Gli scenari applicativi pratici del c.d. “diritto all’oblio”

Con la pubblicazione – lo scorso 3 Dicembre - della sentenza n. 23771, il Tribunale di Roma si è pronunciato sul c.d. diritto all’oblio” respingendo la richiesta di avvocato rivolta al motore di ricerca Google per la cancellazione di links e la domanda di relativo risarcimento del danno.

La sentenza del Tribunale di Roma n. 23771 del 3 dicembre 2015 è la prima pronuncia se si eccettua Trib. Milano del 5.6.2015, che però si era occupato di aspetti residuali del diritto in una vicenda che aveva ad oggetto la pubblicazione illecita di conversazioni telefoniche che ha affrontato la tematica del diritto all’oblio organicamente, ricostruendo puntualmente tutti i principi applicabili, come derivanti tanto dalla nota sentenza della Corte di Giustizia UE C-131/12 in materia, quanto dalle Linee Guida interpretative dei principi in detta sentenza esplicitati, emanate dal Gruppo dei Garanti privacy UE ex art. 29 della Direttiva in data 26 Novembre 2014. Il caso. un avvocato aveva citato il motore di ricerca Google chiedendo al Tribunale – oltre al risarcimento del danno la deindicizzazione di 14 links che riportavano a siti web contenenti notizie di cronaca giudiziaria circa il suo coinvolgimento in una vicenda penale del 2012/2013 nella quale non era stata pronunciata alcuna condanna relativamente a presunte truffe e guadagni illeciti realizzati da un sodalizio criminoso del quale risultavano fare parte esponenti della criminalità della c.d. banda della Magliana ed alcuni membri del clero. La sentenza della Corte di Giustizia UE sul diritto all’oblio. Nel respingere tutte le richieste per insussistenza in capo all’attore del vantato diritto all’oblio, il Tribunale ha colto l’occasione per ricostruire puntualmente la natura ed i presupposti di un tale diritto, sia alla luce della recente sentenza della Corte di Giustizia UE nel caso C-131/12 Google Spain SL, Google Inc. / Agencia Española de Protección de Datos, Mario Costeja González che delle Linee Guida sulla implementazione pratica dei principi espressi in materia dalla Corte UE emanate il 26 Novembre 2014 dal Gruppo Art. 29 che riunisce tutte le Autorità privacy europee WP 225 Guidelines on the implementation of the Court of Justice of the European Union judgment on Google Spain and Inc V. Agencia Española De Protección De Datos Aepd and Mario Costeja González” C-131/12 . Prima di commentare alcuni interessanti spunti della sentenza del Tribunale di Roma, appare opportuno formulare una considerazione preliminare su come si sta recependo nella pratica dagli interessati e dalle istituzioni la sentenza della Corte di Giustizia UE sul diritto all’oblio. Nella prospettiva degli interessati – almeno valutando i dati sulle richieste di deindicizzazione in prima battuta da richiedere al motore di ricerca e sui ricorsi alle Autorità nazionali privacy sorta di appello” avverso il diniego del motore di ricerca di accogliere le richieste di esercizio del diritto all’oblio, per approfondimenti si vedano i tre articoli pubblicati su Diritto e Giustizia , appare che i principi stabiliti dalla Corte UE siano recepiti in maniera errata e distorta gli interessati sembrano quasi interpretare il diritto all’oblio come un diritto automatico a rivendicare la cancellazione di informazioni che li riguardano e che sono ad essi semplicemente sgradite, non tenendo in conto né i chiari e rigorosi presupposti sui quali è fondato il diritto all’oblio, né il necessario contemperamento tra tale diritto e – nella maggior parte dei casi – l’altrettanto fondamentale diritto di cronaca sub specie diritto ad informare e ad essere informati su fatti di pubblico interesse . D’altro canto le istituzioni il Garante privacy e da ultimo il Tribunale di Roma applicano invece correttamente i principi espressi dalla Corte UE. Quanto precede è confermato dalla recenti statistiche secondo gli ultimi dati pubblicati da Google il 12 Dicembre 2015, da quando il motore di ricerca ha attivato – a seguito della sentenza della Corte UE la procedura per la ricezione e la gestione delle richieste di deindicizzazione basate sul diritto all’oblio dal 29 Maggio 2014 , circa il 60% delle richieste ricevute è stato respinto. In base ai dati citati, ad oggi Google ha ricevuto 356.553 richieste di cancellazione di links da parte di cittadini europei e ne ha respinte 248.545 ed ha esaminato 1.256.576 links rimuovendone 441.032 . Interessante notare come tali richieste siano state avanzate per la stragrande maggioranza da cittadini comuni e non da personaggi pubblici. Altrettanto interessanti sono i dati rilasciati dal Garante per la privacy italiano sono circa 50 i ricorsi relativi a persone comuni, figure pubbliche locali, professionisti che si sono rivolti al Garante Privacy dopo che Google non ha accolto le loro richieste di deindicizzazione. Solo in un terzo dei casi il Garante ha accolto le richieste degli interessati ordinando a Google la rimozione dei links a pagine sul web che riportavano dati personali ritenuti non più di interesse pubblico, informazioni eccedenti, riferite anche a persone estranee alla vicenda giudiziaria narrata, o lesive della sfera privata. In tutti gli altri casi, invece, l’Autorità ha respinto le richieste ritenendo che la posizione di Google fosse corretta, risultando prevalente l’interesse pubblico ad accedere alle informazioni tramite motori di ricerca. Si trattava, infatti, in prevalenza, di vicende processuali di sicuro interesse pubblico, anche a livello locale, spesso recenti o per le quali non erano ancora stati esperiti tutti i gradi di giudizio. I dati personali riportati, tra l’altro, risultavano trattati nel rispetto del principio di essenzialità dell’informazione nell’ambito di trattamenti per finalità giornalistiche sul punto, si segnala l’importante documento del Garante privacy del 6 Maggio 2004 – troppo spesso dimenticato intitolato Privacy e giornalismo. Alcuni chiarimenti in risposta a quesiti dell’Ordine dei giornalisti . Alcuni spunti Formulate le considerazioni che precedono, appare ora opportuno analizzare alcuni spunti della sentenza 23771/2015 del Tribunale di Roma. L’organo giudicante, nel motivare il diniego di accoglimento delle domande di cancellazione dei links e di risarcimento del danno dell’attore, ben ricostruisce il quadro regolatorio applicabile al diritto all’oblio, richiamando tanto i principi della sentenza della Corte di Giustizia UE nel caso C-131/12 Google Spain SL, Google Inc. / Agencia Española de Protección de Datos, Mario Costeja González quanto Le Linee Guida del 26 Novembre 2014 dei Garanti europei che a quei principi hanno dato pratica applicazione interpretativa. Tuttavia, il Tribunale offre una definizione generale del diritto all’oblio che non appare del tutto corretta, o per lo meno limitativa peculiare espressione del diritto alla riservatezza privacy e del legittimo interesse di ciascuno a non rimanere indeterminatamente esposto ad una rappresentazione non più attuale della propria persona derivante dalla reiterata pubblicazione di una notizia con pregiudizio alla propria reputazione e riservatezza . In realtà tale definizione è solamente una delle applicazioni pratiche di tale diritto, che invece in linea generale – pur non esistendo nel Codice della privacy una precisa definizione del diritto all’oblio” presente invece nel nuovo Regolamento Generale UE sulla Protezione dei Dati in corso di approvazione – può essere definito [dal combinato disposto dell’art. 7, comma 3, lettera c e 11, comma 1, lettera e del Codice della privacy] come diritto generale della persona cui si riferiscono i dati personali non solo quelli pubblicati on line, ovviamente ad ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati di cui non è più necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati erano stati raccolti o successivamente trattati e a tale diritto corrisponde l’obbligo per il titolare del trattamento di conservare i dati raccolti in una forma che consenta l'identificazione dell'interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati. Linee Guida interpretative del Gruppo dei Garanti UE. Il Tribunale poi si sofferma, riportandone ampi stralci, sulla sentenza della Corte di Giustizia, di cui mette in risalto – correttamente – i fondamentali principi, corredandoli con gli ulteriori principi contenuti nelle Linee Guida interpretative del Gruppo dei Garanti UE del 26 Novembre 2014, che in materia di diritto all’oblio hanno specificato alcuni criteri utili atti ad orientare tanto i motori di ricerca quanto – soprattutto – le Autorità privacy nazionali chiamate in seconda battuta a decidere eventuali ricorsi. Tra tali criteri appare opportuno ricordare i seguenti a la natura privata o pubblica” dell’informazione e del richiedente la de-indicizzazione in particolare le Linee Guida chiariscono che in linea generale non dovrebbero essere accettate le richieste di de-listing da soggetti che rivesto-no un ruolo pubblico, prevalendo l’interesse del pubblico a conoscere informazioni su chi svolge attività e ruoli pubblici, come ad esempio personaggi politici, pubblici officiali, uomini di affari, personaggi dello sport e dello spettacolo e persino professionisti iscritti in albi che svolgono professioni regolamentate in particolare le Linee Guida suggeriscono il criterio – comunque esemplificativo – per individuare le figure pubbliche” ai fini che precedono in generale i soggetti che a causa delle funzioni, attività o incarichi svolti hanno un certo grado di esposizione mediatica, e anzi citano una specifica definizione contenuta nella Risoluzione 1165 1998 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa le figure pubbliche sono i soggetti che rivestono un pubblico ufficio e/o utilizzano pubbliche risorse e, più in generale, tutti coloro che rivestono un ruolo nella vita pubblica, vuoi nella politica, nell’economia, nelle arti, nella sfera sociale, nello sport o in altri settori b la minore età al momento della pubblicazione dell’informazione, che dovrebbe favorire l’accoglimento di una richiesta di deindicizzazione c l’attinenza dell’informazione all’ambito professionale o personale dell’interessato, l’accuratezza e la proporzionalità delle informazioni riportate d la natura sensibile delle informazioni es informazioni su stato sanitario, su abitudini sessuali, etc e il tempo trascorso dalla pubblicazione della notizia f la possibilità che la disponibilità di un determinato risultato di ricerca arrechi pregiudizio all’interessato o metta a rischio la sicurezza dello stesso g l’inesistenza, in caso di accoglimento della richiesta dell’interessato di de-listing, dell’obbligo di cancellare la notizia dai siti originali, notizia che resta accessibile utilizzando altre chiavi di ricerca sul web diverse dal nome e cognome dell’interessato l’inesistenza dell’obbligo per gli interessati di contattare tali siti web originali onde esercitare il diritto all’oblio verso il motore di ricerca l’obbligo per i motori di ricerca di procedere al de-listing – ove ne ricorrano i presupposti – senza limitazioni territoriali, agendo cioè su tutti i suffissi – incluso il .com – e non solo sui suffissi ccTLD europei, per rendere la tutela del tutto effettiva. I quattro criteri emanati dalla commissione di esperti. Tra l’altro, ancorchè non menzionati nella sentenza del Tribunale di Roma, appare opportuno altresì ricordare anche i quattro criteri emanati dalla commissione di esperti che Google aveva costituito all’indomani della sentenza della Corte di Giustizia UE e che dopo un lungo tour di consultazioni in Europa per raccogliere pareri e consigli da parte di esperti, avvocati, magistrati, giornalisti e professori universitari con l’obiettivo di creare linee guida per semplificare e definire al meglio la linea di condotta che il motore di ricerca ora utilizza nella valutazione delle richieste ricevute, sono confluite nel rapporto finale intitolato Advisory Council to Google on the Right to be Forgotten. La commissione ha difatti indicato i seguenti quattro criteri-guida 1. il ruolo pubblico eventualmente rivestito dal soggetto che presenta la richiesta di delisting o al quale si riferisce la richiesta di delisting 2. la natura dell’informazione 3. la fonte dell’informazione 4. il tempo di disponibilità on line dell’informazione. Il leading case del diritto all’oblio in Italia. Importante è poi il riferimento che il Tribunale di Roma fa alla sentenza della Cassazione che costituisce – ad oggi – il leading case del diritto all’oblio in Italia. La Suprema Corte di Cassazione, pronunciandosi in materia, ha statuito che Il soggetto titolare dei dati personali oggetto di trattamento deve ritenersi titolare del diritto all'oblio anche in caso di memorizzazione nella rete Internet, mero deposito di archivi dei singoli utenti che accedono alla rete e, cioè, titolari dei siti costituenti la fonte dell'informazione. A tale soggetto, invero, deve riconoscersi il relativo controllo a tutela della propria immagine sociale che, anche quando trattasi di notizia vera, e a fortiori se di cronaca, può tradursi nella pretesa alla contestualizzazione e aggiornamento dei dati, e se del caso, avuto riguardo alla finalità di conservazione nell'archivio ed all'interesse che la sottende, finanche alla relativa cancellazione Cass. civ. Sez. III, 05-04-2012, n. 5525 . Afferma infatti la Suprema Corte che se l'interesse pubblico sotteso al diritto all'informazione art. 21 Cost. costituisce un limite al diritto fondamentale alla riservatezza artt. 21 e 2 Cost. , al soggetto cui i dati pertengono è correlativamente attribuito il diritto all'oblio v. Cass., 9/4/1998, n. 3679 , e cioè a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati. Atteso che il trattamento dei dati personali può avere ad oggetto anche dati pubblici o pubblicati v. Cass., 25/6/2004, n. 11864 , il diritto all'oblio salvaguarda in realtà la proiezione sociale dell'identità personale, l'esigenza del soggetto di essere tutelato dalla divulgazione di informazioni potenzialmente lesive in ragione della perdita stante il lasso di tempo intercorso dall'accadimento del fatto che costituisce l'oggetto di attualità delle stesse, sicchè il relativo trattamento viene a risultare non più giustificato ed anzi suscettibile di ostacolare il soggetto nell'esplicazione e nel godimento della propria personalità. Il soggetto cui l'informazione oggetto di trattamento si riferisce ha in particolare diritto al rispetto della propria identità personale o morale, a non vedere cioè travisato o alterato all'esterno il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale v. Cass., 22/6/1985, n. 7769 , e pertanto alla verità della propria immagine nel momento storico attuale . L’elemento del tempo trascorso. E’ proprio sull’elemento del tempo trascorso” che la sentenza fonda il diniego alle domande attoree risalendo le notizie pubblicate sul web al 2013, il Tribunale ha ritenuto che non vi fosse l’elemento costitutivo del diritto all’oblio, rappresentato dal trascorrere del tempo, quale diritto a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che appunto per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati. Mentre nel caso in questione, non solo le indagini e i processi sono ancora in corso, ma sussiste – ed è prevalente sul contrario interesse alla deindicizzazione – il diritto all’informazione del pubblico. Il Tribunale conclude dunque che i dati personali dell’attore risultano trattati nel pieno rispetto del principio di essenzialità dell’informazione e che la domanda – tra l’altro – non può essere accolta perché l’attore è avvocato iscritto nell’albo professionale in Svizzera, esercitando dunque un ruolo pubblico” proprio ai sensi di quanto chiarito dalle Linee Guida dei Garanti privacy europei. Sul punto, si deve osservare che appare abnorme che i Garanti UE abbiano equiparato i professionisti a personaggi pubblici per il solo fatto di essere iscritti ad albi professionali e di svolgere una professione regolamentata non appare difatti per nulla corretta né automatica, come invece emerge dalle Linee Guida l’equazione per cui un professionista, solo per svolgere una attività regolamentata, sia per ciò stesso sempre un soggetto che svolge un ruolo nella vita pubblica” poiché in tal modo viene depotenziato ad origine il diritto dei professionisti di esercitare l’oblio. Sulla falsità delle notizie riportate dai siti web. Infine, il Tribunale respinge altresì – e correttamente le doglianze dell’attore circa la falsità delle notizie riportate dai siti web visualizzabili per effetto di una ricerca a suo nome. Sul punto, non va difatti commesso l’errore di includere nel diritto all’oblio anche la facoltà di richiedere ai motori di ricerca la cancellazione di notizie perchè asseritamente false o non veritiere e tale confusione appare frequente puntualmente il Tribunale di Roma ricorda che in tale prospettiva l’attore avrebbe dovuto agire direttamente nei confronti dei titolari/gestori dei siti web terzi sui quali è avvenuta la pubblicazione delle informazioni contestate, qualora tali informazioni non siano state riportate fedelmente attraverso le procedure di rettifica previste dalla Legge sulla Stampa, ad esempio . Difatti, non può essere il motore di ricerca il destinatario di una simile doglianza poiché esso svolge in tali casi il mero ruolo di caching provider” ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. 70/2003 sui servizi della società dell’informazione, non essendo imputabile al provider alcuna responsabilità diversa da quanto prevede tale norma Art. 15 Responsabilità nell'attività di memorizzazione temporanea Caching 1. Nella prestazione di un servizio della società dell'informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile della memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di tali informazioni effettuata al solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltro ad altri destinatari a loro richiesta, a condizione che • non modifichi le informazioni • si conformi alle condizioni di accesso alle informazioni • si conformi alle norme di aggiornamento delle informazioni, indicate in un modo ampiamente riconosciuto e utilizzato dalle imprese del settore • non interferisca con l'uso lecito di tecnologia ampiamente riconosciuta e utilizzata nel settore per ottenere dati sull'impiego delle informazioni • agisca prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato, o per disa-bilitare l'accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano inizialmente sulla rete o che l'accesso alle informazioni è stato disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o un'autorità amministrativa ne ha disposto la rimozione o la di-sabilitazione. 2. L'autorità giudiziaria o quella amministrativa aventi funzioni di vigilanza può esigere, anche in via d'urgenza, che il prestatore, nell'esercizio delle attività di cui al comma 1, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse. E appare in conclusione utile altresì ricordare che laddove un gestore di un sito web abbia riportato una notizia veritiera, ma la stessa non sia stata poi aggiornata, o integrata ad esempio con l’ulteriore sviluppo delle indagini o l’esito delle stesse , allora in tali casi potrebbe essere attivabile una responsabilità del gestore per aver mantenuto on line – diciamo – solo una informazione parziale e non più aggiornata, con la conseguenza che – se ad esempio era stata riportata la notizia del rinvio a giudizio di un soggetto, senza poi aggiornare la stessa con la eventuale assoluzione del medesimo soggetto – rimarrebbe on line una informazione riferita all’interessato parziale e scorretta, che potrebbe dare adito a responsabilità – anche risarcitoria del gestore del sito web. Quanto precede è esattamente quanto stabilito dalla sentenza n. 27535 del 30 dicembre 2014 pronunciata dalla Terza sezione Civile della Corte di Cassazione. La Corte specifica che addirittura non è sufficiente che gli aggiornamenti e la comunicazione di un esito giudiziario favorevole per l'imputato siano rintracciabili in altre pagine e sezioni del sito Internet e dunque siano comunque riportati per evitare il rischio di condanna è necessario che lo stesso articolo che annuncia l'avvio di un'inchiesta giudiziaria a carico di uno o più imputati, sia poi successivamente integrato dando anche la notizia dell'evoluzione della vicenda giudiziaria. La sentenza in oggetto si riferisce a una vicenda che aveva coinvolto una nota associazione di consumatori, rea di aver pubblicato sul proprio sito una nota che riportava la notizia dell'apertura di un'inchiesta giudiziaria, ma non dell'avvenuta assoluzione degli imputati. Ne è scaturita una condannata civile al risarcimento del danno per diffamazione quantificato in 30.000 euro.

Tribunale di Roma, sez. I Civile, sentenza 24 novembre – 3 dicembre 2015, n. 23771 Giudice Damiana Colla Ragioni di fatto e di diritto della decisione Con ricorso depositato il 17-12-2014 il ricorrente, avvocato, ha convenuto in giudizio la società resistente chiedendo, sul presupposto dell’esistenza di un diritto all’oblio, la deindicizzazione di quattordici links risultanti da una ricerca a proprio nome, omissis , effettuata tramite il motore di ricerca Google, meglio elencati nell’atto introduttivo, nei quali era contenuto il riferimento ad una risalente vicenda giudiziaria nella quale era rimasto coinvolto senza che fosse mai stata pronunciata alcuna condanna, con condanna della controparte al risarcimento del danno derivante dall’illegittimo trattamento dei suoi dati personali, da quantificarsi nella misura non inferiore ad euro 1.000,00. La società resistente si è costituita eccependo la nullità dell’avverso atto introduttivo ed evidenziando, preliminarmente, la cessazione della materia del contendere relativamente a quattro URL in contestazione non comparendo gli stessi al momento della costituzione tra i risultati di ricerca e comunque corrispondendo a pagine web prive di contenuti ha comunque sostenuto nel merito l’inesistenza del diritto all’oblio rivendicato da controparte in relazione alla notizia oggetto di doglianza, con particolare riferimento all’irrilevanza dell’asserita erroneità delle notizie, all’assenza del requisito del trascorrere del tempo, oltre che al ruolo dell’interessato nella vita pubblica. Ha quindi concluso chiedendo il rigetto dell’avversa domanda, anche sotto il profilo del risarcimento del danno, con vittoria di spese. Alla prima udienza del 9.6.2015 la causa, ritenuta matura per la decisione, è stata rinviata al 10.11.2015 per la discussione, con lettura del dispositivo all’esito della camera di consiglio. Deve premettersi l’infondatezza dell’eccepita nullità dell’atto introduttivo per indeterminatezza della domanda, in considerazione della intelligibilità dei relativi petitum e causa petendi, tanto da consentire al giudice di pronunciarsi sulla richiesta di deindicizzazione ed alla resistente di difendersi adeguatamente, vista la consistente memoria di costituzione prodotta, unitamente alla pertinente produzione documentale effettuata. Occorre inoltre preliminarmente evidenziare che effettivamente dei quattordici url in contestazione solo dieci allo stato ancora rientrano tra i risultati della ricerca a nome dell’odierno ricorrente, per come correttamente indicato nella memoria di costituzione, con la conseguente esclusione dei predetti dall’effettuata richiesta di deindicizzazione. Quanto agli altri URL, nel merito, la domanda non è fondata e deve essere respinta per le ragioni che seguono. Tutti i links ancora rinvenibili sul motore di ricerca Google a nome di omissis contengono il riferimento a notizie di cronaca circa una vicenda giudiziaria in cui il medesimo sarebbe rimasto coinvolto nel 2012/2013 unitamente ad altri personaggi romani, alcuni esponenti del clero ed altri ricondotti alla criminalità della cd. banda della Magliana, relativamente a presunte truffe e guadagni illeciti realizzati dal sodalizio criminoso. Ebbene, l’odierna vicenda deve essere correttamente inquadrata nel trattamento dei dati personali e nel cd. diritto all’oblio, configurabile quale peculiare espressione del diritto alla riservatezza privacy e del legittimo interesse di ciascuno a non rimanere indeterminatamente esposto ad una rappresentazione non più attuale della propria persona derivante dalla reiterata pubblicazione di una notizia ovvero nella specie il permanere della sua indicizzazione sui motori di ricerca , con pregiudizio alla propria reputazione e riservatezza attesa l’attenuazione dell’attualità della notizia e dell’interesse pubblico all’informazione con il trascorrere del tempo dall’accadimento del fatto . Quest’ultimo, ove ritenuto sussistente, impedisce il protrarsi del trattamento stesso e quindi l’indicizzazione, con la conseguente fondatezza della domanda di deindicizzazione nei confronti del gestore del motore di ricerca , per come risultante anche dalla recente pronuncia in materia resa dalla Corte di Giustizia Europea Grande Sezione del 13.5.2014 nella causa C-131/12, sentenza Costeja , oltre che dalle, conformi, successive decisioni del Garante per la protezione dei dati personali. Secondo la citata pronuncia, in sintesi, gli utenti in caso di ricerca nominativa su Google non possono ottenere dal gestore del motore di ricerca la cancellazione dai risultati di una notizia che li riguarda se si tratta di un fatto recente e di rilevante interesse pubblico il diritto all'oblio, infatti, deve essere bilanciato, ad avviso della corte, con il diritto di cronaca e con l’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti acquisibili per il tramite dei links forniti dal motore di ricerca. Ad avviso della Corte occorre ricercare, in situazioni quali quelle oggetto del procedimento principale, un giusto equilibrio segnatamente tra tale interesse e i diritti fondamentali della persona di cui trattasi derivanti dagli articoli 7 e 8 della Carta. Se indubbiamente i diritti della persona interessata tutelati da tali articoli prevalgono, di norma, anche sul citato interesse degli utenti di Internet, tale equilibrio può nondimeno dipendere, in casi particolari, dalla natura dell’informazione di cui trattasi e dal suo carattere sensibile per la vita privata della persona suddetta, nonché dall’interesse del pubblico a disporre di tale informazione, il quale può variare, in particolare, a seconda del ruolo che tale persona riveste nella vita pubblica”. In altri termini, dato che l’interessato può, sulla scorta dei suoi diritti fondamentali derivanti dagli articoli 7 e 8 della Carta, chiedere che l’informazione in questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico in virtù della sua inclusione in un siffatto elenco di risultati, i diritti fondamentali di cui sopra prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse di tale pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona. Tuttavia, così non sarebbe qualora risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dell’inclusione summenzionata, all’informazione di cui trattasi”. Ed ancora i diritti fondamentali di cui sopra prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse di tale pubblico a trovare l’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona. Tuttavia, così non sarebbe qualora risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, mediante l’inclusione summenzionata, all’informazione di cui trattasi”. Solo in alcuni casi pertanto, prosegue la pronuncia, la persona interessata può esigere dal gestore di un motore di ricerca che questi sopprima dall’elenco di risultati, che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di questa persona, dei link verso pagine web legittimamente pubblicate da terzi e contenenti informazioni veritiere riguardanti quest’ultima, a motivo del fatto che tali informazioni possono arrecarle pregiudizio o che essa desidera l’ oblio di queste informazioni dopo un certo tempo”. E’ dunque necessario, spiega la Corte, verificare in particolare se l’interessato abbia diritto a che l’informazione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome”. La pronuncia citata ha quindi previsto l’obbligo, per un motore di ricerca nel caso di specie, Google , di rimuovere dai propri risultati cd. deindicizzazione” i link a quei siti che siano ritenuti dagli interessati lesivi del loro diritto all’oblio” o right to be forgotten” , in relazione alla pretesa a ottenere la cancellazione dei contenuti delle pagine web che, secondo l’interessato, offrono una rappresentazione non più attuale della propria persona. Nel caso in cui il motore di ricerca non accolga la richiesta, l’interessato potrà rivolgersi all’autorità nazionale per la protezione dei dati personali o all’autorità giudiziaria. Il 26 novembre 2014 l’Article 29 Data Protection Working Party organo consultivo indipendente istituito in conformità all’articolo 29 della Direttiva 95/46/CE sulla protezione dei dati personali ha pubblicato delle linee guida per l’implementazione della menzionata pronuncia della Corte di Giustizia causa C−131/12 , le quali per quel che qui specificamente interessa contengono una serie di criteri per orientare l’attività delle autorità nazionali nella gestione dei reclami degli interessati a seguito del mancato accoglimento, da parte del motore di ricerca, delle richieste di deindicizzazione, chiarendo che nessun criterio è di per sé determinante. Tra di essi, figura in primo luogo quello della natura del richiedente in particolare, la circostanza per cui il richiedente rivesta un ruolo di rilievo pubblico, come nel caso di personaggi politici, dovrebbe tendenzialmente orientare verso il diniego della richiesta di deindicizzazione . I principi esposti dalla riportata pronuncia e contenuti nelle linee guida emanate dal WP29 nello scorso mese di novembre sono stati infine integralmente recepiti dal Garante Privacy nelle decisioni rese successivamente ad essa cfr., ad esempio, decisione n. 618 del 18 dicembre 2014 e n. 153 del 12.3.2015, quest’ultima prodotta dalla stessa parte resistente agli atti del giudizio . Nella decisione n. 618/2014 ad esempio il Garante ha respinto il ricorso di una persona che contestava la decisione del motore di ricerca di non deindicizzare un articolo che riferiva di un'inchiesta giudiziaria in cui risultava implicata osservando che il trattamento dei dati personali del ricorrente era avvenuto in origine per finalità giornalistiche secondo quanto previsto dagli artt. 136 ss. del Codice, nonché dalle disposizioni contenute nel Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica allegato A del Codice medesimo, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 3 agosto 1998 ed era stato effettuato lecitamente e nel rispetto del principio di essenzialità dell'informazione riguardo a fatti di interesse pubblico relativi ad una vicenda giudiziaria recente e di indubbio interesse pubblico, soprattutto nell'ambito locale in cui si sono verificati i fatti descritti, non sussistendo quindi i presupposti riconosciuti dalla Corte di Giustizia europea nella sentenza del 13 maggio 2014 per l'esercizio del diritto all'oblio, anche in considerazione del fatto che i medesimi risultavano essere assolutamente recenti, oltre che di pubblico interesse. Ancora, nella seconda, è stato evidenziato che il diritto all’oblio, anche ove sussista il suo principale elemento costitutivo, ovvero il trascorrere del tempo, incontra un limite quando le informazioni in questione sono riferite al ruolo che l’interessato riveste nella vita pubblica con conseguente prevalenza dell’intersesse della collettività ad accedere alle stesse rispetto al diritto dell’interessato alla protezione dei dati” e sono state inoltre richiamate le predette linee guida nella parte in cui è individuato tra i criteri per la disamina delle richieste di deindicizzazione da parte dei motori di ricerca quello del ruolo dell’interessato nella vita pubblica e quello della natura pubblica o privata delle informazioni allo stesso riferite è stata infatti rigettata, nella richiamata prospettiva, la richiesta essendo le notizie state pubblicate in un arco temporale compreso tra il 2010 ed il 2012, risultate ad avviso del Garante recenti ed ancora di pubblico interesse in quanto riguardanti un’importante indagine giudiziaria non ancora conclusa, nell’ambito della quale i profili attinenti a momenti passati assumevano rilievo alla luce dell’attività professionale esercitata dall’istante . Alla luce dei principi emersi dalle menzionate pronunce, oltre che dalle riportate linee guida, deve ritenersi che le notizie individuate tramite il motore di ricerca risultano, nella specie, piuttosto recenti invero, il trascorrere del tempo, ai fini della configurazione del diritto all’oblio, si configura quale elemento costitutivo, come risultante anche dalla condivisibile sentenza n. 5525/2012 della Suprema Corte, nella quale questo viene configurato quale diritto a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino oramai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati”, presupposto nella specie assolutamente insussistente, risalendo i fatti al non lontano 2013 o al più al luglio 2012, secondo due dei risultati della ricerca ed essendo pertanto gli stessi ancora attuali. Del resto, la medesima appare di sicuro interesse pubblico, riguardando un'importante indagine giudiziaria che ha visto coinvolte numerose persone, seppure in ambito locale romano, verosimilmente non ancora conclusa, stante la mancata produzione da parte dell’istante di documentazione in tal senso archiviazioni, sentenze favorevoli . I dati personali riportati risultano quindi trattati nel pieno rispetto del principio di essenzialità dell'informazione. Né può in questa sede il ricorrente dolersi della falsità delle notizie riportate dai siti visualizzabili per effetto della ricerca a suo nome, non essendo configurabile alcuna responsabilità al riguardo da parte del gestore del motore di ricerca nella specie Google , il quale opera unicamente quale caching provider” ex art. 15 d.lgs. n. 70/2003 in tale prospettiva pertanto il medesimo avrebbe dovuto agire a tutela della propria reputazione e riservatezza direttamente nei confronti dei gestori dei siti terzi sui quali è avvenuta la pubblicazione del singolo articolo di cronaca, qualora la predetta notizia non sia stata riportata fedelmente, ovvero non sia stata rettificata, integrata od aggiornata coi successivi risvolti dell’indagine, magari favorevoli all’odierno istante il quale peraltro deduce di non aver riportato condanne e produce certificato negativo del casellario giudiziale . Ancora, risulta che l’odierno ricorrente è avvocato in Svizzera, libero professionista, circostanza che consente di ritenere che questo eserciti un ruolo pubblico” proprio per effetto della professione svolta e dell’albo professionale cui è iscritto, laddove tale ruolo pubblico non è attribuibile al solo politico cfr. linee guida del 26.11.20014 ma anche agli alti funzionari pubblici ed agli uomini d’affari oltre che agli iscritti in albi professionali . In conclusione, nell’ottica del sopra menzionato bilanciamento, l’interesse pubblico a rinvenire sul web attraverso il motore di ricerca gestito dalla resistente notizie circa il ricorrente deve prevalere sul diritto all’oblio dal medesimo vantato. La domanda deve pertanto essere integralmente respinta, con liquidazione delle spese di lite secondo il principio della soccombenza, nella misura di cui in dispositivo ed in difetto di nota. P.Q.M. 1 rigetta il ricorso 2 condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore della parte resistente, complessivamente liquidate in euro 4.000,00 per compensi, oltre accessori come per legge.