Il rispetto degli oneri imposti dalle leggi anticorruzione non viola le libertà del CNF e dei COA

I Consigli ed i Collegi professionali, nella fattispecie il CNF ed alcuni COA, enti pubblici non economici, sono assoggettati agli oneri di trasparenza, di pubblicità ed informativi di tipo patrimoniale imposti dalla l. n. 190/12 e dagli artt. 14 e 15, d.lgs. n. 33/13 come ogni altra PA la legge non li esonera espressamente.

È quanto stabilito in due sentenze identiche 11391 e 11392 , molto complesse, depositate dal Tar Lazio, sez. III, il 24 settembre 2015. Si basano su un precedente dello stesso Tar 8376/15 . I casi. Il COA di Locri, il CNF e molti altri COA impugnavano le deliberazioni n. 144/14 e n. 145/14, recanti il parere dell'Autorità Nazionale Anticorruzione sull'applicazione della l. n. 190/12 e dei decreti delegati agli Ordini ed ai Collegi professionali e convenivano l’ANAC, il Ministero di Giustizia ed il Garante della privacy. Il primo riguarda gli obblighi di pubblicazione concernenti gli organi di indirizzo politico nelle PA riordina la disciplina degli oneri di pubblicità, di trasparenza e di diffusione delle informazioni e delimita l’ambito di applicazione del d.lgs. n. 33/13 e l’altro è un Parere dell’Autorità sull’applicazione della L. 190/2012 e dei decreti delegati agli Ordini e Collegi professionali in risposta alla nota del 23/2/14 con cui il Presidente del Comitato Unitario Permanente degli Ordini e Collegi professionali aveva sottoposto all’ANAC un parere pro veritate del Prof. Capotosti. In esso si ribadiva l’inapplicabilità della L.165/01 e delle norme sull’anticorruzione ai COA per la natura [sono enti associativi, finanziati dai propri iscritti e non assoggettati al controllo della Corte dei Conti Cass. n. 21226/11 ], le dimensioni e l’organizzazione di questi peculiari enti. Infine tale esclusione era confermata dalla Direttiva 2004/8/CE EU C 2013 543, che ha chiarito la definizione di organismi di diritto pubblico e non c’era alcun interesse collettivo alla pubblicazione integrale dei dati che riguardano gli amministratori. Il Tar lo ha smentito respingendo le numerose doglianze dei ricorrenti. Le delibere impugnate sono prodromiche agli strumenti adottati col regolamento attuativo dell’articolo 47 d.lgs. 33/13 G.U. 176/15 per vigilare e sanzionare articolo 19 comma 7 DL 90/14 e L.689/81 chi non assolve agli oneri di comunicazione e di pubblicità ex artt. 14 e 22 comma 2 respinta anche l’eccezione d’inammissibilità del ricorso. Natura del CNF e dei COA. L’articolo 24 L.247/12 Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, NOF stabilisce espressamente che il CNF e gli ordini circondariali sono enti pubblici non economici a carattere associativo dotati di autonomia patrimoniale e finanziaria, sono finanziati esclusivamente con i contributi degli iscritti, determinano la propria organizzazione con appositi regolamenti, nel rispetto delle disposizioni di legge, e sono soggetti esclusivamente alla vigilanza del Ministro della giustizia . In breve non c’è nessuna equazione tra applicazione di queste norme ed il pubblico impiego l’art 1 comma 59 L.190/12, mediante la tecnica del richiamo alle pubbliche amministrazioni , id est all’elenco potenzialmente esaustivo di tutte le categorie di amministrazioni, contenuto nel comma 1, impone questa normativa anche ai ricorrenti quali enti pubblici non economici l’ambito è molto ampio e comprende anche le società pubbliche. Con vari esempi ACI e federazioni sportive e richiami ad altre leggi DPR 68/86 il Tar dimostra come la stessa autonomia finanziaria il contributo annuale associativo è una tassa finalizzata al sostentamento dell’ente se non è saldata l’iscritto è sospeso sino al suo pagamento –artt. 29 NOF, 7 e 14 d.lgs. Lgt 382/44 - sia compatibile con questa natura pubblicistica CDS 6014/12 e C. Cost. 256/07 gli ordini svolgono una chiara funzione pubblica ai sensi dell’articolo 23 Cost . Essa, poi, risponde alla imprescindibile e fondamentale funzione sociale dell’avvocato, che la legge di riforma -anche con tale espressa qualificazione degli enti esponenziali di tale categoria ha voluto sottolineare come orientata all’attuazione di principi costituzionali meglio specificati all’articolo 1 NOF le modalità d’iscrizione all’albo, l’assoggettamento ad un codice deontologico, il dovere di ispirare fiducia nella collettività sono finalizzati alla tutela del diritto di difesa ex articolo 24 Cost. I servizi offerti dai COA gestione dell’albo, pareri di congruità etc. sono funzionali a tali fini garantendo la qualità della prestazione e la sua giusta remunerazione. È stata perciò respinta la qlc di queste norme ritenute contrarie alla privacy ed alle libertà associative degli enti l’esonero sarebbe, anzi, contrario al principio di uguaglianza articolo 3 Cost. . Piano anticorruzione ed altri oneri . Sono, perciò, obbligati a dotarsi degli strumenti ex articolo 10 Dlgs 33/13. Qualora non vi fosse una figura dirigenziale in grado di assumere il ruolo di responsabile anticorruzione, l’ente nominerà un dirigente o, se non è possibile, una persona qualificata ma non con mansioni dirigenziali ed in ultima istanza ricorrere all’accordo tra PA ex articolo 15 L.240/91. Dovrà redigere piani anticorruzione e di performance, il Programma triennale per la trasparenza e l’integrità, nominare un apposito responsabile, comunicare tutti i dati informativi organigramma, redditi, patrimonio, dati assicurativi, obblighi di pubblicazione concernenti i componenti degli organi di indirizzo politico articolo 14 Dlgs 33/13 ed i titolari di incarichi dirigenziali e di collaborazione o consulenza articolo 15 di cui al combinato disposto degli artt. 10 e 43 comma 3 d.lgs. n. 33/13. Si precisi che l’individuazione degli organi d’indirizzo politico dovrà essere effettuata in concreto con riferimento alle peculiarità dell’ente di riferimento CdS n. 3105/14 .

Tar Lazio, sez. III, sentenza 6 maggio – 24 settembre 2015, numero 11392 Presidente Corsaro – Estensore Sinatra Fatto I. Con ricorso notificato il 3-4 dicembre 2014 e depositato il 17 dicembre 2014, il Consiglio Nazionale Forense e numerosi Consigli dell’Ordine degli Avvocati circondariali hanno impugnato, chiedendone l’annullamento previa sospensione cautelare, la delibera numero 145\2014 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione ANAC , recante Parere dell’Autorità sull’applicazione della L. 190\2012 e dei decreti delegati agli Ordini e Collegi professionali” e, in quanto occorra, la delibera numero 144\2014 della medesima Autorità, ad oggetto Obblighi di pubblicazione concernenti gli organi di indirizzo politico nelle pubbliche amministrazioni”. II. Il primo dei due atti impugnati su citati numero 145\2014 prende le mosse dalla nota del 23 febbraio 2014 del Presidente del Comitato Unitario Permanente degli Ordini e Collegi professionali, la quale aveva sottoposto all’ANAC un parere pro veritate reso dal prof. Alberto Capotosti in ordine all’applicabilità a detti Enti delle disposizioni della legge numero 190 del 2012 Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione e del decreto legislativo numero 33 del 2013 Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni . Secondo tale parere la citata disciplina non si applicherebbe in via diretta a Collegi ed Ordini, ma porrebbe in capo ai medesimi soltanto un obbligo di adeguamento ai relativi principi, poiché, in sintesi il riferimento dell’articolo 11 del d.lgs. numero 33\2013 agli Enti menzionati nell’articolo 1 comma II del d.lgs. numero 165\2001 è utile alla ricognizione delle amministrazioni vincolate al regime organizzativo previsto in via generale per il pubblico impiego, ma non ha il medesimo lavoro quando il richiamo è utilizzato nell’ambito di materie che si allontanano da quelle del lavoro pubblico peraltro, anche in quest’ultimo ambito, detti Enti non applicano direttamente il d. lgs. numero 165\2001, ma, a tenore dell’articolo 2 comma II bis del D.L. 31 agosto 2013 numero 101, si adeguano ai relativi principi si tratta di enti di natura associativa, che non gravano sulle risorse pubbliche tanto da non essere assoggettate al controllo sulla gestione della Corte dei Conti, come affermato da Cass. numero 22126\2011 , ma che si giovano unicamente dei contributi degli iscritti il diritto comunitario v. Corte CE 12 settembre 2013, C-526\11 li esclude dalla sfera di applicabilità della direttiva 2004\18\CE per tale ragione non sussisterebbe neppure l’interesse della collettività alla pubblicazione integrale dei dati che riguardano gli amministratori la L. 190\2012, nell’indicare l’oggetto della delega che ha dato poi luogo al d.lgs. numero 33\2013, fa riferimento all’elenco di cui all’articolo 1 comma II del d.lgs. numero 165\2011 con esclusivo riguardo a chi abbia compiti di gestione, e non con riguardo a chi sia titolare di cariche politiche, se non di livello statale, regionale e locale”, e dunque nei soli Enti territoriali e comunque la differenza tra organi di amministrazione ed organi di gestione, essendo dettata dall’articolo 4 del d. lgs. numero 165\2001, non sarebbe direttamente applicabile agli Ordini, che a quel testo unico devono solo adeguarsi nei principi le disposizioni del d.lgs. numero 33\2013 male si attaglierebbero alle realtà organizzative e dimensionali spesso minime ed alle funzioni degli Ordini con specifico riferimento al piano di prevenzione della corruzione, i commi da V a XXIV della legge delega numero 190\2012 si riferiscono alle sole pubbliche amministrazioni centrali, mentre il comma LX lettera a a regioni ed enti locali. Preso atto di tale parere, l’ANAC, pur tenendo in considerazione detta peculiare natura degli Enti esponenziali delle comunità professionali, nella delibera numero 145 ha rilevato che essi si collocano, ai sensi dell’articolo 1 comma II del decreto legislativo numero 165 del 2001, nel novero degli Enti pubblici non economici, appartenenti al comparto del c.d. parastato, e che tra di essi ed i loro dipendenti intercorre un rapporto di pubblico impiego. Pertanto -ha concluso l’Autorità a detti Enti si applica tutta la normativa inerente gli obblighi e gli adempimenti tesi a prevenire la corruzione. E dunque occorre che essi provvedano alla predisposizione del Piano triennale di prevenzione della corruzione e del Piano triennale della trasparenza, nonchè alla nomina del Responsabile della prevenzione della corruzione che essi curino l’adempimento agli obblighi di trasparenza di cui al decreto legislativo numero 33 del 2013 che essi osservino i divieti in materia di inconferibilità ed incompatibilità degli incarichi di cui al decreto legislativo numero 39 del 2013. III. Il secondo dei due atti gravati numero 144\2014 , invece, è dichiaratamente volto a delimitare l’ambito soggetti di applicazione del decreto legislativo numero 33 del 2013 Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni alle pubbliche amministrazioni. Esso procede all’individuazione degli Enti destinatari della disciplina in parola, indicando, a tale fine, ancora una volta, tutti quelli menzionati dall’articolo 1 comma II del decreto legislativo numero 165\2001 ma non si limita a tanto, affermando espressamente che è chiaro indice di pubblicità e, dunque, di sottoposizione diretta alla normativa c.d. anticorruzione la condizione di cui all’articolo 11 comma II lettera a del decreto numero 33\2013, come modificato dall’articolo 24-bis del decreto legge numero 90 del 2014 convertito in legge numero 114 del 2014 , che è quella dei soggetti di diritto pubblico non territoriali, nazionali, regionali o locali, comunque denominati, istituiti, finanziati o vigilati dalla pubblica amministrazione che conferisce l’incarico, ovvero i cui amministratori siano da questa nominati”. La delibera riferisce, quindi, ai titolari degli organi di indirizzo politico di detti Enti tutti gli obblighi di pubblicazione previsti dagli articoli 14 Obblighi di pubblicazione concernenti i componenti degli organi di indirizzo politico e 15 Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi dirigenziali e di collaborazione o consulenza del decreto numero 33\2013, precisando che in tale novero rientrano sia quelli a carattere elettivo e titolari di rappresentanza politica, che quelli che, pur avendo carattere non elettivo, esprimano comunque l’indirizzo politico dell’Ente con riguardo all’organizzazione e all’attività di quest’ultimo, in coerenza con la distinzione di principio, presente nell’articolo 4 del decreto legislativo numero 165\2011, tra organi di indirizzo politico ed organi di amministrazione e gestione, precisata anche nell’articolo 22 dello stesso decreto numero 33 e nell’articolo 1 comma II lettera f del decreto legislativo numero 39 del 2013, che dà dell’ ”organo di indirizzo politico” una nozione tendenzialmente omnicomprensiva di tutte le cariche cui sia affidata la decisione sugli indirizzi dell’Ente. Diversamente, per le cariche che non esprimano l’indirizzo dell’Amministrazione come ad esempio i Dirigenti scolastici , l’obbligo di pubblicazione è, secondo l’ANAC, limitato agli aspetti di cui all’articolo 15 del decreto legislativo numero 33 del 2013. Quanto alla concreta attuazione degli obblighi in parola, la deliberazione numero 144\2014 si preoccupa di fissare la data dalla quale gli Enti interessati sono tenuti ad adempiervi, individuata nel 20 aprile 2013, ossia dalla data di entrata in vigore del decreto numero 33 ciò in quanto l’articolo 49 comma III precisa che le sanzioni per la mancata adozione delle misure previste si applichino a partire dalla data di adozione o di aggiornamento del Piano triennale della trasparenza, dal che discenderebbe l’immediata precettività della norma che prevede tale adempimento di precisare che i titolari degli organi sono tenuti alla pubblicazione dei dati patrimoniali del proprio coniuge non separato e dei parenti entro il secondo grado che vi consentano, e che la sanzione per la mancata pubblicazione senza la dichiarazione di mancato consenso si applica esclusivamente ai titolari dell’organo di specificare quali siano le informazioni da rendere pubbliche ossia quelle relative alla titolarità di diritti reali su beni immobili e su beni mobili registrati, compresa la titolarità di imprese, azioni e quote societarie e per quanto tempo esse debbano permanere sui siti istituzionali delle Amministrazioni. La delibera, infine, partendo dalle segnalazioni formulate da talune Amministrazioni in ordine a possibili difficoltà applicative della disciplina in questione, offre il contributo dell’Autorità a possibili modifiche normative, da inserire in un disegno di legge già al vaglio del Parlamento. IV. Proprio sulla premessa di possibili difficoltà attuative della normativa di contrasto alla corruzione agli Enti ricorrenti dovuta alle dimensioni e caratteristiche strutturali di questi ultimi, spesso di minime dimensioni e privi di figure adatte all’attribuzione dei compiti previsti dalla legge affidano l’impugnazione delle due deliberazioni descritte ai seguenti motivi 1 Violazione e falsa applicazione dell'articolo 1, comma 59 della legge 6 novembre 2012, numero 190, dell'articolo 11 del d.lgs. 14 marzo 2013, numero 33, dell'articolo 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001 numero 165, nel loro disposto combinato con l'articolo 2, comma 2-bis, del d.l. 31 agosto 2013, numero 101, eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche, in particolare difetto di istruttoria, travisamento, contraddittorieta', manifesta ingiustizia, difetto di proporzionalità. La normativa di contrasto alla corruzione non si presterebbe all’applicazione diretta ad Ordini e Collegi professionali innanzitutto perché questi ultimi non sarebbero ricompresi nel novero di enti scolpito dall’articolo 1 comma II del decreto legislativo numero 165\2001, elenco oramai tralatiziamente utilizzato dal legislatore quando esso intende riferirsi al tutte le pubbliche amministrazioni, come fa anche l’articolo 1 comma 59 della legge numero 190 del 2012. A questo proposito, l’ANAC non avrebbe tenuto nella debita considerazione che l'articolo 2, comma 2-bis del decreto legge 31 agosto 2013 numero 101 escluderebbe le organizzazioni ricorrenti dall’alveo di applicabilità diretta della normativa in discorso, in quanto prevede che gli ordini, i collegi professionali, i relativi organismi nazionali e gli enti aventi natura associativa, con propri regolamenti, si adeguano, tenendo canto delle relative peculiarità, ai principi del decreto legislativo 30 marzo 2001, numero 165, ad eccezione dell'articolo 4, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, numero 150, ad eccezione dell'articolo 14 nonchè delle disposizioni di cui al titolo III, e ai principi generali di razionalizzazione e contenimento della spesa, in quanta non gravanti sulla finanza pubblica . E proprio le peculiari caratteristiche dei Ordini e Collegi professionali, che hanno indotto la giurisprudenza della Corte di Cassazione a ritenerli non soggetti al controllo della Corte dei Conti, avrebbero avuto l’effetto di portare il legislatore ad escludere tali Enti dalla cerchia di quelli contemplati dall’articolo 1 comma II del decreto legislativo numero 165 del 2001. 2 Violazione e falsa applicazione della legge 6 novembre 2012, numero 190, e, in particolare, dell'articolo 1, comma 35, eccesso di potere per illogicità e difetto di istruttoria. Le dimensioni delle piante organiche degli Enti in questione, spesso minime e comprendenti un solo dipendente, sovente privo di qualifica dirigenziale, impedirebbero in radice -in quanto troppo onerosa la redazione del Piano della prevenzione della corruzione, il cui incarico non può neppure essere commesso all’esterno comma VIII articolo 1 della legge numero 190\2012 , ed impedirebbero altresì la nomina del responsabile della prevenzione della corruzione. Tanto sarebbe confermato dal comma XXXIV della legge 190\2012, il quale si limita ad estendere alle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, numero 165, nonchè, in particolare, agli enti pubblici nazionali” le sole disposizioni dei commi da XV a XXXIII dell'articolo 1, mentre la disciplina del piano è contenuta invece nei precedenti commi da IV a XIV. 3 Violazione e falsa applicazione dell' articolo 1, comma 59 della legge 6 novembre 2012, numero 190, dell'articolo 11 del d.lgs. 14 marzo 2013, numero 33, dell'articolo 1, comma 2 del d.lgs. 30 marzo 2001, numero 165, insufficiente motivazione, eccesso dl potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare illogicità, difetto dl istruttoria, travisamento, contraddittorieta', manifesta ingiustizia. Il citato articolo 2, comma II bis, del D.L. numero 101 del 2013 esclude espressamente che gli Ordini debbano adeguarsi ai principi generali di razionalizzazione e di contenimento della spesa pubblica, in quanto enti non gravanti sui/a finanza pubblica''. Per questa ragione la sentenza numero 21226 del 14 ottobre 2011 della Corte di Cassazione ha escluso che gli Ordini professionali siano soggetti al controllo di gestione da parte della Corte dei Conti, in quanto occorre di volta in volta verificare quali siano il fine perseguito dalla disciplina di cui si postula l’applicabilità per comprendere il relativo ambito soggettivo di applicazione della norma. Il medesimo approccio sostanzialistico, e non formale-letterale, verrebbe seguito dalla giurisprudenza europea, la quale avrebbe negato che le organizzazioni ordinistiche costituiscano organismi pubblici ai sensi della Direttiva 2004/18/CE sugli appalti pubblici nei settori classici, non soddisfacendo essi né il criterio relativo al finanziamento maggioritario da parte dell'autorità pubblica né il criterio relativo al controllo della gestione da parte dell'autorità pubblica”. Altro argomento escludente dall’ambito applicativo della normativa in tema di contrasto alla corruzione sarebbe costituito dal carattere associativo confermato, per gli Ordini forensi, dall’articolo 24, comma 3, I. 31 dicembre 2012, numero 247, ed altresì dal fatto che essi non siano considerati tra quelli gravanti sulla spesa pubblica dall’articolo 2, comma 2-bis, D.L. numero 101 del 2013, in quanto sostenuti dalla contribuzione obbligatoria degli associati. Insomma, il CNF e gli Ordini forensi locali non sarebbero una species del genus enti pubblici non economici”. Tanto più che al CNF sono attribuite funzioni giurisdizionali, confermate, nella recente riforma forense, dall'articolo 35, comma I, lett. c e dell'articolo 36 della legge numero 247 del 2012. Coerentemente, secondo l’articolo 1, comma III, della legge numero 196 del 2009, tali soggetti non contribuiscono a formare il bilancio consolidato dello Stato. 4 Violazione e falsa applicazione dell'articolo 35, comma 1, lett. c della legge 6 novembre 2011 numero 190 e degli articoli 13, 14 e 15 del d.lgs. 14 marzo 2013, numero 33. eccesso dl potere per sviamento e illogicità, illegittimità derivata dall'illegittimità costituzionale degli artt. 13, 14 e 15 del d.lgs. numero 33 del 2013 per violazione degli artt. 2, 3 e 76 della Costituzione. Sarebbe poi illegittima la sottoposizione dei titolari di cariche politiche agli obblighi informativi di tipo patrimoniale agli organi politici, che la legge numero 190 del 2012 riserverebbe ai dirigenti mediante il consueto rinvio all’elenco di cui all’articolo 1 comma II del decreto legislativo numero 165 del 2001, che, invece, non è stato formulato quanto ai titolari delle cariche politiche sicchè, mentre per i dirigenti l’obbligo informativo su dati reddituali e patrimoniali avrebbe carattere generale, così non sarebbe per i titolari di organi di indirizzo politico di qualunque ente, bensì soltanto di quelli esponenziali di una data comunità territoriale, come testimonierebbe l’espressione legislativa che si riferisce al livello statale, regionale e locale” degli incarichi, così riportando all’espressione politica dei vari livelli di governo del territorio, davanti al quale bene sarebbe giustificato il sacrificio alla riservatezza dei soggetti investiti delle relative cariche. Non così per i consiglieri degli Ordini ricorrenti, ed ancora meno per i loro congiunti, anche perché i primi eserciterebbero cariche di natura sostanzialmente onoraria, non retribuite. Lo confermerebbe anche il riferimento all’articolo 4 del decreto legislativo numero 165 del 2001, pure operato dall’ANAC nella delibera numero 144\2014, norma che distingue i titolari di incarichi direttivi a seconda che essi siano, o non, di carattere elettivo. 5 Violazione e falsa applicazione dell’articolo 35 comma I lettera c della L. numero 190\2012 e degli articoli 13, 14 e 15 del d.lgs. numero 33 del 2013 illegittimità derivata per violazione degli articoli 2, 3 e 76 Cost. Inoltre la non estensibilità degli obblighi di comunicazione agli organi politici deriverebbe dal fatto che, mentre per i dirigenti la legge numero 190 del 2012 rinvia all’elenco di enti di cui all’articolo 1 comma II d.lgs. numero 165\2001, lo stesso richiamo non è ripetuto per gli organi politici, ma vi è solo il testuale riferimento a incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico di livello statale, regionale o locale”, ossia, secondo i ricorrenti, ai soli enti espressione di una collettività territoriale. Ritenere il contrario, secondo i ricorrenti, comporterebbe il contrasto degli articoli 14 e 15 del decreto legislativo numero 33 del 2013 con gli articoli 76, 2 e 3 della Costituzione. Peraltro, vi sarebbe contrasto anche tra i due provvedimenti gravati, in quanto la delibera numero 145, a differenza della numero 144, non menziona nella tabella esemplificativa di applicazione ad essa allegata, gli organi di indirizzo degli Ordini professionali. In via subordinata i ricorrenti chiedono che questo TAR sollevi la questione di legittimità costituzionale dei citati articoli 14 e 15 rispetto agli articoli 76, 2 e 3 della Carta fondamentale. 6 Violazione e falsa applicazione della legge 6 novembre 2012, numero 190 e del d.lgs. 14 marzo 2013, numero 33, eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare difetto di istruttoria, travisamento, contraddittorietà, manifesta ingiustizia. Neppure l’obbligo di redazione del Piano della prevenzione della corruzione sarebbe estensibile agli Enti ricorrenti, poiché collegato con il Piano della perfomance di cui al titolo III del decreto legislativo numero 150 del 2009, dalla cui sfera applicativa gli Ordini professionali sono esclusi in forza dell’articolo 2 comma II bis del decreto legge numero 101 del 2013. 7 Ancora violazione e falsa applicazione della legge 6 novembre 2012, numero 190 e del d.lgs. 14 marzo 2013, numero 33 violazione e falsa applicazione della legge 6 novembre 2012, numero 190 e del d.lgs. 14 marzo 2013, numero 33, eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare difetto dl istruttoria, travisamento, contraddittorietà, manifesta ingiustizia. Sarebbero poi del tutto inapplicabili agli Ordini altre disposizioni del decreto legislativo numero 33 del 2013, quali l’articolo 16 che presuppone il controllo della Corte di Conti sulle spese relative al personale , 22, 24, 26 e 27 relativi ad obblighi di pubblicazione relativi a società controllate, ai dati sull’attività amministrativa, ai controlli sulle imprese e ai beneficiari di sovvenzioni l’intero capo III, relativo alla pubblicazione dell’uso di risorse pubbliche il capo IV, inerente la pubblicazione concernenti le prestazioni e i servizi erogati il capo V e il capo VI, inerenti attività non riferibili agli Ordini. 8 Illegittimità derivata per incostituzionalità del combinato disposto dl cui agli artt. 1, comma 59, l. numero 190/2012, articolo 11, comma 1, d.lgs. numero 33/2013 e articolo 1, comma 2, d.lgs. numero 165/2001 per violazione degli artt. 2, 3, 18 e 118 u.c., Cost. Per il caso in cui questo TAR non dovesse condividere i motivi precedenti, i ricorrenti chiedono che sia sollevata questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, comma 59, legge numero 190/2012 e 11, comma 1, D. Lgs. numero 33/2013 unitamente all'articolo 1, comma 2, D.Lgs. numero 165/2001, da queste richiamato , in quanto interpretati nel senso dell'estensione della disciplina cui essi fanno riferimento e degli obblighi da essa recati anche agli ordini professionali ed in particolare agli ordini circondariali forensi ed al Consiglio nazionale forense. A dire dei ricorrenti, L'estensione della disciplina di cui ai commi da 1 a 57 dell'articolo 1 della Iegge numero 190/2012 e dunque, per estensione, del D.Lgs. numero 33/2013 disposta dalle norme richiamate in epigrafe del presente motivo si porrebbe infatti in contrasto con la specifica natura e autonomia degli Ordini professionali, enti pubblici associativi deputati alla cura dell'interesse pubblico al corretto esercizio della professione cfr., in questa senso, l'articolo 24 della Legge numero 247/12 ”, in quanto esponenziali di una categoria professionale, non aventi la funzione di fornire un servizio alla collettività, integralmente finanziati dagli iscritti ed aventi, altresì, piante organiche assai esigue. Occorrerebbe poi tenere conto che gli Ordini godono di autonomia giuridica quali formazioni sociali in cui si svolge la personalità degli iscritti. IV. L’ANAC si è costituita in giudizio per resistere al ricorso, eccependo, con memoria, in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, in quanto gli atti impugnati avrebbero mera natura di pareri, mentre la applicabilità delle misure di contrasto alla corruzione deriverebbe, per gli Ordini professionali, direttamente dalla legge nel merito, poi, la difesa dell’Autorità ha contrastato puntualmente tutte le avverse censure, chiedendone il rigetto. V. Con decreto numero 6806 del 18 dicembre 2014 è stata respinta l’istanza cautelare monocratica avanzata, ex articolo 56 c.p.a., dagli Enti ricorrenti mentre nella camera di consiglio fissata per la fase collegiale della cautela l’istanza è stata riunita al merito. In vista della pubblica udienza di discussione i ricorrenti hanno depositato una memoria in cui hanno replicato alle eccezioni formulate dall’Avvocatura dello Stato ed hanno ribadito le proprie tesi. In occasione della pubblica udienza del 6 maggio 2015 il ricorso è stato posto in decisione. Diritto I. Viene in decisione il ricorso con il quale il Consiglio Nazionale Forense e numerosi Consigli dell’Ordine Forense circondariali hanno impugnato le deliberazioni dell’Autorità Nazionale Anticorruzione recanti i numeri 144 e 145 del 2014, con le quali è stata ritenuta applicabile a detti Enti, in via diretta e non mediata da atti applicativi emessi dai medesimi organismi interessati tutta la normativa in materia di contrasto alla corruzione, con particolare riferimento alla legge-delega numero 190 del 2012 e al decreto legislativo numero 33 del 2013. In via del tutto preliminare deve essere delibata l’eccezione di inammissibilità del ricorso avanzata dalla difesa dell’ANAC, la quale assume che la precettività della normativa in questione sarebbe, per gli Enti ricorrenti, diretta ed immediata, e non deriverebbe dalle due deliberazioni impugnate, atti di natura solo consultiva sicchè difetterebbe l’interesse all’impugnazione in capo ai ricorrenti. L’eccezione va respinta. La Sezione si è recentemente pronunziata sul punto con la sentenza numero 8376 del 15 giugno 2015, in occasione dell’impugnazione della deliberazione numero 144\2014 dell’ANAC da parte di una Università non statale nella parte d’interesse di quest’ultima. In quella circostanza è stato rilevato che la stessa deliberazione numero 144\2014, al paragrafo 10, afferma che il mancato adeguamento degli Enti destinatari ai dettami del provvedimento impugnato anche in quel giudizio avrebbe comportato, a far data dai 30 giorni successivi alla pubblicazione della delibera, l’esposizione ai poteri di vigilanza e sanzionatori dell’ANAC previsti dall’articolo 47 del d. lgs. numero 33\2013 per i casi di mancata o incompleta comunicazione delle informazioni e dei dati di cui all'articolo 14 o di violazione degli obblighi di pubblicazione di cui all'articolo 22, comma 2 del medesimo decreto e che il Presidente dell’ANAC provvederà a comunicare, ai sensi dell’articolo 19 comma VII del D.L. numero 90\2014, all’autorità amministrativa competente all’irrogazione delle sanzioni, l’inadempimento ai suddetti obblighi, secondo gli schemi ordinari contemplati nella L. numero 689\1981. Successivamente, con la delibera della medesima Autorità numero 10 del 21 gennaio 2015, l’ANAC si è individuata quale soggetto competente all'avvio del procedimento sanzionatorio per le violazioni di cui all'articolo 47 citato, ed ha altresì individuato nel Prefetto l'autorità amministrativa competente all'irrogazione delle sanzioni definitive. Rende vieppiù attuale l’interesse al ricorso la recente pubblicazione del Regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio, ai sensi dell'articolo 47 del decreto legislativo 14 marzo 2013, numero 33” dell’ANAC nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 31 luglio 2015, numero 176, in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione, con cui l’ANAC si è dotata degli strumenti procedimentali .idonei all’irrogazione delle sanzioni ai soggetti inottemperanti agli obblighi previsti dal legislatore nel citato articolo 47. In definitiva, quanto rileva ai fini dell’ammissibilità del ricorso in esame non è tanto il fatto che la normativa sostanziale in materia di trasparenza e di lotta alla corruzione abbia, o non, precettività immediata nei confronti dei suoi destinatari, ed in particolare nei confronti dei ricorrenti odierni che costituisce, invece, questione di merito sottesa all’impugnazione oggi in esame. La lesività delle deliberazioni gravate nei confronti degli Enti ricorrenti, e il conseguente interesse processuale di questi ultimi al loro eventuale annullamento giurisdizionale, deriva piuttosto dal combinarsi di poteri e compiti che la normativa di rango primario ossia l’articolo 19 comma VII e l’articolo 47 del d.lgs. numero 33\2013 affidano all’ANAC ed al suo Presidente, con l’espresso richiamo al possibile esercizio di tali poteri sanzionatori verso gli enti inottemperanti. In altri termini, la fonte degli obblighi previsti dalla normativa in discorso e la soggezione alle sanzioni in caso di violazione di detti obblighi non è -né potrebbe essere costituita dagli atti dell’ANAC, comprese le deliberazioni impugnate ma queste ultime costituiscono i prodromi all’eventuale applicazione di sanzioni agli enti ivi contemplati che non abbiano ottemperato alle prescrizioni di cui all’articolo 47 d.lgs. numero 33\2013 così che la eventuale declaratoria giurisdizionale dell’illegittima ricomprensione degli Ordini nel novero dei soggetti obbligati comporterebbe la sottrazione al preannunziato esercizio del potere sanzionatorio. Il ricorso, pertanto, è ammissibile e può essere delibato nel merito. 2. Esso è infondato. Non possono essere condivisi il primo ed il terzo motivo, che per comodità espositiva verranno trattati congiuntamente. Con il primo mezzo le organizzazioni ordinistiche ricorrenti assumono che sarebbe criterio insufficiente ed errato, per ricomprendere detti enti nel campo di diretta applicazione della disciplina derivante dalla legge numero 190\2012 e dai relativi decreti delegati, quello di fare riferimento -come hanno fatto le deliberazioni impugnate e lo stesso comma LIX della legge delega al novero di pubbliche amministrazioni citate dall’articolo 1 comma II del d.lgs. numero 165\2001, poichè sarebbe errata l’equazione per cui laddove vi è rapporto di pubblico impiego vi è anche una pubblica amministrazione rapporto di pubblico impiego la cui disciplina non si applica ai ricorrenti, poiché l’articolo 2 comma II bis del decreto legge numero 101\2013 dispone Gli ordini, i collegi professionali, i relativi organismi nazionali e gli enti aventi natura associativa, con propri regolamenti, si adeguano, tenendo conto delle relative peculiarità, ai principi del decreto legislativo 30 marzo 2001, numero 165, ad eccezione dell'articolo 4, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, numero 150, ad eccezione dell'articolo 14 nonché delle disposizioni di cui al titolo III, e ai principi generali di razionalizzazione e contenimento della spesa, in quanto non gravanti sulla finanza pubblica.” Con il terzo motivo i ricorrenti riprendono l’argomentazione legata all’articolo 2 comma II bis del D. L. numero 101\2013, e soggiungono che la sentenza della Corte di Cassazione numero 21226 del 2011 ha sottratto gli Ordini dal controllo di gestione della Corte dei conti, poiché essi non gravano sulla spesa pubblica le organizzazioni in parola, quindi, non fanno neppure parte del conto economico consolidato dello Stato la sentenza della Corte UE nella causa C-526\11 ha escluso l’applicabilità ai medesimo della direttiva europea sugli appalti pubblici 18\2004 ancora, si tratta di enti a carattere associativo il CNF, per di più, ha visto riconoscere dagli articoli 35 e 36 L. numero 247\2012 il proprio carattere anche giurisdizionale. Per tutte queste ragioni non sussisterebbe un generale interesse a che tutti i consociati possano accedere, secondo i meccanismi di trasparenza previsti nel decreto legislativo numero 33 del 2013. 2.1 I due motivi sono infondati. Il primo argomento atto a smentire tali costruzioni ha natura testuale, ed è costituito dall’articolo 24 della L. 31 dicembre 2012 numero 247 Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense . Esso dispone espressamente che Il CNF e gli ordini circondariali sono enti pubblici non economici a carattere associativo istituiti per garantire il rispetto dei principi previsti dalla presente legge e delle regole deontologiche, nonché con finalità di tutela della utenza e degli interessi pubblici connessi all'esercizio della professione e al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale. Essi sono dotati di autonomia patrimoniale e finanziaria, sono finanziati esclusivamente con i contributi degli iscritti, determinano la propria organizzazione con appositi regolamenti, nel rispetto delle disposizioni di legge, e sono soggetti esclusivamente alla vigilanza del Ministro della giustizia”. Alla luce di questa univoca definizione, posta dal diritto positivo, risulta pienamente soddisfatto il principio, affermato dall’articolo 4 della legge numero 70 del 1975 ed ancora presente nel nostro ordinamento v. di nuovo la sentenza 8376\2015 della Sezione , per il quale nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge” da cui deriva che la qualità di ente pubblico deve essere affermata espressamente da una disposizione di legge, o, quantomeno, deve derivare da un chiaro quadro normativo di riferimento. La definizione positiva di enti pubblici non economici che il citato articolo 24 della legge di riforma forense riserva al Consiglio Nazionale Forense e agli Ordini circondariali deve ritenersi di per sé sufficiente al rigetto delle censure in esame. Tale positiva definizione, infatti, induce a ritenere che il richiamo del comma LIX della legge numero 190 del 2012 e dello stesso provvedimento impugnato al novero degli enti pubblici non economici non deriva affatto -come assume il motivo in esame dalla ritenuta equazione pubblico impiego-pubblica amministrazione, che, in tesi, non varrebbe per le organizzazioni ordinistiche a causa dell’esclusione dalla diretta applicazione del testo unico sul pubblico impiego dovuta all’articolo 2 comma II bis del decreto legge numero 101 del 2013. Il detto richiamo, in realtà, nulla ha a che vedere con l’applicazione diretta o indiretta della disciplina sul pubblico impiego. Mediante la tecnica del richiamo alle pubbliche amministrazioni contenuta nel ridetto articolo 1 comma II, la lgge numero 190 del 2012 in ciò seguita dal provvedimento impugnato ha esercitato il riferimento ad una elencazione normativa tendenzialmente esaustiva di tutte le possibili categorie di enti pubblici previste nel nostro ordinamento e in una di tali categorie quella degli enti pubblici non economici rientrano, per diretta ed espressa volontà dell’articolo 24 della legge numero 247 del 2012, proprio il Consiglio Nazionale Forense e gli Ordini forensi territoriali. 2.2 Tanto basterebbe al rigetto dei motivi in esame, perché la qualificazione normativa appena rilevata esime l’interprete dall’indagare circa la applicabilità agli Ordini della c.d. nozione funzionale” di ente pubblico, invalsa in giurisprudenza cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, numero 2660\2015 , per cui il criterio da utilizzare per tracciare il perimetro del concetto di ente pubblico muta a seconda dell’istituto o del regime normativo che deve essere applicato e della ratio ad esso sottesa. Tuttavia, il Collegio intende darsi carico di affrontare l’argomento, sotteso ai due motivi in esame, per il quale l’articolo 2 comma II bis del decreto legge numero 101 del 2013, nell’escludere gli ordini, i collegi professionali, i relativi organismi nazionali e gli enti aventi natura associativa” dalla diretta applicabilità del d. lgs. numero 165\2001, li avrebbe, per così dire, automaticamente sottratti alla categoria cui tale compendio normativo, all’articolo 1 comma II, li aveva ascritti, ovvero a quella degli enti pubblici non economici. 2.2.1. Questo argomento è, in realtà, smentito in radice già da quanto detto al paragrafo 2.1 della presente motivazione a proposito della totale irrilevanza, nel complessivo disegno normativo ivi succintamente ricordato, della applicabilità o della non applicabilità diretta del testo relativo al lavoro alle dipendenza da pubbliche amministrazioni. 2.2.2 Il Collegio ritiene opportuno soggiungere, sul punto, che l’articolo 2 comma II bis del decreto legislativo numero 101 del 2013 non può avere la natura escludente” che gli annettono i ricorrenti neppure sotto altri profili. In primo luogo, risulta assai significativo il dato secondo il quale, mentre la precedente normativa sull’ordinamento forense, costituita dal R.D.L. numero 1578 del 1933 Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore e dagli articoli 18 e seguenti del D. Lgs. Lgt. numero 382 del 1944 Norme sui Consigli degli ordini e collegi e sulle Commissioni centrali professionali, testo nel quale compare per la prima volta la denominazione di Consiglio Nazionale Forense” , pur entrati in vigore soprattutto il primo in un periodo in cui era particolarmente forte la spinta ad una pubblicizzazione” delle categorie professionali e delle loro organizzazioni che confluivano in una delle corporazioni organi delle Stato riconosciute dalla legge numero 163 del 1934 non contenevano un espresso riferimento alla natura di enti pubblici degli Ordini. Questo riferimento ha cominciato ad essere operato -ma non a livello di normativa primaria in epoca ben più recente ed in tutt’altro periodo storico, con modalità indirette, mediante il D.P.R. 5 marzo 1986 numero 68 Determinazione e composizione dei comparti di contrattazione collettiva, di cui all'articolo 5 della legge-quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983, numero 93 , che definisce il Comparto del personale degli enti pubblici non economici” come segue 1. Il comparto di contrattazione collettiva del personale degli enti pubblici non economici comprende il personale dipendente dagli enti pubblici non economici comunque sottoposti a tutela o vigilanza dello Stato. Appartiene in ogni caso al comparto di cui al presente articolo il personale degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, numero 70 , e successive modificazioni e integrazioni, ad eccezione di quelli espressamente indicati nel successivo articolo 7 degli ordini e collegi professionali e relative federazioni, consigli e collegi nazionali ” Un diretto ed espresso riferimento alla natura pubblica degli odierni ricorrenti è invece operato proprio dalla legge di riforma dell’ordinamento forense numero 247 del 2012, coeva alla legge delega numero 190 in materia di contrasto alla corruzione. Anche per queste ragioni non è ipotizzabile che l’articolo 2 comma II bis del D.L. numero 101\2013 abbia potuto avere la funzione di sottrarre al novero degli enti pubblici non economici le organizzazioni ordinistiche. Tale ipotizzata sottrazione si rivelerebbe di difficile comprensione, ad appena un anno dalla entrata in vigore sia della riforma forense che in quel novero di enti ne ha cristallizzato la presenza con l’articolo 24 che della legge di contrasto alla corruzione che si riferisce indistintamente a tutti gli enti pubblici non economici . 2.2.3. Si deve evidenziare, inoltre, che, per il legislatore della riforma, neppure la natura associativa degli enti in questione, espressamente menzionata nell’articolo 24, ne ha impedito l’ascrizione al novero degli enti pubblici non economici. Lo stesso deve dirsi per le altre peculiari caratteristiche degli enti in discorso, invocate nel ricorso in esame ma, tutte, puntualmente elencate dal medesimo legislatore che ne ha affermato espressamente la natura di enti pubblici non economici si tratta della autonomia patrimoniale e finanziaria, dal finanziamento solo mediante i contributi degli iscritti, della potestà di auto-organizzazione. Con specifico riferimento alla natura associativa degli enti, il fatto che essa non escluda certo lo status di ente pubblico non economico è attestato dall’argomento, ancora una volta di diritto positivo, per cui l’ordinamento non ha avuto difficoltà a riconoscere prima, ed a ribadire dopo, la qualificazione di enti pubblici ad altre organizzazioni di tipo associativo. Si pensi, ad esempio, all’Automobile Club d’Italia, riconosciuto quale Ente pubblico non economico dall’elenco annesso alla legge numero 70 del 1975 e quale ente necessario perché non soggetto alla soppressione operata dalla medesima legge per gli enti ivi non menzionati , e la cui natura pubblica è stata ribadita, anche quando le altre federazioni sportive nazionali sono state trasformate in associazioni private, mediante l’articolo 18 comma VI della legge numero 242 del 1999. Si pensi, ancora, agli Automobile Club Provinciali, anch’essi tipicamente associativi, federati all’Automobile Club d’Italia, la cui natura di enti pubblici necessari è stata oggetto di ricognizione dal D.P.R. numero 665 del 1977. Non è superfluo notare che anche tali Enti sono stati oggetto di una deliberazione dell’ANAC relativa alle modalità applicative della normativa sul contrasto alla corruzione Del. 20 febbraio 2013, numero 11 . 2.2.4. Neppure l’esclusivo finanziamento mediante i contributi degli iscritti altro argomento cui i ricorrenti annettono valenza escludente dal novero degli enti pubblici assoggettati alla normativa contro la corruzione ha fatto desistere il legislatore dal qualificare espressamente le organizzazioni ordinistiche quali enti pubblici non economici. La qualificazione pubblicistica, in realtà, bene si accorda con la natura tributaria delle prestazioni patrimoniali in questione, espressamente affermata dalla Corte regolatrice, per la quale il contributo annuale previsto dall'articolo 14 d.lg.lgt. 23 novembre 1944 numero 382 a carico degli avvocati ed a favore del Consiglio nazionale forense, a dispetto del nome, va -per l’appunto considerato un tributo, sia perché, riferendosi anche ad esso, il comma 2 dell'articolo 7 del medesimo d.lg.lgt. parla di tassa annuale , sia per il suo carattere di doverosità, sia, infine, perché la prestazione in questione è collegata alla necessità di fornire la provvista dei mezzi finanziari necessari all'ente delegato dall'ordinamento per il controllo dell'albo professionale. Le medesime caratteristiche riveste il contributo annuale dovuto all’Ordine circondariale dagli iscritti, oggi previsto dall’articolo 29 della legge numero 247 del 2012, il cui mancato pagamento comporta, per il debitore inadempiente, la sospensione non disciplinare dell’iscrizione all’albo sino all’assolvimento dell’obbligo. 2.2.5. Non risulta dirimente neppure la mancata ricomprensione degli Ordini nel conto economico consolidato dello Stato, ovvero tra gli enti individuati dall’ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, numero 196 Legge di contabilità e di finanza pubblica . Tale disposizione, innanzitutto, prevede, ancora una volta, un richiamo omnicomprensivo a le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, numero 165, e successive modificazioni”, ed ha natura tendenzialmente estensibile a ciascuno di tali Enti, poiché al terzo comma dispone che La ricognizione delle amministrazioni pubbliche di cui al comma 2 è operata annualmente dall'ISTAT con proprio provvedimento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale entro il 30 settembre”. Ma, soprattutto, come ha condivisibilmente affermato Cons. Stato, 28 novembre 2012 numero 6014, ai fini della ricomprensione nel conto economico di cui alla citata normativa, è irrilevante che un ente si sostenti con la sola contribuzione di una data categoria di soggetti oppure attinga alla fiscalità generale. Ad esempio, nel caso delle Autorità indipendenti il Giudice di appello ha affermato che Gli operatori del settore versano i contributi da qualificare come tributi Corte Cost., sent. 256 del 2007 direttamente alla Autorità, restandone obbligati perché vi sono disposizioni di legge riconducibili ai principi desumibili dall’articolo 23 della Costituzione, sulle prestazioni patrimoniali imposte la legge, che ben potrebbe disporre il pagamento di tali contributi nelle casse di un Ministero tenuto poi a versare le somme di riferimento alla Autorità , ha preferito semplificare gli aspetti contabili, prevedendo il pagamento diretto nelle casse della Autorità per gli importi determinati dall’Autorità stessa , ma ciò non esclude che la causa della attribuzione patrimoniale sia riconducibile allo svolgimento di una funzione pubblica, da parte di una pubblica amministrazione”. A ben vedere, quindi, ciò che rileva sotto il profilo qualificatorio non è tanto che un dato ente sia, o non sia, ricompreso nel conto economico consolidato, ma è la destinazione pubblica delle risorse. La pronunzia citata, per quanto qui interessa, conferma che il fatto che determinati enti siano finanziati esclusivamente da prestazioni patrimoniali imposte agli iscritti, non comporta necessariamente che tali risorse non abbiano finalità pubbliche. E da tali finalità deriva l’interesse generale alla conoscenza del modo in cui dette risorse vengono impiegate e dei dati relativi ai soggetti che sono chiamati ad impegnarle. 2.2.5. Non hanno poi la rilevanza invocata dai ricorrenti le funzioni giurisdizionali che il CNF, quale Giudice speciale, è chiamato a svolgere come si deve desumere dal comma XXXIV dell’articolo 1 delle legge numero 190\2012, la normativa in discorso si applica, per tutti i soggetti interessati, solo con riferimento alle funzioni amministrative da essi svolte. 2.2.6. Il vero è che la natura pubblica degli enti esponenziali della categoria forense risponde alla imprescindibile e fondamentale funzione sociale dell’avvocato, che la legge di riforma -anche con tale espressa qualificazione degli enti esponenziali di tale categoria ha voluto sottolineare come orientata all’attuazione di principi costituzionali. Ne è testimonianza l’articolo 1 della legge numero 247 del 2012, per cui l’ordinamento forense, stante la specificità della funzione difensiva e in considerazione della primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela essa è preposta a regolamenta l'organizzazione e l'esercizio della professione di avvocato e, nell'interesse pubblico, assicura la idoneità professionale degli iscritti onde garantire la tutela degli interessi individuali e collettivi sui quali essa incide b garantisce l'indipendenza e l'autonomia degli avvocati, indispensabili condizioni dell'effettività della difesa e della tutela dei diritti c tutela l'affidamento della collettività e della clientela, prescrivendo l'obbligo della correttezza dei comportamenti e la cura della qualità ed efficacia della prestazione professionale d favorisce l'ingresso alla professione di avvocato e l'accesso alla stessa, in particolare alle giovani generazioni, con criteri di valorizzazione del merito. Si tratta di una disposizione di principi poi esplicati nel corso dell’articolato della legge di riforma , che smentisce in radice quanto affermato dagli odierni ricorrenti in un passo delle loro censure. E dunque non è esatto, alla luce del diritto positivo, affermare che la ragion d’essere degli ordini professionali sia solo quella di fornire servizi agli iscritti, posto che la norma appena riportata palesa, in sintesi, che l’ordinamento affida a detti enti, e agli appartenenti alla categoria di cui essi sono espressione, una rilevante parte della tutela del diritto di difesa -per tutti i consociati garantito dall’articolo 24 della Costituzione. I servizi riservati agli iscritti, sotto questo profilo, assumono valenza non suscettibile di minare la natura pubblica degli enti e di queste stesse funzioni si pensi alla gestione e tenuta degli albi o al rilascio del parere di congruità sugli onorari richiesti al cliente, che appaiono funzionali, in primo luogo, alla tutela del diritto di difesa, perché garantiscono la qualità della prestazione professionale e la sua giusta per l’avvocato, ma anche per il cliente remunerazione. 2.3. In definitiva, il primo ed il terzo motivo sono infondati. 3. Non può essere accolto neppure il secondo motivo, con cui i ricorrenti lamentano di non essere, in realtà, destinatari dei commi da IV a XIV dell’articolo 1 della legge numero 190\2012, che impone la nomina del responsabile della prevenzione della corruzione e la redazione dello specifico piano di contrasto. Destinatari di quelle disposizioni sarebbero soltanto il Dipartimento della Funzione pubblica, le Amministrazioni centrali e gli Enti locali, date le -spesso ridotte dimensioni delle organizzazioni ricorrenti e tanto sarebbe confermato dal comma XXXIV, che recita Le disposizioni dei commi da 15 a 33 si applicano alle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, numero 165, e successive modificazioni, agli enti pubblici nazionali, nonché alle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche e dalle loro controllate, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea.” 3.1 In primo luogo, non autorizza la prospettata esclusione la lettera della norma appena riportata, la quale non dice espressamente che i commi da IV a XIV non possano applicarsi agli enti pubblici non economici. Essa, piuttosto, ha l’evidente e limitata funzione di precisare che, per tutti i destinatari della legge-delega, pubblici e privati, la relativa disciplina si applica solo con riferimento alle funzioni di pubblico interesse svolte dai medesimi. 3.2 Neppure i commi da IV a XIV contengono una espressa esclusione degli enti pubblici non economici dal novero di quelli che devono dotarsi del responsabile della prevenzione della corruzione e del relativo piano. Esclusione che sarebbe, rispetto al sistema complessivo di prevenzione della corruzione, della finalità della normativa e dell’omnicomprensivo richiamo dell’articolo 1 comma LIX della legge-delega, del tutto stravagante. 3.3 La generalità e l’astrattezza della noma di legge in questione comporta, dunque, la sua applicabilità a tutti gli enti pubblici ma perchè tale applicazione avvenga concretamente occorre che le relative disposizioni siano adattate alla natura ed alle dimensioni di ogni singolo ente. Sotto questo profilo si deve ritenere che le stesse finalità della normativa, che ne postulano una applicazione quanto più possibile estesa testimoniata dalle disposizioni che ne implicano l’applicabilità anche alle società pubbliche v. ancora il comma XXXIV comportino che determinate disposizioni delle medesima non siano inderogabili. Ciò al fine di impedire che ragioni contingenti ed eventuali, quali le dimensioni di un dato ente e la sua consistenza organica, impediscano l’applicazione diretta e concreta della normativa di contrasto alla corruzione. E’ dunque infondata la censura per cui la nomina del responsabile, per gli enti in questione, potrebbe mancare ove non siano presenti dipendenti con qualifica dirigenziale, dato che tale figura non potrebbe essere reperita all’esterno commi VII ed VIII dell’articolo 1 . Infatti occorre ritenere che solo ove tali figure dirigenziali vi siano, si dovrà nominare un dirigente ma qualora esse non siano previste dalla pianta organica o comunque non siano presenti , si dovrà dare preferenza all’applicazione più lata della norma, e dovrà essere nominato un soggetto non dotato di qualifica dirigenziale. Inoltre, qualora la redazione del piano non sia possibile a causa della assenza di idonee professionalità all’interno dell’ente, si potrà utilmente fare ricorso al generale istituto dell’accordo tra pubbliche amministrazioni, disciplinato dall’articolo 15 della legge numero 241 del 1990 norma, quest’ultima, che soccorre in via generale qualora sia necessario o opportuno che determinate pubbliche amministrazioni svolgano in comune determinate attività o funzioni. E’ appena il caso di precisare che quella appena prospettata è operazione che postula proprio la cogenza immediata e diretta di tutti gli obblighi previsti dalla disciplina di contrasto alla corruzione ed è, quindi, ben altro rispetto a quanto vorrebbero vedere affermare gli Ordini ricorrenti, ossia la loro sottoposizione ai medesimi obblighi solo parziale perché, in tesi, limitata dalle caratteristiche organizzative e dimensionali degli Ordini stessi e mediata dalla propria regolamentazione interna. 3.4 Il motivo, in definitiva, va respinto. 4 . Eguale sorte seguono il quarto ed il quinto motivo, con cui i ricorrenti contestano l’applicabilità degli obblighi di pubblicazione previsti dalla legge numero 190 del 2012 e dal decreto delegato numero 33 del 2013 ai propri organi di indirizzo politico, perché l’organizzazione di detti enti non prevedrebbe la distinzione, posta dall’articolo 4 comma IV d. lgs. numero 165\2001, tra organi di indirizzo politico ed organi di gestione quarto mezzo e perché per gli organi amministrativi il legislatore non ha operato il solito riferimento all’articolo 1 comma II d.lgs. numero 165\2001, ma ha testualmente indicato come obbligati solo gli organi degli enti di livello statale, regionale e locale, che sarebbero solo quelli di tipo territoriale quinto mezzo . 4.1. Il quarto motivo è infondato per quanto detto in precedenza con riguardo all’irrilevanza della norma articolo 2 comma II bis D. L. numero 101\2013 che esclude la diretta applicabilità del decreto legislativo numero 165 del 2001 agli Ordini punto 2.2. e seguenti della presente motivazione considerazioni alle quali si rinvia per brevità. Ad esse è sufficiente aggiungere quanto segue nel prossimo paragrafo. 4.2 La Sezione ha già affrontato la questione posta nel quinto motivo nella già ricordata sentenza numero 8375\2015, concludendo che il richiamo agli organi di indirizzo politico come, peraltro, si desume dal recente parere reso dal Consiglio di Stato, sez. II, numero 3105/2014 con riferimento al CNEL debba essere interpretato prendendo come riferimento gli artt. 4 e 14 del D.lgs numero 165 del 2001 nella parte in cui si fa riferimento, sebbene con riguardo alle amministrazioni pubbliche”, all’organo che definisce obiettivi, priorità, piani e programmi e che, in estrema sintesi, indirizza e definisce le linee di azione dell’ente. Risulta poi chiaro che l’individuazione di tali organi dovrà essere effettuata in concreto con riferimento alle peculiarità dell’ente di riferimento”. Non v’è, quindi, né potrebbe esservi, un riferimento limitato ai soli enti espressivi di una comunità territoriale. Né sussiste la dedotta contraddizione tra la delibera numero 144 e la numero 145, posto che la prima non si limita affatto a indicare, quali obbligati alla pubblicazione, i soli organi di indirizzo menzionati nel suo allegato, che, anzi, espressamente afferma avere natura solo esemplificativa. Ma anzi, tale provvedimento precisa che gli organi interessati sono quelli ricordati dall’articolo 22 comma III del d. lgs. numero 33 del 2013 e dall’articolo 1 comma II lettera f del d. lgs. numero 39 del 2013, ossia dal sistema di decreti delegati scaturito dalla legge numero 190 del 2012, e dunque le persone che partecipano, in via elettiva o di nomina, a organi di indirizzo politico delle amministrazioni statali, regionali e locali, quali Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, numero 400, parlamentare, Presidente della giunta o Sindaco, assessore o consigliere nelle regioni, nelle province, nei comuni e nelle forme associative tra enti locali, oppure a organi di indirizzo di enti pubblici, o di enti di diritto privato in controllo pubblico, nazionali, regionali e locali”, da intendersi come nel precedente paragrafo. 4.3. Per quanto appena detto, infine, la questione di legittimità costituzionale degli articoli 13, 14 e 15 del d. lgs. numero 33\2013 che i ricorrenti chiedono di sollevare -con particolare riguardo all’articolo 2 Cost. ed al diritto di riservatezza dei titolari di cariche negli Ordini è manifestamente infondata. Lo è, inoltre, perché costituirebbe una evidente ed irragionevole disparità, inconciliabile con l’articolo 3 Cost., l’imposizione normativa degli obblighi di pubblicazione dei dati in parola potenzialmente lesiva del diritto alla riservatezza, qui però ritenuto recessivo dal legislatore solo per gli amministratori di taluni enti, e non di tutti gli enti soggetti alla normativa scaturita dalla legge numero 190\2012. 5. Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano che neppure le previsioni sull’obbligo di adottare il Programma triennale per la trasparenza e l’integrità previsto dall’articolo 10 del d. lgs. numero 33 del 2013 potrebbe essere loro riferito, poiché connesso con strumenti di programmazione, quali il piano della performance di cui al d.lgs. numero 150\2009, che in forza dell’articolo 2 comma II bis D.L. numero 101\2013 non si applicherebbero agli Ordini. Neppure questa censura può trovare accoglimento. 5.1 Ciò, in primo luogo, per quanto detto nel corso della trattazione dei motivi quarto e quinto, nella quale si è esplicitato come gli obblighi di trasparenza di cui al d. lgs. numero 33 del 2013 si applichino anche agli organi di indirizzo di tali Enti. E, all’evidenza, tali obblighi sarebbero del tutto vuoti di contenuto precettivo, ove si ritenesse che lo strumento programmatorio delle relative attività non debba essere adottato. 5.2 In secondo luogo, perché -come pure si è detto sopra gli Ordini devono adottare il Piano di prevenzione della corruzione. Il Piano triennale per la trasparenza e l’integrità, per disposizione dell’articolo 10 citato, definisce le misure, i modi e le iniziative volti all'attuazione degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente, ivi comprese le misure organizzative volte ad assicurare la regolarità e la tempestività dei flussi informativi di cui all'articolo 43, comma 3. E le misure ivi previste sono collegate, sotto l'indirizzo del responsabile, con le misure e gli interventi previsti dal Piano di prevenzione della corruzione, di cui esso costituisce di norma una sezione. 5.3. In terzo luogo, poiché, anche ritenendo che il piano della performance, in quanto previsto nel titolo III del d. lgs. numero 150 del 2009, non riguardi gli Ordini, occorre tenere presente che l’articolo 10 del d. lgs. numero 33 del 2013 si riferisce, in generale, a tutti gli strumenti di programmazione degli enti, e non fa esclusivo riferimento al piano della performance. 6. La reiezione del settimo motivo, con cui gli Ordini denunciano l’inapplicabilità alle proprie caratteristiche di distinte parti componenti della disciplina” anticorruzione, discende dalle medesime considerazioni appena svolte in chiusura del paragrafo che precede punto 5.3 e al punto 3.3, cui per brevità si rinvia, che riguardano il necessario ricorso ad istituti che adattino l’organizzazione degli enti in parola alla normativa alla cui osservanza essi sono obbligati. 7. Con l’ultimo motivo i ricorrenti chiedono che, in caso di ritenuta conduzione dei medesimi nel novero degli enti tenuti, ai sensi dell’articolo 1 comma LIX della legge numero 190\2012, all’applicazione della normativa anticorruzione, questo TAR sollevi la questione di legittimità costituzionale di tale disposizione e degli articoli 11 d. lgs. numero 33 del 2013 e 1 comma II del d. lgs. numero 165\2001 in relazione agli articoli 2, 3, 18 e 118 della Costituzione. A questo fine, gli Ordini ripercorrono le medesime argomentazioni poste a base delle precedenti censure, evidenziando, ancora una volta, la asserita portata escludente della applicazione della normativa sul pubblico impiego dell’articolo 2 comma II bis del D.L. numero 101\2013. Evidenziano, inoltre, la loro natura di enti pubblici associativi deputati alla cura del coretto esercizio della professione, funzionale alla garanzia di libertà professionale degli iscritti, così da fungere da formazioni sociali in cui questi svolgono la propria personalità di qui la lesione dei principi costituzionali di libertà di associazione, del principio pluralistico e di quello e di sussidiarietà. Le questioni sono manifestamente infondate. In primo luogo, esse non tengono nel debito conto che il legislatore della riforma forense, come detto, nell’articolo 24 della legge numero 247\2012 ha espressamente tenuto conto delle richiamate caratteristiche di enti associativi degli Ordini forensi, e tuttavia ne ha affermato a chiare lettere la natura di enti pubblici non economici così che tale qualità non risulta -per così dire mediata dalla diretta applicazione della disciplina sul pubblico impiego. Inoltre, come pure affermato in precedenza, detta natura pubblica risponde appieno alla finalità che la medesima riforma attribuisce alla stessa esistenza degli Ordini forensi, che attiene all’attuazione dell’articolo 24 della Costituzione e del diritto di difesa, come attesta già l’articolo 1 della L. numero 247\2012 quando richiama la regolamentazione della professione di avvocato nell'interesse pubblico, l'indipendenza e l'autonomia degli avvocati come indispensabili condizioni dell'effettività della difesa e della tutela dei diritti, l’affidamento della collettività e della clientela mediante l'obbligo della correttezza dei comportamenti e la cura della qualità ed efficacia della prestazione professionale, il merito come chiave di ingresso alla professione di avvocato. Non è pertinente, inoltre, il richiamo alla lesione della libertà di associazione almeno sotto l’aspetto positivo, ossia della libertà di associarsi , atteso che l’iscrizione agli albi tenuti dagli Ordini forensi locali è condizione necessaria ed obbligatoria per l’esercizio della professione di avvocato, onde non pare ipotizzabile che la necessaria osservanza della normativa anticorruzione possa impedire l’esercizio della detta libertà costituzionale. Mentre, come si è detto in precedenza, l’esenzione solo di alcuni enti pubblici non economici, rispetto alla generalità della categoria e rispetto a tutti gli altri enti pubblici, dall’osservanza dei detti obblighi, comporterebbe -essa sì la lesione del principio di cui all’articolo 3 della Costituzione. 8. In conclusione, il ricorso è infondato, e va respinto. La novità delle questioni trattate induce all’integrale compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza respinge il ricorso in epigrafe. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Tar Lazio, sez. III, sentenza 6 maggio – 24 settembre 2015, numero 11391 Presidente Corsaro – Estensore Sinatra Fatto I. Con ricorso notificato il 19 dicembre 2014 e depositato il 2 gennaio 2015, i Consigli dell’Ordine degli Avvocati circondariali indicati in epigrafe hanno impugnato, chiedendone l’annullamento previa sospensione cautelare, la delibera numero 145\2014 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione ANAC , recante Parere dell’Autorità sull’applicazione della L. 190\2012 e dei decreti delegati agli Ordini e Collegi professionali” e, in quanto occorra, la delibera numero 144\2014 della medesima Autorità, ad oggetto Obblighi di pubblicazione concernenti gli organi di indirizzo politico nelle pubbliche amministrazioni”. II. Il primo dei due atti impugnati su citati numero 145\2014 prende le mosse dalla nota del 23 febbraio 2014 del Presidente del Comitato Unitario Permanente degli Ordini e Collegi professionali, la quale aveva sottoposto all’ANAC un parere pro veritate reso dal prof. Alberto Capotosti in ordine all’applicabilità a detti Enti delle disposizioni della legge numero 190 del 2012 Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione e del decreto legislativo numero 33 del 2013 Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni . Secondo tale parere la citata disciplina non si applicherebbe in via diretta a Collegi ed Ordini, ma porrebbe in capo ai medesimi soltanto un obbligo di adeguamento ai relativi principi, poiché, in sintesi il riferimento dell’articolo 11 del d.lgs. numero 33\2013 agli Enti menzionati nell’articolo 1 comma II del d.lgs. numero 165\2001 è utile alla ricognizione delle amministrazioni vincolate al regime organizzativo previsto in via generale per il pubblico impiego, ma non ha il medesimo lavoro quando il richiamo è utilizzato nell’ambito di materie che si allontanano da quelle del lavoro pubblico peraltro, anche in quest’ultimo ambito, detti Enti non applicano direttamente il d. lgs. numero 165\2001, ma, a tenore dell’articolo 2 comma II bis del D.L. 31 agosto 2013 numero 101, si adeguano ai relativi principi si tratta di enti di natura associativa, che non gravano sulle risorse pubbliche tanto da non essere assoggettate al controllo sulla gestione della Corte dei Conti, come affermato da Cass. numero 22126\2011 , ma che si giovano unicamente dei contributi degli iscritti il diritto comunitario v. Corte CE 12 settembre 2013, C-526\11 li esclude dalla sfera di applicabilità della direttiva 2004\18\CE per tale ragione non sussisterebbe neppure l’interesse della collettività alla pubblicazione integrale dei dati che riguardano gli amministratori la L. 190\2012, nell’indicare l’oggetto della delega che ha dato poi luogo al d.lgs. numero 33\2013, fa riferimento all’elenco di cui all’articolo 1 comma II del d.lgs. numero 165\2011 con esclusivo riguardo a chi abbia compiti di gestione, e non con riguardo a chi sia titolare di cariche politiche, se non di livello statale, regionale e locale”, e dunque nei soli Enti territoriali e comunque la differenza tra organi di amministrazione ed organi di gestione, essendo dettata dall’articolo 4 del d. lgs. numero 165\2001, non sarebbe direttamente applicabile agli Ordini, che a quel testo unico devono solo adeguarsi nei principi le disposizioni del d.lgs. numero 33\2013 male si attaglierebbero alle realtà organizzative e dimensionali spesso minime ed alle funzioni degli Ordini con specifico riferimento al piano di prevenzione della corruzione, i commi da V a XXIV della legge delega numero 190\2012 si riferiscono alle sole pubbliche amministrazioni centrali, mentre il comma LX lettera a a regioni ed enti locali. Preso atto di tale parere, l’ANAC, pur tenendo in considerazione detta peculiare natura degli Enti esponenziali delle comunità professionali, nella delibera numero 145 ha rilevato che essi si collocano, ai sensi dell’articolo 1 comma II del decreto legislativo numero 165 del 2001, nel novero degli Enti pubblici non economici, appartenenti al comparto del c.d. parastato, e che tra di essi ed i loro dipendenti intercorre un rapporto di pubblico impiego. Pertanto -ha concluso l’Autorità a detti Enti si applica tutta la normativa inerente gli obblighi e gli adempimenti tesi a prevenire la corruzione. E dunque occorre che essi provvedano alla predisposizione del Piano triennale di prevenzione della corruzione e del Piano triennale della trasparenza, nonchè alla nomina del Responsabile della prevenzione della corruzione che essi curino l’adempimento agli obblighi di trasparenza di cui al decreto legislativo numero 33 del 2013 che essi osservino i divieti in materia di inconferibilità ed incompatibilità degli incarichi di cui al decreto legislativo numero 39 del 2013. III. Il secondo dei due atti gravati numero 144\2014 , invece, è dichiaratamente volto a delimitare l’ambito soggetti di applicazione del decreto legislativo numero 33 del 2013 Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni alle pubbliche amministrazioni. Esso procede all’individuazione degli Enti destinatari della disciplina in parola, indicando, a tale fine, ancora una volta, tutti quelli menzionati dall’articolo 1 comma II del decreto legislativo numero 165\2001 ma non si limita a tanto, affermando espressamente che è chiaro indice di pubblicità e, dunque, di sottoposizione diretta alla normativa c.d. anticorruzione la condizione di cui all’articolo 11 comma II lettera a del decreto numero 33\2013, come modificato dall’articolo 24-bis del decreto legge numero 90 del 2014 convertito in legge numero 114 del 2014 , che è quella dei soggetti di diritto pubblico non territoriali, nazionali, regionali o locali, comunque denominati, istituiti, finanziati o vigilati dalla pubblica amministrazione che conferisce l’incarico, ovvero i cui amministratori siano da questa nominati”. La delibera riferisce, quindi, ai titolari degli organi di indirizzo politico di detti Enti tutti gli obblighi di pubblicazione previsti dagli articoli 14 Obblighi di pubblicazione concernenti i componenti degli organi di indirizzo politico e 15 Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi dirigenziali e di collaborazione o consulenza del decreto numero 33\2013, precisando che in tale novero rientrano sia quelli a carattere elettivo e titolari di rappresentanza politica, che quelli che, pur avendo carattere non elettivo, esprimano comunque l’indirizzo politico dell’Ente con riguardo all’organizzazione e all’attività di quest’ultimo, in coerenza con la distinzione di principio, presente nell’articolo 4 del decreto legislativo numero 165\2011, tra organi di indirizzo politico ed organi di amministrazione e gestione, precisata anche nell’articolo 22 dello stesso decreto numero 33 e nell’articolo 1 comma II lettera f del decreto legislativo numero 39 del 2013, che dà dell’ ”organo di indirizzo politico” una nozione tendenzialmente omnicomprensiva di tutte le cariche cui sia affidata la decisione sugli indirizzi dell’Ente. Diversamente, per le cariche che non esprimano l’indirizzo dell’Amministrazione come ad esempio i Dirigenti scolastici , l’obbligo di pubblicazione è, secondo l’ANAC, limitato agli aspetti di cui all’articolo 15 del decreto legislativo numero 33 del 2013. Quanto alla concreta attuazione degli obblighi in parola, la deliberazione numero 144\2014 si preoccupa di fissare la data dalla quale gli Enti interessati sono tenuti ad adempiervi, individuata nel 20 aprile 2013, ossia dalla data di entrata in vigore del decreto numero 33 ciò in quanto l’articolo 49 comma III precisa che le sanzioni per la mancata adozione delle misure previste si applichino a partire dalla data di adozione o di aggiornamento del Piano triennale della trasparenza, dal che discenderebbe l’immediata precettività della norma che prevede tale adempimento di precisare che i titolari degli organi sono tenuti alla pubblicazione dei dati patrimoniali del proprio coniuge non separato e dei parenti entro il secondo grado che vi consentano, e che la sanzione per la mancata pubblicazione senza la dichiarazione di mancato consenso si applica esclusivamente ai titolari dell’organo di specificare quali siano le informazioni da rendere pubbliche ossia quelle relative alla titolarità di diritti reali su beni immobili e su beni mobili registrati, compresa la titolarità di imprese, azioni e quote societarie e per quanto tempo esse debbano permanere sui siti istituzionali delle Amministrazioni. La delibera, infine, partendo dalle segnalazioni formulate da talune Amministrazioni in ordine a possibili difficoltà applicative della disciplina in questione, offre il contributo dell’Autorità a possibili modifiche normative, da inserire in un disegno di legge già al vaglio del Parlamento. IV. Proprio sulla premessa di possibili difficoltà attuative della normativa di contrasto alla corruzione agli Enti ricorrenti dovuta alle dimensioni e caratteristiche strutturali di questi ultimi, spesso di minime dimensioni e privi di figure adatte all’attribuzione dei compiti previsti dalla legge affidano l’impugnazione delle due deliberazioni descritte ai seguenti motivi 1 Violazione e falsa applicazione dell'articolo 1, comma 59 della legge 6 novembre 2012, numero 190, dell'articolo 11 del d.lgs. 14 marzo 2013, numero 33, dell'articolo 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001 numero 165, nel loro disposto combinato con l'articolo 2, comma 2-bis, del d.l. 31 agosto 2013, numero 101, eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche, in particolare difetto di istruttoria, travisamento, contraddittorieta', manifesta ingiustizia, difetto di proporzionalità. La normativa di contrasto alla corruzione non si presterebbe all’applicazione diretta ad Ordini e Collegi professionali innanzitutto perché questi ultimi non sarebbero ricompresi nel novero di enti scolpito dall’articolo 1 comma II del decreto legislativo numero 165\2001, elenco oramai tralatiziamente utilizzato dal legislatore quando esso intende riferirsi al tutte le pubbliche amministrazioni, come fa anche l’articolo 1 comma 59 della legge numero 190 del 2012. A questo proposito, l’ANAC non avrebbe tenuto nella debita considerazione che l'articolo 2, comma 2-bis del decreto legge 31 agosto 2013 numero 101 escluderebbe le organizzazioni ricorrenti dall’alveo di applicabilità diretta della normativa in discorso, in quanto prevede che gli ordini, i collegi professionali, i relativi organismi nazionali e gli enti aventi natura associativa, con propri regolamenti, si adeguano, tenendo canto delle relative peculiarità, ai principi del decreto legislativo 30 marzo 2001, numero 165, ad eccezione dell'articolo 4, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, numero 150, ad eccezione dell'articolo 14 nonchè delle disposizioni di cui al titolo III, e ai principi generali di razionalizzazione e contenimento della spesa, in quanta non gravanti sulla finanza pubblica . E proprio le peculiari caratteristiche dei Ordini e Collegi professionali, che hanno indotto la giurisprudenza della Corte di Cassazione a ritenerli non soggetti al controllo della Corte dei Conti, avrebbero avuto l’effetto di portare il legislatore ad escludere tali Enti dalla cerchia di quelli contemplati dall’articolo 1 comma II del decreto legislativo numero 165 del 2001. 2 Violazione e falsa applicazione della legge 6 novembre 2012, numero 190, e, in particolare, dell'articolo 1, comma 35, eccesso di potere per illogicità e difetto di istruttoria. Le dimensioni delle piante organiche degli Enti in questione, spesso minime e comprendenti un solo dipendente, sovente privo di qualifica dirigenziale, impedirebbero in radice -in quanto troppo onerosa la redazione del Piano della prevenzione della corruzione, il cui incarico non può neppure essere commesso all’esterno comma VIII articolo 1 della legge numero 190\2012 , ed impedirebbero altresì la nomina del responsabile della prevenzione della corruzione. Tanto sarebbe confermato dal comma XXXIV della legge 190\2012, il quale si limita ad estendere alle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, numero 165, nonchè, in particolare, agli enti pubblici nazionali” le sole disposizioni dei commi da XV a XXXIII dell'articolo 1, mentre la disciplina del piano è contenuta invece nei precedenti commi da IV a XIV. 3 Violazione e falsa applicazione dell' articolo 1, comma 59 della legge 6 novembre 2012, numero 190, dell'articolo 11 del d.lgs. 14 marzo 2013, numero 33, dell'articolo 1, comma 2 del d.lgs. 30 marzo 2001, numero 165, insufficiente motivazione, eccesso dl potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare illogicita', difetto dl istruttoria, travisamento, contraddittorieta', manifesta ingiustizia. Il citato articolo 2, comma II bis, del D.L. numero 101 del 2013 esclude espressamente che gli Ordini debbano adeguarsi ai principi generali di razionalizzazione e di contenimento della spesa pubblica, in quanto enti non gravanti sui/a finanza pubblica''. Per questa ragione la sentenza numero 21226 del 14 ottobre 2011 della Corte di Cassazione ha escluso che gli Ordini professionali siano soggetti al controllo di gestione da parte della Corte dei Conti, in quanto occorre di volta in volta verificare quali siano il fine perseguito dalla disciplina di cui si postula l’applicabilità per comprendere il relativo ambito soggettivo di applicazione della norma. Il medesimo approccio sostanzialistico, e non formale-letterale, verrebbe seguito dalla giurisprudenza europea, la quale avrebbe negato che le organizzazioni ordinistiche costituiscano organismi pubblici ai sensi della Direttiva 2004/18/CE sugli appalti pubblici nei settori classici, non soddisfacendo essi nè il criterio relativo al finanziamento maggioritario da parte dell'autorità pubblica nè il criterio relativo al controllo della gestione da parte dell'autorità pubblica”. Altro argomento escludente dall’ambito applicativo della normativa in tema di contrasto alla corruzione sarebbe costituito dal carattere associativo confermato, per gli Ordini forensi, dall’articolo 24, comma 3, I. 31 dicembre 2012, numero 247, ed altresì dal fatto che essi non siano considerati tra quelli gravanti sulla spesa pubb!ica dall’articolo 2, comma 2-bis, D.L. numero 101 del 2013, in quanto sostenuti dalla contribuzione obbligatoria degli associati. Insomma, il CNF e gli Ordini forensi locali non sarebbero una species del genus enti pubblici non economici”. Tanto più che al CNF sono attribuite funzioni giurisdizionali, confermate, nella recente riforma forense, dall'articolo 35, comma I, lett. c e dell'articolo 36 della legge numero 247 del 2012. Coerentemente, secondo l’articolo 1, comma III, della legge numero 196 del 2009, tali soggetti non contribuiscono a formare il bilancio consolidato dello Stato. 4 Violazione e falsa applicazione dell'articolo 35, comma 1, lett. c della legge 6 novembre 2011 numero 190 e degli articoli 13, 14 e 15 del d.lgs. 14 marzo 2013, numero 33. eccesso dl potere per sviamento e illogicità, illegittimità derivata dall'illegittimità costituzionale degli artt. 13, 14 e 15 del d.lgs. numero 33 del 2013 per violazione degli artt. 2, 3 e 76 della Costituzione. Sarebbe poi illegittima la sottoposizione dei titolari di cariche politiche agli obblighi informativi di tipo patrimoniale agli organi politici, che la legge numero 190 del 2012 riserverebbe ai dirigenti mediante il consueto rinvio all’elenco di cui all’articolo 1 comma II del decreto legislativo numero 165 del 2001, che, invece, non è stato formulato quanto ai titolari delle cariche politiche sicchè, mentre per i dirigenti l’obbligo informativo su dati reddituali e patrimoniali avrebbe carattere generale, così non sarebbe per i titolari di organi di indirizzo politico di qualunque ente, bensì soltanto di quelli esponenziali di una data comunità territoriale, come testimonierebbe l’espressione legislativa che si riferisce al livello statale, regionale e locale” degli incarichi, così riportando all’espressione politica dei vari livelli di governo del territorio, davanti al quale bene sarebbe giustificato il sacrificio alla riservatezza dei soggetti investiti delle relative cariche. Non così per i consiglieri degli Ordini ricorrenti, ed ancora meno per i loro congiunti, anche perché i primi eserciterebbero cariche di natura sostanzialmente onoraria, non retribuite. Lo confermerebbe anche il riferimento all’articolo 4 del decreto legislativo numero 165 del 2001, pure operato dall’ANAC nella delibera numero 144\2014, norma che distingue i titolari di incarichi direttivi a seconda che essi siano, o non, di carattere elettivo. 5 Violazione e falsa applicazione dell’articolo 35 comma I lettera c della L. numero 190\2012 e degli articoli 13, 14 e 15 del d. lgs. numero 33 del 2013 illegittimità derivata per violazione degli articoli 2, 3 e 76 Cost. Inoltre la non estensibilità degli obblighi di comunicazione agli organi politici deriverebbe dal fatto che, mentre per i dirigenti la legge numero 190 del 2012 rinvia all’elenco di enti di cui all’articolo 1 comma II d. lgs. numero 165\2001, lo stesso richiamo non è ripetuto per gli organi politici, ma vi è solo il testuale riferimento a incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico di livello statale, regionale o locale”, ossia, secondo i ricorrenti, ai soli enti espressione di una collettività territoriale. Ritenere il contrario, secondo i ricorrenti, comporterebbe il contrasto degli articoli 14 e 15 del decreto legislativo numero 33 del 2013 con gli articoli 76, 2 e 3 della Costituzione. Peraltro, vi sarebbe contrasto anche tra i due provvedimenti gravati, in quanto la delibera numero 145, a differenza della numero 144, non menziona nella tabella esemplificativa di applicazione ad essa allegata, gli organi di indirizzo degli Ordini professionali. In via subordinata i ricorrenti chiedono che questo TAR sollevi la questione di legittimità costituzionale dei citati articoli 14 e 15 rispetto agli articoli 76, 2 e 3 della Carta fondamentale. 6 Violazione e falsa applicazione della legge 6 novembre 2012, numero 190 e del d.lgs. 14 marzo 2013, numero 33, eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare difetto di istruttoria, travisamento, contraddittorietà, manifesta ingiustizia. Neppure l’obbligo di redazione del Piano della prevenzione della corruzione sarebbe estensibile agli Enti ricorrenti, poiché collegato con il Piano della perfomance di cui al titolo III del decreto legislativo numero 150 del 2009, dalla cui sfera applicativa gli Ordini professionali sono esclusi in forza dell’articolo 2 comma II bis del decreto legge numero 101 del 2013. 7 Ancora violazione e falsa applicazione della legge 6 novembre 2012, numero 190 e del d.lgs. 14 marzo 2013, numero 33 violazione e falsa applicazione della legge 6 novembre 2012, numero 190 e del d.lgs. 14 marzo 2013, numero 33, eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare difetto dl istruttoria, travisamento, contraddittorietà, manifesta ingiustizia. Sarebbero poi del tutto inapplicabili agli Ordini altre disposizioni del decreto legislativo numero 33 del 2013, quali l’articolo 16 che presuppone il controllo della Corte di Conti sulle spese relative al personale , 22, 24, 26 e 27 relativi ad obblighi di pubblicazione relativi a società controllate, ai dati sull’attività amministrativa, ai controlli sulle imprese e ai beneficiari di sovvenzioni l’intero capo III, relativo alla pubblicazione dell’uso di risorse pubbliche il capo IV, inerente la pubblicazione concernenti le prestazioni e i servizi erogati il capo V e il capo VI, inerenti attività non riferibili agli Ordini. 8 Illegittimità derivata per incostituzionalità del combinato disposto dl cui agli artt. 1, comma 59, l. numero 190/2012, articolo 11, comma 1, d.lgs. numero 33/2013 e articolo 1, comma 2, d.lgs. numero 165/2001 per violazione degli artt. 2, 3, 18 e 118 u.c., Cost. Per il caso in cui questo TAR non dovesse condividere i motivi precedenti, i ricorrenti chiedono che sia sollevata questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, comma 59, legge numero 190/2012 e 11, comma 1, D. Lgs. numero 33/2013 unitamente all'articolo 1, comma 2, D.Lgs. numero 165/2001, da queste richiamato , in quanto interpretati nel senso dell'estensione della disciplina cui essi fanno riferimento e degli obblighi da essa recati anche agli ordini professionali ed in particolare agli ordini circondariali forensi ed al Consiglio nazionale forense. A dire dei ricorrenti, L'estensione della disciplina di cui ai commi da 1 a 57 dell'articolo 1 della Iegge numero 190/2012 e dunque, per estensione, del D.Lgs. numero 33/2013 disposta dalle norme richiamate in epigrafe del presente motivo si porrebbe infatti in contrasto con la specifica natura e autonomia degli Ordini professionali, enti pubblici associativi deputati alla cura dell'interesse pubblico al corretto esercizio della professione cfr., in questa senso, l'articolo 24 della Legge numero 247/12 ”, in quanto esponenziali di una categoria professionale, non aventi la funzione di fornire un servizio alla collettività, integralmente finanziati dagli iscritti ed aventi, altresì, piante organiche assai esigue. Occorrerebbe poi tenere conto che gli Ordini godono di autonomia giuridica quali formazioni sociali in cui si svolge la personalità degli iscritti. IV. L’ANAC si è costituita in giudizio per resistere al ricorso, eccependo, con memoria, in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, in quanto gli atti impugnati avrebbero mera natura di pareri, mentre la applicabilità delle misure di contrasto alla corruzione deriverebbe, per gli Ordini professionali, direttamente dalla legge nel merito, poi, la difesa dell’Autorità ha contrastato puntualmente tutte le avverse censure, chiedendone il rigetto. V. Con decreto numero 2 del 2 gennaio 2015 è stata respinta l’istanza cautelare monocratica avanzata, ex articolo 56 c.p.a., dagli Enti ricorrenti mentre nella camera di consiglio fissata per la fase collegiale della cautela l’istanza è stata riunita al merito. In vista della pubblica udienza di discussione i ricorrenti hanno depositato una memoria in cui hanno replicato alle eccezioni formulate dall’Avvocatura dello Stato ed hanno ribadito le proprie tesi. In occasione della pubblica udienza del 6 maggio 2015 il ricorso è stato posto in decisione. Diritto I. Viene in decisione il ricorso con il quale alcuni Consigli dell’Ordine Forense circondariali hanno impugnato le deliberazioni dell’Autorità Nazionale Anticorruzione recanti i numeri 144 e 145 del 2014, con le quali è stata ritenuta applicabile a detti Enti, in via diretta e non mediata da atti applicativi emessi dai medesimi organismi interessati tutta la normativa in materia di contrasto alla corruzione, con particolare riferimento alla legge-delega numero 190 del 2012 e al decreto legislativo numero 33 del 2013. In via del tutto preliminare deve essere delibata l’eccezione di inammissibilità del ricorso avanzata dalla difesa dell’ANAC, la quale assume che la precettività della normativa in questione sarebbe, per gli Enti ricorrenti, diretta ed immediata, e non deriverebbe dalle due deliberazioni impugnate, atti di natura solo consultiva sicchè difetterebbe l’interesse all’impugnazione in capo ai ricorrenti. L’eccezione va respinta. La Sezione si è recentemente pronunziata sul punto con la sentenza numero 8376 del 15 giugno 2015, in occasione dell’impugnazione della deliberazione numero 144\2014 dell’ANAC da parte di una Università non statale nella parte d’interesse di quest’ultima. In quella circostanza è stato rilevato che la stessa deliberazione numero 144\2014, al paragrafo 10, afferma che il mancato adeguamento degli Enti destinatari ai dettami del provvedimento impugnato anche in quel giudizio avrebbe comportato, a far data dai 30 giorni successivi alla pubblicazione della delibera, l’esposizione ai poteri di vigilanza e sanzionatori dell’ANAC previsti dall’articolo 47 del d. lgs. numero 33\2013 per i casi di mancata o incompleta comunicazione delle informazioni e dei dati di cui all'articolo 14 o di violazione degli obblighi di pubblicazione di cui all'articolo 22, comma 2 del medesimo decreto e che il Presidente dell’ANAC provvederà a comunicare, ai sensi dell’articolo 19 comma VII del D.L. numero 90\2014, all’autorità amministrativa competente all’irrogazione delle sanzioni, l’inadempimento ai suddetti obblighi, secondo gli schemi ordinari contemplati nella L. numero 689\1981. Successivamente, con la delibera della medesima Autorità numero 10 del 21 gennaio 2015, l’ANAC si è individuata quale soggetto competente all'avvio del procedimento sanzionatorio per le violazioni di cui all'articolo 47 citato, ed ha altresì individuato nel Prefetto l'autorità amministrativa competente all'irrogazione delle sanzioni definitive. Rende vieppiù attuale l’interesse al ricorso la recente pubblicazione del Regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio, ai sensi dell'articolo 47 del decreto legislativo 14 marzo 2013, numero 33” dell’ANAC nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 31 luglio 2015, numero 176, in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione, con cui l’ANAC si è dotata degli strumenti procedimentali .idonei all’irrogazione delle sanzioni ai soggetti inottemperanti agli obblighi previsti dal legislatore nel citato articolo 47. In definitiva, quanto rileva ai fini dell’ammissibilità del ricorso in esame non è tanto il fatto che la normativa sostanziale in materia di trasparenza e di lotta alla corruzione abbia, o non, precettività immediata nei confronti dei suoi destinatari, ed in particolare nei confronti dei ricorrenti odierni che costituisce, invece, questione di merito sottesa all’impugnazione oggi in esame. La lesività delle deliberazioni gravate nei confronti degli Enti ricorrenti, e il conseguente interesse processuale di questi ultimi al loro eventuale annullamento giurisdizionale, deriva piuttosto dal combinarsi di poteri e compiti che la normativa di rango primario ossia l’articolo 19 comma VII e l’articolo 47 del d.lgs. numero 33\2013 affidano all’ANAC ed al suo Presidente, con l’espresso richiamo al possibile esercizio di tali poteri sanzionatori verso gli enti inottemperanti. In altri termini, la fonte degli obblighi previsti dalla normativa in discorso e la soggezione alle sanzioni in caso di violazione di detti obblighi non è -né potrebbe essere costituita dagli atti dell’ANAC, comprese le deliberazioni impugnate ma queste ultime costituiscono i prodromi all’eventuale applicazione di sanzioni agli enti ivi contemplati che non abbiano ottemperato alle prescrizioni di cui all’articolo 47 d.lgs. numero 33\2013 così che la eventuale declaratoria giurisdizionale dell’illegittima ricomprensione degli Ordini nel novero dei soggetti obbligati comporterebbe la sottrazione al preannunziato esercizio del potere sanzionatorio. Il ricorso, pertanto, è ammissibile e può essere delibato nel merito. 2. Esso è infondato. Non possono essere condivisi il primo ed il terzo motivo, che per comodità espositiva verranno trattati congiuntamente. Con il primo mezzo le organizzazioni ordinistiche ricorrenti assumono che sarebbe criterio insufficiente ed errato, per ricomprendere detti enti nel campo di diretta applicazione della disciplina derivante dalla legge numero 190\2012 e dai relativi decreti delegati, quello di fare riferimento -come hanno fatto le deliberazioni impugnate e lo stesso comma LIX della legge delega al novero di pubbliche amministrazioni citate dall’articolo 1 comma II del d.lgs. numero 165\2001, poichè sarebbe errata l’equazione per cui laddove vi è rapporto di pubblico impiego vi è anche una pubblica amministrazione rapporto di pubblico impiego la cui disciplina non si applica ai ricorrenti, poiché l’articolo 2 comma II bis del decreto legge numero 101\2013 dispone Gli ordini, i collegi professionali, i relativi organismi nazionali e gli enti aventi natura associativa, con propri regolamenti, si adeguano, tenendo conto delle relative peculiarità, ai principi del decreto legislativo 30 marzo 2001, numero 165, ad eccezione dell'articolo 4, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, numero 150, ad eccezione dell'articolo 14 nonché delle disposizioni di cui al titolo III, e ai principi generali di razionalizzazione e contenimento della spesa, in quanto non gravanti sulla finanza pubblica.” Con il terzo motivo i ricorrenti riprendono l’argomentazione legata all’articolo 2 comma II bis del D. L. numero 101\2013, e soggiungono che la sentenza della Corte di Cassazione numero 21226 del 2011 ha sottratto gli Ordini dal controllo di gestione della Corte dei conti, poiché essi non gravano sulla spesa pubblica le organizzazioni in parola, quindi, non fanno neppure parte del conto economico consolidato dello Stato la sentenza della Corte UE nella causa C-526\11 ha escluso l’applicabilità ai medesimo della direttiva europea sugli appalti pubblici 18\2004 ancora, si tratta di enti a carattere associativo il CNF, per di più, ha visto riconoscere dagli articoli 35 e 36 L. numero 247\2012 il proprio carattere anche giurisdizionale. Per tutte queste ragioni non sussisterebbe un generale interesse a che tutti i consociati possano accedere, secondo i meccanismi di trasparenza previsti nel decreto legislativo numero 33 del 2013. 2.1 I due motivi sono infondati. Il primo argomento atto a smentire tali costruzioni ha natura testuale, ed è costituito dall’articolo 24 della L. 31 dicembre 2012 numero 247 Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense . Esso dispone espressamente che Il CNF e gli ordini circondariali sono enti pubblici non economici a carattere associativo istituiti per garantire il rispetto dei principi previsti dalla presente legge e delle regole deontologiche, nonché con finalità di tutela della utenza e degli interessi pubblici connessi all'esercizio della professione e al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale. Essi sono dotati di autonomia patrimoniale e finanziaria, sono finanziati esclusivamente con i contributi degli iscritti, determinano la propria organizzazione con appositi regolamenti, nel rispetto delle disposizioni di legge, e sono soggetti esclusivamente alla vigilanza del Ministro della giustizia”. Alla luce di questa univoca definizione, posta dal diritto positivo, risulta pienamente soddisfatto il principio, affermato dall’articolo 4 della legge numero 70 del 1975 ed ancora presente nel nostro ordinamento v. di nuovo la sentenza 8376\2015 della Sezione , per il quale nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge” da cui deriva che la qualità di ente pubblico deve essere affermata espressamente da una disposizione di legge, o, quantomeno, deve derivare da un chiaro quadro normativo di riferimento. La definizione positiva di enti pubblici non economici che il citato articolo 24 della legge di riforma forense riserva agli Ordini forensi circondariali deve ritenersi di per sé sufficiente al rigetto delle censure in esame. Tale positiva definizione, infatti, induce a ritenere che il richiamo del comma LIX della legge numero 190 del 2012 e dello stesso provvedimento impugnato al novero degli enti pubblici non economici non deriva affatto -come assume il motivo in esame dalla ritenuta equazione pubblico impiego-pubblica amministrazione, che, in tesi, non varrebbe per le organizzazioni ordinistiche a causa dell’esclusione dalla diretta applicazione del testo unico sul pubblico impiego dovuta all’articolo 2 comma II bis del decreto legge numero 101 del 2013. Il detto richiamo, in realtà, nulla ha a che vedere con l’applicazione diretta o indiretta della disciplina sul pubblico impiego. Mediante la tecnica del richiamo alle pubbliche amministrazioni contenuta nel ridetto articolo 1 comma II, la lgge numero 190 del 2012 in ciò seguita dal provvedimento impugnato ha esercitato il riferimento ad una elencazione normativa tendenzialmente esaustiva di tutte le possibili categorie di enti pubblici previste nel nostro ordinamento e in una di tali categorie quella degli enti pubblici non economici rientrano, per diretta ed espressa volontà dell’articolo 24 della legge numero 247 del 2012, oltre che il Consiglio Nazionale Forense, anche gli Ordini forensi territoriali. 2.2 Tanto basterebbe al rigetto dei motivi in esame, perché la qualificazione normativa appena rilevata esime l’interprete dall’indagare circa la applicabilità agli Ordini della c.d. nozione funzionale” di ente pubblico, invalsa in giurisprudenza cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, numero 2660\2015 , per cui il criterio da utilizzare per tracciare il perimetro del concetto di ente pubblico muta a seconda dell’istituto o del regime normativo che deve essere applicato e della ratio ad esso sottesa. Tuttavia, il Collegio intende darsi carico di affrontare l’argomento, sotteso ai due motivi in esame, per il quale l’articolo 2 comma II bis del decreto legge numero 101 del 2013, nell’escludere gli ordini, i collegi professionali, i relativi organismi nazionali e gli enti aventi natura associativa” dalla diretta applicabilità del d. lgs. numero 165\2001, li avrebbe, per così dire, automaticamente sottratti alla categoria cui tale compendio normativo, all’articolo 1 comma II, li aveva ascritti, ovvero a quella degli enti pubblici non economici. 2.2.1. Questo argomento è, in realtà, smentito in radice già da quanto detto al paragrafo 2.1 della presente motivazione a proposito della totale irrilevanza, nel complessivo disegno normativo ivi succintamente ricordato, della applicabilità o della non applicabilità diretta del testo relativo al lavoro alle dipendenza da pubbliche amministrazioni. 2.2.2 Il Collegio ritiene opportuno soggiungere, sul punto, che l’articolo 2 comma II bis del decreto legislativo numero 101 del 2013 non può avere la natura escludente” che gli annettono i ricorrenti neppure sotto altri profili. In primo luogo, risulta assai significativo il dato secondo il quale, mentre la precedente normativa sull’ordinamento forense, costituita dal R.D.L. numero 1578 del 1933 Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore e dagli articoli 18 e seguenti del D. Lgs. Lgt. numero 382 del 1944 Norme sui Consigli degli ordini e collegi e sulle Commissioni centrali professionali , pur entrati in vigore soprattutto il primo in un periodo in cui era particolarmente forte la spinta ad una pubblicizzazione” delle categorie professionali e delle loro organizzazioni che confluivano in una delle corporazioni organi delle Stato riconosciute dalla legge numero 163 del 1934 non contenevano un espresso riferimento alla natura di enti pubblici degli Ordini. Questo riferimento ha cominciato ad essere operato -ma non a livello di normativa primaria in epoca ben più recente ed in tutt’altro periodo storico, con modalità indirette, mediante il D.P.R. 5 marzo 1986 numero 68 Determinazione e composizione dei comparti di contrattazione collettiva, di cui all'articolo 5 della legge-quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983, numero 93 , che definisce il Comparto del personale degli enti pubblici non economici” come segue 1. Il comparto di contrattazione collettiva del personale degli enti pubblici non economici comprende il personale dipendente dagli enti pubblici non economici comunque sottoposti a tutela o vigilanza dello Stato. Appartiene in ogni caso al comparto di cui al presente articolo il personale degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, numero 70 , e successive modificazioni e integrazioni, ad eccezione di quelli espressamente indicati nel successivo articolo 7 degli ordini e collegi professionali e relative federazioni, consigli e collegi nazionali ” Un diretto ed espresso riferimento alla natura pubblica degli odierni ricorrenti è invece operato proprio dalla legge di riforma dell’ordinamento forense numero 247 del 2012, coeva alla legge delega numero 190 in materia di contrasto alla corruzione. Anche per queste ragioni non è ipotizzabile che l’articolo 2 comma II bis del D.L. numero 101\2013 abbia potuto avere la funzione di sottrarre al novero degli enti pubblici non economici le organizzazioni ordinistiche. Tale ipotizzata sottrazione si rivelerebbe di difficile comprensione, ad appena un anno dalla entrata in vigore sia della riforma forense che in quel novero di enti ne ha cristallizzato la presenza con l’articolo 24 che della legge di contrasto alla corruzione che si riferisce indistintamente a tutti gli enti pubblici non economici . 2.2.3. Si deve evidenziare, inoltre, che, per il legislatore della riforma, neppure la natura associativa degli enti in questione, espressamente menzionata nell’articolo 24, ne ha impedito l’ascrizione al novero degli enti pubblici non economici. Lo stesso deve dirsi per le altre peculiari caratteristiche degli enti in discorso, invocate nel ricorso in esame ma, tutte, puntualmente elencate dal medesimo legislatore che ne ha affermato espressamente la natura di enti pubblici non economici si tratta della autonomia patrimoniale e finanziaria, dal finanziamento solo mediante i contributi degli iscritti, della potestà di auto-organizzazione. Con specifico riferimento alla natura associativa degli enti, il fatto che essa non escluda certo lo status di ente pubblico non economico è attestato dall’argomento, ancora una volta di diritto positivo, per cui l’ordinamento non ha avuto difficoltà a riconoscere prima, ed a ribadire dopo, la qualificazione di enti pubblici ad altre organizzazioni di tipo associativo. Si pensi, ad esempio, all’Automobile Club d’Italia, riconosciuto quale Ente pubblico non economico dall’elenco annesso alla legge numero 70 del 1975 e quale ente necessario perché non soggetto alla soppressione operata dalla medesima legge per gli enti ivi non menzionati , e la cui natura pubblica è stata ribadita, anche quando le altre federazioni sportive nazionali sono state trasformate in associazioni private, mediante l’articolo 18 comma VI della legge numero 242 del 1999. Si pensi, ancora, agli Automobile Club Provinciali, anch’essi tipicamente associativi, federati all’Automobile Club d’Italia, la cui natura di enti pubblici necessari è stata oggetto di ricognizione dal D.P.R. numero 665 del 1977. Non è superfluo notare che anche tali Enti sono stati oggetto di una deliberazione dell’ANAC relativa alle modalità applicative della normativa sul contrasto alla corruzione Del. 20 febbraio 2013, numero 11 . 2.2.4. Neppure l’esclusivo finanziamento mediante i contributi degli iscritti altro argomento cui i ricorrenti annettono valenza escludente dal novero degli enti pubblici assoggettati alla normativa contro la corruzione ha fatto desistere il legislatore dal qualificare espressamente le organizzazioni ordinistiche quali enti pubblici non economici. La qualificazione pubblicistica, in realtà, bene si accorda con la natura tributaria delle prestazioni patrimoniali in questione, espressamente affermata dalla Corte regolatrice, per la quale il contributo annuale previsto dall'articolo 14 d.lg.lgt. 23 novembre 1944 numero 382 a carico degli avvocati ed a favore del Consiglio nazionale forense, a dispetto del nome, va -per l’appunto considerato un tributo, sia perché, riferendosi anche ad esso, il comma 2 dell'articolo 7 del medesimo d.lg.lgt. parla di tassa annuale , sia per il suo carattere di doverosità, sia, infine, perché la prestazione in questione è collegata alla necessità di fornire la provvista dei mezzi finanziari necessari all'ente delegato dall'ordinamento per il controllo dell'albo professionale. Le medesime caratteristiche riveste il contributo annuale dovuto all’Ordine circondariale dagli iscritti, oggi previsto dall’articolo 29 della legge numero 247 del 2012, il cui mancato pagamento comporta, per il debitore inadempiente, la sospensione non disciplinare dell’iscrizione all’albo sino all’assolvimento dell’obbligo. 2.2.5. Non risulta dirimente neppure la mancata ricomprensione degli Ordini nel conto economico consolidato dello Stato, ovvero tra gli enti individuati dall’ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, numero 196 Legge di contabilità e di finanza pubblica . Tale disposizione, innanzitutto, prevede, ancora una volta, un richiamo omnicomprensivo a le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, numero 165, e successive modificazioni”, ed ha natura tendenzialmente estensibile a ciascuno di tali Enti, poiché al terzo comma dispone che La ricognizione delle amministrazioni pubbliche di cui al comma 2 è operata annualmente dall'ISTAT con proprio provvedimento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale entro il 30 settembre”. Ma, soprattutto, come ha condivisibilmente affermato Cons. Stato, 28 novembre 2012 numero 6014, ai fini della ricomprensione nel conto economico di cui alla citata normativa, è irrilevante che un ente si sostenti con la sola contribuzione di una data categoria di soggetti oppure attinga alla fiscalità generale. Ad esempio, nel caso delle Autorità indipendenti il Giudice di appello ha affermato che Gli operatori del settore versano i contributi da qualificare come tributi Corte Cost., sent. 256 del 2007 direttamente alla Autorità, restandone obbligati perché vi sono disposizioni di legge riconducibili ai principi desumibili dall’articolo 23 della Costituzione, sulle prestazioni patrimoniali imposte la legge, che ben potrebbe disporre il pagamento di tali contributi nelle casse di un Ministero tenuto poi a versare le somme di riferimento alla Autorità , ha preferito semplificare gli aspetti contabili, prevedendo il pagamento diretto nelle casse della Autorità per gli importi determinati dall’Autorità stessa , ma ciò non esclude che la causa della attribuzione patrimoniale sia riconducibile allo svolgimento di una funzione pubblica, da parte di una pubblica amministrazione”. A ben vedere, quindi, ciò che rileva sotto il profilo qualificatorio non è tanto che un dato ente sia, o non sia, ricompreso nel conto economico consolidato, ma è la destinazione pubblica delle risorse. La pronunzia citata, per quanto qui interessa, conferma che il fatto che determinati enti siano finanziati esclusivamente da prestazioni patrimoniali imposte agli iscritti, non comporta necessariamente che tali risorse non abbiano finalità pubbliche. E da tali finalità deriva l’interesse generale alla conoscenza del modo in cui dette risorse vengono impiegate e dei dati relativi ai soggetti che sono chiamati ad impegnarle. 2.2.5. Non hanno poi la rilevanza invocata dai ricorrenti le funzioni giurisdizionali che il CNF peraltro esclusive di quest’ultimo, e non degli Ordini circondariali ricorrenti , quale Giudice speciale, è chiamato a svolgere come si deve desumere dal comma XXXIV dell’articolo 1 delle legge numero 190\2012, la normativa in discorso si applica, per tutti i soggetti interessati, solo con riferimento alle funzioni amministrative da essi svolte. 2.2.6. Il vero è che la natura pubblica degli enti esponenziali della categoria forense risponde alla imprescindibile e fondamentale funzione sociale dell’avvocato, che la legge di riforma -anche con tale espressa qualificazione degli enti esponenziali di tale categoria ha voluto sottolineare come orientata all’attuazione di principi costituzionali. Ne è testimonianza l’articolo 1 della legge numero 247 del 2012, per cui l’ordinamento forense, stante la specificità della funzione difensiva e in considerazione della primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela essa è preposta a regolamenta l'organizzazione e l'esercizio della professione di avvocato e, nell'interesse pubblico, assicura la idoneità professionale degli iscritti onde garantire la tutela degli interessi individuali e collettivi sui quali essa incide b garantisce l'indipendenza e l'autonomia degli avvocati, indispensabili condizioni dell'effettività della difesa e della tutela dei diritti c tutela l'affidamento della collettività e della clientela, prescrivendo l'obbligo della correttezza dei comportamenti e la cura della qualità ed efficacia della prestazione professionale d favorisce l'ingresso alla professione di avvocato e l'accesso alla stessa, in particolare alle giovani generazioni, con criteri di valorizzazione del merito. Si tratta di una disposizione di principi poi esplicati nel corso dell’articolato della legge di riforma , che smentisce in radice quanto affermato dagli odierni ricorrenti in un passo delle loro censure. E dunque non è esatto, alla luce del diritto positivo, affermare che la ragion d’essere degli ordini professionali sia solo quella di fornire servizi agli iscritti, posto che la norma appena riportata palesa, in sintesi, che l’ordinamento affida a detti enti, e agli appartenenti alla categoria di cui essi sono espressione, una rilevante parte della tutela del diritto di difesa -per tutti i consociati garantito dall’articolo 24 della Costituzione. I servizi riservati agli iscritti, sotto questo profilo, assumono valenza non suscettibile di minare la natura pubblica degli enti e di queste stesse funzioni si pensi alla gestione e tenuta degli albi o al rilascio del parere di congruità sugli onorari richiesti al cliente, che appaiono funzionali, in primo luogo, alla tutela del diritto di difesa, perché garantiscono la qualità della prestazione professionale e la sua giusta per l’avvocato, ma anche per il cliente remunerazione. 2.3. In definitiva, il primo ed il terzo motivo sono infondati. 3. Non può essere accolto neppure il secondo motivo, con cui i ricorrenti lamentano di non essere, in realtà, destinatari dei commi da IV a XIV dell’articolo 1 della legge numero 190\2012, che impone la nomina del responsabile della prevenzione della corruzione e la redazione dello specifico piano di contrasto. Destinatari di quelle disposizioni sarebbero soltanto il Dipartimento della Funzione pubblica, le Amministrazioni centrali e gli Enti locali, date le -spesso ridotte dimensioni delle organizzazioni ricorrenti e tanto sarebbe confermato dal comma XXXIV, che recita Le disposizioni dei commi da 15 a 33 si applicano alle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, numero 165, e successive modificazioni, agli enti pubblici nazionali, nonché alle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche e dalle loro controllate, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea.” 3.1 In primo luogo, non autorizza la prospettata esclusione la lettera della norma appena riportata, la quale non dice espressamente che i commi da IV a XIV non possano applicarsi agli enti pubblici non economici. Essa, piuttosto, ha l’evidente e limitata funzione di precisare che, per tutti i destinatari della legge-delega, pubblici e privati, la relativa disciplina si applica solo con riferimento alle funzioni di pubblico interesse svolte dai medesimi. 3.2 Neppure i commi da IV a XIV contengono una espressa esclusione degli enti pubblici non economici dal novero di quelli che devono dotarsi del responsabile della prevenzione della corruzione e del relativo piano. Esclusione che sarebbe, rispetto al sistema complessivo di prevenzione della corruzione, della finalità della normativa e dell’omnicomprensivo richiamo dell’articolo 1 comma LIX della legge-delega, del tutto stravagante. 3.3 La generalità e l’astrattezza della noma di legge in questione comporta, dunque, la sua applicabilità a tutti gli enti pubblici ma perchè tale applicazione avvenga concretamente occorre che le relative disposizioni siano adattate alla natura ed alle dimensioni di ogni singolo ente. Sotto questo profilo si deve ritenere che le stesse finalità della normativa, che ne postulano una applicazione quanto più possibile estesa testimoniata dalle disposizioni che ne implicano l’applicabilità anche alle società pubbliche v. ancora il comma XXXIV comportino che determinate disposizioni delle medesima non siano inderogabili. Ciò al fine di impedire che ragioni contingenti ed eventuali, quali le dimensioni di un dato ente e la sua consistenza organica, impediscano l’applicazione diretta e concreta della normativa di contrasto alla corruzione. E’ dunque infondata la censura per cui la nomina del responsabile, per gli enti in questione, potrebbe mancare ove non siano presenti dipendenti con qualifica dirigenziale, dato che tale figura non potrebbe essere reperita all’esterno commi VII ed VIII dell’articolo 1 . Infatti occorre ritenere che solo ove tali figure dirigenziali vi siano, si dovrà nominare un dirigente ma qualora esse non siano previste dalla pianta organica o comunque non siano presenti , si dovrà dare preferenza all’applicazione più lata della norma, e dovrà essere nominato un soggetto non dotato di qualifica dirigenziale. Inoltre, qualora la redazione del piano non sia possibile a causa della assenza di idonee professionalità all’interno dell’ente, si potrà utilmente fare ricorso al generale istituto dell’accordo tra pubbliche amministrazioni, disciplinato dall’articolo 15 della legge numero 241 del 1990 norma, quest’ultima, che soccorre in via generale qualora sia necessario o opportuno che determinate pubbliche amministrazioni svolgano in comune determinate attività o funzioni. E’ appena il caso di precisare che quella appena prospettata è operazione che postula proprio la cogenza immediata e diretta di tutti gli obblighi previsti dalla disciplina di contrasto alla corruzione ed è, quindi, ben altro rispetto a quanto vorrebbero vedere affermare gli Ordini ricorrenti, ossia la loro sottoposizione ai medesimi obblighi solo parziale perché, in tesi, limitata dalle caratteristiche organizzative e dimensionali degli Ordini stessi e mediata dalla propria regolamentazione interna. 3.4 Il motivo, in definitiva, va respinto. 4 . Eguale sorte seguono il quarto ed il quinto motivo, con cui i ricorrenti contestano l’applicabilità degli obblighi di pubblicazione previsti dalla legge numero 190 del 2012 e dal decreto delegato numero 33 del 2013 ai propri organi di indirizzo politico, perché l’organizzazione di detti enti non prevedrebbe la distinzione, posta dall’articolo 4 comma IV d. lgs. numero 165\2001, tra organi di indirizzo politico ed organi di gestione quarto mezzo e perché per gli organi amministrativi il legislatore non ha operato il solito riferimento all’articolo 1 comma II d.lgs. numero 165\2001, ma ha testualmente indicato come obbligati solo gli organi degli enti di livello statale, regionale e locale, che sarebbero solo quelli di tipo territoriale quinto mezzo . 4.1. Il quarto motivo è infondato per quanto detto in precedenza con riguardo all’irrilevanza della norma articolo 2 comma II bis D. L. numero 101\2013 che esclude la diretta applicabilità del decreto legislativo numero 165 del 2001 agli Ordini punto 2.2. e seguenti della presente motivazione considerazioni alle quali si rinvia per brevità. Ad esse è sufficiente aggiungere quanto segue nel prossimo paragrafo. 4.2 La Sezione ha già affrontato la questione posta nel quinto motivo nella già ricordata sentenza numero 8375\2015, concludendo che il richiamo agli organi di indirizzo politico come, peraltro, si desume dal recente parere reso dal Consiglio di Stato, sez. II, numero 3105/2014 con riferimento al CNEL debba essere interpretato prendendo come riferimento gli artt. 4 e 14 del D.lgs numero 165 del 2001 nella parte in cui si fa riferimento, sebbene con riguardo alle amministrazioni pubbliche”, all’organo che definisce obiettivi, priorità, piani e programmi e che, in estrema sintesi, indirizza e definisce le linee di azione dell’ente. Risulta poi chiaro che l’individuazione di tali organi dovrà essere effettuata in concreto con riferimento alle peculiarità dell’ente di riferimento”. Non v’è, quindi, né potrebbe esservi, un riferimento limitato ai soli enti espressivi di una comunità territoriale. Né sussiste la dedotta contraddizione tra la delibera numero 144 e la numero 145, posto che la prima non si limita affatto a indicare, quali obbligati alla pubblicazione, i soli organi di indirizzo menzionati nel suo allegato, che, anzi, espressamente afferma avere natura solo esemplificativa. Ma anzi, tale provvedimento precisa che gli organi interessati sono quelli ricordati dall’articolo 22 comma III del d. lgs. numero 33 del 2013 e dall’articolo 1 comma II lettera f del d. lgs. numero 39 del 2013, ossia dal sistema di decreti delegati scaturito dalla legge numero 190 del 2012, e dunque le persone che partecipano, in via elettiva o di nomina, a organi di indirizzo politico delle amministrazioni statali, regionali e locali, quali Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, numero 400, parlamentare, Presidente della giunta o Sindaco, assessore o consigliere nelle regioni, nelle province, nei comuni e nelle forme associative tra enti locali, oppure a organi di indirizzo di enti pubblici, o di enti di diritto privato in controllo pubblico, nazionali, regionali e locali”, da intendersi come nel precedente paragrafo. 4.3. Per quanto appena detto, infine, la questione di legittimità costituzionale degli articoli 13, 14 e 15 del d. lgs. numero 33\2013 che i ricorrenti chiedono di sollevare -con particolare riguardo all’articolo 2 Cost. ed al diritto di riservatezza dei titolari di cariche negli Ordini è manifestamente infondata. Lo è, inoltre, perché costituirebbe una evidente ed irragionevole disparità, inconciliabile con l’articolo 3 Cost., l’imposizione normativa degli obblighi di pubblicazione dei dati in parola potenzialmente lesiva del diritto alla riservatezza, qui però ritenuto recessivo dal legislatore solo per gli amministratori di taluni enti, e non di tutti gli enti soggetti alla normativa scaturita dalla legge numero 190\2012. 5. Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano che neppure le previsioni sull’obbligo di adottare il Programma triennale per la trasparenza e l’integrità previsto dall’articolo 10 del d. lgs. numero 33 del 2013 potrebbe essere loro riferito, poiché connesso con strumenti di programmazione, quali il piano della performance di cui al d.lgs. numero 150\2009, che in forza dell’articolo 2 comma II bis D.L. numero 101\2013 non si applicherebbero agli Ordini. Neppure questa censura può trovare accoglimento. 5.1 Ciò, in primo luogo, per quanto detto nel corso della trattazione dei motivi quarto e quinto, nella quale si è esplicitato come gli obblighi di trasparenza di cui al d. lgs. numero 33 del 2013 si applichino anche agli organi di indirizzo di tali Enti.E, all’evidenza, tali obblighi sarebbero del tutto vuoti di contenuto precettivo, ove si ritenesse che lo strumento programmatorio delle relative attività non debba essere adottato. 5.2 In secondo luogo, perché -come pure si è detto sopra gli Ordini devono adottare il Piano di prevenzione della corruzione. Il Piano triennale per la trasparenza e l’integrità, per disposizione dell’articolo 10 citato, definisce le misure, i modi e le iniziative volti all'attuazione degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente, ivi comprese le misure organizzative volte ad assicurare la regolarità e la tempestività dei flussi informativi di cui all'articolo 43, comma 3. E le misure ivi previste sono collegate, sotto l'indirizzo del responsabile, con le misure e gli interventi previsti dal Piano di prevenzione della corruzione, di cui esso costituisce di norma una sezione. 5.3. In terzo luogo, poiché, anche ritenendo che il piano della performance, in quanto previsto nel titolo III del d. lgs. numero 150 del 2009, non riguardi gli Ordini, occorre tenere presente che l’articolo 10 del d. lgs. numero 33 del 2013 si riferisce, in generale, a tutti gli strumenti di programmazione degli enti, e non fa esclusivo riferimento al piano della performance. 6. La reiezione del settimo motivo, con cui gli Ordini denunciano l’inapplicabilità alle proprie caratteristiche di distinte parti componenti della disciplina” anticorruzione, discende dalle medesime considerazioni appena svolte in chiusura del paragrafo che precede punto 5.3 e al punto 3.3, cui per brevità si rinvia, che riguardano il necessario ricorso ad istituti che adattino l’organizzazione degli enti in parola alla normativa alla cui osservanza essi sono obbligati. 7. Con l’ultimo motivo i ricorrenti chiedono che, in caso di ritenuta conduzione dei medesimi nel novero degli enti tenuti, ai sensi dell’articolo 1 comma LIX della legge numero 190\2012, all’applicazione della normativa anticorruzione, questo TAR sollevi la questione di legittimità costituzionale di tale disposizione e degli articoli 11 d. lgs. numero 33 del 2013 e 1 comma II del d. lgs. numero 165\2001 in relazione agli articoli 2, 3, 18 e 118 della Costituzione. A questo fine, gli Ordini ripercorrono le medesime argomentazioni poste a base delle precedenti censure, evidenziando, ancora una volta, la asserita portata escludente della applicazione della normativa sul pubblico impiego dell’articolo 2 comma II bis del D.L. numero 101\2013. Evidenziano, inoltre, la loro natura di enti pubblici associativi deputati alla cura del coretto esercizio della professione, funzionale alla garanzia di libertà professionale degli iscritti, così da fungere da formazioni sociali in cui questi svolgono la propria personalità di qui la lesione dei principi costituzionali di libertà di associazione, del principio pluralistico e di quello e di sussidiarietà. Le questioni sono manifestamente infondate. In primo luogo, esse non tengono nel debito conto che il legislatore della riforma forense, come detto, nell’articolo 24 della legge numero 247\2012 ha espressamente tenuto conto delle richiamate caratteristiche di enti associativi degli Ordini forensi, e tuttavia ne ha affermato a chiare lettere la natura di enti pubblici non economici così che tale qualità non risulta -per così dire mediata dalla diretta applicazione della disciplina sul pubblico impiego. Inoltre, come pure affermato in precedenza, detta natura pubblica risponde appieno alla finalità che la medesima riforma attribuisce alla stessa esistenza degli Ordini forensi, che attiene all’attuazione dell’articolo 24 della Costituzione e del diritto di difesa, come attesta già l’articolo 1 della L. numero 247\2012 quando richiama la regolamentazione della professione di avvocato nell'interesse pubblico, l'indipendenza e l'autonomia degli avvocati come indispensabili condizioni dell'effettività della difesa e della tutela dei diritti, l’affidamento della collettività e della clientela mediante l'obbligo della correttezza dei comportamenti e la cura della qualità ed efficacia della prestazione professionale, il merito come chiave di ingresso alla professione di avvocato. Non è pertinente, inoltre, il richiamo alla lesione della libertà di associazione almeno sotto l’aspetto positivo, ossia della libertà di associarsi , atteso che l’iscrizione agli albi tenuti dagli Ordini forensi locali è condizione necessaria ed obbligatoria per l’esercizio della professione di avvocato, onde non pare ipotizzabile che la necessaria osservanza della normativa anticorruzione possa impedire l’esercizio della detta libertà costituzionale. Mentre, come si è detto in precedenza, l’esenzione solo di alcuni enti pubblici non economici, rispetto alla generalità della categoria e rispetto a tutti gli altri enti pubblici, dall’osservanza dei detti obblighi, comporterebbe -essa sì la lesione del principio di cui all’articolo 3 della Costituzione. 8. In conclusione, il ricorso è infondato, e va respinto. Le spese possono essere compensate, attesa la novità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza respinge il ricorso in epigrafe. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.