Attenzione a far esplodere un colpo di arma da fuoco in aria!

Vigilantes, impaurito, spara - seppur accidentalmente - un colpo in aria. Per il Prefetto tale comportamento denota scarso buon senso, negligenza e imprudenza .

Questa la vicenda all’attenzione del Consiglio di Stato, che l’ha decisa con la sentenza n. 4087/16, depositata il 4 ottobre. Affidabilità e porto d'armi. Vigilantes, impaurito, spara - seppur accidentalmente - un colpo in aria. Per il Prefetto tale comportamento denota scarso buon senso, negligenza e imprudenza . Dalchè la revoca, legittima, del divieto di detenzione di armi e munizioni con conseguente revoca del decreto di nomina a guardia giurata , ai sensi dell’art. 39 del testo unico di pubblica sicurezza nonchè successivamente, del porto d'armi per uso sportivo. Insomma, attenzione a far esplodere un colpo di arma da fuoco in aria, a scopo intimidatorio, davanti all’ingresso del supermercato, presso il quale si svolge la propria attività lavorativa in servizio di antitaccheggio perchè tale fatto può comportare la perdita del lavoro. Sta di fatto che l’appellante, in abiti civili, aveva avuto un alterco con un ragazzo che peraltro aveva già pagato questi, in compagnia di un altro ragazzo e di una donna con una bambina, aveva invitato l’appellante a non guardarlo fissamente. Negli attimi successivi, dapprima i ragazzi erano saliti in auto per andare via e, dopo che uno di loro era sceso dall’auto, l’appellante – nel timore personale di poter essere aggredito – aveva estratto l’arma in dotazione, rivolta verso l’alto, dalla quale è partito un colpo. Da questo fatto il Prefetto aveva disposto la revoca/decadenza dei titoli autorizzatori ritenuta dal Giudice amministrativo legittima. I poteri dell’Autorità amministrativa. Dal quadro normativo riconducibile al testo unico di pubblica sicurezza, ha osservato la Sezione, emerge che il legislatore ha individuato i casi in cui l’Autorità amministrativa è titolare di poteri strettamente vincolati ai sensi dell’art. 11, primo comma e terzo comma, prima parte, e dell’art. 43, primo comma, che impongono il divieto di rilascio di autorizzazioni di polizia ovvero il loro ritiro e quelli in cui, invece, è titolare di poteri discrezionali ai sensi dell’art. 11, secondo comma e terzo comma, seconda parte, e dell’art. 39 e 43, secondo comma . In relazione all’esercizio dei relativi poteri discrezionali, l’art. 39 attribuisce alla Prefettura il potere di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti a chi chieda il rilascio di una autorizzazione di polizia o ne sia titolare, quando sia riscontrabile una capacità di abusarne , mentre l’art. 43 consente alla competente autorità – in sede di rilascio o di ritiro dei titoli abilitativi - di valutare non solo tale capacità di abuso, ma anche – in alternativa - l’assenza di una buona condotta, per la commissione di fatti, pure se estranei alla gestione delle armi, munizioni e materie esplodenti, ma che comunque non rendano meritevoli di ottenere o di mantenere la licenza di polizia non occorrendo al riguardo un giudizio di pericolosità sociale dell’interessato Cons. Stato, Sez. III, 25 agosto 2016, n. 3693 Sez. III, 7 marzo 2016, n. 922 Sez. III, 1° agosto 2014, n. 4121 Sez. III, 12 giugno 2014, n. 2987 . Nel caso specifico, la Prefettura di Perugia ha disposto il divieto di detenere armi e munizioni in applicazione dell’art. 39 e, dunque, esercitando un potere discrezionale, ritenendo che l’appellante non dia affidamento di non abusare delle armi. La motivazione, sulla assenza di affidabilità , è risultata ragionevole, poiché il Prefetto ha ben potuto ritenere dai fatti accertati che l’appellante non solo avrebbe potuto evitare con buon senso quanto accaduto, evitando di far trascendere la cosa, una volta risultato che vi era stato il dovuto pagamento alla cassa, ma abbia complessivamente agito senza il dovuto autocontrollo.

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 30 agosto – 4 ottobre 2016, n. 4087 Presidente/Estensore Maruotti Fatto e diritto 1. Con atto emesso il 14 aprile 2014, la Prefettura di Perugia ha emanato nei confronti dell’appellante un divieto di detenzione di armi e munizioni, ai sensi dell’art. 39 del testo unico di pubblica sicurezza. Con atto del 2 maggio 2014, l’Amministrazione ha disposto la sospensione della licenza di porto di fucile per uso sportivo. Col ricorso n. 423 del 2014 proposto al TAR per l’Umbria , l’interessato ha impugnato tali atti, chiedendone l’annullamento per violazione di legge ed eccesso di potere. Con l’ordinanza cautelare n. 103 del 30 luglio 2014 confermata dall’ordinanza di questa Sezione n. 4735 del 16 ottobre 2014 , il TAR ha sospeso gli effetti dei medesimi atti. 2. Con atto del viceprefetto – omissis -, è stata poi disposta la revoca del decreto di nomina a guardia particolare giurata, cui è seguito in data 18 febbraio 2015 un ulteriore atto di divieto di porto d’armi e munizioni, emesso ai sensi dell’art. 39 del testo unico. Col ricorso n. 247 del 2015 proposto al medesimo TAR per l’Umbria , l’interessato ha impugnato anche tali atti. 3. Con la sentenza n. 499 del 2015, il TAR – previa loro riunione – ha dichiarato improcedibile il ricorso n. 423 del 2015 ed ha respinto il ricorso n. 247 del 2015, compensando tra le parti le spese e gli onorari dei giudizi. 4. Con l’appello in esame, l’interessato ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, sia accolto il ricorso di primo grado n. 247 del 2015. 5. Col primo motivo, l’interessato ha dedotto che il TAR avrebbe errato nel dichiarare l’improcedibilità del primo ricorso n. 423 del 2014, proposto contro il divieto emesso il 14 aprile 2014 ex art. 39 di detenere armi e munizioni e la sospensione della licenza del porto di fucile per uso caccia, emessa dal Questore in data 2 maggio 2014. Egli ha rilevato che ha un perdurante interesse ad ottenere l’annullamento di tali atti, sia perché il successivo provvedimento del Questore di data 23 febbraio 2015 ha revocato la licenza di porto di fucile per uso sportivo, sia perché potrebbero essere ravvisati danni risarcibili nel caso di accoglimento delle censure proposte contro il divieto ex art. 39 emesso il 14 aprile 2014, quanto meno per il mancato uso delle armi sino all’emanazione del secondo provvedimento ex at. 39, emesso in data 18 febbraio 2015 anch’esso impugnato col secondo ricorso n. 247 del 2015 . 6. Ritiene la Sezione che tale censura risulta fondata e vada accolta. Contrariamente a quanto ha rilevato la sentenza impugnata, l’emanazione dei provvedimenti impugnati col secondo ricorso di primo grado n. 247 del 2015 non ha fatto venire meno l’interesse alla decisione del primo ricorso n. 423 del 2014, sia per la diversità oggettiva del contenuto degli atti, sia per gli aspetti risarcitori, rilevanti nel caso di accertata fondatezza del primo ricorso. Deve pertanto passarsi all’esame delle censure formulate col ricorso di primo grado n. 423 del 2014, come riproposte in questa sede. 7. L’appellante ha lamentato la violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 e difetto di motivazione, poiché l’Amministrazione non avrebbe valutato le osservazioni presentate ai sensi dell’art. 10 bis della medesima legge, affermando apoditticamente che egli non darebbe garanzie di affidabilità, in quanto il comportamento denota scarso buon senso, negligenza ed imprudenza v. pp. 6-7 eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria, nonché travisamento dei fatti, poiché la Prefettura si sarebbe limitata a prendere atto della segnalazione dei Carabinieri, senza svolgere ulteriori attività istruttorie e senza acquisire informazioni sul suo puntuale svolgimento della attività di guardia giurata v. pp. 7-9 la violazione del principio di proporzionalità, poiché l’atto ha inciso sullo svolgimento dell’attività di guardia giurata, senza valutare gli interessi in conflitto v. pp. 9-10 . 8. Ritiene la Sezione che le censure così riassunte siano infondate e vadano respinte. 8.1. Per comodità di lettura, va riportato il contenuto degli articoli 11, 39 e 43 del testo unico n. 773 del 1931. L’art. 11 dispone che Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate 1 a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione 2 a chi è sottoposto all'ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza. Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta. Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione . L’art. 39 dispone che Il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne . L’art. 43 dispone che oltre a quanto è stabilito dall'art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi a a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione b a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico c a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi. La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi . Da tale quadro normativo, emerge che il legislatore ha individuato i casi in cui l’Autorità amministrativa è titolare di poteri strettamente vincolati ai sensi dell’art. 11, primo comma e terzo comma, prima parte, e dell’art. 43, primo comma, che impongono il divieto di rilascio di autorizzazioni di polizia ovvero il loro ritiro e quelli in cui, invece, è titolare di poteri discrezionali ai sensi dell’art. 11, secondo comma e terzo comma, seconda parte, e dell’art. 39 e 43, secondo comma . In relazione all’esercizio dei relativi poteri discrezionali, l’art. 39 attribuisce alla Prefettura il potere di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti a chi chieda il rilascio di una autorizzazione di polizia o ne sia titolare, quando sia riscontrabile una capacità di abusarne , mentre l’art. 43 consente alla competente autorità – in sede di rilascio o di ritiro dei titoli abilitativi di valutare non solo tale capacità di abuso, ma anche – in alternativa l’assenza di una buona condotta, per la commissione di fatti, pure se estranei alla gestione delle armi, munizioni e materie esplodenti, ma che comunque non rendano meritevoli di ottenere o di mantenere la licenza di polizia non occorrendo al riguardo un giudizio di pericolosità sociale dell’interessato Cons. Stato, Sez. III, 25 agosto 2016, n. 3693 Sez. III, 7 marzo 2016, n. 922 Sez. III, 1° agosto 2014, n. 4121 Sez. III, 12 giugno 2014, n. 2987 . 8.2. Nella specie, la Prefettura di Perugia ha disposto il divieto di detenere armi e munizioni in applicazione dell’art. 39 e, dunque, esercitando un potere discrezionale, ed ha ritenuto che l’appellante non dia affidamento di non abusare delle armi. Ritiene la Sezione che, in considerazione delle circostanze emerse nel corso del procedimento amministrativo, il provvedimento della Prefettura impugnato col primo ricorso di primo grado sia adeguatamente motivato e non sia affetto da vari profili di eccesso di potere, dedotti dall’appellante. Dalle risultanze acquisite emerge che in data 9 dicembre 2013 egli ha esploso un colpo di arma da fuoco in aria, a scopo intimidatorio, davanti all’ingresso del supermercato, presso il quale svolgeva la propria attività lavorativa in servizio di antitaccheggio. La dinamica dell’accaduto è ricostruibile dal contenuto del verbale di sommarie informazioni rese dall’appellante e acquisite dalla Stazione dei Carabinieri di -OMISSIS in data 9 dicembre 2013, nonché dalla comunicazione della medesima Stazione dei Carabinieri, trasmessa alla procura della Repubblica presso il tribunale di Perugia. L’appellante, in abiti civili, ha avuto un alterco con un ragazzo che peraltro aveva già pagato questi, in compagnia di un altro ragazzo e di una donna con una bambina, ha invitato l’appellante a non guardarlo fissamente. Negli attimi successivi, dapprima i ragazzi erano saliti in auto per andare via e, dopo che uno di loro è sceso dall’auto, l’appellante – nel timore personale di poter essere aggredito – ha estratto l’arma in dotazione, rivolta verso l’alto, dalla quale è partito un colpo. Da tali circostanze, il Prefetto ha ritenuto che il comportamento dell’appellante abbia denotato scarso buon senso, negligenza e imprudenza . Ad avviso della Sezione, tale valutazione risulta adeguatamente istruita e motivata. Quanto all’istruttoria, le circostanze nei loro aspetti fattuali sono risultate adeguatamente ricostruite, anche con una considerazione di favor, dal momento che il Prefetto non ha dubitato che il colpo fosse partito accidentalmente. Poiché nella loro dinamica i fatti sono stati in dettaglio ricostruiti anche con le dichiarazioni dell’appellante alla Stazione dei Carabinieri di -OMISSIS- , non risulta fondata la censura di difetto di istruttoria. Quanto alla mancata valutazione delle osservazioni rese ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, ritiene la Sezione che essa non possa essere ravvisata, proprio perché i fatti sono risultati accertati nella loro dinamica e sono stati ridescritti in modo sostanzialmente coincidente con le medesime osservazioni. La motivazione, sulla assenza di affidabilità , risulta ragionevole, poiché il Prefetto ha ben potuto ritenere dai fatti accertati che l’appellante non solo avrebbe potuto evitare con buon senso quanto accaduto, evitando di far trascendere la cosa, una volta risultato che vi era stato il dovuto pagamento alla cassa, ma abbia complessivamente agito senza il dovuto autocontrollo. 9. A pp. 10-14, l’appellante ha riproposto il motivo formulato col secondo ricorso di primo grado, avverso il decreto del 9 febbraio 2015, di revoca del decreto di guardia giurata , con cui è stata lamentata la violazione degli articoli 133 e 134 del testo unico di pubblica sicurezza. Egli – poiché l’atto prefettizio si è basato sulla constatata perdita del lavoro di natura dipendente con l’istituto di vigilanza ha dedotto che, contrariamente a quanto ha statuito il TAR, la licenza per lo svolgimento dell’attività di guardia particolare giurata potrebbe essere rilasciata anche per lo svolgimento di un lavoro autonomo. 10. Ritiene la Sezione che la censura così riassunta vada respinta. 10.1. Come ha correttamente statuito il TAR, rileva nel presente giudizio l’art. 6 del d.m. 1° dicembre 2010, n. 269, il quale ha espressamente previsto la necessità che la guardia particolare giurata svolga un lavoro dipendente. L’art. 6, sui requisiti professionali e formativi delle guardie particolari giurate , al comma 2 ha previsto che il riconoscimento della nomina a guardia giurata e' subordinato all'esistenza di un rapporto di lavoro dipendente con il titolare della licenza prevista dagli articoli 133 o 134 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza . Tale disposizione comporta che il Prefetto, con una determinazione avente natura vincolata, non può ritenere compatibile l’attività di guardia particolare giurata con l’attività di lavoro autonomo in termini, Cons. Stato, Sez. I, 23 marzo 2015, n. 892 . Contrariamente a quanto ha dedotto l’appellante, tale disposizione regolamentare non è disapplicabile nel presente giudizio. In primo luogo, come ha correttamente rilevato il TAR, la mancata tempestiva impugnazione del decreto ministeriale ha precludso nel presente giudizio la valutazione sulla sua legittimità. Il medesimo decreto ha una obiettiva natura regolamentare, come espressamente rilevato nella sua intestazione e nelle sue premesse, in quanto contiene regole generali ed astratte, sicché – per contestarne le determinazioni – sarebbe occorsa una sua rituale e tempestiva impugnazione innanzi al giudice territorialmente competente. Contrariamente a quanto ha dedotto l’appellante, e come ha già rilevato di recente la Sezione cfr. Sez. III, 6 settembre 2016, n. 3820 , i regolamenti amministrativi sono ‘disapplicabili’ quando il ricorrente chieda la tutela di diritti soggettivi Cons. Stato, Sez. V, 24 luglio 1993, n. 799 o, in malam partem, quando egli chieda la tutela di un interesse legittimo e invochi il contenuto di un regolamento favorevole, che però si ponga in contrasto con la legge con conseguente reiezione del ricorso introduttivo Sez. V, 26 febbraio 1992, n. 154 , ma non anche quando sia contestato l’atto autoritativo applicativo di un regolamento contenente determinazioni sfavorevoli in tal senso, v. i principi enunciati da Cons. Stato, Sez. V, 28 giugno 1952, n. 1032 Sez. V, 1° marzo 1952, n. 340, Sez. IV, 14 febbraio 1941, n. 93 Sez. IV, 18 agosto 1936, n. 829, più volte ribaditi e ai quali questa Sezione intende dare continuità . 10.2. In secondo luogo, a parte tale preclusione processuale, va aggiunto che per un duplice ordine di considerazioni non sussiste l’ipotizzato contrasto tra le disposizioni dell’art. 6 del regolamento ministeriale ed i principi europei. Va rimarcato come il regolamento del 2010 sia coerente con le disposizioni degli articoli 133 e 134 del testo unico di pubblica sicurezza, ispirati all’esigenza che vi sia un rapporto stabile tra l’istituto di vigilanza e la guardia particolare giurata. Inoltre, come ha correttamente evidenziato il TAR, non è ravvisabile un contrasto con la libertà di prestazione dei servizi sancita dal trattato FUE, in quanto rilevano specifiche esigenze di sicurezza pubblica. Pertanto, l’atto prefettizio si è legittimamente basato sulla avvenuta estinzione del rapporto di lavoro dipendente, riservandosi di rilasciare una ulteriore licenza in caso di eventuale ripristino di rapporto di lavoro dipendente 11. A pp. 14-15 del gravame, l’appellante ha lamentato la violazione dell’art. 10 della legge n. 241 del 1990, poiché il Prefetto, dopo avergli comunicato la possibilità di presentare entro dieci giorni memorie e documenti con nota del 20 gennaio 2015, inviata con raccomandata il 5 febbraio 2015 , ha poi emanato l’atto del 9 febbraio 2015, senza attendere la scadenza del termine. Ritiene la Sezione che la censura vada respinta, poiché – una volta constatata la cessazione del rapporto di lavoro con l’istituto di vigilanza – il Prefetto ha doverosamente emanato la revoca del decreto di guardia giurata come ha correttamente osservato la sentenza impugnata, il provvedimento finale non poteva avere un contenuto diverso con la conseguente applicabilità dell’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 . 12. Con le censure di cui a pp. 15-16, l’appellante ha lamentato la violazione del ‘giudicato cautelare’ di cui all’ordinanza del TAR n. 103 del 2014 confermata da questo Consiglio con l’ordinanza n. 4735 del 2014 , poiché il provvedimento prefettizio del 18 febbraio 2015 non ne avrebbe dato puntuale applicazione. 13. La censura va respinta, per un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo, per la valutazione della correttezza delle determinazioni di un provvedimento, è irrilevante il confronto con le statuizioni rese dal TAR in sede cautelare, poi caducate all’esito della definizione del primo grado del giudizio. In secondo luogo, come ha correttamente osservato al § 5 la sentenza impugnata, il Prefetto ha valutato, col secondo divieto emesso ex art. 39 del testo unico, non solo i fatti accaduti in data 9 dicembre 2013, ma anche altre circostanze e, in particolare, una condanna per furto, seguito dalla riabilitazione, e la pendenza di un procedimento penale per lesioni personali aggravate . 14. Con le censure proposte da pp.16 a p. 20, l’appellante ha riproposto le censure rivolte avverso il secondo divieto, emesso ex art. 39 del testo unico di pubblica sicurezza, lamentando la presenza di vari profili di eccesso di potere. Ritiene la Sezione che tali censure risultano improcedibibili per sopravvenuta carenza di interesse. Infatti, a seguito del consolidarsi degli effetti del primo divieto del Prefetto, emesso in data 14 aprile 2014, risulta privo di rilevanza – pur se motivato diversamente l’ulteriore divieto del 9 febbraio 2015, emesso in sede di esecuzione dell’ordinanza cautelare che aveva sospeso gli effetti del primo provvedimento e riproduttivo dei suoi effetti. 15. Peraltro, ritiene la Sezione di dover esaminare comunque le censure riproposte in secondo grado avverso il provvedimento del 9 febbraio 2015. 15.1. Nel richiamare quanto rilevato ai precedenti § 8.1. e § 8.2., va osservato che tale provvedimento ha vietato l’uso delle armi e delle munizioni per ragioni ulteriori, rispetto a quelle già esplicitate nel divieto emesso il 14 aprile 2014. Poiché i fatti accaduti il 9 dicembre 2013 hanno giustificato l’emanazione dell’atto del 14 aprile 2014, a maggior ragione essi hanno giustificato l’emanazione anche del successivo divieto del 9 febbraio 2015, che – in aggiunta a quei fatti – ha valutato ulteriori circostanze. 15.2. I dedotti profili di eccesso di potere non possono essere considerati sussistenti, poiché il provvedimento del 9 febbraio 2015 a sua volta ha ragionevolmente valutato le ulteriori circostanze, riguardanti la precedente condanna per furto e la pendenza del procedimento penale per lesioni personali aggravate. Il fatto che in precedenza vi sia stato il rinnovo della licenza, in origine rilasciata, non ha inciso sulla possibilità per il Prefetto di rivalutare le circostanze già emerse. Come ha più volte osservato questo Consiglio Sez. III, 10 agosto 2016, n. 3604 , non può essere ravvisato un profilo di contraddittorietà nella determinazione dell’Amministrazione di non disporre il rinnovo della licenza, più volte in precedenza rilasciato. Infatti, ogni volta che esamina una istanza di rinnovo, l’Amministrazione formula una attuale valutazione degli interessi pubblici e privati coinvolti e tiene conto delle risultanze procedimentali e delle esigenze attuali della salvaguardia dell’ordine pubblico, mantenendo la possibilità di respingere ulteriori istanze di rinnovo, in considerazione di ulteriori circostanze di fatto o di valutazioni difformi, purché motivate. Nella specie, il ‘ripensamento’ della Prefettura si è basato su una complessiva valutazione dei fatti, anche di quelli accaduti nel luglio 2011. 16. A p. 20, l’appellante ha riproposto la censura di violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, deducendo che l’ulteriore atto del prefetto doveva essere preceduto dall’avviso dell’avvio del procedimento. 16.1. La censura va respinta. A parte le considerazioni svolte dal TAR sul carattere d’urgenza del provvedimento che vieta l’uso di armi e munizioni, nella specie rileva il fatto che il procedimento si era in precedenza concluso e che il Prefetto ha riesercitato il proprio potere, a seguito dell’emanazione dell’ordinanza cautelare del TAR. Pertanto, la pendenza della ulteriore fase del procedimento era conseguente all’accoglimento della sua domanda cautelare. 17. Vanno infine respinte le censure di illegittimità derivata, formulate a p. 20 dell’atto d’appello, con riferimento alla revoca disposta dal Questore del porto di fucile per uso sportivo, poiché non sono risultate fondate le censure proposte contro gli atti presupposti. 18. Per le ragioni che precedono, previo accoglimento del primo motivo d’appello, la Sezione ritiene infondati i ricorsi di primo grado con conferma della sentenza impugnata, nella parte in cui ha respinto il secondo ricorso . Tenuto conto da un lato dell’accoglimento del primo motivo d’appello e dall’altro della soccombenza dell’appellante, questi va condannato al pagamento delle spese del secondo grado del giudizio, contenute nella misura di euro 1.000 mille . P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza – previa declaratoria della procedibilità del primo ricorso di primo grado n. 423 del 2014 respinge tutte le censure riproposte con l’appello n. 3870 del 2016 e, per l’effetto, respinge entrambi i ricorsi di primo grado n. 423 del 2014 e 247 del 2015. Condanna l’appellante al pagamento di euro 1.000 mille in favore delle Amministrazioni appellate, per spese ed onorari del secondo grado del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.