A Riccione il decoro conta, e non solo nella mitica viale Ceccarini

E’ legittimo pertanto il regolamento comunale che pone limiti all’utilizzo delle aree esterne a negozi e locali pubblici.

Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, Sezione V, con la sentenza 5298 del 20 novembre 2015. Il caso. Il Comune di Riccione aveva approvato il regolamento per l’utilizzo delle aree, anche private, situate all’esterno degli esercizi commerciali e artigianali di una zona dell’abitato, estendendo ad essa la disciplina già vigente in altra zona, situata nelle vicinanze. La suddetta disciplina vieta di occupare con espositori od altro il suolo, anche privato, all'esterno degli esercizi commerciali ed artigianali. Nello specifico, l’intervento comunale regolamenta la collocazione di oggetti di arredamento urbano in area centrale e molto frequentata dell’abitato, adiacente ad altra già sottoposta alla stessa regolamentazione, ovvero viale Ceccarini. Potestà di regolamentazione della viabilità e potestà afferente alla tutela del decoro urbano. Il Comune, in sostanza, ha esercitato un potere ascrivibile congiuntamente alla potestà urbanistica, alla potestà di regolamentazione della viabilità e, soprattutto, alla potestà afferente alla tutela del decoro urbano. In merito alle contestazioni poste da un gruppo di imprenditori che operano nella zona interessata, la Sezione ha osservato che l’iniziativa del Comune riguarda competenze afferenti all’ambito comunale. Con la conseguenza che il Comune non aveva affatto l’obbligo di enunciare espressamente quale o meglio quali funzioni intendesse esercitare. Un tale obbligo non può infatti essere rinvenuto nelle disposizioni della legge n. 241/1990, fermo restando che il provvedimento impugnato esplicita con chiarezza i presupposti che hanno ispirato l’azione del Comune. Nelle premesse del provvedimento impugnato si legge infatti, ha rilevato il Collegio, che la differenziazione nella disciplina per l’occupazione del suolo pubblico e/o privato all’esterno degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi ed esercizi similari è giustificata a causa della nuova fisionomia che hanno assunto alcune aree urbane rispetto ad altre a seguito degli interventi di arredo urbano nonché della necessità di garantire la percorribilità dei marciapiedi e degli altri spazi adibiti al passaggio pedonale” precisando inoltre che per quanto riguarda l’area in questione era stato concordato con le associazioni dei commercianti e dei pubblici esercizi di estendere ad essa la disciplina già dettata per l’altra contigua in quanto tale area, con gli interventi di qualificazione pubblica e privata realizzati negli ultimi anni, oggi presentano caratteri di omogeneità per quel che riguarda le tipologie di offerta e di clientela complessive . L’intervento dell’Autorità Antitrust. In merito ai regolamenti comunali, va peraltro segnalato che con gli artt. 34 e 35 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, convertito con modificazioni, dalla L. n. 214/2011, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, la cui attività è disciplinata dalla legge n. 287/1990, sono stati affidati, rispetto la disciplina originaria, due ulteriori compiti a presidio del principio comunitario della tutela della concorrenza. Nello specifico, con l’articolo 34, comma 5, è stato stabilito che L'Autorità garante della concorrenza e del mercato è tenuta a rendere parere obbligatorio, da rendere nel termine di trenta giorni decorrenti dalla ricezione del provvedimento, in merito al rispetto del principio di proporzionalità sui disegni di legge governativi e i regolamenti che introducono restrizioni all'accesso e all'esercizio di attività economiche . Con l’entrata in vigore dell’art. 35, invece, che ha introdotto nella legge 287/1991, l’art. 21 bis , L'Autorità garante della concorrenza e del mercato è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato . A prescindere dal caso specifico posto all’attenzione del Consiglio di Stato, sotto questo punto di vista, gli imprenditori dispongono di un ulteriore strumento utile a contrastare quello che può essere definito l’eccesso di regolamentazione da parte degli enti locali che, nell’enfasi di porre vincoli all’attività di impresa, raggiungono limiti inimmaginabili, com’è il caso, appunto, del Comune di Riccione che ha regolamentato anche il posizionamento di sedie o sgabelli davanti alla porta di accesso del negozio.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 6 ottobre – 20 novembre 2015, n. 5298 Presidente Caringella – Estensore Atzeni Fatto e diritto 1. Con ricorso al Tribunale amministrativo dell’Emilia Romagna, sede di Bologna, rubricato al n. 344/2003, i signori Nicoletta Manzo, Mattia Buscarini per Fratelli Buscarini s.n.c. di Mattia e Simone, Sylvie Casadei, Paola Cristallini, Claudia Degli Innocenti, Ivana Della Chiesa, Silvia Montemurro, Giuseppe Parlascino per Società Ricami Veronica s.a.s., Caterina Pepe, Francesco Pasco, Alver Zambon, Tommaso Morgantini, Silvana Montanari, Francesca Di Pasquale, Beatrice Facchini, Elena Giovanardi, e Katia Gresta per Fratelli Greta di Greta Katia & amp C. s.a.s., titolari di esercizi commerciali nel Comune di Riccione, situati nel tratto della via Parini fra l’intersezione di viale Parini e la zona a traffico limitato, impugnavano delibera del Consiglio comunale di Riccione n. 125 del 9 dicembre 2002, avente ad oggetto modifiche al regolamento comunale per l’occupazione di suolo pubblico e/o privato all’esterno degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi ed esercizi similari” e la delibera dello stesso Consiglio comunale n. 39 del 16 marzo 2000, con la quale la precedente regolamentazione sull’utilizzo degli spazi esterni agli esercizi commerciali era stata integrata da un allegato, limitatamente agli esercizi commerciali e artigianali con riferimento ad alcune aree cittadine e la cui disciplina viene estesa, ad opera della citata del. 125/2002, al suddetto tratto di Viale Dante tra l’intersezione di Viale Parini e la zona a traffico limitato. I ricorrenti lamentavano l'estensione del divieto di occupare con espositori od altro il suolo, anche privato, all'esterno degli esercizi commerciali ed artigianali, già previsto in alcune zone dell'abitato, al tratto di viale Dante sul quale insistono gli esercizi commerciali di cui sono titolari deducendo la violazione della normativa in materia di tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche che non prevede la facoltà per i comuni di introdurre disposizioni in materia di arredo urbano limitative del diritto di utilizzare le aree di proprietà privata. Deducevano poi violazione dell'articolo 7 della legge 241/1990, in quanto non è stato inviato l'avviso di avvio del procedimento ed infine difetto di motivazione ed eccesso di potere sotto vari profili, in quanto, in particolare, il provvedimento non esplicita in modo sufficiente le ragioni per le quali viale Dante avrebbe caratteristiche identiche a quelle di altre zone di Riccione, quale viale Ceccarini, per le quali il divieto di cui si tratta era stato imposto in precedenza con la deliberazione n. 39/2000. Motivazione, affermavano i ricorrenti, tanto più necessaria in relazione al contenuto sostanzialmente espropriativo del divieto di cui si discute. I ricorrenti chiedevano quindi l'annullamento degli atti impugnati e la reintegrazione nella pienezza del possesso, ai sensi degli articoli 1168 e 1170 del codice civile Con la sentenza in epigrafe, n. 542 in data 28 aprile 2006, il Tribunale Amministrativo dell’Emilia Romagna, sede di Bologna, Sezione I, dichiarava il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione nella parte relativa alla domanda di reintegra in possesso e lo accoglieva limitatamente al provvedimento effettivamente lesivo, rappresentato dalla deliberazione n. 125/2002 che, conseguentemente annullava. 2. Avverso la predetta sentenza il Comune di Riccione propone il ricorso in appello in epigrafe, rubricato al n. 6326/2006, sostenendo che il provvedimento annullato per la sua natura regolamentare, affermata dallo stesso primo giudice, non deve essere sorretto da motivazione, peraltro presente, e sostenendo la parziale inammissibilità del ricorso di primo grado per la tardiva impugnazione della delibera n. 39/2000, lesiva dei loro interessi, chiedendo quindi la riforma della sentenza gravata e la declaratoria dell’inammissibilità ovvero il rigetto del ricorso. Gli appellati non si sono costituiti in giudizio. Il Comune appellante ha depositato memoria. La causa è stata assunta in decisione alla pubblica udienza del 6 ottobre 2015. 3. Il Comune appellante con la deliberazione oggetto del giudizio ha regolamentato l’utilizzo delle aree, anche private, situate all’esterno degli esercizi commerciali e artigianali di una zona dell’abitato, nella quale si trovano gli esercizi degli appellati, estendendo ad essa la disciplina già vigente in altra zona, situata nelle vicinanze. La suddetta disciplina vieta di occupare con espositori od altro il suolo, anche privato, all'esterno degli esercizi commerciali ed artigianali. L’impugnazione proposta dagli odierni appellati è stata accolta dal primo giudice il quale ha ritenuto il regolamento comunale inficiato dalla mancata precisazione del potere che il Comune ha inteso esercitare nel caso di specie e da difetto di motivazione sulle ragioni di scelta, che incide anche sull’utilizzo della proprietà privata. Il Comune appellante si duole in primo luogo del rigetto della proposta eccezione di inammissibilità del ricorso di prime cure, affermando che la deliberazione impugnata costituisce mera estensione della disciplina già dettata in relazione ad altra zona limitrofa del territorio comunale, per cui le ragioni dei ricorrenti dovevano essere fatte valere impugnando tempestivamente tale, precedente, deliberazione. La tesi non può essere condivisa in quanto l’interesse degli appellanti ad impugnare le determinazioni comunali è sorto solo una volta che il Comune ha inciso sulle aree nelle quali si trovano i loro esercizi, mentre non può essere loro accollato l’onere di impugnare una deliberazione che non li riguarda. La doglianza deve pertanto essere respinta. Le contestazioni di merito svolte dall’appellante avverso la sentenza di primo grado devono invece essere condivise. L’intervento comunale, come già indicato, regolamenta la collocazione di oggetti di arredamento urbano in area centrale e molto frequentata dell’abitato, adiacente ad altra già sottoposta alla stessa regolamentazione. Il Comune ha quindi esercitato un potere ascrivibile congiuntamente alla potestà urbanistica, alla potestà di regolamentazione della viabilità e, soprattutto, alla potestà afferente alla tutela del decoro urbano. Atteso che in ogni caso si tratta di competenze afferenti all’ambito comunale, il Comune non aveva affatto l’obbligo di enunciare espressamente quale o meglio quali intendesse esercitare. Un tale obbligo non può infatti essere rinvenuto nelle disposizioni della legge 7 agosto 1990, n. 241, ed inoltre deve essere rilevato come i presupposti dell’azione amministrativa siano, nel caso di specie, agevolmente individuabili. Il provvedimento impugnato esplicita poi con chiarezza i presupposti che hanno ispirato l’azione del Comune. Nelle premesse del provvedimento impugnato si legge infatti che la differenziazione nella disciplina per l’occupazione del suolo pubblico e/o privato all’esterno degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi ed esercizi similari è giustificata a causa della nuova fisionomia che hanno assunto alcune aree urbane rispetto ad altre a seguito degli interventi di arredo urbano nonché della necessità di garantire la percorribilità dei marciapiedi e degli altri spazi adibiti al passaggio pedonale” precisando inoltre che per quanto riguarda l’area di cui ora si tratta era stato concordato con le associazioni dei commercianti e dei pubblici esercizi di estendere ad essa la disciplina già dettata per l’altra contigua in quanto tale area, con gli interventi di qualificazione pubblica e privata realizzati negli ultimi anni, oggi presentano caratteri di omogeneità per quel che riguarda le tipologie di offerta e di clientela complessive”. Alla luce di tali elementi afferma il Collegio che la deliberazione impugnata dà adeguato conto delle scelte ivi consacrate, e che ciò consente di superare la discussione relativa all’assoggettamento di tale atto all’obbligo di motivazione. Le doglianze dell’appellante devono, in conclusione, essere condivise. 4. L’appello deve, in conclusione, essere accolto e, in riforma della sentenza gravata, respinto il ricorso di primo grado. In considerazione della parziale novità delle questioni discusse le spese devono essere integralmente compensate. P.Q.M. il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta definitivamente pronunciando sull'appello n. 6326/2006, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza gravata, respinge il ricorso di primo grado. Compensa integralmente spese ed onorari del giudizio fra le parti costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.