I requisiti morali dell'addetto alla sicurezza nei locali pubblici

Chi non è in grado di dimostrare la buona condotta, perché è stato condannato per maltrattamenti in famiglia, non può fare il buttafuori in discoteca.

Così la sentenza n. 3820/16 depositata il 6 settembre, del Consiglio di Stato. Il caso. Il Consiglio di Stato, Sezione VI, ha confermato la legittimità del diniego all'iscrizione nell’elenco del personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi, ai sensi dell’art. 1, comma 1, del d.m. 6 ottobre 2009, di un soggetto, tenuto conto che lo stesso era stato condannato alla pena di anni due e mesi tre di reclusione, per i reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare e di maltrattamenti in famiglia. Relativamente alla questione posta, il Giudice di primo grado aveva ritenuto necessaria la tempestiva impugnazione del decreto ministeriale del 2009. Il decreto in questione, ha infatti precisato il Collegio, ha una obiettiva natura regolamentare – pur se non è stato preceduto dal parere del Consiglio di Stato per il principio, v. Cons. Stato, Sez. VI, 6 settembre 2006, n. 4543 – in quanto contiene regole generali ed astratte sulla determinazione dei requisiti per l’inscrizione nell’elenco prefettizio del personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi , sicché – per contestarne le determinazioni – sarebbe occorsa una sua rituale e tempestiva impugnazione. Ciò in quanto i regolamenti amministrativi sono ‘disapplicabili’ quando il ricorrente chieda la tutela di diritti soggettivi Cons. Stato, Sez. V, 24 luglio 1993, n. 799 o, in malam partem , quando egli chieda la tutela di un interesse legittimo e invochi il contenuto di un regolamento favorevole, che però si ponga in contrasto con la legge ma non anche quando sia contestato l’atto autoritativo applicativo di un regolamento contenente determinazioni sfavorevoli. Nessun contrasto legislativo. Peraltro, ha anche osservato la sezione, non c'è alcun contrasto tra le disposizioni del d.m. 6 ottobre 2009 e quelle del testo unico sulla pubblica sicurezza. Infatti, il regolamento è stato emanato in attuazione dell’art. 3 della legge n. 94 del 15 luglio 2009 e contiene, ratione materiae , regole speciali concernenti l’iscrizione nell’elenco e le modalità di selezione del personale addetto ai servizi di controllo, attività di per sé non disciplinata in quanto tale dal testo unico. Inoltre, con riferimento al TULPS, precisa la sentenza, il principio generale, desumibile anche dall’art. 11, secondo comma, del testo unico è nel senso che le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi non può provare la sua buona condotta , oltre a chi ha commesso uno dei reati ivi previsti. La buona condotta. In relazione a fattispecie nelle quali si controverteva sulla legittimità di provvedimenti che hanno inibito l’uso delle armi, questa Sezione ha ritenuto che del tutto legittimamente gli organi del Ministero dell’Interno ravvisano l’assenza della buona condotta, quanto il richiedente abbia commesso maltrattamenti in famiglia o atti caratterizzati da violenza Sez. III, 24 agosto 2016, n. 3687 Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1702 similmente, il Collegio ritiene che l’Amministrazione possa ravvisare la carenza del requisito della buona condotta , e respingere l’istanza proposta ai sensi dell’art. 1 del d.m. 6 ottobre 2009, quando l’interessato abbia commesso maltrattamenti in famiglia o atti caratterizzati da violenza.

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 21 luglio – 6 settembre 2016, n. 3820 Presidente/Estensore Maruotti Fatto e diritto 1. Due società hanno chiesto al Prefetto di Roma che l’appellante fosse iscritto nell’elenco del personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi, ai sensi dell’art. 1, comma 1, del d.m. 6 ottobre 2009. Dopo aver acquisito il parere negativo della Questura di Roma, il Prefetto ha respinto l’istanza, con l’atto n. 51005 del 3 marzo 2014, rilevando che l’interessato è stato condannato alla pena di anni due e mesi tre di reclusione, con la sentenza del Tribunale di Roma del 22 novembre 2013, per i reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare e di maltrattamenti in famiglia. 2. Col ricorso n. 8906 del 2014 proposto al TAR per il Lazio, Sede di Roma , l’interessato ha impugnato il diniego del Prefetto ed il parere del Questore, chiedendone l’annullamento per violazione di legge ed eccesso di potere. 3. Il TAR, con la sentenza n. 11434 del 2015, ha respinto il ricorso ed ha compensato tra le parti le spese del giudizio. 4. Con l’appello in esame, l’interessato ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia accolto. Le Amministrazioni statali appellate si sono costituite in giudizio ed hanno chiesto il rigetto dell’appello. All’udienza del 21 luglio 2016 la causa è stata trattenuta per la decisione. 5. Col primo motivo, l’appellante ha dedotto che il TAR avrebbe errato nel ritenere necessaria l’impugnazione dell’art. 1, comma 4, del d.m. 6 ottobre 2009, che ha previsto i requisiti per il rilascio dell’atto di iscrizione nell’elenco in questione. A suo avviso, il medesimo art. 1, comma 4, si porrebbe in contrasto con l’art. 11 del testo unico di pubblica sicurezza e doveva essere dunque disapplicato dal TAR. 6. Le deduzioni così riassunte dell’appellante risultano infondate e vanno respinte. 6.1. In primo luogo, come ha correttamente rilevato il TAR, la mancata tempestiva impugnazione del decreto ministeriale preclude nel presente giudizio la valutazione sulla sua legittimità. Il medesimo decreto ha una obiettiva natura regolamentare – pur se non è stato preceduto dal parere del Consiglio di Stato per il principio, v. Cons. Stato, Sez. VI, 6 settembre 2006, n. 4543 – in quanto contiene regole generali ed astratte sulla determinazione dei requisiti per l’inscrizione nell’elenco prefettizio del personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi , sicché – per contestarne le determinazioni – sarebbe occorsa una sua rituale e tempestiva impugnazione. Contrariamente a quanto ha dedotto l’appellante, i regolamenti amministrativi sono ‘disapplicabili’ quando il ricorrente chieda la tutela di diritti soggettivi Cons. Stato, Sez. V, 24 luglio 1993, n. 799 o, in malam partem, quando egli chieda la tutela di un interesse legittimo e invochi il contenuto di un regolamento favorevole, che però si ponga in contrasto con la legge con conseguente reiezione del ricorso introduttivo Sez. V, 26 febbraio 1992, n. 154 , ma non anche quando sia contestato l’atto autoritativo applicativo di un regolamento contenente determinazioni sfavorevoli in tal senso, v. i principi enunciati da Cons. Stato, Sez. V, 28 giugno 1952, n. 1032 Sez. V, 1° marzo 1952, n. 340, Sez. IV, 14 febbraio 1941, n. 93 Sez. IV, 18 agosto 1936, n. 829, più volte ribaditi e ai quali questa Sezione intende dare continuità . 6.2. In secondo luogo, non sussiste l’ipotizzato contrasto tra le disposizioni del d.m. 6 ottobre 2009 e quelle del testo unico sulla pubblica sicurezza. Infatti, il regolamento è stato emanato in attuazione dell’art. 3 della legge n. 94 del 15 luglio 2009 e contiene, ratione materiae, regole speciali concernenti l’iscrizione nell’elenco e le modalità di selezione del personale addetto ai servizi di controllo, attività di per sé non disciplinata in quanto tale dal testo unico. 6.3. Peraltro, anche in considerazione delle disposizioni del testo unico, sono infondate le censure riportate a pp. 8 ss. dell’atto d’appello. Il principio generale, desumibile anche dall’art. 11, secondo comma, del testo unico è nel senso che le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi non può provare la sua buona condotta , oltre a chi ha commesso uno dei reati ivi previsti. In relazione a fattispecie nelle quali si controverteva sulla legittimità di provvedimenti che hanno inibito l’uso delle armi, questa Sezione ha ritenuto che del tutto legittimamente gli organi del Ministero dell’Interno ravvisano l’assenza della buona condotta, quanto il richiedente abbia commesso maltrattamenti in famiglia o atti caratterizzati da violenza Sez. III, 24 agosto 2016, n. 3687 Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1702 similmente, il Collegio ritiene che l’Amministrazione possa ravvisare la carenza del requisito della buona condotta , e respingere l’istanza proposta ai sensi dell’art. 1 del d.m. 6 ottobre 2009, quando l’interessato abbia commesso maltrattamenti in famiglia o atti caratterizzati da violenza. 6.4. Va infine respinta la censura di violazione dell’art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990, poiché il silenzio assenso non è configurabile quando si tratti di un procedimento riguardante la pubblica sicurezza. 7. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza respinge l’appello n. 3245 del 2016. Compensa tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.