Loculi e non alloggi

Legittima la dichiarazione di inagibilità e di sgombero disposta dal Sindaco, tenuto conto che le caratteristiche delle stanze non rispettano i parametri prescritti dalla normativa in materia di altezza e di superficie vetrata.

E’ quanto affermato dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 617/2016, depositata il 12 febbraio. Nessun contrasto di disciplina. In merito alla competenza, l'ordinanza in questione è stata espressamente emanata in applicazione dell’art. 222 del R.D. 1265/1934 e dell’art. 50 del d.lgs. 267/2000. Nel caso specifico, il Consiglio di Stato ha ritenuto che non si può ritenere sussistente un contrasto tra la disciplina contenuta nel d.P.R. 380/2001 e quella dell’art. 50 del T.U. n. 267 del 2000, tanto che l’art. 26 del d.P.R. 380/2001 espressamente prevede che il rilascio della relativa certificazione non impedisce l'esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità, ai sensi dell'art. 222 R.D. n. 1265/34, in forza del quale il Sindaco può dichiarare inabitabile una casa o parte di essa per ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero. Il Collegio ha, peraltro, respinto la doglianza con la quale l’appellante, società proprietaria del complesso immobiliare si era lamentata dell’assenza di un termine di efficacia dell'ordinanza. Ciò in quanto, precisa la sentenza, dal tenore letterale dell’atto impugnato si evince che lo stesso produrrà effetti al più tardi sino al momento in cui l’autorità sanitaria avrà accertato l’eventuale ripristino dei requisiti di conformità sotto l’aspetto igienico sanitario e di sicurezza è del tutto logico che il provvedimento abbia determinato che i propri effetti siano disposti sino a quando vi sia il ritorno alla legalità.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 21 gennaio – 12 febbraio 2016, n. 617 Presidente Maruotti – Estensore Tarantino Fatto e Diritto 1. Con il ricorso n. 2595 del 2010, proposto dinanzi al TAR per il Lazio, la s.a.s. Tosirom, divenuta in seguito la s.a.s. Rositan chiedeva l’annullamento dell'ordinanza sindacale n. 35 del 1° febbraio 2010 recante la dichiarazione di inabitabilità degli alloggi della palazzina B” del complesso edilizio sito in Roma alla via F. Mastrigli n. 15/C di proprietà Tosirom, l’ordine di rilascio nei confronti degli inquilini ed il divieto alla proprietà di adibirli ad uso abitativo. 2. Il primo giudice respingeva il ricorso all’esito di una verificazione disposta per accertare lo stato dei luoghi. Il TAR, infatti, rilevava che degli appartamenti interessati dalla avversata ordinanza non risultavano possedere le condizioni minime per l’abitabilità gli appartamenti nn. 103, 104, 105, 106, 107, 108, 109 e 110 del piano terra e ciò in ragione di un’altezza interna inferiore a quella minima imposta dalla legge e di una superficie finestrata apribile inferiore alla minima gli appartamenti nn. 65, 66, 67, 68, 71, 72 e 73 del piano primo e ciò in ragione delle dimensioni stesse degli appartamenti inferiori a quella minima e per un’altezza anch’essa inferiore alla minima, oltre ad affaccio su un cortile interno gli appartamenti nn. 32, 33, 34, 35, 36, 39, 40 e 41 del piano secondo, per le medesime ragioni già rilevate per gli appartamenti posti al primo piano. Inoltre, la pur rappresentata agibilità di 26 appartamenti, condizionata alla loro riduzione” di numero a mezzo di accorpamento in 13 appartamenti, era di tutt’altro che agevole realizzazione. 3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello la s.a.s. Rositan, evidenziando come la sentenza di prime cure sarebbe erronea, perché a non si sarebbe pronunciata sul dedotto vizio di difetto di competenza del Sindaco trattandosi di atto rimesso alla competenza dirigenziale, perché volto a far venir meno il certificato di agibilità concesso ex art. 24, comma 2, d.P.R. n. 380/2001 e sull’illegittimità derivante dalla mancata indicazione di un termine di efficacia del provvedimento o di verifica delle condizioni di agibilità. Né sarebbe stata data risposta al vizio di eccesso di potere per difetto di presupposti ulteriori rispetto a quelli emersi in sede di verificazione che sarebbero del tutto fantasiosi. Pertanto, la concreta situazione sarebbe meno grave di quella rappresentata nel provvedimento impugnato b il TAR avrebbe errato nel valutare le conclusioni del verificatore quanto agli appartamenti ritenuti abitabili, ritenendo erroneamente che lo fossero solo se collegati con altri monolocali c non sarebbe stata esaminata la domanda risarcitoria, che viene conseguentemente riproposta. In via istruttoria l’appellante chiede che venga espletata nuova verificazione. 4. Costituitosi in giudizio, il Ministero dell’Interno chiede di essere estromesso dal giudizio per difetto di legittimazione passiva. 5. Costituitasi in giudizio Roma Capitale oppone che I l’atto adottato tende alla tutela dell’incolumità pubblica e, quindi, sarebbe un atto di competenza sindacale, trattandosi di un provvedimento extra ordinem ex art. 222 T.U.L.S., art. 50, comma 5, e 54, comma 4, d.lgs. 267/2000 II l’atto impugnato conterebbe l’indicazione che avrà efficacia sino a quando non saranno eliminate le cause che ne hanno determinato l’adozione, mentre il potere di verifica competerebbe all’autorità sanitaria III non rileverebbe la concessione in sanatoria, dal momento che il suddetto titolo edilizio non surrogherebbe il certificato di abitabilità IV non vi sarebbe stata alcuna erronea valutazione dei dati emergenti dalla verificazione V la domanda risarcitoria oltre che infondata sarebbe stata esercitata dinanzi al giudice civile, che l’avrebbe già respinta definitivamente con sentenza della Corte d’Appello n. 4928 del 22 luglio 2014. 6. Nelle successive difese l’appellante insiste nelle proprie conclusioni. 7. L’appello è manifestamente infondato e va respinto. 8. Quanto alla prima doglianza, non è fondata la lamentata incompetenza del Sindaco, atteso che l'ordinanza sindacale n. 35 del 1° febbraio 2010 è stata espressamente emanata in applicazione dell’art. 222 del r.d. 1265/1934 e dell’art. 50 del d.lgs. 267/2000. Non si può ritenere sussistente un contrasto tra la disciplina contenuta nel d.P.R. 380/2001 e quella dell’art. 50 del t.u. n. 267 del 2000, tanto che l’art. 26 del d.P.R. 380/2001 espressamente prevede che il rilascio della relativa certificazione non impedisce l'esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità ai sensi dell'art. 222 R.D. n. 1265/34, in forza del quale il Sindaco può dichiarare inabitabile una casa o parte di essa per ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero. 8.1. Infondata nella sua rappresentazione fattuale è la doglianza con la quale l’appellante si lamenta dell’assenza di un termine di efficacia del provvedimento in questione, giacché dal tenore letterale dell’atto impugnato si evince che lo stesso produrrà effetti al più tardi sino al momento in cui l’autorità sanitaria avrà accertato l’eventuale ripristino dei requisiti di conformità sotto l’aspetto igienico sanitario e di sicurezza è del tutto logico che il provvedimento abbia determinato che i propri effetti siano disposti sino a quando vi sia il ritorno alla legalità. 8.2. Non giova all’appellante neanche contestare che i presupposti fattuali oggetto dell’ordinanza sindacale si sarebbero rilevati meno gravi di quelli emersi in sede di verificazione, dal momento che anche quest’ultima ha accertato una situazione che evidenzia la presenza di elementi idonei e sufficienti a far ritenere legittimo il provvedimento della resistente amministrazione, quanto al rilevato stato di fatto dell’immobile posto a base dell’ordinanza avversata. 9. Infondata è anche la censura con la quale si sostiene che il TAR avrebbe errato nell’interpretare la verificazione, nella parte in cui questa rappresenta l’agibilità ‘condizionata’ di 26 appartamenti. Infatti, dall’esame della verificazione in atti si evince che la condizione relativa al necessario accorpamento degli appartamenti, pure indicata dal verificatore, non risultava verificatasi al momento delle operazioni di verificazione, né tantomeno al tempo dell’adozione dell’atto impugnato. 10. Quanto, infine, alla doglianza circa il mancato esame della domanda risarcitoria, l’infondatezza delle doglianze di legittimità, che non consentono di rinvenire una condotta illecita addebitabile all’amministrazione, non può che portare anche per questo profilo alla reiezione dell’appello. 11. L’appello, pertanto, deve essere respinto. Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta definitivamente pronunciando sull'appello n. 3970 del 2012, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna Rositan S.a.s. al pagamento delle spese del presente grado del giudizio, che liquida in euro 7.000,00 settemila/00 , oltre accessori di legge, in favore di Roma Capitale. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.