4203 dell’11 ottobre 2016. La normativa sull’immigrazione, infatti, all’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 286/1998 stabilisce che l’uso di documentazione contraffatta ai fini del rilascio del permesso di soggiorno rende inammissibile la domanda dell’immigrato. Inoltre il medesimo d.lgs., all’art. 5, comma 8- bis introdotto dalla l. n. 189/2002 e modificato dalla l. n. 94/2009 , prevede che coloro che alterino documenti al fine di ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno siano puniti con la reclusione da uno a sei anni. La suddetta normativa è stata applicata al caso di specie, in quanto come ha rilevato la stessa sentenza appellata l’immigrato, sbarcato a Lampedusa il 14 giugno 2002, solo avvalendosi di mezzi fraudolenti, cioè dichiarando di provenire da un territorio la Liberia dove sarebbe stato perseguitato, aveva potuto ottenere dalla Questura di Crotone i primi temporanei permessi in qualità di richiedente asilo e poi, comunque, nel 2004 quello per esigenze di protezione umanitaria, poi rinnovato nel 2007 e nel 2011 anche dalla stessa Questura di Reggio Emilia. Tra l’altro la circostanza che l’immigrato non fosse cittadino liberiano e che il passaporto liberiano fosse contraffatto ha trovato ulteriore riscontro anche nel fatto che in quel periodo l’immigrato aveva ottenuto dalla Questura di Reggio Emilia una serie di visti di reingresso in Italia, per consentirgli il rientro dopo i viaggi fatti con frequenza quasi annuale in Ghana, dove vivevano la moglie e la figlia, le quali, nonostante il nullaosta ottenuto il 3 dicembre 2013 per il ricongiungimento familiare in Italia, tuttavia non hanno fatto ingresso sul territorio nazionale.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 30 agosto – 11 ottobre 2016, numero 4203 Presidente Maruotti – Estensore Spiezia Fatto e diritto 1.Con decreto 10 febbraio 2015, il Questore di Reggio Emilia ha revocato il permesso di soggiorno numero - omissis -per protezione sussidiaria, rilasciato nel 2011 ai sensi del D.LGS. numero 251/2007, articolo 17 al signor - omissis -, in quanto, da accertamenti eseguiti nel luglio 2014, è risultato che la protezione sussidiaria era stata riconosciuta sulla base di documentazione contraffatta. In particolare nel decreto di revoca si rileva che l’immigrato, avendo dichiarato nel 2002 epoca dell’arrivo in Italia di essere cittadino liberiano, aveva ottenuto, dapprima, un permesso di soggiorno per attesa di asilo politico e, poi, nel 2011 il permesso di soggiorno numero - omissis -per protezione sussidiaria efficace fino al 24 marzo 2014 ai sensi del D.LGS. numero 251/2007, articolo 17, mentre successivamente, dagli accertamenti compiuti dalla Questura di Reggio Emilia nel corso del procedimento di rilascio di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato su istanza presentata dall’immigrato in data 24 maggio 2014 , era emerso che il passaporto della Repubblica della Liberia, esibito dall’immigrato, presentava evidenti segni di contraffazione. Per tale ragione come risulta dal decreto di revoca in questione in data 2 luglio 2014 l’immigrato era stato deferito dal Questore di Reggio Emilia alla autorità giudiziaria per l’uso del passaporto falso, mentre veniva acquisita agli atti della Questura anche la dichiarazione dell’Ambasciata del Ghana in Italia recante data 11 agosto 2014 , in cui si attesta che l’immigrato, nato in Ghana, ha cittadinanza ghanese, e non liberiana. Inoltre, in pari data 10 febbraio 2015, il Questore di Reggio Emilia con altro decreto, richiamata la revoca del titolo di soggiorno per ragioni umanitarie disposta in pari data nei confronti dell’immigrato, dichiarava irricevibile l’istanza di rilascio di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato, da lui presentata in data 24 maggio 2015, . 1.1.Avverso il decreto di diniego di permesso di soggiorno 10 febbraio 2015 notificato il 19 novembre 2014 , l’immigrato ha proposto ricorso al TAR Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, che con sentenza semplificata del 16 febbraio 2016 lo ha respinto. 1.2. Avverso la sentenza del giudice di primo grado l’immigrato ha proposto l’appello in epigrafe, chiedendone la riforma, previa sospensione, con unico articolato motivo. In particolare deduce l’appellante che il decreto sarebbe viziato per eccesso di potere e per difetto di motivazione e di istruttoria, in quanto il Questore non avrebbe tenuto conto del fatto che l’immigrato, in Italia fin dal 2002, è incensurato e svolge regolare attività lavorativa presso il - omissis -fin dal 2006, con qualifica di biscottiere e con contratto a tempo indeterminato, mentre il diniego di rilascio del permesso di soggiorno lo costringerebbe a lasciare il territorio nazionale, con il conseguente distacco dall’ambiente nel quale è inserito ed in assenza di persistenti legami con il paese di origine in Africa. 1.3. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, chiedendo il rigetto dell’appello e depositando anche la documentazione esibita innanzi al giudice di primo grado. Fissata la trattazione dell’istanza cautelare al 30 agosto 2016, alla camera di consiglio in tale data, avvisato l’Avvocato dello Stato presente della possibilità che il Collegio decidesse nel merito la controversia, la causa è passata in decisione. 2. Quanto sopra premesso in fatto, in diritto la controversia concerne il mancato rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato all’immigrato appellante a seguito di istanza presentata in data 24 maggio 2015. Il Questore di Reggio Emilia ha negato il permesso di soggiorno per lavoro dipendente all’immigrato, in quanto, esaminando la relativa istanza di rilascio del permesso di soggiorno nel corso dell’istruttoria, gli uffici hanno rilevato che l’immigrato sbarcato in Italia a Lampedusa nel 2002 allegava un passaporto della Repubblica della Liberia con chiari segni ci contraffazione inoltre l’immigrato, convocato in Questura per i rilievi dattiloscopici in data 2 luglio 2015, dichiarava di essere cittadino del Ghana, e non della Liberia, come fino ad allora aveva sempre dichiarato fin dal suo sbarco a Lampedusa anche alla Questura di Crotone e documentato, anche in occasione della presentazione della richiesta di permesso di soggiorno per lavoro subordinato, esibendo il proprio passaporto numero - omissis - rilasciato dalla Repubblica della Liberia. Quindi la Questura di Reggio Emilia, constatati i segni di contraffazione del passaporto attraverso alcuni esami strumentali compresa la verifica della filigrana dei fogli del passaporto con il video comparatore spettrale , denunciava il richiedente alla Procura della Repubblica presso il Tribunale penale di Reggio Emilia per violazione dell’articolo 5, comma 8 bis, del d.lgs. numero 286/1998 e dell’art 495 c.p. 2.1. Infine in data 19 agosto 2014 l’immigrato ha esibito alla Questura un diverso passaporto - omissis -rilasciato pochi giorni prima dalla Ambasciata del Ghana a Roma, in qualità di cittadino nato in Ghana, depositando altresì una dichiarazione dell’Ambasciata del Ghana a Roma in cui si precisava che l’Ambasciata non è in grado di commentare le sue pretese di una seconda cittadinanza”. 2.3. Pertanto, alla luce degli esposti elementi, dall’appello non sono emersi elementi nuovi che inducano il Collegio a discostarsi dall’iter logico seguito dal giudice di primo grado nel respingere il ricorso dell’immigrato avverso il diniego di rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Infatti, nel caso di specie la Questura non poteva tener conto a favore dell’immigrato né della stabile occupazione, né della ultradecennale permanenza in Italia, visto che la normativa sull’immigrazione all’articolo 4, comma 2, del d.lgs. numero 286/1998 stabilisce che l’uso di documentazione contraffatta ai fini del rilascio del permesso di soggiorno rende inammissibile la domanda dell’immigrato. 2.4. Inoltre il d.lgs. numero 286/1998, all’articolo 5, comma 8 bis introdotto dalla legge numero 189/2002 e modificato dalla legge numero 94/2009 , prevede che coloro, che alterino documenti al fine di ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno, siano puniti con la reclusione da uno a sei anni . La suddetta normativa va applicata al caso di specie, in quanto come ha rilevato la stessa sentenza appellata l’immigrato, sbarcato a Lampedusa il 14 giugno 2002, solo avvalendosi di mezzi fraudolenti, cioè dichiarando di provenire da un territorio la Liberia dove sarebbe stato perseguitato, aveva potuto ottenere dalla Questura di Crotone i primi temporanei permessi in qualità di richiedente asilo e poi, comunque, nel 2004 quello per esigenze di protezione umanitaria, poi rinnovato nel 2007 e nel 2011 anche dalla stessa Questura di Reggio Emilia. Tra l’altro la circostanza che l’immigrato non fosse cittadino liberiano e che il passaporto liberiano fosse contraffatto trova ulteriore riscontro anche nel fatto che in quel periodo l’immigrato ha ottenuto dalla Questura di Reggio Emilia una serie di visti di reingresso in Italia, per consentirgli il rientro dopo i viaggi fatti con frequenza quasi annuale in Ghana, dove vivevano la moglie e la figlia, le quali, nonostante il nullaosta ottenuto il 3 dicembre 2013 per il ricongiungimento familiare in Italia, tuttavia non hanno fatto ingresso sul territorio nazionale . 3. In conclusione, per le esposte considerazioni, l’appello va respinto, con la conseguente conferma della sentenza di primo grado, che ha respinto il ricorso proposto dall’immigrato. Considerate, peraltro, le caratteristiche particolari in punto di fatto della vicenda, sussistono giusti motivi per compensare le spese del secondo grado di giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza respinge l’appello in epigrafe numero 4264 del 2016, con la conferma della sentenza impugnata. Spese del secondo grado di giudizio compensate tra le parti.