Piena conoscenza e conoscenza integrale non sono sinonimi: lo stabilisce il Cpa

Ai sensi dell’art. 21, comma 1, l. n. 1034/1971, in precedenza applicabile, il ricorso deve essere notificato tanto all'organo che ha emesso l'atto impugnato quanto ai controinteressati ai quali l'atto direttamente si riferisce, o almeno ad alcuno tra essi, entro il termine di sessanta giorni da quello in cui l'interessato ne abbia ricevuta la notifica, o ne abbia comunque avuta piena conoscenza, o, per gli atti di cui non sia richiesta la notifica individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione, se questa sia prevista da disposizioni di legge o di regolamento, salvo l'obbligo di integrare le notifiche con le ulteriori notifiche agli altri controinteressati, che siano ordinate dal tribunale amministrativo regionale .

Della questione se ne è occupato il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4642/2015, depositata lo scorso 6 ottobre. Piena conoscenza e conoscenza integrale. Attualmente, l’art. 41 Cpa, comma 2 prevede che qualora sia proposta azione di annullamento il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla pubblica amministrazione che ha emesso l'atto impugnato e ad almeno uno dei controinteressati che sia individuato nell'atto stesso entro il termine previsto dalla legge, decorrente dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza, ovvero, per gli atti di cui non sia richiesta la notificazione individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge . Il successivo art. 43, comma 1, Cpa prevede inoltre che i ricorrenti, principale e incidentale, possono introdurre con motivi aggiunti nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, ovvero domande nuove purché connesse a quelle già proposte. Ai motivi aggiunti si applica la disciplina prevista per il ricorso, ivi compresa quella relativa ai termini . Quanto al concetto di piena conoscenza” dell’atto lesivo, lo stesso, anche con riferimento alla previgente disciplina, non deve essere inteso quale conoscenza piena ed integrale” dei provvedimenti che si intendono impugnare, ovvero di eventuali atti endoprocedimentali, la cui illegittimità infici, in via derivata, il provvedimento finale. Lo ha dettagliatamente chiarito il Consiglio di Stato, Sezione IV, con la sentenza 4642 del 6 ottobre 2015. Ciò che è invece sufficiente ad integrare il concetto di piena conoscenza” - ha sottolineato - è il verificarsi della quale determina il dies a quo per il computo del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale - è la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere percepibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso. Ed infatti, mentre la consapevolezza dell’esistenza del provvedimento e della sua lesività, integra la sussistenza di una condizione dell’azione, rimuovendo in tal modo ogni ostacolo all’impugnazione dell’atto così determinando quella piena conoscenza” indicata dalla norma , invece la conoscenza integrale” del provvedimento o di altri atti del procedimento influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi . In tali sensi, è rilevante osservare che l’ordinamento prevede l’istituto dei motivi aggiunti”, per il tramite dei quali il ricorrente può proporre ulteriori motivi di ricorso derivanti dalla conoscenza di ulteriori atti già esistenti al momento di proposizione del ricorso ma ignoti o dalla conoscenza integrale di atti prima non pienamente conosciuti, e ciò entro il nuovo termine decadenziale di sessanta giorni decorrente da tale conoscenza sopravvenuta. La previsione dell’istituto dei motivi aggiunti nella formulazione dei medesimi anteriore al nuovo e distinto ricorso per motivi aggiunti, poi introdotto dalla l. n. 205/2000 comprova la fondatezza dell’interpretazione resa della piena conoscenza” dell’atto oggetto di impugnazione. Ed infatti, se tale piena conoscenza” dovesse essere intesa come conoscenza integrale”, il tradizionale rimedio dei motivi aggiunti non avrebbe ragion d’essere, o dovrebbe essere considerato residuale, ricorrendone l’esperibilità forse solo nel caso di atto endoprocedimentale completamente ignoto all’atto di proposizione del ricorso introduttivo del giudizio. Se così si ricostruisse la fattispecie, il termine decadenziale dovrebbe decorrere una sola volta, individuandosi come dies a quo , appunto, il giorno di integrale” conoscenza di tutti gli atti lesivi. In altre parole, solo l’assenza dell’istituto dei motivi aggiunti consentirebbe di interpretare la piena conoscenza” come conoscenza integrale dell’atto impugnabile e degli atti endoprocedimentali ad esso preordinati, poiché in questo ipotetico caso si produrrebbe – diversamente opinando - un vulnus per il diritto alla tutela giurisdizionale, in quanto il soggetto che si reputa leso dall’atto si troverebbe compresso tra un termine decadenziale che corre ed una impossibilità di conoscenza integrale dell’atto, e quindi di completa e consapevole articolazione di una linea difensiva. Al contrario, la previsione dei cd. motivi aggiunti comprova ex se che la piena conoscenza” indicata dal legislatore come determinatrice del dies a quo della decorrenza del termine di proposizione del ricorso giurisdizionale, non può che essere intesa se non come quella che consenta all’interessato, di percepire la lesività dell’atto emanato dall’amministrazione, e che quindi rende pienamente ammissibile – quanto alla sussistenza dell’interesse ad agire - l’azione in sede giurisdizionale. Ogni aspetto attinente al contenuto del provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo, ritenuto lesivo, ovvero di atti endoprocedimentali ritenuti illegittimi, incide su profili di legittimità dell’esercizio del potere amministrativo, e quindi sui presupposti argomentativi della domanda di annullamento. Ma, come si è detto, ha osservato il Collegio, la possibilità di sottoporre al giudice ulteriori motivi di doglianza, sui quali fondare e/o rafforzare la domanda di annullamento, non è preclusa dall’ordinamento, proprio per il tramite della previsione dei citati motivi aggiunti. Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole. Proprio per queste ragioni, la soluzione prescelta dall’ordinamento risulta pienamente coerente con le esigenze espresse dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, ed in particolare dal suo art. 6, in base al quale ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole , e dal suo art. 13, in base al quale ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati ha diritto ad un ricorso effettivo innanzi ad una istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone agenti nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali . La sezione ha, infine, precisato che la verifica della piena conoscenza” dell’atto lesivo da parte del ricorrente, ai fini di individuare la decorrenza del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale, deve essere estremamente cauta e rigorosa, non potendo basarsi su mere supposizioni ovvero su deduzioni, pur sorrette da apprezzabili argomentazioni logiche. Essa deve risultare incontrovertibilmente da elementi oggettivi, ai quali il giudice deve riferirsi, nell’esercizio del suo potere di verifica di ufficio della eventuale irricevibilità del ricorso, o che devono essere rigorosamente indicati dalla parte che, in giudizio, eccepisca l’irricevibilità del ricorso instaurativo del giudizio.

Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 7 luglio – 6 ottobre 2015, n. 4642 Presidente Russo – Estensore Forlenza Fatto 1. Con l’appello in esame, la società Impresa Costruzioni Delta s.r.l. impugna la sentenza 12 aprile 2012 n. 273, con la quale il TAR per le Marche, sez. I, in accoglimento del ricorso proposto dalla signora Manuela Alessandrini, ha annullato il permesso di costruire 28 novembre 2007 n. 1126. Tale permesso, rilasciato in favore della Delta, consentiva la demolizione, con ricostruzione ed ampliamento, di un fabbricato residenziale nel Comune di Fano, al fine di realizzare cinque unità abitative. La sentenza – rigettati una pluralità di motivi di ricorso ed anche la proposta domanda di risarcimento del danno – ha accolto, invece, il motivo con il quale si è dedotta violazione dell’art. 13, lett. c e t del regolamento edilizio tipo, perché il sottotetto ricostruito non è identico a quello preesistente da altezze di ml. 0,35 in gronda a ml. 1,50 al colmo, si passa ad altezze di ml. 1,50 e 2,80 ”, con la conseguenza che esso andava considerato nel calcolo della superficie”. In particolare, la sentenza afferma che esaminando le NTA del PP depositato in giudizio non si rileva nessuna disciplina dei sottotetti né diretta né con rinvio ad altre fonti , per cui, ai sensi dell’art. 104 del Regolamento edilizio, non potevano trovare applicazione norme tecniche generali superate e sostituite dal altre norme tecniche generali”. Ne consegue che non possono trovare applicazione le norme tecniche di attuazione degli strumenti urbanistici di iniziativa pubblica, purchè definitivamente approvate alla data del 29 settembre 1990”. Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello violazione degli artt. 1,2,3, 29, 41, 38 d.lgs. n. 104/2010 violazione artt. 13, lett. c e t e 104 del Regolamento tipo violazione l. reg. n. 31/1979, anche cin riferimento alle NTA del PP e del PRG eccesso di potere per omessa e/o errata motivazione su eccezioni di rito per difetto di motivazione e di istruttoria per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto illegittimità derivata ciò in quanto a il ricorso è tardivo, poiché la piena conoscenza dell’atto che determina il dies a quo del termine per l’impugnazione è avvenuta in data 31 gennaio 2008, allorquando il tecnico incaricato dalla ricorrente prese visione e ritirò copia dei documenti relativi al permesso di costruire n. 1126/2007”, laddove il ricorso è stato notificato solo in data 13 maggio 2008 b il permesso di costruire prevede la sopraelevazione dell’edificio originario, grazie anche all’accorpamento di taluni manufatti già esistenti ed assentiti in precedenza distaccati dal manufatto principale, in conformità non solo del piano particolareggiato, ma anche delle generali disposizioni in materia, dato che nessuna norma né del PRG né di legge o regolamentare inibisce che si proceda allo sfruttamento dei citati volumi accorpati” c nessun divieto o limite viene posto né deve essere individuato nell’estensione della superficie utile realizzabile proprio perché l’unica limitazione prevista e sancita dalla legge si riferisce al numero di piani, tre” e tali sono quelli dell’edificio assentito peraltro, l’altezza massima del costruendo edificio, prevista di m. 7,70, rispetta ampiamente quanto previsto dallo stesso piano particolareggiato che dispone un’altezza massima di m. 8,50”. Si è costituito in giudizio il Comune di Fano, che ha concluso aderendo all’appello proposto dall’Impresa Delta, e dunque chiedendo di riformare la sentenza del TAR Marche impugnata. Si è altresì costituita la signora Manuela Alessandrini, che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza, segnalando altresì di avere proposto anch’essa appello in via principale avverso la sentenza del TAR Marche, e chiedendo di conseguenza, la riunione dei giudizi. 2. Avverso la sentenza n. 273/2012 del TAR per le Marche, sez. I, ha proposto appello anche la signora Manuela Alessandrini, con riferimento ai motivi del ricorso instaurativo del giudizio di I grado dichiarati infondati v. pagg. 10 – 27 e 29 – 32 app. , nonché relativamente al capo della sentenza con la quale si è rigettata la domanda di risarcimento del danno pagg. 27-28 app. . Si sono costituiti in giudizio il Comune di Fano e l’Impresa Costruzioni Delta s.r.l., che hanno entrambi concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza. 3. Con ulteriore ricorso in appello, la Impresa Costruzioni Delta s.p.a. impugna la sentenza 15 gennaio 2014 n. 98, con la quale il TAR per le Marche, sez. I, ha respinto il suo ricorso avverso la determinazione dirigenziale 24 luglio 2013 n. 144, recante applicazione, ai sensi dell’art. 38 DPR n. 380/2001, della sanzione pecuniaria, alternativa alla restituzione in pristino, irrogata a seguito della sentenza del TAR Marche n. 273/2012. La reiezione del ricorso proposto in I grado è motivata dalla sentenza impugnata - sia perché, con il I motivo, si tende a rimettere in discussione quanto accertato da questo Tribunale con la sentenza n. 273/2012” - sia perché, in ordine alla quantificazione dell’aumento di valore del fabbricato effettuata dall’Agenzia delle Entrate, metodo e procedimento di stima sono invece chiari, come sono chiari i calcoli effettuati dall’Agenzia”, precisandosi che non sussiste nessuna disposizione che imponga all’Agenzia delle Entrate l’adozione di un particolare metodo o procedimento di stima, per cui spetta alla discrezionalità tecnica del perito utilizzare quello ritenuto più opportuno in relazione al risultato da raggiungere, ossia la determinazione del più probabile valore venale in un mercato di riferimento ideale e oggettivo delle opere eseguite abusivamente”. Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello a violazione degli artt. 1, 3, 74, 41, 88 d.lgs. n. 104/2010 violazione artt. 1 e 3 l. n. 241/1990,m anche con riferimento al difetto di motivazione ed all’art. 111 Cost. violazione art. 38 DPR n. 380/2001 violazione artt. 13, lett. c e t e 104 del Regolamento tipo violazione l. reg. n. 31/1979, anche cin riferimento alle NTA del PP e del PRG violazione dei principi di correttezza, imparzialità e buon andamento eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto illegittimità derivata ciò in quanto il Comune di Fano non avrebbe dovuto procedere alla applicazione della sanzione amministrativa in modo diretto, immediato e conseguente alla pronuncia del TAR Marche, peraltro in altra sede contestata sul punto, ma ponderare e qualificare il tipo di irregolarità contestata” b violazione degli artt. 1, 3, 74, 41, 88 d.lgs. n. 104/2010 violazione artt. 1, 3, 21-octies, l. n. 241/1990, violazione art. 38 DPR n. 380/2001 violazione artt. 13, lett. c e t e 104 del Regolamento tipo violazione l. reg. n. 31/1979, anche cin riferimento alle NTA del PP e del PRG violazione dei principi di correttezza, imparzialità e buon andamento eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto illegittimità derivata ciò in quanto la somma contestata e quantificata dal Comune di Fano deriva da una relazione di stima sommaria” eseguita dall’Agenzia Fiscale, la quale ha dichiarato di non avere effettuato alcun sopralluogo, ritenendo sufficienti gli elementi già in possesso”, laddove occorre contestare le modalità di elaborazione e quantificazione del valore venale dell’immobile”, poiché non si comprendono quali siano i parametri di riferimento utilizzati ed applicati”. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Fano e l’Agenzia delle Entrate, che hanno concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza. 4. All’udienza di trattazione, le tre cause sono state riservate in decisione. Diritto 5. Gli appelli devono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza, i primi due ai sensi dell’art. 96, co. 1, Cpa, in quanto rivolti avverso la medesima sentenza, ed il terzo, stante la evidente connessione, per essere lo stesso proposto avverso atto consequenziale a quello oggetto della sentenza impugnata con i primi due ricorsi in appello. 6. L’appello rg. n. 8453/2012 deve essere accolto, con riferimento al primo motivo, con il quale si ripropone l’eccezione di tardività del ricorso instaurativo del giudizio di I grado. Giova, innanzi tutto, ricordare quanto la giurisprudenza di questa Sezione ha avuto modo di osservare, con riferimento al concetto di piena conoscenza” ed alla sua idoneità a far decorrere il termine per l’impugnazione, con particolare riguardo ai titoli di autorizzazione edilizia tra le altre, Cons. Stato, sez. IV, 28 maggio 2012 n. 3159 . Ai sensi dell’art. 21, primo comma, l. n. 1034/1971, in precedenza applicabile, il ricorso deve essere notificato tanto all'organo che ha emesso l'atto impugnato quanto ai controinteressati ai quali l'atto direttamente si riferisce, o almeno ad alcuno tra essi, entro il termine di sessanta giorni da quello in cui l'interessato ne abbia ricevuta la notifica, o ne abbia comunque avuta piena conoscenza, o, per gli atti di cui non sia richiesta la notifica individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione, se questa sia prevista da disposizioni di legge o di regolamento, salvo l'obbligo di integrare le notifiche con le ulteriori notifiche agli altri controinteressati, che siano ordinate dal tribunale amministrativo regionale”. Attualmente, l’art. 41 Cpa, co. 2 prevede che qualora sia proposta azione di annullamento il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla pubblica amministrazione che ha emesso l'atto impugnato e ad almeno uno dei controinteressati che sia individuato nell'atto stesso entro il termine previsto dalla legge, decorrente dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza, ovvero, per gli atti di cui non sia richiesta la notificazione individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge.”. Il successivo art. 43, co. 1, Cpa prevede inoltre che i ricorrenti, principale e incidentale, possono introdurre con motivi aggiunti nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, ovvero domande nuove purché connesse a quelle già proposte. Ai motivi aggiunti si applica la disciplina prevista per il ricorso, ivi compresa quella relativa ai termini”. Quanto al concetto di piena conoscenza” dell’atto lesivo, lo stesso, anche con riferimento alla previgente disciplina, non deve essere inteso quale conoscenza piena ed integrale” dei provvedimenti che si intendono impugnare, ovvero di eventuali atti endoprocedimentali, la cui illegittimità infici, in via derivata, il provvedimento finale. Ciò che è invece sufficiente ad integrare il concetto di piena conoscenza” - il verificarsi della quale determina il dies a quo per il computo del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale - è la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere percepibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso. Ed infatti, mentre la consapevolezza dell’esistenza del provvedimento e della sua lesività, integra la sussistenza di una condizione dell’azione, rimuovendo in tal modo ogni ostacolo all’impugnazione dell’atto così determinando quella piena conoscenza” indicata dalla norma , invece la conoscenza integrale” del provvedimento o di altri atti del procedimento influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi. In tali sensi, è rilevante osservare che l’ordinamento prevede l’istituto dei motivi aggiunti”, per il tramite dei quali il ricorrente può proporre ulteriori motivi di ricorso derivanti dalla conoscenza di ulteriori atti già esistenti al momento di proposizione del ricorso ma ignoti o dalla conoscenza integrale di atti prima non pienamente conosciuti, e ciò entro il nuovo termine decadenziale di sessanta giorni decorrente da tale conoscenza sopravvenuta. La previsione dell’istituto dei motivi aggiunti nella formulazione dei medesimi anteriore al nuovo e distinto ricorso per motivi aggiunti, poi introdotto dalla l. n. 205/2000 comprova la fondatezza dell’interpretazione resa della piena conoscenza” dell’atto oggetto di impugnazione. Ed infatti, se tale piena conoscenza” dovesse essere intesa come conoscenza integrale”, il tradizionale rimedio dei motivi aggiunti non avrebbe ragion d’essere, o dovrebbe essere considerato residuale, ricorrendone l’esperibilità forse solo nel caso di atto endoprocedimentale completamente ignoto all’atto di proposizione del ricorso introduttivo del giudizio. Se così si ricostruisse la fattispecie, il termine decadenziale dovrebbe decorrere una sola volta, individuandosi come dies a quo, appunto, il giorno di integrale” conoscenza di tutti gli atti lesivi. In altre parole, solo l’assenza dell’istituto dei motivi aggiunti consentirebbe di interpretare la piena conoscenza” come conoscenza integrale dell’atto impugnabile e degli atti endoprocedimentali ad esso preordinati, poiché in questo ipotetico caso si produrrebbe – diversamente opinando - un vulnus per il diritto alla tutela giurisdizionale, in quanto il soggetto che si reputa leso dall’atto si troverebbe compresso tra un termine decadenziale che corre ed una impossibilità di conoscenza integrale dell’atto, e quindi di completa e consapevole articolazione di una linea difensiva. Al contrario, la previsione dei cd. motivi aggiunti comprova ex se che la piena conoscenza” indicata dal legislatore come determinatrice del dies a quo della decorrenza del termine di proposizione del ricorso giurisdizionale, non può che essere intesa se non come quella che consenta all’interessato, di percepire la lesività dell’atto emanato dall’amministrazione, e che quindi rende pienamente ammissibile – quanto alla sussistenza dell’interesse ad agire - l’azione in sede giurisdizionale. Ogni aspetto attinente al contenuto del provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo, ritenuto lesivo, ovvero di atti endoprocedimentali ritenuti illegittimi, incide su profili di legittimità dell’esercizio del potere amministrativo, e quindi sui presupposti argomentativi della domanda di annullamento. Ma, come si è detto, la possibilità di sottoporre al giudice ulteriori motivi di doglianza, sui quali fondare e/o rafforzare la domanda di annullamento, non è preclusa dall’ordinamento, proprio per il tramite della previsione dei citati motivi aggiunti. Proprio per queste ragioni, la soluzione prescelta dall’ordinamento risulta pienamente coerente con le esigenze espresse dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, ed in particolare dal suo art. 6, in base al quale ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole”, e dal suo art. 13, in base al quale ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati ha diritto ad un ricorso effettivo innanzi ad una istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone agenti nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”. Occorre aggiungere, a quanto sin qui esposto, che la verifica della piena conoscenza” dell’atto lesivo da parte del ricorrente, ai fini di individuare la decorrenza del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale, deve essere estremamente cauta e rigorosa, non potendo basarsi su mere supposizioni ovvero su deduzioni, pur sorrette da apprezzabili argomentazioni logiche. Essa deve risultare incontrovertibilmente da elementi oggettivi, ai quali il giudice deve riferirsi, nell’esercizio del suo potere di verifica di ufficio della eventuale irricevibilità del ricorso, o che devono essere rigorosamente indicati dalla parte che, in giudizio, eccepisca l’irricevibilità del ricorso instaurativo del giudizio. 7. Nel caso di specie, non è oggetto di verifica se ciò che si è conosciuto integri o meno il concetto di piena conoscenza”, nei sensi innanzi esposti, quanto lo è, invece, stabilire se una piena conoscenza di atti effettivamente intervenuta, ma da parte di soggetti diversi dalla ricorrente Alessandrini, possa essere comunque ad essa riferita, in considerazione della particolare natura dei rapporti intercorrenti. Il Collegio ritiene raggiunta la prova della piena conoscenza, da parte della signora Alessandrini, del permesso di costruire n. 1226/2007, in data anteriore al sessantesimo giorno antecedente la data di notifica del ricorso instaurativo del giudizio di I grado e dunque, essendo la notifica intervenuta il 13 maggio 2008, in data anteriore al 14 marzo 2008 . Risulta dagli atti di causa - in data 11 gennaio 2008, veniva presentata istanza da Tagliatesta Gianluca, inc.”, di presa visione di atti e rilascio copia, in particolare del permesso di costruire rilasciato a Delta Immobiliare per uso ufficio”, ottenendosi il rilascio degli atti in pari data. Giova osservare che l’ing. Gian Luca Tagliatesta è CTU di parte Alessandrini nel giudizio di I grado v., tra gli altri, osservazioni del 5 marzo 2010, in atti - in data 4 marzo 2008, l’avv. Giuliano Giuliani che assiste la sig.ra Alessandrini sia anteriormente al giudizio – v. nota 4 aprile 2008, in atti - sia successivamente in giudizio , presenta istanza di presa visione e rilascio copia del permesso di costruire rilasciato in favore della ditta Delta di Piccini in forza della l. reg. 31/1979” - in data 2 aprile 2008, la Impresa Costruzioni Delta s.r.l., rivolgendosi al Comune di Fano, replica ad un esposto della sig.ra Alessandrini trasmesso in copia alla scrivente dall’avv. Giuliano Giuliani con nota accompagnatoria del 18 marzo 2008” l’invio di tale esposto nella data indicata non è contestato nella successiva nota di replica del 4 aprile 2008. Tanto precisato, il Collegio non ignora, per averli anche in precedenza richiamati - sia il principio dell’onere di allegazione di parte degli elementi sui quali si fonda l’eccezione di tardività del gravame - sia il criterio di rigorosità nell’esame degli elementi oggettivi dai quali evincere la prova della tardività del ricorso, dovendosi escludere che a conclusioni dichiarative della tardività possa giungersi sulla base di supposizioni o deduzioni, pur sorrette da apprezzabili argomentazioni logiche. Nel caso, di specie, sia l’appellante, sia il Comune di Fano, ambedue parti costituite in I grado, hanno fondato l’eccezione di tardività proposta e rigettata dalla sentenza impugnata , sulla intervenuta conoscenza degli atti da parte di tecnici incaricati dalla ricorrente. Attesa l’indicazione di elementi oggettivi, ciò che il giudice deve effettuare non è, dunque, né una non ammessa ricerca di ufficio” degli atti sui quali fondare il suo giudizio essendo egli legato alla, qui intervenuta, allegazione di parte , né valutare se quegli atti provano una piena conoscenza in generale” poiché certamente gli istanti hanno preso piena conoscenza del permesso di costruire , quanto più specificamente stabilire se la conoscenza del permesso di costruire impugnato, certamente intervenuta – come si è detto - da parte di due professionisti, sia riconducibile alla sfera giuridica della ricorrente. In altre parole, se occorre ribadire che non è consentito al giudice ricavare la prova della piena conoscenza dell’atto impugnato da deduzioni o supposizioni, non legate ad elementi certi, non è impedito al giudice, in presenza di dati oggettivi nella presente sede costituiti da due intervenuti accessi , verificare, sulla base di un ragionamento rigorosamente sorvegliato dal punto di vista logico, se la conoscenza dell’atto oggetto di impugnazione, acquisita da soggetti diversi dalla parte ricorrente in persona, sia tuttavia riconducibile alla sfera giuridica di questa. Tale profilo specifico della valutazione del giudice non può dipendere, in via esclusiva, dalla prova documentale del legame esistente tra soggetto che accede all’atto e soggetto ricorrente, poiché questa sarebbe esclusivamente nella disponibilità della parte medesima, e, come tale, non acquisibile al giudizio e, prima ancora, non comprovabile nella sua esistenza , se non per effetto di un improbabile atto unilaterale di allegazione. Ma, al tempo stesso, proprio per garantire la parità processuale delle parti e, prima, ancora il principio di affidamento che deve valere nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione , non può essere preclusa al giudice non ostandovi l’art. 64 Cpa , in presenza di una intervenuta conoscenza dell’atto impugnato, la valutazione della riconducibilità di questa alla sfera giuridica del soggetto ricorrente, se coloro che tale conoscenza hanno acquisito sono legati al ricorrente da rapporti di opera professionale. Nel caso oggetto del presente giudizio, è indubbio che i soggetti che hanno conosciuto l’atto impugnato in data anteriore di oltre sessanta giorni a quella di notifica del ricorso, sono il difensore ed il consulente tecnico di parte della ricorrente, ed è dunque ragionevole concludere che la conoscenza da essi acquisita sia intervenuta per conto della signora Alessandrini. E’ pur vero che, dagli atti di accesso indicati, non si evince per tabulas” l’esistenza di un incarico professionale, ma le ragioni dell’accesso e la riconducibilità della conoscenza così acquisita degli atti, ben possono essere intesi come intervenuta conoscenza da parte del ricorrente, con gli effetti che ciò produce ai fini della decorrenza del termine decadenziale. Argomentando diversamente, il conseguimento della piena conoscenza” dell’atto – e dunque la certezza del dies a quo – laddove si richiedesse la prova documentale dell’incarico ricevuto, verrebbe ad essere rimessa alla disponibilità del ricorrente. Per le ragioni esposte, e sulla base degli elementi indicati e risultanti dagli atti di causa, il Collegio ritiene intervenuta, da parte della signora Manuela Alessandrini, la piena conoscenza dell’atto impugnato in data antecedente di oltre sessanta giorni la data di notificazione del ricorso. Ne consegue l’accoglimento del primo motivo di appello proposto sub a dell’esposizione in fatto, con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi , e, in riforma della sentenza impugnata, la declaratoria di irricevibilità del ricorso instaurativo del giudizio di I grado. 8. La declaratoria di irricevibilità del ricorso rende inammissibile la proposta domanda di risarcimento del danno. Quest’ultima è stata proposta, nell’ambito del giudizio instaurato e tendente all’annullamento dell’atto impugnato, con istanze notificate, datate rispettivamente 4 luglio 2008 e 13 maggio 2009, e si caratterizza - come domanda di risarcimento in forma specifica, con la rimozione del fabbricato” - come domanda di risarcimento per equivalente, relativamente al danno patito per ogni anno o frazione di anno dall’avvio della costruzione alla sua avvenuta demolizione”, nonché in ordine al danno non patrimoniale o esistenziale per il disagio sofferto” - come ulteriore domanda di risarcimento del danno per equivalente per il caso di mancata demolizione”. Orbene, poiché ai sensi dell’art. 34, co. 2, Cpa, il giudice non può conoscere della legittimità degli atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l’azione di annullamento di cui all’art. 29”, ciò significa che, nel caso di declaratoria di irricevibilità del ricorso per tardività, è precluso al giudice ogni accertamento dell’illegittimità dell’atto, che si assume caratterizzare l’ingiustizia del danno del quale si richiede il risarcimento”, ed ai fini della eventuale valutazione in via autonoma di tale domanda. Né ricorre, nel caso di specie, la ben diversa ipotesi di cui al successivo comma 3 dell’art. 34. D’altra parte, l’impossibilità di rimozione del fabbricato, che potrebbe conseguire esclusivamente all’annullamento del permesso di costruire, rende ex se inammissibile la domanda di risarcimento del danno in forma specifica. Giova, comunque, osservare, che - per un verso, non ricorrerebbero in ogni caso né il danno non patrimoniale o esistenziale sofferto”, alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione Sez. Un., 11 novembre 2008 n. 26972 , dalla quale il Collegio non ha ragione di discostarsi, né il danno patito per l’esistenza stessa del fabbricato fino alla sua demolizione, ipotesi che presenta aspetti di dubbia specificità e che tende a confondersi con il danno non patrimoniale - per altro verso, il danno per equivalente per il caso di mancata demolizione”, pur affermato e oggetto di domanda, non risulta comprovato nel suo contenuto nella perizia stragiudiziale si afferma, apoditticamente, l’esistenza di una riduzione della privacy, dell’illuminazione solare, della visibilità, dell’arieggiamento” , né in ordine ai criteri per la sua quantificazione. 9. L’accoglimento dell’appello proposto dalla Impresa Costruzioni Delta, con riforma della sentenza impugnata e conseguente declaratoria di irricevibilità per tardività del ricorso instaurativo del giudizio di I grado, rende, di conseguenza, improcedibile l’appello proposto dalla signora Alessandrini r.g. 2947/2013 avverso la medesima sentenza, nella parte in cui, con il medesimo, questa è oggetto di censura per avere rigettato una pluralità di motivi di ricorso, proposti in I grado contro il permesso di costruire rilasciato alla società Delta. Deve, inoltre, essere accolto l’appello r.g. 5887/2014, proposto avverso la sentenza del TAR Marche n. 98/2014, con riferimento al I motivo proposto con conseguente assorbimento del secondo motivo , motivo con il quale si contesta l’applicazione della sanzione amministrativa, quale mera e diretta conseguenza della sentenza del TAR Marche n. 273/2012. L’intervenuta riforma di tale decisione, per effetto dell’accoglimento dell’appello proposto dalla società Delta, rimuove il presupposto motivazionale del provvedimento sanzionatorio adottato. L’appello deve essere dunque accolto e, di conseguenza, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso instaurativo del giudizio di I grado, con conseguente annullamento del provvedimento in tale sede impugnato. In considerazione della complessità e natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta definitivamente pronunciando sugli appelli proposti da Impresa Costruzioni Delta s.r.l. nn. 8453/2012 e 5857/2014 r.g. e da Alessandrini Manuela n. 2947/2013 r.g. a riunisce gli appelli b accoglie l’appello r.g. n. 8453/2012 e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara irricevibile il ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed inammissibile la domanda di risarcimento del danno proposta nell’ambito del medesimo giudizio c dichiara improcedibile l’appello r.g. n. 2947/2013 d accoglie l’appello r.g. n. 5857/2014 e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso instaurativo del giudizio di I grado, con conseguente annullamento del provvedimento con il medesimo impugnato e compensa tra le parti le spese, diritti ed onorari del presente giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.