Se la PA intende usucapire un terreno, deve motivare la sussistenza dei presupposti legittimanti

Non può essere messo in dubbio che un ente pubblico possa dichiarare l’usucapione di un’area di sedime, relativa a una strada, appartenente a privati, qualora si siano verificati i presupposti di legge. Precisamente, l'usucapione avviene quando il soggetto pubblico, mediante gli organi del suo apparato amministrativo, esercita continuativamente il possesso ad usucapionem del bene per tutta la durata necessaria.

E’ quanto suggestivamente statuito dal Tar Marche, sez. I, nella sentenza n. 52/2016, depositata l’1 febbraio 2016. La contestata acquisizione pubblica. Una signora, in data 15 novembre 1994, diventava proprietaria di alcuni appezzamenti di terreno, siti nel Comune di Pesaro, aventi un vincolo ambientale di tutela e di ripristino paesaggistico intensivo, oltre che uno di salvaguardia e di riassetto idrogeologico intensivo. Tali terreni risultavano confinanti con altre aree, in parte di proprietà del Comune di Pesaro. Nel luglio del 2012, il Comune avviava un procedimento, avente ad oggetto l’accertamento della demanialità di una strada di collegamento, di proprietà della donna., con la spiaggia sottostante, mediante usucapione, ai sensi dell'art. 1158 c.c La proprietaria presentava una lettera di contestazioni, censurando l’insussistenza dei presupposti necessari per dichiarare l’intervenuta usucapione, oltre il fatto che erano stati effettuati sui suoi terreni lavori da lei mai autorizzati. Dopo quasi due anni, il Comune di Pesaro disponeva, con specifica deliberazione consiliare, la chiusura dell’avviato procedimento, dichiarando l'intervenuta usucapione dei terreni privati in proprio favore. Avverso tale provvedimento, proponeva ricorso la proprietaria, lamentando, in particolare, la carenza di motivazione e l’incongruente ed insufficiente istruttoria posta in essere. Ciò comportava, ad avviso della proprietaria ricorrente, in ragione degli interventi già posti in essere dal Comune, una sostanziale usurpazione delle proprie aree, in spregio alla vigente normativa civilistica in materia e, soprattutto, senza la corresponsione di alcun indennizzo. La c.d. usucapione pubblica. Il Tar Marche, nella pronuncia in esame, principia la sua analisi con la seguente statuizione Non può essere messo in dubbio e del resto la ricorrente non lo contesta nel ricorso , che un ente pubblico possa dichiarare l’usucapione di un’area di sedime, relativa a una strada, appartenente a privati qualora si siano verificati i presupposti di legge . Si tratta di una dichiarazione importante, non solo in quanto contrasta un altro indirizzo giurisprudenziale, come illustreremo fra breve, ma anche perché fa luce in merito ad un istituto sicuramente controverso, quale quello dell' usucapione pubblica . Infatti, il primario merito della pronuncia è proprio quello di aver approfondito siffatto istituto. Orbene, come confermato anche dai giudici marchigiani, con il termine usucapione pubblica , non si intende far riferimento ad un distinto istituto acquisitivo di matrice pubblicistica, che non esiste, bensì all'ordinaria usucapione, come puntualmente disciplinata dal codice civile, il cui beneficiario sia un soggetto particolare, la Pubblica amministrazione. Dunque, un istituto non diverso da quello civilistico, ma che semmai presenta solo alcune particolarità, derivanti dalla natura pubblica del soggetto usucapente. I requisiti dell'usucapione pubblica, che vengono interpretati in modo sicuramente severo, sono i seguenti a l'usucapione avviene quando il soggetto pubblico, mediante gli organi del suo apparato amministrativo, esercita continuativamente il possesso ad usucapionem del bene per tutta la durata necessaria. Attraverso tale possesso, si estrinseca l'esercizio di una particolare signoria sul bene, corrispondente ad un diritto reale di godimento. A tal riguardo, occorre osservare che l'usucapione, in favore di un soggetto pubblico territoriale, quale il Comune, può configurarsi anche quando il possesso ad usucapionem non sia esercitato direttamente dall'ente, ma da una indifferenziata comunità di persone, alla quale sia riconducibile tanto la signoria di fatto sul bene il corpus , quanto l' animus possidendi l'intenzione di esercitare uti cives sul bene un potere corrispondente a quello di proprietario o di titolare di un ius in re aliena . b L'usucapione deve essere funzionale al soddisfacimento di un pubblico interesse, cioè il bene deve essere idoneo a soddisfare siffatto interesse. c Attraverso tale possesso, posto in essere direttamente dall'ente pubblico o, indirettamente dalla collettività, di cui il medesimo è ente esponenziale come nel caso di un Comune , deve manifestarsi il disconoscimento anche implicito di ogni contrario diritto del proprietario. d Il proprietario non deve porre in essere un atteggiamento di mera tolleranza. e Il possesso deve essere continuo e deve permanere per la durata civilisticamente prevista ai fini dell'usucapione. Come prima si anticipava, in merito all'usucapione pubblica, si contrappongono due distinti orientamenti. Ad avviso dell'indirizzo favorevole CdS, sez. IV, n. 5665/2014 Tar Sicilia, sez. Palermo III, n. 333/2014 , cui aderisce il Tar Marche, è configurabile, in presenza dei predetti presupposti, la maturazione dell’usucapione in favore della PA, che occupi in via d’urgenza ed in vista dell’espropriazione un fondo, senza poi far luogo nei termini previsti all’adozione del decreto di espropriazione od all'acquisizione attraverso la cessione volontaria del bene, ai sensi dell'art. 45 del d.P.R. n. 327/2001. Si evidenzia, poi, che l’accertamento dell’acquisto per usucapione determina l’estinzione della tutela reale ed obbligatoria e far venir meno ab origine l’illiceità della condotta lesiva posta in essere dall'ente pubblico, non solo per il periodo successivo al decorso del termine ventennale, ma anche per quello anteriore, in virtù della retroattività degli effetti dell’acquisto a titolo originario per usucapione. A tale indirizzo, si contrappone un orientamento contrario e negativo CdS, sez. IV, n. 3346/2014 Tar Umbria, sez. I, n. 41/2014 , che contesta l'usucapione pubblica, in quanto si palesa come incompatibile rispetto all’art. 1 del Protocollo Addizionale della CEDU Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo . Infatti, la costante giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha più volte affermato la non conformità alla Convenzione in particolare, al citato Protocollo addizionale n. 1 dell’istituto della c.d. espropriazione indiretta o larvata e, quindi, di alternative all’acquisizione in proprietà che non siano rappresentate dal decreto di espropriazione ovvero dalla cessione volontaria. Inoltre, viene frapposto un ulteriore ostacolo argomentativo, che si ricollega all’orientamento, secondo cui, in tema di tutela possessoria, ricorre spoglio violento anche in ipotesi di privazione dell’altrui possesso mediante alterazione dello stato di fatto in cui si trovi il possessore, eseguita contro la volontà sia pure soltanto presunta di quest’ultimo, sussistendo la presunzione di volontà contraria del possessore ove manchi la prova di una manifestazione univoca di consenso. Ciò, senza che rilevi, in senso contrario, il semplice silenzio, in quanto circostanza di per sé equivoca e non interpretabile come espressione di acquiescenza, alla luce dell’ampia nozione di violenza del possesso elaborata dalla giurisprudenza. In base a tale indirizzo interpretativo deve escludersi che la detenzione possa essere mutata in possesso. La necessaria sussistenza dei presupposti. I giudici amministrativi marchigiani, pur aderendo all'orientamento favorevole alla configurabilità dell'usucapione pubblica, nella concreta vicenda accolgono il ricorso, in quanto ritengono che le motivazioni contenute nei provvedimenti amministrativi impugnati sono del tutto carenti a comprovarne i necessari presupposti. Precisamente, la motivazione appare gravemente insufficiente soprattutto per quel che concerne la prova dell’effettivo esercizio del potere del proprietario da parte del Comune per vent’anni, privo di interruzioni. Tale prova, che non è mai stata fornita dal Comune, è importante in quanto, per l'attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una strada privata è necessario che, con la destinazione della strada all'uso pubblico, concorra l'intervenuto acquisto della proprietà del sedime. Infatti, non è assolutamente sufficiente l'iscrizione della strada negli elenchi delle strade comunali, stante il noto carattere meramente presuntivo Tar Sicilia, sez. Catania III, n. 2912/2014 . Ad avviso del Tar, il primo atto di effettivo possesso significativo ed utile ai fini dell'usucapione atto di manifestazione di possesso uti dominus non può essere che il frazionamento delle particelle interessate dalla strada, avvenuto nel 1997. Quindi, non è decorso l'intervallo temporale ventennale, previsto dal codice civile. Inoltre, i giudici marchigiani fanno osservare che il Comune ha posto in essere una condotta sicuramente contraddittoria. Precisamente, nel 2003, incredibilmente, il Comune riconosceva il diritto di proprietà della proprietaria ricorrente, richiedendo alla medesima l'autorizzazione per l'effettuazione di lavori di somma urgenza per la messa in sicurezza della strada. Se pure non si tratta di un vero riconoscimento formale, idoneo ad interrompere il termine dell’usucapione, appare comunque significativo, dato che il Comune, a documentazione del possesso ultraventennale ha essenzialmente fatto valere le delibere relative ai lavori effettuati nell’area, senza che siano specificate le modifiche che hanno interessato, nello specifico, l’area di proprietà della ricorrente e senza una precisa cronologia ventennale dell’esercizio del possesso uti dominus sull’area medesima. Conseguentemente, affermandosi, da parte del Comune, l'insorgenza dell'usucapione pubblica e non di un mero riconoscimento di uso pubblico della strada, la scansione temporale del possesso uti dominus deve essere provata in maniera specifica, allo scopo di evitare abusi della potestà pubblica Comunale volti ad acquistare la proprietà in maniera non prevista dalle norme vigenti . Tuttavia, il Tar Marche, pur accogliendo il ricorso, ribadisce la sua adesione all'orientamento favorevole, evidenziando espressamente che L’accoglimento del ricorso non pregiudica il potere dell’amministrazione di pronunciarsi nuovamente sulla sussistenza dell’usucapione a proprio favore, documentandone i presupposti e in particolare l’effettiva data d’inizio del possesso uti dominus e il decorso ventennale con specifico riferimento alle particelle di proprietà della ricorrente .

Tar Marche, sez. I, sentenza 8 ottobre 2015 – 1 febbraio 2016, numero 52 Presidente Bianchi – Estensore Ruju Fatto e Diritto La ricorrente, residente in Lussemburgo dal 2000 espone di essere diventata proprietaria, in data 15.11.1994, di alcuni appezzamenti di terreno, siti in Comune di Pesaro, Frazione di Fiorenzuola di Focara, con vincolo ambientale di tutela e ripristino paesaggistico intensivo e un vincolo di salvaguardia e riassetto idrogeologico intensivo, di cui all'art. 51 delle NTA del PRG vigente , confinante con altri appezzamenti di terreno, in parte di proprietà del Comune di Pesaro Negli anni successivi documenta di avere protestato con il Comune di Pesaro per lavori non autorizzati sui suoi terreni. Successivamente, la ricorrente riceveva, la nota datata 17.7.2012 con la quale il Responsabile U.O. Patrimonio, del Comune di Pesaro, comunicava l'avvio di procedimento amministrativo relativo all'accertamento della demanialità della strada di collegamento dell'abitato di Fiorenzuola di Focara con la spiaggia sottostante, mediante usucapione ai sensi dell'art. 1158 c.c. La ricorrente replicava contestando la presenza dei presupposti per l’usucapione. In data 8.3.2014 era adottata l’impugnata della Delibera di Consiglio Comunale, prot. numero 15744 con la quale il Comune di Pesaro, ai fini acquisitivi, dichiarava l'intervenuta usucapione a proprio favore della strada detta della marina , individuata catastalmente al Foglio numero 10 con i mappali nnumero 52/ parte, 440, 586, 588, 590, 596, 603, 606, 608, 610, La ricorrente impugna il provvedimento del Comune di Pesaro deducendo tre motivi di ricorso. Con il primo deduce i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere per carenza di motivazione e grave difetto di istruttoria ex art. 3, l. 241/1990 ed eccesso di potere per indeterminatezza, sostenendo che il provvedimento impugnato è sostanzialmente privo di qualunque prova riguardo la sussistenza dei presupposti per l’usucapione, con una motivazione apodittica e praticamente inesistente. Inoltre il provvedimento mancherebbe di documentazione non fatta conoscere alla ricorrente. Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 31, comma 21, l. 23.12.1998, numero 448, eccesso di potere per falso presupposto di fatto e di diritto, contraddittorietà per l’assenza dei presupposti indicati nella norma citata, peraltro richiamata dal provvedimento comunale, in particolare l’ininterrotta destinazione ad uso pubblico e il consenso dei proprietari. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente deduce l’eccesso di potere per sviamento e contraddittorietà perché l’impugnata delibera avrebbe, sostanzialmente, legittimato un’occupazione illegittima dei terreni della ricorrente effettuata dal Comune. Con ordinanza 25.7.2014 numero 273 è stata accolta, in considerazione il pregiudizio denunciato dalla ricorrente, l’istanza cautelare, limitatamente alla sospensione della trascrizione dell’atto di accertamento dell’usucapione e dei provvedimenti conseguenti. Con successivo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 30.6.2014, la ricorrente ha impugnato una serie di atti relativi ai terreni oggetto della dichiarazione di usucapione, asseritamente ad essa spediti in data 30.4.2014 e l’ordinanza sindacale numero 576 del 26.4.2014, avente ad oggetto il ripristino dell’uso pubblico della strada. I provvedimenti sono impugnati per l’illegittimità derivata e eccesso di potere per falso presupposto, sviamento e contraddittorietà, evidenziando che essenzialmente gli interventi documentati dal Comune configurerebbero un’usurpazione del proprio terreno di fatto, senza pagamento dell’indennizzo. Con un altro motivo di ricorso viene contestata l’ordinanza sindacale 576/2014, dove ordina il ripristino ad uso pubblico della strada, rimuovendo l’apposizione di barriere e indicazioni segnaletiche da parte della ricorrente Si è costituito il Comune di Pesaro, resistendo al ricorso. Alla pubblica udienza dell’8.10.2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione. 1 Il ricorso e i motivi aggiunti sono fondati e devono essere accolti. 1.1 Non può essere messo in dubbio e del resto la ricorrente non lo contesta nel ricorso , che un ente pubblico possa dichiarare l’usucapione di un’area di sedime, relativa a una strada, appartenente a privati qualora si siano verificati i presupposti di legge. 1.2 Il trasferimento è previsto anche dall’art. 31 c.21 della legge 448/1998, che prevede il potere degli enti con proprio provvedimento, di disporre l'accorpamento al demanio stradale delle porzioni di terreno utilizzate ad uso pubblico, ininterrottamente da oltre venti anni, previa acquisizione del consenso da parte degli attuali proprietari. In realtà tale norma è citata solo nel ricorso e non nel provvedimento di acquisizione. In ogni caso essa richiede il consenso del proprietario per l’acquisizione, consenso che non si può ritenere presente nel caso in esame. 1.3 Nel caso in esame, il Comune nella delibera impugnata con il ricorso introduttivo, intende quindi fare valere l’istituto della c.d. usucapione pubblica. Ciò posto in linea di diritto, si osserva che nel caso di specie non sono ravvisabili con il necessario rigore i presupposti di applicabilità dell’istituto in esame. Come è noto, con l'espressione usucapione pubblica si intende far riferimento non ad un distinto istituto acquisitivo di matrice pubblicistica, che non esiste, ma alla ordinaria usucapione civilistica il cui beneficiario sia un soggetto pubblico, che semmai presenta alcune particolarità derivanti dalla natura pubblica dell'usucapente. 1.4 L'usucapione avviene quando il soggetto pubblico, mediante gli organi del suo apparato amministrativo, esercita continuativamente il possesso ad usucapionem del bene per tutta la durata necessaria. In particolare, l'usucapione a favore di un soggetto pubblico territoriale quale il Comune, può configurarsi anche quando il possesso ad usucapionem non sia esercitato direttamente dall'ente, bensì da una indifferenziata comunità di persone alla quale sia riconducibile tanto il corpus la signoria di fatto sul bene quanto l'animus possidendi l'intenzione di esercitare uti cives sul bene un potere corrispondente a quello di proprietario o di titolare di un ius in re aliena . E’ inoltre necessario che l’usucapione sia funzionale allo soddisfacimento di un pubblico interesse. Riassumendo, l'usucapione pubblica presuppone l'idoneità del bene all'uso pubblico la rispondenza dell'uso a una utilità pubblica e non al soddisfacimento dell'interesse privato di alcuni singoli l'esercizio della signoria sul bene, corrispondente ad un diritto reale di godimento, da parte dell'ente o di una collettività di persone agenti uti cives e non uti singuli, il disconoscimento anche implicito di ogni contrario diritto del proprietario, la non riscontrabilità nel proprietario di un atteggiamento di mera tolleranza la continuità nell'esercizio dell'uso per la durata stabilita dal codice civile ai fini dell'usucapione. 2 Come si vede si tratta di requisiti piuttosto severi, tanto che gli stessi spesso vengono opposti dall’ente che ha avviato una procedura espropriativa non portata a conclusione alla richiesta di restituzione del bene, mentre sono piuttosto rari, in giurisprudenza, i casi come il presente in cui l’usucapione viene dichiarata in via principale. 2.1 Tra l’altro, nel caso in esame, il Comune non si limita a dichiarare l’usucapione di una servitù di uso pubblico sui beni, ma di aver usucapito la proprietà sugli stessi. Per l’usucapione della servitù di uso pubblico, a differenza dell’usucapione della proprietà del bene.,, sarebbero sufficienti i cosiddetti uso ab immemorabili uso pubblico risalente nel tempo e dicatio ad patriam tolleranza o espliciti atti di assegnazione del bene , Cass Sez. II 4.6.2001 numero 7481 . 2.2 Nella fattispecie in esame, il Collegio ritiene che il corredo motivazionale della delibera impugnata risulti carente nel riportare i presupposti per il riconoscimento dell’usucapione. Tali lacune, a parere del Collegio non sono colmate dai documenti fatti conoscere alla ricorrente dopo la delibera. Ciò in particolare, con riguardo alla prova dell’effettivo esercizio del potere del proprietario da parte del Comune per vent’anni, privo di interruzioni. Riguardo tale prova, la scansione temporale del possesso deve essere precisa, dovendosi esplicitare quando è iniziato e quando è maturato il termine ventennale. 2.3 Ciò appare conforme con il costante orientamento giurisprudenziale per cui, per l'attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una via privata è necessario che con la destinazione della strada all'uso pubblico concorra l'intervenuto acquisto, da parte dell'ente locale, della proprietà del suolo relativo o per effetto di un contratto, in conseguenza di un procedimento d'esproprio, per effetto di usucapione o dicatio ad patriam, ecc. , non valendo, in difetto dell'appartenenza della sede viaria al Comune, l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima nè la natura pubblica di una strada può essere desunta dalla prospettazione della mera previsione programmatica di tale destinazione, dall'espletamento su di essa, di fatto, del pubblico transito per un periodo infraventennale, o dall'intervento di atti di riconoscimento dell'amministrazione medesima circa la funzione assolta da una determinata strada Cass. civ., sez. II, 28.12.2010, numero 20405 Cass. civ., sez. I, 26.8.2002 numero 12540 Cass. civ. Sez. II, 7.4.2006, numero 8204 . 2.4 In particolare, nel provvedimento impugnato si legge come la strada di cui al provvedimento impugnato, la cui area di sedime appartiene a diversi proprietari abbia assunto la forma attuale come progetto solo a partire dalla delibera 586/1986. e non vi sono notizie della data di effettivo completamente e, soprattutto, manca una specificazione dei lavori che hanno interessato il mappale della ricorrente dato che, a detta dello stesso Comune, la strada era già completa all’80%,per cui non è chiaro quale parte dei lavori abbia interessato la proprietà della ricorrente e la loro rilevanza per un esercizio del possesso uti dominus” . Ad avviso del Collegio, il primo comportamento del Comune che appare esercitare con certezza i diritti del possessore uti dominus” è il frazionamento delle particelle interessate dalla strada e il pagamento del relativo indennizzo, avvenuto nel 1997. Del resto, se pure non è contestata l’esistenza, da tempo,di una strada con relativo uso pubblico, è altresì sostanzialmente non controverso il fatto che essa abbia subito profondi cambiamenti in date imprecisate, non essendo stato documentato l’effettivo svolgimento dei lavori e i tempi di conclusione degli stessi. 2.5 Ancora, con la nota 3.7.2003, trasmessa il 16.7.2003 il Comune, riconosceva il diritto di proprietà della ricorrente richiedendo alla stessa il nulla osta all'effettuazione di lavori di somma urgenza per la messa in sicurezza della strada. Se pure, come condivisibilmente fatto notare dalla difesa comunale, non si tratta di un riconoscimento formale tale da interrompere il termine dell’usucapione, appare comunque significativo,dato che il Comune, a documentazione del possesso ultraventennale ha essenzialmente fatto valere le delibere relative ai lavori effettuati nell’area, senza che siano specificate le modifiche che hanno interessato,nello specifico, l’area di proprietà della ricorrente e senza una precisa cronologia ventennale dell’esercizio del possesso uti dominus” sull’area medesima. Ad avviso del Collegio, trattandosi di usucapione e non di mero riconoscimento di uso pubblico della strada, la scansione temporale del possesso uti dominus deve essere provato in maniera specifica, allo scopo di evitare abusi della potestà pubblica Comunale volti ad acquistare la proprietà in maniera non prevista dalle norme vigenti. 3 Il ricorso introduttivo deve quindi essere accolto, essendo fondato e assorbente li primo motivo nella parte in cui denuncia il difetto di motivazione e istruttoria riguardo il verificarsi dei presupposti per l’usucapione a favore del Comune. 3.1 L’illegittimità si estende ai motivi aggiunti per illegittimità derivata. Difatti, le delibere citate nell’atto impugnato, inviate dal Comune alla ricorrente e impugnate con i motivi aggiunti, non modificano il giudizio sul difetto di istruttoria e motivazione dato che continua a mancare un preciso dies a quo riguardo l’esercizio del potere uti dominus sull’area di proprietà della ricorrente, anteriore alla delibera 102/1997, con la quale veniva deciso il frazionamento dei terreni e il pagamento degli indennizzi. Ovviamente l’accoglimento del ricorso non comporta l’annullamento dei risalenti atti che hanno interessato i terreni della ricorrente, ma riguarda solo l’insufficienza del loro richiamo per giustificare il perfezionamento della fattispecie usucapiva. 4 L’accoglimento del ricorso non pregiudica il potere dell’amministrazione di pronunciarsi nuovamente sulla sussistenza dell’usucapione a proprio favore, documentandone i presupposti e in particolare l’effettiva data d’inizio del possesso uti dominus e il decorso ventennale con specifico riferimento alle particelle di proprietà della ricorrente. 4.1 L’accoglimento del ricorso comporta anche l’annullamento dell'ordinanza sindacale numero 576 del 26.4.2014, per illegittimità derivata, ovviamente salvo il diritto del Comune di emettere provvedimenti riguardanti l’uso pubblico della strada. 4.2 Le spese possono essere compensate, considerati i motivi dell’annullamento e la possibilità di riedizione del potere. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti li accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnata delibera del Consiglio Comunale di Pesaro numero 135 del 16.12.2013 e l’ordinanza sindacale N. 576 del 26.4.2014, entrambe nei limiti specificati in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.