Il cartello di cantiere fissa la decorrenza del termine

La data della concessione edilizia pubblicata sul cartello di cantiere fissa la decorrenza del termine entro il quale deve essere presentata l'impugnativa termine che non può essere dilazionato dalla richiesta di accesso agli atti.

Se da un lato, infatti, deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, dall'altro lato deve parimenti essere salvaguardato l'interesse del titolare del permesso di costruire a che l'esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche contraria ai principi ordinamentali. È quanto emerge dalla sentenza n. 4910/2015 del Consiglio di Stato, depositata il 28 ottobre. Decorrenza del termine. In caso di impugnazione da parte del vicino di un permesso di costruire rilasciato a terzi, il termine di impugnazione inizia a decorrere in linea di principio dal completamento dei lavori o, comunque, dal momento in cui la costruzione realizzata è tale che non si possono avere dubbi in ordine alla portata dell'intervento. Al contempo, però, la medesima giurisprudenza ha altresì precisato che il principio della certezza delle situazioni giuridiche e di tutela di tutti gli interessati comporta, di converso, che non si possa lasciare il soggetto titolare di un permesso edilizio nella incertezza circa la sorte del proprio titolo oltre una ragionevole misura in quanto, nelle more, il ritardo dell'impugnativa si risolverebbe in un danno aggiuntivo connesso all'ulteriore avanzamento dei lavori che, ex post, potrebbero essere dichiarati illegittimi cfr. da ultimo e per tutte Sez. IV, n. 2959/2014 . Infatti, l’anzidetto principio è posto dall'ordinamento a tutela della posizione di tutte le parti direttamente o indirettamente interessate al provvedimento e, pertanto, anche di quella del soggetto titolare del permesso a non realizzare una costruzione che sia suscettibile di un possibile futuro abbattimento. Così il suddetto l'insegnamento giurisprudenziale, di carattere generale, è stato ridimensionato nella sua concreta portata attraverso significativi e sostanziali correttivi”, in presenza di svariate situazioni in cui l'ultimazione dei lavori non può ragionevolmente essere invocata dal vicino quale circostanza inderogabile da cui far decorrere il termine decadenziale per l'impugnativa del titolo edilizio ritenuto illegittimo e lesivo dei propri interessi. Ed in questo senso la giurisprudenza anche della IV Sezione, e che il Collegio ha affermato di condividere, ha individuato una serie di fattispecie in cui, in ragione della natura delle doglianze mosse nei confronti dell'intervento edilizio, dei rilievi addotti con riguardo alla conformazione fisica o giuridica delle aree oggetto dello stesso, delle censure dedotte avverso il titolo in sé e per sé considerato, nonché delle conoscenze acquisite e delle attività poste in essere in sede procedimentale o comunque extra-processuale, non sussistono oggettivamente ragionevoli motivi che possano legittimare l'interessato ad una impugnazione differita dei titoli edilizi alla fine dei relativi lavori. Infatti, se da un lato deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, dall'altro lato deve parimenti essere salvaguardato l'interesse del titolare del permesso di costruire a che l'esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente o colposamente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche contrarie ai principi ordinamentali. Diligentibus iura succurrunt In altri termini, in ossequio al vecchio brocardo diligentibus iura succurrunt ”, il vicino che intenda avversare un intervento edilizio ha il preciso onere di attivarsi tempestivamente secondo i canoni di buona fede in senso oggettivo, senza differire colposamente o comunque senza valida ragione l'impugnativa del relativo titolo alla fine dei lavori, quando ciò non sia oggettivamente necessario ai fini del ricorso. E ciò, tenuto conto anche del fatto che resta in ogni caso salva la possibilità per il ricorrente di proporre eventuali motivi aggiunti, a seguito di una successiva e più approfondita analisi di tutta la documentazione rilevante ai fini della causa.

Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 16 giugno – 28 ottobre 2015, n. 4910 Presidente Virgilio – Estensore Bianchi Fatto Con distinti provvedimenti del 18 settembre 1992, il Comune di Roma Capitale respingeva le istanze avanzate nel 1976 e reiterate nel 1989 dalla madre dei signori Magda e Roberto Caetani volte ad ottenere la concessione per edificare taluni edifici residenziali su area di proprietà. A base del rigetto l'Amministrazione assumeva le seguenti circostanze a. assenza di opere di urbanizzazione b. non congruità dei parcheggi rispetto alle norme vigenti c. carenza progettuale per mancanza di planimetria con indicazione delle quote altimetriche, eventuali alberature e fabbricato da demolire al piano servizi è previsto un ampio stenditoio con copertura in piano” d. assenza del nulla-osta paesistico della Regione ai sensi del D.M. 12 dicembre 1991 e. contrasto con gli articoli 3 e 4 del Regolamento edilizio, carenza di documentazione. Avverso gli anzidetti provvedimenti reiettivi i signori Caetani proponevano ricorso al Tar del Lazio, chiedendone l'annullamento. Con la sentenza n. 815 del 1999 il Tribunale adito accoglieva il ricorso rilevando nella sostanza che l'assenza di un p.p.a. , cui in astratto è subordinata l'edificazione in una determinata zona, non può costituire impedimento allo ius aedificandi, in assenza di una verifica in concreto del grado di urbanizzazione della zona e dell'effettiva necessità di una pianificazione di dettaglio le rilevate carenze progettuali avrebbero dovuto essere partecipate all'interessato, al fine di regolarizzare la documentazione, e non costituire immediata ragione del diniego opposto il decreto ministeriale impositivo del vincolo paesistico, era già stato annullato dal Tribunale nel 1996. Detta sentenza, benché passata in giudicato, non veniva eseguita dal Comune di Roma né, per lungo tempo, la sua ottemperanza veniva sollecitata dai ricorrenti vittoriosi, i quali solo nel 2009, dopo aver nello stesso anno vanamente diffidato l'Amministrazione, promuovevano apposita actio iudicati chiedendo al giudice adito di ordinare al Comune il rilascio delle concessioni per la costruzione dei tre edifici di cui alle istanze del 1976 riproposte nel 1989. Peraltro, qualche giorno prima della notificazione del ricorso avvenuta in data 4 agosto 2009, il Comune partecipava agli interessati con nota del 14 luglio 2009 un preavviso di diniego motivato da plurime ragioni, fra le quali il contrasto con le nuove previsioni del Piano Regolatore Generale approvato nel 2004 che destinava l'area a verde pubblico. A tale preavviso replicavano gli interessati invocando un congruo termine per nominare un nuovo progettista e fornire i chiarimenti necessari, nonché per approntare la documentazione richiesta. Nei fatti, le osservazioni dei ricorrenti pervenivano al Comune solo il 14 febbraio 2012. Nel mentre, però, gli stessi rigraficizzavano e ripresentavano agli uffici comunali in data 10 febbraio 2011 i progetti in questione, chiedendo il rilascio dei relativi titoli edilizi. Il richiamato ricorso per ottemperanza, poi, veniva deciso dal Tribunale adito con la sentenza n. 1499/2013, in cui veniva sostanzialmente chiarito che l'annullamento degli atti impugnati non costituisce l'unico effetto del giudicato prevedendo questo dei contenuti ordinatori che identificano, per quanto riguarda il caso deciso, il modo corretto di esercizio del potere ed i contenuti ai quali la successiva azione amministrativa deve conformarsi senza che sia consentito alla p.a. una totale ridefinizione degli interessi già confliggenti in sede giurisdizionale. Nello stesso contesto lo pronuncia, in linea con il radicato principio per cui la sentenza di annullamento ove incidente su un interesse pretensivo non solo ha un effetto demolitorio ma anche conformativo in relazione ai motivi di ricorso esaminati ed accolti, ordinava al Comune di procedere al riesame dei provvedimenti annullati sulla base di quanto disposto nella sentenza di cui si chiede l'ottemperanza”. In ragione di detta pronuncia, i competenti uffici comunali rilasciavano il 24 marzo 2014 i richiesti titoli edilizi. Ritenendo illegittimi detti titoli i signori Anna e Elisabetta Spada, Alessandro Calistri, Corrado Mola, Stefano Rinaldi e Paolo Regoli, quali proprietari e/o conduttori di immobili prospicienti il lotto interessato dalla assentita attività edificatoria, adivano il Tar del Lazio chiedendone l'annullamento. In tale sede, aderendo alla tesi dei ricorrenti, spiegavano intervento ad adiuvandum i signori Hary e Murabito, quali proprietari di due distinti immobili adiacenti alle realizzande costruzioni. Si costituiva altresì, quale controinteressata intimata, la società Ecocortinadampezzo a r.l. che si era nel frattempo resa acquirente dai signori Caetani del terreno interessato dall'edificazione, eccependo la tardività e comunque l'infondatezza del ricorso, nonché l'inammissibilità dell'atto di intervento ad adiuvandum sopra richiamato. Si costituiva infine, sempre in primo grado, il Consorzio Stradale Viale Cortina d’Ampezzo intimato, chiedendo l'estromissione dal giudizio attesa la sua neutralità rispetto agli atti impugnati. Con la sentenza n. 2452 del 2015 il Tribunale adito dichiarava inammissibile l'intervento ad adiuvandum spiegato dai signori Hary e Murabito respingeva l'eccezione di tardività del gravame sollevata dalla controinteressata società Ecocortinadampezzo accoglieva il ricorso sotto l'assorbente profilo della diversità rispetto agli originali del 1976 dei progetti edilizi sulla cui base sono stati rilasciati i permessi impugnati”, ed annullava conseguentemente questi ultimi. Assorbiva le residue doglianze. Avverso detta pronuncia i signori Caetani hanno quindi interposto l'odierno appello, chiedendone l'integrale riforma. Si sono costituiti in giudizio i ricorrenti in primo grado, chiedendo la reiezione del gravame siccome infondato e riproponendo altresì, ai sensi dell'articolo 101 del codice processo amministrativo, i motivi di censura assorbiti dal Tar. I signori Hary e Murabito, a loro volta costituitisi in giudizio, hanno parimenti chiesto la reiezione dell’appello. Roma capitale, nel costituirsi in giudizio, ha viceversa chiesto l’integrale riforma della sentenza appellata, con conseguente dichiarazione di legittimità dei permessi di costruzione per cui è causa. Il Consorzio Stradale Viale Cortina d’Ampezzo, infine, si è costituito al solo fine di sentir dichiarare la sua estromissione dal giudizio, come già richiesto in primo grado. Con successive memorie le parti hanno insistito nelle rispettive tesi giuridiche. Alla pubblica udienza del 16 giugno 2015, la causa è stata trattenuta per la decisione. Diritto 1. In via preliminare va disposta l'estromissione dal giudizio del Consorzio Stradale Viale Cortina d’Ampezzo, su cui il primo giudice ha omesso di pronunciarsi. Infatti, in ragione delle finalità istituzionali per cui è stato istituito ed opera, quali risultanti dal relativo Statuto, il predetto Consorzio riveste una posizione del tutto neutrale rispetto ai titoli edilizi in contestazione, che non vengono in alcun modo ad incidere la sua posizione giuridica. Pertanto, non rivestendo la posizione di cointeressato, né di controinteressato, né di semplice interessato in via indiretta, il Consorzio risulta del tutto estraneo al giudizio e, come tale, va estromesso da quest'ultimo. 1.1. Sempre in via preliminare va disattesa l’eccezione di difetto di legittimazione degli appellanti sollevata dagli odierni appellati, in ragione del fatto che il terreno interessato dai permessi di costruire per cui è causa è stato ceduto nel giugno 2014 alla Ecocortinadampezzo. Osserva infatti il collegio come nell’invocato atto di cessione sia espressamente precisato che il Comune di Roma ha rilasciato ai signori Caetani tre permessi per costruire sul terreno oggetto di compravendita altrettanti edifici ad uso residenziale. Tali permessi, pertanto, costituiscono un elemento essenziale dell'atto ed hanno di certo contribuito in maniera rilevante sul prezzo pattuito. Ne consegue che i signori Caetani sono pienamente legittimati a difendere in giudizio i titoli edilizi anzidetti, per evitare ogni pregiudizievole conseguenza che verrebbero a subire in caso di loro annullamento, in sede sia civile che amministrativa. Del resto, in primo grado gli stessi ricorrenti odierni appellati hanno evocato in giudizio i signori Caetani quali diretti controinteressati benché avessero già ceduto il terreno di loro proprietà , e la relativa sentenza è stata resa anche nei confronti di questi ultimi. Non v'è dubbio pertanto come i signori Caetani siano in oggi legittimati, sia sul piano sostanziale che processuale, ad appellare detta pronuncia in quanto lesiva dei loro interessi. 2. Con il primo mezzo di censura gli appellanti deducono l'erroneità della sentenza impugnata, laddove ha respinto l'eccezione di tardività del gravame dagli stessi proposto in primo grado. Assumono al riguardo i signori Caetani che a prescindere dalla tipologia delle censure dedotte la percezione di lesività che legittima un'impugnazione differita a fine lavori vale quando non siano già noti gli estremi dei permessi di costruire e non ci si sia attivati per conoscerne i contenuti, mentre nel caso in esame i ricorrenti erano già ben edotti dell'esistenza e degli estremi dei tre permessi di costruire fin dal luglio del 2014, essendosi anche attivati per l'estrazione di copia dei progetti con due distinte e successive istanze di accesso formale.” pertanto, i ricorrenti avevano il preciso onere di impugnarli fin da subito, salva la facoltà di differire la proposizione di motivi aggiunti eventualmente emergenti da una più approfondita e successiva analisi degli elementi anche tecnici o presupposti dei permessi di costruire”. 3. La doglianza è fondata. 4. Ed invero, non ignora il collegio come la giurisprudenza anche di questa Sezione abbia più volte avuto modo di chiarire che in caso di impugnazione da parte del vicino di un permesso di costruire rilasciato a terzi, il termine di impugnazione inizia a decorrere in linea di principio dal completamento dei lavori o, comunque, dal momento in cui la costruzione realizzata è tale che non si possono avere dubbi in ordine alla portata dell'intervento. Al contempo, però, la medesima giurisprudenza ha altresì precisato che il principio della certezza delle situazioni giuridiche e di tutela di tutti gli interessati comporta, di converso, che non si possa lasciare il soggetto titolare di un permesso edilizio nella incertezza circa la sorte del proprio titolo oltre una ragionevole misura in quanto, nelle more, il ritardo dell'impugnativa si risolverebbe in un danno aggiuntivo connesso all'ulteriore avanzamento dei lavori che, ex post, potrebbero essere dichiarati illegittimi cfr. da ultimo e per tutte Sez. IV 10.06.2014 n. 2959 . Infatti, l’anzidetto principio è posto dall'ordinamento a tutela della posizione di tutte le parti direttamente o indirettamente interessate al provvedimento e, pertanto, anche di quella del soggetto titolare del permesso a non realizzare una costruzione che sia suscettibile di un possibile futuro abbattimento. Così l'insegnamento giurisprudenziale più sopra richiamato, di carattere generale come già evidenziato, è stato ridimensionato nella sua concreta portata attraverso significativi e sostanziali correttivi”, in presenza di svariate situazioni in cui l'ultimazione dei lavori non può ragionevolmente essere invocata dal vicino quale circostanza inderogabile da cui far decorrere il termine decadenziale per l'impugnativa del titolo edilizio ritenuto illegittimo e lesivo dei propri interessi. Ed in questo senso la giurisprudenza anche di questa Sezione, che il collegio pienamente condivide, ha individuato una serie di fattispecie in cui, in ragione della natura delle doglianze mosse nei confronti dell'intervento edilizio, dei rilievi addotti con riguardo alla conformazione fisica o giuridica delle aree oggetto dello stesso, delle censure dedotte avverso il titolo in sé e per sé considerato, nonché delle conoscenze acquisite e delle attività poste in essere in sede procedimentale o comunque extra-processuale, non sussistono oggettivamente ragionevoli motivi che possano legittimare l'interessato ad una impugnazione differita dei titoli edilizi alla fine dei relativi lavori. Infatti, se da un lato deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, dall'altro lato deve parimenti essere salvaguardato l'interesse del titolare del permesso di costruire a che l'esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente o colposamente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche contrarie ai principi ordinamentali, come già precisato. In altri termini, in ossequio al vecchio brocardo diligentibus iura succurrunt”, il vicino che intenda avversare un intervento edilizio ha il preciso onere di attivarsi tempestivamente secondo i canoni di buona fede in senso oggettivo, senza differire colposamente o comunque senza valida ragione l'impugnativa del relativo titolo alla fine dei lavori, quando ciò non sia oggettivamente necessario ai fini ricorsuali. E ciò, tenuto conto anche del fatto che resta in ogni caso salva la possibilità per il ricorrente di proporre eventuali motivi aggiunti, a seguito di una successiva e più approfondita analisi di tutta la documentazione rilevante ai fini della causa. 5. Ciò posto in linea di principio, osserva il collegio come dalla documentazione in atti, per quanto rileva ai fini considerati, emerga che a. i permessi di costruire per cui è causa sono stati rilasciati dal Comune in data 24 marzo 2014 b. i lavori di cantiere sono stati avviati nel giugno-luglio 2014, con l'apposizione della prescritta cartellonistica contenente tra l'altro la specificazione dei relativi titoli abilitativi c. i ricorrenti in primo grado, edotti di tale circostanza, non hanno impugnato immediatamente i predetti titoli edilizi, ma hanno presentato al Comune nel mese di luglio 2014 istanza di accesso per acquisirne copia unitamente alla relativa documentazione d. decorsi inutilmente 30 giorni dall’istanza anzidetta, i ricorrenti in primo grado non hanno in alcun modo gravato il provvedimento implicito di reiezione formatosi sulla stessa ai sensi dell'articolo 25 della legge 241 del 1990 e. i ricorrenti hanno riproposto istanza di accesso agli atti il successivo mese di agosto 2014 f. decorsi inutilmente 30 giorni dalla nuova istanza, i ricorrenti non hanno ancora una volta gravato il provvedimento implicito di reiezione formatosi sulla stessa g. il Comune ha consentito sua sponte l'accesso agli atti il successivo 22 ottobre 2014 h. il ricorso di primo grado è stato infine proposto in data 15 dicembre 2014 . 6. Tanto precisato, il ricorso di primo grado si appalesa tardivo alla stregua dei principi di diritto più sopra enunciati. Nella specie, infatti, i ricorrenti benché venuti a conoscenza dell'esistenza e degli estremi dei permessi a costruire quanto meno dal luglio 2014, come dai medesimi affermato, hanno impugnato gli stessi solo nel dicembre 2015, a circa sei mesi di distanza. E tanto, a loro dire, esclusivamente in quanto l'Amministrazione tenendo una condotta ostruzionistica”, avrebbe consentito il richiesto accesso agli atti solo nel mese di ottobre 2015. Sennonché tale prospettazione non dà di per sé oggettivamente ragione della sostanziale sussistenza di quel comportamento secondo buona fede in senso oggettivo da parte dei ricorrenti, necessario a giustificare l'avvenuto differimento degli ordinari termini di impugnativa degli avversati permessi di costruire. 7. In primo luogo, infatti, il collegio non può non rilevare come il ricorso di primo grado sia basato, in sostanziale misura, sulla ritenuta inapplicabilità del regime derivante dalla convenzione Russo-Aiello del 1935 e sulla conseguente impossibilità di rilasciare i titoli edilizi in contestazione in ragione del sopravvenuto regime urbanistico di cui alla variante generale al P.R.G. adottata con delibera consiliare n. 33 del 2003 ed approvata con delibera G.R. n. 856/2004 , e della presenza di due distinti vincoli di inedificabilità sull'area oggetto dell'intervento. Invero, come risulta dal dato testuale, nell'atto introduttivo del giudizio viene premesso che il regime urbanistico della convenzione Russo-Aiello è stato annullato dal Piano delle Certezze” e che con la variante al P.R.G. , adottata dal Comune nel 2003 in coerenza e continuità con detto Piano, il lotto di proprietà degli odierni controinteressati è stato destinato a verde pubblico” dedotto con il profilo di censura 1.b , rubricato Sulla inapplicabilità del regime convenzionato risalente alla convenzione Russo Aiello del 1935”, che detto regime non risulterà applicabile”, per una serie di concomitanti ragioni” precisato nell'ambito di detto profilo di censura che il dato di maggior peso è comunque costituito dall'acquiescenza prestata dagli odierni controinteressati rispetto alla successiva normativa urbanistica introdotta dal nuovo PRG”, in quanto la mancata impugnativa. ha prodotto l'effetto di consolidare in capo a tutti i cittadini coinvolti dal nuovo regime urbanistico un legittimo affidamento in ordine alla intervenuta acquiescenza e, quindi, cristallizzazione delle nuove regole” dedotto con il successivo profilo di censura 1.c , rubricato Sulla impossibilità di rilasciare i permessi di costruire impugnati, anche alla luce del regime convenzionato risalente alla convenzione Russo Aiello del 1935” , che anche ipotizzando l'applicabilità di detto regime nondimeno sussistono plurimi ed insormontabili ostacoli al rilascio di qualsiasi titolo abilitativo” precisato nell'ambito di detto profilo di censura alla lettera ii che un’ulteriore circostanza che impedirebbe l'applicazione del regime convenzionale del 1935 deriva dalla intervenuta edificazione del lotto di proprietà dei signori Caetani” dedotto, nell'ambito del secondo motivo di ricorso, che Roma capitale avrebbe dovuto fare doverosa applicazione del regime urbanistico introdotto con l'approvazione del nuovo PRG che. destina le aree in questione a verde pubblico” e, quindi, non rilasciare i permessi impugnati in quanto l'intero lotto dei signori Caetani è totalmente inedificabile” dedotto, sempre nell'ambito del secondo motivo di ricorso, che peraltro, sempre nella direzione della inedificabilità, milita l'ulteriore argomento della sussistenza di due distinti vincoli. in ordine ai quali l'amministrazione non ha compiuto alcun accertamento, pur risultando in maniera inequivoca dalla tavola B del P.T.P.R” . In ragione di quanto sopra, i ricorrenti avrebbero quindi ben potuto e dovuto gravare giudizialmente senza indugio gli avversati permessi di costruire non appena avuta formale piena notizia dei loro estremi nel luglio del 2014, non sussistendo nella specie oggettivi ragionevoli motivi per differire in toto l'impugnativa al dicembre 2014, successivamente all'acquisizione di copia dei permessi medesimi. L'acquisizione di detta copia e della documentazione accessiva, infatti, non era oggettivamente indispensabile per poter proporre tempestivamente ricorso nell'ordinario termine decadenziale, essendo immediatamente percepibile dalla semplice conoscenza degli estremi dei titoli edilizi il fondamentale vizio che secondo i ricorrenti affiggeva gli stessi, e cioè l'incompatibilità dell'intervento con la normativa urbanistica della sopravvenuta variante al Piano Regolatore e con i vincoli gravanti sull'area. E ciò, come evidenziato in via generale al punto 4 che precede, tenuto conto anche del fatto che ulteriori vizi inficianti i titoli in questione ben potevano essere eventualmente dedotti con specifici motivi aggiunti, a seguito di una successiva e più approfondita analisi da compiere, giust’appunto, dopo l'acquisizione di tutta la documentazione richiesta con l'istanza di accesso. Né al riguardo può condividersi la tesi degli odierni appellati secondo cui Non si poteva pretendere” che gli stessi impugnassero i permessi in questione, quando ne era ancora ignoto il contenuto, che avrebbe potuto anche essere conforme alle consentite, ancorché limitate, possibilità edificatorie dell'area”, considerato che per quanto previsto dall'articolo 85 delle norme tecniche di attuazione del PRG. quel lotto avrebbe potuto essere legittimamente edificato per la costruzione di una scuola, di una palestra, di un centro sportivo coperto, di attrezzature associative e culturali, di una residenza sanitaria, di una casa di riposo, di chioschi e punti di ristoro Ragion per cui i proprietari frontisti non avevano ab initio motivo di sospettare che i lavori iniziati fossero diversi da quelli consentiti dal PRG vigente” . Per un verso, infatti, tale prospettazione non è minimamente congruente sul piano sostanziale con la complessa vicenda oggetto dell'odierna controversia, sempre imperniata sin dall'origine solo e soltanto sulla pretesa dei signori Caetani e dei loro aventi causa di realizzare sul lotto di proprietà tre fabbricati residenziali in attuazione della risalente convenzione Russo Aiello. Pretesa, rispetto a cui il Tar del Lazio ha dovuto assumere due decisioni ben note agli interessati, l'Amministrazione comunale si è parimenti pronunciata due volte di cui l’ultima favorevolmente e i proprietari confinanti si sono sempre opposti in sede sia giudiziale che extra-giudiziale, anche con denunzia querela alla Procura della Repubblica di Roma . Per altro verso poi, ciò che è dirimente, gli odierni appellati erano senz'altro a formale conoscenza sin da luglio 2014 della effettiva natura dell’avversato intervento edilizio in quanto a tale data, come precisato dallo stesso Tar del Lazio nella sentenza odiernamentre appellata, è stata posizionata la cartellonistica di cantiere consentendo di appurare gli estremi delle concessioni edilizie per l'edificazione di tre nuovi edifici residenziali” . E tale circostanza, oltre ad essere oggettivamente incontrovertibile, non è stata formalmente contestata con alcuno specifico mezzo di gravame, risultando quindi ad oggi un dato certo ed acquisito. Non v'è dubbio, pertanto, che i ricorrenti in primo grado fossero a conoscenza quanto meno dal luglio 2014, della natura dei lavori che erano in corso di realizzazione, degli estremi dei relativi titoli edilizi, nonché dei fondamentali vizi che a loro dire affliggevano gli stessi. 8. In secondo luogo, fermo quanto sopra, va altresì rilevato come anche con riguardo ad altro pregnante profilo non sia ravvisabile nella specie la sussistenza di quel comportamento secondo buona fede in senso oggettivo da parte dei ricorrenti, necessario a legittimare l'avvenuto differimento dell'ordinario termine di impugnativa dei permessi di costruire per cui è causa. Invero, come esposto nella narrativa in fatto, i ricorrenti nel mese di luglio 2014 hanno avanzato istanza di accesso ai permessi di costruire per cui è causa, avendone appreso gli estremi dalla relativa cartellonistica di cantiere. Sennonché detta istanza non è stata esitata positivamente dall'Amministrazione nel termine di 30 giorni prescritto dall'art. 25 della legge 241/1990, venendosi così a formare un implicito provvedimento di reiezione della stessa. Orbene, a fronte di tale circostanza i ricorrenti non hanno né adito il competente Tar per ottenere quanto prima per via giudiziale il richiesto accesso agli atti, né hanno impugnato gli avversati titoli edilizi con riserva di proporre motivi aggiunti una volta acquisiti gli stessi e la relativa documentazione, ma si sono limitati ad avanzare una nuova istanza all'Amministrazione nel mese di agosto, restando in attesa della relativa risposta. Nuova istanza parimenti non esitata positivamente nei termini di legge e su cui, di conseguenza,si è formato un ulteriore provvedimento di reiezione a fronte di cui ricorrenti, ancora una volta, non si sono in alcun modo attivati giudizialmente. Solo il successivo 22 ottobre, poi, l'Amministrazione ha consentito sua sponte il richiesto accesso e solo il 15 dicembre i ricorrenti si sono infine determinati ad impugnare i permessi di costruire in questione. Impugnativa che si appalesa pertanto tardiva, non potendo di certo essere apprezzata come diligente tutela dei propri interessi la mera presentazione da parte dei ricorrenti di una istanza di accesso sugli avversati titoli edilizi i cui estremi erano ben noti, così come era noto che si trattava di edifici residenziali come specificato nella decisione appellata senza poi attivarsi tempestivamente in sede giudiziale nei confronti dei provvedimenti di reiezione della stessa e differendo altresì l'impugnativa dei titoli in questione a data del tutto incerta, siccome collegata alla eventuale disponibilità dell'Amministrazione di far estrarre copia della documentazione richiesta . Come già precisato, infatti, se da un lato deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto legittimo, dall'altro lato deve parimenti essere salvaguardato l'interesse del titolare del permesso di costruire a che l'esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche contraria ai principi ordinamentali . 9. Per quanto sopra, come correttamente dedotto dagli appellanti, erroneamente il primo giudice ha disatteso l'eccezione di tardività del ricorso proposto dagli odierni appellati in primo grado ed ha ritenuto lo stesso tempestivo, invece di dichiararlo irricevibile. 10. Benché l'acclarata fondatezza della censura sopra delibata assuma valenza assorbente ai fini decisori, ritiene comunque il collegio di dover esaminare anche le ulteriori doglianze di merito sviluppate nell'atto di appello, al fine di orientare sul punto l'operato dell'Amministrazione . 11. Orbene, con i restanti due mezzi di gravame gli appellanti deducono l'erroneità della sentenza impugnata, anche laddove ha accolto in via assorbente il profilo di censura sviluppato con il secondo motivo di ricorso, ritenendo che i progetti del 2011 sulla cui base sono stati rilasciati i permessi impugnati, siano altra cosa rispetto ai progetti originari del 1976, su cui si è formato il giudicato del 1999, in quanto in questi ultimi non è rappresentato l'edificio esistente da demolire, viceversa graficizzato nei primi . Assumono infatti al riguardo, per un verso, che in realtà il motivo 2 di ricorso non era assolutamente formulato nei termini” delibati dal Tar e, per altro verso, che l'integrazione degli originari progetti con la rappresentazione grafica dell'edificio da demolire rispondeva esattamente al giudicato portato dalla sentenza del Tar Lazio 815 del 1999” . 12. La doglianza è nel suo complesso fondata. 13. Ed invero, osserva il collegio come con il profilo di censura 2° motivo accolto dal Tar i ricorrenti in primo grado abbiano dedotto quanto segue Il risultato a cui si è pervenuti applicando il regime convenzionato del 1935,ovvero invocando l'efficacia conformativa o addirittura vincolante derivante dalle sentenze del Tar Lazio n. 815 del 1999 e n. 1499 del 2013, non muta qualora si ammetta -come appare più corretto-che i progetti edificatori presentati dagli odierni contr interessati risalgono al 2011, e quindi nulla hanno a che fare con le precedenti vicende. La circostanza emerge documentalmente dai permessi di costruire, nei quali viene candidamente premesso che le istanze presentate sono tutte del 10 febbraio 2011. Pertanto, in virtù del principio del tempus regit actum, la normativa applicabile a tale procedimento è quella esistente al momento del suo avvio. Roma capitale, quindi, avrebbe dovuto fare doverosa applicazione del regime urbanistico introdotto con l'approvazione del nuovo PRG, che com'è noto destina le aree in questione a verde pubblico, con l'unica eccezione condizionata relativa alla particella già edificata n. 88, per la quale comunque non può dirsì che si sia verificata la condizione. L'intero lotto dei signori Caetani è dunque totalmente inedificabile. Nondimeno, l'Amministrazione resistente ha rilasciato i tre permessi di costruire impugnati, senza fornire il benché minimo supporto motivazionale per giustificare una simile incongruenza tra la realtà fattuale ed il relativo regime giuridico ad essa applicabile” . Con detto profilo di gravame, quindi, i ricorrenti si sono limitati a censurare i permessi di costruire perché ripresentati nel 2011 e concessionati nel 2014, in contrasto con la normativa della sopravvenuta variante al PRG del 2004 che ha destinato le aree a verde pubblico rendendo L'intero lotto dei signori Caetani totalmente inedificabile” , e non già per evidenziate e contestate difformità tra l'originaria e la nuova documentazione progettuale . Così il profilo del secondo motivo di ricorso non attiene affatto alle diversità progettuali specie a quella assunta dal Tar a vizio dei permessi di costruire , ma al solo dato temporale delle istanze, dato temporale che, secondo l'assunto dei ricorrenti, avrebbe dovuto imporre ex se l'applicazione della normativa sopravvenuta. In buona sostanza, nulla di quanto affermato al riguardo dal Tar circa la mancanza nel progetto del 1976 su cui si era formato il giudicato della tavola con l'indicazione del preesistente edificio da demolire è stato dedotto nel ricorso, né argomentato dai ricorrenti nelle successive memorie. Né sul punto possono assumere specifico valore i richiami effettuati in ricorso al preesistente edificio, in quanto la questione è stata colà sollevata solo a carico dei progetti originari del 1976, in relazione ad un'asserita inapplicabilità delle norme edilizie di convenzione urbanistica, ove l'area di intervento fosse stata già interessata da preesistente edificazione. Pertanto, come correttamente dedotto dagli appellanti, il primo giudice non solo ha provveduto su domanda diversa da quella realmente proposta dai ricorrenti, ma avendo introdotto un nuovo e non sollevato profilo di censura, per giunta ritenuto assorbente con conseguente annullamento dei permessi di costruire, ha finito anche per violare il principio del contraddittorio, non essendosi consentito ai controinteressati Sig.ri Caetani di sviluppare difese sul punto” . 14. Osserva poi il collegio come con la sentenza n. 815/1999 il Tar del Lazio abbia accolto i ricorsi proposti avverso i provvedimenti con cui il Comune di Roma aveva denegato le richieste concessioni edilizie, osservando quanto segue gli atti impugnati motivano il diniego della concessione per carenza di documentazione ex art. 3 e 4 del regolamento edilizio per carenze progettuali relative alla mancanza di planimetria con l'indicazione delle quote altimetriche, eventuali alberature e fabbricati da demolire. Detta motivazione oltre che generica risulta in palese contrasto con le norme comunali e con il prevalente orientamento giurisprudenziale recepito successivamente dalle norme di livello primario. Infatti l’art. 3 del regolamento edilizio non sancisce che la mancanza di alcuno dei documenti indicati renda l'istanza di concessione contraria alla norma regolamentare. È anzi vero il contrario, nel senso che è principio giurisprudenziale consolidato che l'Amministrazione, nell'ambito del procedimento istruttorio amministrativo, proprio al fine di acquisire la completezza degli elementi istruttori per addivenire alla decisione finale, abbia l'onere di esercitare i connaturati poteri istruttori agli effetti della completezza documentale e conoscitiva, senza peraltro poter trasformare l'inerzia procedimentale di sé medesima in elemento determinante per un provvedere negativo Il Comune, invece, senza aver mai comunicato alcun rilievo o richiesta istruttoria, ha ritenuto illegittimamente di motivare il diniego con l'asserita generica carenza di documentazione, mentre invece costituiva preciso onere dell'amministrazione invitare preventivamente l'interessato a regolarizzare la documentazione. Ne hanno pregio le controdeduzioni della difesa comunale tese a dimostrare che le indicate carenze progettuali concreterebbero vere e proprie violazioni di norme edilizie e /o di convenzione e dunque violazioni che nulla avrebbero a che vedere con semplici carenze progettuali, tali da comportare, più che una semplice correzione del progetto,una modificazione sostanziale dello stesso e ciò in quanto negli atti impugnati non vi è contezza di alcuna esigenza di modificazione sostanziale dei progetti nè sono indicate le specifiche parti progettuali da sottoporre a modifica né le specifiche norme urbanistiche postulanti tali esigenze modificatorie né la individuazione della consistenza della gravità delle lacune progettuali tali da non poter essere colmate con prescrizioni d'ufficio o in fase di esecuzione dei lavori. D'altra parte la ricorrente precisa che le alberature sono riportate la indicazione del piccolissimo edificio da demolire non compare perché la volumetria da realizzare è nuova rispetto a quella esistente, ed in nessun modo influisce sul progetto da realizzare” Per quanto sopra, correttamente gli appellanti hanno dedotto l'erroneità sul punto della gravata sentenza, osservando che l'integrazione documentale della tavola 2 con l'edificio da demolire ma nella perfetta identità progettuale tra 1976 e 2011 dei due edifici da costruire rispondeva esattamente al giudicato portato dalla sentenza del Tar Lazio 815 del 1999., laddove la mancata indicazione di un preesistente edificio a cavallo di due dei tre lotti da edificare. era stata ritenuta inidonea a legittimare un diniego definitivo della concessione edilizia, essendo invece preciso onere dell'amministrazione invitare preventivamente l’interessato a regolarizzare la documentazione”, cosa che è stata regolarmente fatta con quella tavola 2 sui progetti del lotto A e del lotto B” . 15. Per quanto sopra, la gravata sentenza si appalesa erronea anche laddove, delibando la causa nel merito, ha accolto in via assorbente la censura dedotta dai ricorrenti in primo grado che fa leva sulla diversità rispetto agli originali del 1976 dei progetti edilizi sulla cui base sono stati rilasciati i permessi impugnati” . Va ulteriormente precisato che il passaggio in giudicato della decisione n. 815 del 1999 secondo quanto dianzi ricordato ha comportato e comporta come peraltro riconosciuto anche dal primo giudice, v. pag. 13 e 14 della decisione appellata che l’Amministrazione in sede di riesame non avrebbe potuto né potrebbe ora prendere in considerazione normative urbanistiche diverse da quelle vigenti al momento della formazione del giudicato stesso di tal che l’area de qua resta insensibile alle normative sopravvenute salve eventualmente quelle più favorevoli. 16. Conclusivamente l'appello va accolto siccome fondato e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, va dichiarato irricevibile il ricorso proposto in primo grado dagli odierni appellati. 17. Attesa la peculiarità della controversia, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara irricevibile il ricorso proposto in primo grado dagli odierni appellati. Spese compensate Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.