Abusi edilizi risalenti nel tempo

Se l'autorimessa pluriuso abusiva è stata costruita ante 1967 va comunque demolita se è stata realizzata in carenza di autorizzazione.

Lo ha ribadito il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1774/16, depositata il 5 maggio. Abuso edilizio. Sulla questione specifica, richiamando i più recenti precedenti giurisprudenziali Cons. Stato, VI, 11 dicembre 2013, n. 5943 5 gennaio 2015, n. 13 secondo i quali non sussiste necessità di motivare in modo particolare un provvedimento col quale sia stata ordinata la demolizione di un manufatto abusivo, quand’anche sia trascorso un lungo periodo di tempo tra l’epoca della commissione dell’abuso e la data dell’adozione dell’ingiunzione di demolizione, la Sezione VI ha affermato che l’ordinamento tutela l’affidamento solo qualora esso sia incolpevole, mentre la realizzazione di un’opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del costruttore contra legem . Non può ammettersi, pertanto, un affidamento meritevole di tutela alla conservazione di una situazione di fatto abusiva. Colui che realizza un abuso edilizio non può dolersi del fatto che l’amministrazione lo abbia prima in un certo qual modo avvantaggiato, adottando solamente a notevole distanza di tempo i provvedimenti repressivi dell’abuso non sanabile. Ordine di demolizione. Peraltro, ha osservato il Collegio, l'ordine di demolizione, come i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può mai legittimare conf. Cons. Stato, IV, 20 luglio 2011, n. 4403, che segnala il carattere dovuto dell’ordine di demolizione, emanato in mera dipendenza dall’accertamento dell’abuso e dalla riconducibilità del medesimo ad una delle fattispecie di illecito previste dalla legge, con la conseguenza che il provvedimento sanzionatorio non richiede una particolare motivazione, essendo sufficiente la mera rappresentazione del carattere illecito dell’opera realizzata né è necessaria una previa comparazione dell’interesse pubblico alla repressione dell’abuso, che è in re ipsa , con l’interesse del privato proprietario del manufatto e ciò anche se l’intervento repressivo avvenga a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, ove il medesimo non sia stato oggetto di sanatoria in base agli interventi legislativi succedutisi nel tempo Cons. Stato, VI, 23 ottobre 2015, n. 4880 . Più ancora, ha rilevato la Sezione, l'interesse pubblico alla tutela della disciplina urbanistica non è negoziabile in ragione di un preteso affidamento individuale la presenza di un manufatto abusivo non esaurisce infatti i suoi effetti, bilateralmente, nella sfera giuridica del destinatario della misura ripristinatoria, ma riguarda erga omnes l’intera collettività circostante. Sicché, quand’anche l’asserito affidamento individuale davvero sussistesse, sarebbe comunque improduttivo di effetti utili al fine superiore dell’esigenza generale di ripristinare l’ordine urbanistico, di cui tutti beneficiano cfr. Cons. Stato, VI, 28 gennaio 2013, n. 498 4 marzo 2013, n. 1268 29 gennaio 2015, n. 406 .

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 12 maggio 2015 – 5 maggio 2016, n. 1774 Presidente Severini – Estensore Pannone Fatto e diritto 1. Gli appellanti sono proprietari di una costruzione, sita nel comune di Lentate sul Seveso, adibita a ripostiglio, deposito attrezzi, lavanderia e rimessa per automobili, avente carattere pertinenziale rispetto alla vicina casa di abitazione. A seguito di denuncia da parte di privati circa il carattere abusivo dell’opera, il Comune ha adottato, nel 2007, una prima ordinanza di demolizione. Il provvedimento è stato separatamente impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sia dagli odierni appellanti e attuali proprietari del manufatto, che da parte del precedente proprietario, autore dell’abuso. Entrambi i ricorsi sono stati accolti, con le sentenze n. 418 e 489 del 2010, che hanno annullato l’ordinanza di demolizione, affermando – in particolare – il difetto di istruttoria e motivazione del provvedimento. Dopo una nuova diffida da parte dei medesimi privati, il Comune ha adottato una seconda ordinanza di demolizione nel 2010, annullata anch’essa dal giudice con la sentenza n. 2825 del 2011, per gli stessi vizi riscontrati nella precedente. Ciò in quanto il Comune non risultava aver compiuto una nuova e approfondita istruttoria, essendosi invece basato sugli stessi accertamenti che avevano condotto all’adozione della prima ordinanza, annullata proprio per la ritenuta insufficienza degli elementi acquisiti. 2. Il Comune di Lentate sul Seveso ha quindi emesso, il 28 marzo 2013, una ulteriore ordinanza di demolizione, ritenuta immune da vizi dalla sentenza qui impugnata. 3. Gli appellanti hanno dedotto le seguenti censure così epigrafate a Contraddittorietà con la sentenza in pari data n. 2260 violazione dell’art. 112 del Codice del processo amministrativo. b Erronea motivazione sulla censura di eccesso di potere per lesione dell’affidamento circa la legittimità dell’opera, di violazione dell’art. 3 l. n. 241 del 1990 e dell’art. 14 l. n. 689 del 1981. c Violazione dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990. Erronea applicazione dell’art. 31, comma II, del d.P.R. 380 del 2001. Illogicità. d Erronea motivazione circa l’omessa applicazione degli artt. 8 e 10 l. n. 241 del 1990 in relazione al diritto di difesa e di contraddittorio. e Carenza di motivazione in ordine alla violazione dell’art. 31 L. n. 1150 del 1942. Omessa considerazione dell’art. 32 l cit. ed art. 378 L. 20 marzo 1865 n. 2248 all. E. 4. Con il primo motivo essi hanno evidenziato che, con la sentenza in pari data, di numero 2260, adottata su ricorso proposto avverso la medesima ordinanza dai signori Mapelli, controinteressati in primo grado nel giudizio deciso con la sentenza qui impugnata, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia è pervenuto a conclusioni opposte, ossia ha accolto il ricorso e ha annullato il provvedimento impugnato. Il Collegio ritiene che la contraddittorietà censurata non sussista perché la sentenza n. 2260 del 2014 ha accolto il ricorso dei signori Mapelli limitatamente alla parte contestata dai ricorrenti”, quindi tutelando un interesse diverso da quello sotteso al ricorso in esame. In ogni caso le dedotte difficoltà di esecuzione potranno essere risolte in sede di esecuzione della sentenza. 5. Con il secondo motivo gli appellanti deducono la violazione del principio dell’affidamento perché la fattispecie riguarda un preteso abuso, risalente pacificamente a data anteriore al 1967, non eseguito dagli appellanti e concernente un manufatto accessorio di modeste dimensioni. Il motivo non può trovare accoglimento alla luce della consolidata giurisprudenza, in particolare della recente pronuncia della Sezione Cons. Stato, VI, 11 dicembre 2013, n. 5943 5 gennaio 2015, n. 13 secondo la quale non sussiste necessità di motivare in modo particolare un provvedimento col quale sia stata ordinata la demolizione di un manufatto abusivo, quand’anche sia trascorso un lungo periodo di tempo tra l’epoca della commissione dell’abuso e la data dell’adozione dell’ingiunzione di demolizione, poiché l’ordinamento tutela l’affidamento solo qualora esso sia incolpevole, mentre la realizzazione di un’opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del costruttore contra legem. Non può ammettersi, pertanto, un affidamento meritevole di tutela alla conservazione di una situazione di fatto abusiva. Colui che realizza un abuso edilizio non può dolersi del fatto che l’amministrazione lo abbia prima in un certo qual modo avvantaggiato, adottando solamente a notevole distanza di tempo i provvedimenti repressivi dell’abuso non sanabile. Ed è da ribadire, con la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato v., ex plurimis, Cons. Stato, V, 11 gennaio 2011, n. 79 e, ivi, numerosi riferimenti giurisprudenziali aggiuntivi , che l'ordine di demolizione, come i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può mai legittimare conf. Cons. Stato, IV, 20 luglio 2011, n. 4403, che segnala il carattere dovuto dell’ordine di demolizione, emanato in mera dipendenza dall’accertamento dell’abuso e dalla riconducibilità del medesimo ad una delle fattispecie di illecito previste dalla legge, con la conseguenza che il provvedimento sanzionatorio non richiede una particolare motivazione, essendo sufficiente la mera rappresentazione del carattere illecito dell’opera realizzata né è necessaria una previa comparazione dell’interesse pubblico alla repressione dell’abuso, che è in re ipsa”, con l’interesse del privato proprietario del manufatto e ciò anche se l’intervento repressivo avvenga a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, ove il medesimo non sia stato oggetto di sanatoria in base agli interventi legislativi succedutisi nel tempo” Cons. Stato, VI, 23 ottobre 2015, n. 4880 . Più ancora vale rilevare che l'interesse pubblico alla tutela della disciplina urbanistica non è negoziabile in ragione di un preteso affidamento individuale la presenza di un manufatto abusivo none esaurisce infatti i suoi effetti, bilateralmente, nella sfera giuridica del destinatario della misura ripristinatoria, ma riguarda erga omnes l’intera collettività circostante. Sicché, quand’anche l’asserito affidamento individuale davvero sussistesse, sarebbe comunque improduttivo di effetti utili al fine superiore dell’esigenza generale di ripristinare l’ordine urbanistico, di cui tutti beneficiano cfr. Cons. Stato, VI, 28 gennaio 2013, n. 498 4 marzo 2013, n. 1268 29 gennaio 2015, n. 406 . 6. Nel terzo motivo gli appellanti affermano che alcune parti del manufatto, realizzato ante 1967, erano state eseguite dai Fossati, sicuri della legittimità originaria dello stesso, con d.i.a. nel 2002 e concernevano parti anche strutturali, quali il manto di copertura, parti interne ed esterne e porticato. Gli appellanti censurano la sentenza nella parte in cui ha respinto il ricorso perché . le modificazioni apportate all’opera sulla base di titoli formalmente regolari non possono determinare la successiva legittimazione, anche solo parziale, di una costruzione ab origine abusiva. D’altra parte, la regolarità di quegli stessi titoli risiedeva proprio sulla ritenuta legittimità del manufatto oggetto degli interventi successivi, ed è quindi contraddetta dall’accertata abusività della costruzione”. Tale affermazione, sostengono gli appellanti, contrasta con il principio sancito dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 che disciplina il procedimento di annullamento dei provvedimenti amministrativi, applicabile anche alle d.i.a. Il Collegio ritiene la censura infondata in quanto il principio consacrato dall’art. 21-nonies è riferibile esclusivamente a quei provvedimenti amministrativi che, nell’ambito dell’attività edilizia, abilitino alla realizzazione di opere autonome e non, come nel caso di specie, queste siano inscindibili da opere abusive, sulle quali insistono, seguendone le sorti. 7. Con il quarto motivo la sentenza è stata censurata per violazione del diritto di difesa. Il motivo non può trovare accoglimento. In un’ottica di interpretazione sostanziale delle norme che tutelano il diritto di difesa, con l’espressa facoltà di partecipazione al procedimento, anche i precedenti atti annullati con le sentenze indicate in premessa hanno consentito agli appellanti di avere piena contezza dell’oggetto del provvedimento poi adottato e censurato in questa sede. 8. Con il quinto motivo gli appellanti evidenziano quanto segue. Secondo il regolamento edilizio del 1963 l’altezza delle autorimesse non poteva superare i 2,50 mt. dal piano utile del cortile, mentre il responsabile nel corso del sopralluogo del 2012 ha rilevato un’altezza di oltre tre metri. Epperò il P.R.G. del 1964, prevalente sul regolamento, si limitava a consentire le costruzioni accessorie, disponendo unicamente sulle superfici”. Il motivo non può trovare accoglimento perché è incontestato che l’immobile aveva un’altezza superiore di 50 cm., con l’ulteriore osservazione che il P.R.G. del 1964 non aveva effetto abrogante del precedente regolamento edilizio, che continuava ad applicarsi in tema di altezze. 9. L’infondatezza del ricorso in appello determina il rigetto della domanda di risarcimento del danno. 10. In conclusione il ricorso in appello va rigettato nella sua interezza. 11. La mancata costituzione delle parti evocate in giudizio esime il giudice dal pronunciarsi sulle spese. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Nulla per le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.