Commissione di concorso ed incompatibilità: non è sufficiente una inimicizia per obbligare all'astensione il componente della commissione

Nei pubblici concorsi, infatti, i componenti delle commissioni esaminatrici hanno l'obbligo di astenersi solo ed esclusivamente se ricorre una delle condizioni tassativamente previste dall'art. 51 c.p.c., senza che le cause di incompatibilità previste dalla predetta norma, proprio per detto motivo, possano essere oggetto di estensione analogica.

Così si è espresso il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n. 3443 del 9 luglio 2015. L'incompatibilità tra esaminatore e concorrente, ha osservato il Collegio richiamando anche suoi precedenti, implica o l’esistenza di una comunanza di interessi economici o di vita tra i due soggetti [di intensità tale da far ingenerare il sospetto che il candidato sia giudicato non in base alle risultanze oggettive della procedura, ma in virtù della conoscenza personale con l’esaminatore ed idonea a far insorgere un sospetto consistente di violazione dei principi di imparzialità, di trasparenza e di parità di trattamento comunque inquadrabile nell'art. 51, comma 2, del c.p.c. ], ovvero la sussistenza di un potenziale conflitto di interessi per l’esistenza di una causa pendente tra le parti, o la sussistenza di grave inimicizia tra di esse. Analogia impossibile. Poiché l’impossibilità dell’applicazione dell’analogia è giustificata dall’esigenza di tutela di certezza dell'azione amministrativa e della stabilità della composizione delle commissioni giudicatrici, è stato ritenuto dalla giurisprudenza che neppure la presentazione di denuncia in sede penale da parte del ricusante nei confronti del commissario di concorso costituisce causa di legittima ricusazione, perché essa non è di per sé idonea a creare una situazione di causa pendente o di grave inimicizia. Peraltro la grave inimicizia, per essere rilevante ai fini che interessano, deve essere reciproca, trovare fondamento esclusivamente in pregressi rapporti personali, derivanti da vicende estranee allo svolgimento delle funzioni per cui è controversia, ed estrinsecarsi in dati di fatto concreti, precisi e documentati. Nel caso posto all'attenzione della Sezione, la sussistenza di grave inimicizia tra l’appellante e la dirigente comunale, componente della commissione di concorso, non è stata dimostrata nei termini sopraindicati, non essendo sufficiente ad ingenerarla la notifica di un ricorso giurisdizionale nell’ambito del quale la suddetta non riveste la qualità di vera e propria parte. La parte nel diritto amministrativo. Nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto di concordare con il TAR che la circostanza che la commissaria avesse svolto compiti istruttori con riguardo alla formazione di una deliberazione a suo tempo oggetto di ricorso giurisdizionale da parte dell’attuale appellante non fosse idonea a farle assumere la veste di parte nel caso di specie controinteressata in tale giudizio, a nulla valendo che fosse stata intimata dal ricorrente, atteso che parti di quel giudizio deve ritenersi che fossero solo il ricorrente e la Provincia Autonoma di Trento, che aveva emanato il provvedimento impugnato. Nel processo amministrativo la nozione di controinteressato è infatti riferita ad un soggetto espressamente contemplato nel provvedimento impugnato o comunque agevolmente identificabile sulla base di esso, che sia titolare di un interesse concreto e attuale, ben individuato o agevolmente individuabile, alla conservazione di detto provvedimento, interesse sostanzialmente speculare e opposto all'interesse che muove il ricorrente. A tanto consegue che soltanto in presenza delle predette condizioni va riconosciuta la qualità di diretto controinteressato al ricorso, da chiamare in causa in tale qualità. In materia vige il principio generale che il ricorso va notificato a tutte le parti che hanno espresso pareri o determinazioni che la parte ricorrente avrebbe avuto l'onere di impugnare autonomamente, giacché gli atti infraprocedimentali, come i pareri non vincolanti, restano pur sempre distinti dal provvedimento finale di amministrazione attiva, sebbene ad esso ausiliari. Solo la parte che sia intervenuta, nel procedimento che ha portato all'adozione dell'atto impugnato, con un parere obbligatorio e vincolante va considerata coemanante e ad essa deve essere pertanto necessariamente notificato il ricorso introduttivo. Nel caso in questione non è stato dimostrato che le determinazioni istruttorie adottate dalla dirigente fossero connotate da carattere vincolante, sicché non può ritenersi che essa fosse parte necessaria nel citato giudizio in corso tra l’appellante e la Provincia suddetta, con conseguente insussistenza della causa di incompatibilità consistente nella pendenza di un giudizio tra le parti. Il dovere di astensione. Il dovere di astensione, ha affermato la Sezione, è infatti al principio di imparzialità della funzione pubblica, di rilievo costituzionale ex art. 97 Cost., così come recepito dagli artt. 1 e 6 bis l. n. 241/1990, e deve orientare l'interprete ad un'applicazione ragionevole delle disposizioni in materia, rifuggendo da orientamenti formalistici e riconoscendo invece il giusto valore a quelle situazioni sostanziali suscettibili in concreto di riflettersi negativamente sull'andamento del procedimento per fatti oggettivi, anche di sola potenziale compromissione dell'imparzialità, oppure tali da suscitare ragionevoli e non meramente strumentali dubbi sulla percepibilità effettiva dell'imparzialità di giudizio nei destinatari dell'attività amministrativa e nei terzi. Le cause di incompatibilità di cui all'art. 51 c.p.c. sono estensibili a tutti i campi dell'azione amministrativa quale applicazione dell'obbligo costituzionale d'imparzialità e quindi anche alla materia concorsuale tuttavia esse come già evidenziato, rivestono un carattere tassativo e sfuggono all'applicazione analogica all'evidente scopo di tutelare l'esigenza di certezza dell'azione amministrativa e, in particolare, la regolarità della composizione delle commissioni giudicatrici. Nel ritenere pertanto che siano applicabili alla fattispecie in esame solo i principi di cui al comma 1 dell'art. 51 c.p.c., in base ai quali la commissaria, dirigente comunale non aveva l’obbligo di astenersi, il Collegio ha comunque rilevato in proposito che l'art. 6 d.m. 31 marzo 1994, al comma 1, così recita Il dipendente si astiene dal partecipare all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere, direttamente o indirettamente, interessi finanziari o non finanziari propri o di parenti o conviventi. L'obbligo vale anche nel caso in cui, pur non essendovi un effettivo conflitto di interessi, la partecipazione del dipendente all'adozione della decisione o all'attività possa ingenerare sfiducia nell'indipendenza e imparzialità dell'amministrazione . La norma richiamata ribadisce e dilata il dovere del funzionario pubblico di astenersi dalle pratiche rispetto alle quali abbia direttamente o indirettamente un interesse privato e, per i principi in precedenza affermati, deve ritenersi che essa disponga non solo in termini di correttezza e di opportunità, ma anche di obbligo giuridico. Fermo restando, naturalmente, che quante volte l'obbligo di astensione è desumibile da norme di livello superiore a detto d.m., queste ultime possono e debbono essere applicate con l'efficacia che è loro propria, va rilevato che il dovere di astensione di cui tratta esso d.m., al pari di quello fondato su altre norme, configura non una incompatibilità con la funzione ma una incompatibilità per singoli affari e comunque ne comporta l'applicazione nell'ipotesi in cui il componente dell'Organo abbia un interesse proprio e diretto nella procedura, tale da porlo nella veste di parte del procedimento nel caso di specie la commissaria d'esame non era comunque parte nel procedimento in questione, sicché non può ritenersi neppure in base a detto d.m. che essa avesse l’obbligo di astenersi.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 12 maggio – 9 luglio 2015, n. 3443 Presidente Torsello – Estensore Amicuzzi Fatto e diritto 1.- Il dott. Gianni Gadler ha partecipato al concorso pubblico indetto dal Comune di Arco per la copertura del posto di segretario generale di II classe e, dopo aver conosciuto la composizione dei membri della commissione di concorso, ha inviato all'Ufficio del personale del Comune un messaggio di posta elettronica con cui ha evidenziato l'incompatibilità con il membro della commissione stessa dott.ssa Livia Ferrario, per averle egli notificato un ricorso al Consiglio di Stato e per grave inimicizia. La richiesta è stata reiterata con raccomandata ricevuta il 18 febbraio 2008 dal Comune di Arco, alla quale è stato dato riscontro con una comunicazione del Sindaco del Comune che rivestiva anche la carica di Presidente della commissione di concorso , datata 29 febbraio 2008, di reiezione dell'istanza. 2.- Dopo che, con deliberazione n. 13 del 20 marzo 2008, il Consiglio Comunale ha approvato i verbali di concorso e la graduatoria finale di merito, il dott. Gadler ha proposto ricorso al T.R.G.A. della Provincia di Trento censurando la composizione dell'organo collegiale di esame. 3.- Il Tribunale ha respinto il ricorso con la sentenza in epigrafe indicata, avendo ritenuto insussistente una situazione di lite pendente e l’assunta situazione di inimicizia grave tra il dott. Gadler e la dott. Ferrario, nonché non accoglibile la censura di incompetenza del Sindaco per il carattere vincolato della reiezione dell’istanza di ricusazione proposta dal ricorrente. 4.- Con il ricorso in appello in esame il suddetto interessato ha chiesto la riforma di detta sentenza deducendo i seguenti motivi a Infondatezza della tesi che il Commissario di esame, dott.ssa Ferrario, non si trovasse in una posizione di incompatibilità pur essendo parte in un giudizio pendente con il ricorrente. Inapplicabilità al caso di specie dell’art. 21 octies, comma 2, della l. n. 241 del 1990. b Incondivisibilità della tesi del primo giudice che l’art. 52 del c.p.c. debba trovare applicazione rigorosa e che i casi di ricusazione debbano essere solo quelli sanciti dall’art. 51, comma 1, del c.p.c c Idoneità della pendenza di un giudizio amministrativo tra il dott. Gadler e la dott.ssa Ferrario e della partecipazione della stessa all’istruttoria della deliberazione impugnata a renderla, oltre che controinteressata al ricorso, anche parte in causa. d Non corrispondenza al principio di soccombenza della disposta compensazione delle spese di lite. 5.- Con atto notificato il 21 novembre 2009 e depositato il 26 novembre 2009 il signor Rolando Mora, dichiarato vincitore del concorso, si è costituito in giudizio, eccependo l’inammissibilità delle censure di incompetenza del Sindaco perché non sollevate in primo grado ma per la prima volta in appello e deducendo l’infondatezza del gravame inoltre ha proposto appello incidentale contro parti della sentenza ritenute lesive dei propri interessi, deducendo i seguenti motivi a Erroneità della sentenza per omessa dichiarazione di irricevibilità e di inammissibilità del ricorso di primo grado per mancata impugnazione dell’atto conclusivo del procedimento di ricusazione e per decorso dei termini di impugnazione . La tesi del primo giudice che la nota sindacale del 28 febbraio 2008 fosse un atto infraprocedimentale e che il pregiudizio del dottor Gadler era emerso solo all’atto della mancata nomina dello stesso a vincitore sarebbe contraddittoria e comunque incondivisibile perché il ricorso di primo grado sarebbe stato inammissibilmente notificato oltre i termini di decadenza dalla conoscenza di detta nota. Poiché la lesione lamentata dal ricorrente derivava dall’asserita incompatibilità di uno dei membri della commissione esaminatrice, non sarebbe condivisibile l’affermazione contenuta in sentenza che l’attualità della lesione si fosse verificata solo al termine della procedura concorsuale, quando il dott. Gadler ha appreso di non essere vincitore. b Erroneità della sentenza per omessa dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado. La nota sindacale di riscontro alla nota con cui il dott. Gadler aveva dedotto l’incompatibilità della dott.ssa Ferrario non sarebbe stata formalmente impugnata con il ricorso di primo grado. c Ultrapetizione. Violazione delle norme sul concorso e dell’art. 55 del d.P.Reg. 1 febbraio 2005, n. 2/L. Con la sentenza è stata riconosciuta fondatezza della censura di incompetenza del Sindaco, pur non essendo stata impugnata la nota di cui trattasi e pur non essendo stata formulata la censura di incompetenza. Comunque la sentenza sarebbe errata laddove afferma che il potere di pronunciarsi sulla istanza di ricusazione in questione sarebbe stato attribuibile al Consiglio comunale e non al Sindaco. 6.- Con atto notificato il 21 novembre 2009 e depositato l’1 dicembre 2009 il Comune di Arco si è costituito in giudizio, eccependo l’irricevibilità e l’inammissibilità, nonché deducendo l’infondatezza dell’appello, ed ha proposto appello incidentale, deducendo i seguenti motivi a Ultrapetizione. Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 del c.p.c. per difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Contraddittorietà. Violazione e falsa applicazione delle norme sul concorso e dell’art. 55 del d.P.Reg. 1 febbraio 2005, n. 2/L. La sentenza, laddove ha statuito in ordine alla censura di incompetenza del Sindaco a pronunciarsi sull’istanza di ricusazione, presentata dal ricorrente” sarebbe viziata da ultrapetizione perché con il ricorso di primo grado detta censura non sarebbe stata proposta comunque la nota sindacale sopra citata non sarebbe stata esattamente impugnata con detto ricorso perché con esso sarebbe stata solo genericamente espressa meraviglia che la questione non fosse stata sottoposta al Consiglio comunale che sarebbe stato l’organo competente alla nomina della commissione giudicatrice ciò a nulla valendo la impugnazione, di mero stile, di ogni altro atto richiamato”. Il motivo, se fosse stato formulato, sarebbe stato comunque tardivo a causa della portata immediatamente lesiva della nota di cui trattasi, che non poteva considerarsi atto infraprocedimentale perché aveva concluso un autonomo sub procedimento. Comunque non sarebbe sussistita la competenza del Consiglio Comunale a decidere sull’istanza in questione, non essendo compresa la materia tra quelle tassativamente indicate dalla legge e dallo statuto comunale come di competenza del Consiglio stesso. 7.- Con memoria depositata il 9 aprile 2015 l’appellante ha contestato le affermazioni che la nota sindacale del 29 febbraio 2008 fosse un atto non endoprocedimentale e che non fosse stata espressamente impugnata con il ricorso introduttivo del giudizio. 8.- Con memoria depositata il 10 aprile 2015 il signor Mora ha ribadito eccezioni, tesi e richieste. 9.- Con memoria depositata l’11 aprile 2015 il Comune di Arco ha ribadito la fondatezza dell’appello incidentale ed ha eccepito l’inammissibilità e dedotto l’infondatezza del ricorso di primo grado e dei motivi aggiunti, nonché dell’appello, con cui, in particolare, sarebbe stata formulata per la prima volta la censura di mancata ricognizione e valutazione, da parte del giudice di primo grado, di una causa di astensione facoltativa e sarebbe stata fatta acquiescenza alla parte della sentenza in cui è stato asserito che non sussisteva inimicizia grave tra l’appellante e la dott.ssa Ferrario. 10.- Con memoria depositata il 20 aprile 2015 l’appellante ha replicato alle avverse difese, in particolare contestando la fondatezza dell’eccezione di mancata formulazione della censura di incompetenza del Sindaco e di sussistenza dei presupposti di ricusazione. 11.- Con memoria depositata il 21 aprile 2015 il Comune resistente ha replicato alle difese dell’appellante in particolare sostenendo che questi avrebbe ammesso di non aver mai impugnato la nota sindacale di cui trattasi e di non aver formulato alcuna censura di incompetenza del Sindaco. 12.- Alla pubblica udienza del 12 maggio 2015 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio. 13.- Innanzi tutto il collegio rileva che, per ragioni di economia processuale, il giudice amministrativo può legittimamente rinunciare a definire le eccezioni d'inammissibilità e/o irricevibilità del ricorso, mosse dalle parti in causa, se lo stesso è nel merito palesemente infondato Consiglio di Stato, sez. V, 22 marzo 2012, n. 1624 . Nel caso di specie poiché l’appello è da ritenere infondato, può prescindersi dalla disamina della eccezione, formulata dal resistente signor Mora, di inammissibilità della censura di incompetenza del Sindaco perché sollevata per la prima volta in appello , nonché delle eccezioni, formulate dal Comune resistente, che sarebbe stata dedotta per la prima volta in appello la censura di mancata ricognizione e valutazione, da parte del giudice di primo grado, di una causa di astensione facoltativa e che sarebbe stata fatta acquiescenza alla parte della sentenza in cui è stato asserito che non sussisteva inimicizia grave tra l’appellante e la dott.ssa Ferrario. 14.- Con il primo motivo d’appello è stato dedotto che sarebbe infondata la tesi che il commissario di esame, dott.ssa Ferrario, non si trovasse in una posizione di incompatibilità perché la sua partecipazione ad un giudizio pendente con il ricorrente non valeva a qualificarla come controparte e perché, pur sussistendo motivi di astensione, la scelta era rimessa alla sua sola decisione ciò in quanto la funzione sarebbe stata ad essa delegata dal Consiglio Comunale, che aveva provveduto a nominare i membri della commissione, e lo stesso organo avrebbe potuto ritenere opportuna la sostituzione del commissario, sostituendosi ad esso. Comunque nel caso di specie non avrebbe potuto trovare applicazione l’art. 21 octies, comma 2, della l. n. 241 del 1990 perché riferibile a provvedimenti di natura vincolata e non a quelli di natura discrezionale inoltre il principio per il quale la norma consente al giudice di accertare la legittimità dell’atto sarebbe stato applicato in modo errato. Poiché la decisione dell’organo incompetente configurerebbe un vizio sostanziale e non solo formale, nel caso che occupa l’appellante sarebbe stato distolto dal giudizio dell’organo demandato a decidere sulla sua istanza di ricusazione. Erroneamente sarebbe stato sostenuto in sentenza che, poiché l’organo competente a decidere era vincolato a respingere l’istanza di ricusazione, comunque esso non avrebbe potuto discostarsi dall’applicazione dell’art. 51, comma 1, del c.p.c. ciò in quanto il competente Consiglio Comunale avrebbe potuto, in applicazione dei principi di trasparenza e buona amministrazione, decidere di sostituire il commissario di cui trattasi, sostituendosi al suo dovere di astensione, atteso che il giudizio sulla istanza di ricusazione non sarebbe affatto vincolato. 14.1.- Osserva la Sezione che con il motivo in esame viene sostanzialmente censurata la sentenza impugnata laddove premesso che non era rilevabile nel caso di specie alcuna ipotesi di incompatibilità allo svolgimento da parte della dott.ssa Ferrario delle funzioni di componente della commissione di concorso in esame in base ai principi di cui agli artt. 51 e 52 del c.p.c. ha ritenuto non accoglibile la censura di incompetenza formulata nei confronti della nota sindacale del 29 febbraio 2008, con cui era stato respinto l'esposto inviato dall’appellante all'Ufficio del personale del Comune deducendo l'incompatibilità con il membro della commissione dott.ssa Ferrario per esserle stato notificato un ricorso giurisdizionale proposto dal dott. Gadler al Consiglio di Stato e per grave inimicizia . Va preliminarmente rilevato al riguardo che la sussistenza di una situazione di incompatibilità tale da imporre l'obbligo di astensione deve essere valutata ex ante, in relazione agli effetti potenzialmente distorsivi che il sospetto difetto di imparzialità è idoneo a determinare in relazione alla situazione specifica, ma anche con estrema cautela in relazione alla sua portata soggettiva, onde evitare che la sussistenza dell'obbligo di astensione possa essere estesa a casi e fattispecie in alcun modo contemplate dalla normativa di riferimento Consiglio di Stato, sez. VI, 19 marzo 2015, n. 1411 . Nei pubblici concorsi i componenti delle commissioni esaminatrici hanno l'obbligo di astenersi solo ed esclusivamente se ricorre una delle condizioni tassativamente previste dall'art. 51 del c.p.c., senza che le cause di incompatibilità previste dalla predetta norma, proprio per detto motivo, possano essere oggetto di estensione analogica Consiglio di Stato, sez. V, 24 luglio 2014, n. 3956 . L'incompatibilità tra esaminatore e concorrente implica quindi o l’esistenza di una comunanza di interessi economici o di vita tra i due soggetti [di intensità tale da far ingenerare il sospetto che il candidato sia giudicato non in base alle risultanze oggettive della procedura, ma in virtù della conoscenza personale con l’esaminatore Consiglio di Stato, sez. VI, 4 marzo 2015, n. 1057 ed idonea a far insorgere un sospetto consistente di violazione dei principi di imparzialità, di trasparenza e di parità di trattamento comunque inquadrabile nell'art. 51, comma 2, del c.p.c. ], ovvero la sussistenza di un potenziale conflitto di interessi per l’esistenza di una causa pendente tra le parti, o la sussistenza di grave inimicizia tra di esse. Poiché l’impossibilità dell’applicazione dell’analogia è giustificata dall’esigenza di tutela di certezza dell'azione amministrativa e della stabilità della composizione delle commissioni giudicatrici, è stato ritenuto dalla giurisprudenza che neppure la presentazione di denuncia in sede penale da parte del ricusante nei confronti del commissario di concorso costituisce causa di legittima ricusazione, perché essa non è di per sé idonea a creare una situazione di causa pendente o di grave inimicizia Consiglio di Stato, sez. III, 2 aprile 2014 n. 1577 . Peraltro la grave inimicizia, per essere rilevante ai fini che interessano, deve essere reciproca, trovare fondamento esclusivamente in pregressi rapporti personali, derivanti da vicende estranee allo svolgimento delle funzioni per cui è controversia, ed estrinsecarsi in dati di fatto concreti, precisi e documentati. Nel caso di specie la sussistenza di grave inimicizia tra l’appellante e la dott.ssa Ferrario in detti termini non è stata dimostrata, non essendo sufficiente ad ingenerarla la notifica di un ricorso giurisdizionale nell’ambito del quale la suddetta non riveste la qualità di vera e propria parte come di seguito meglio precisato . Quanto alla pendenza di una causa tra le parti, si evince con chiarezza dagli artt. 51 comma 1, n. 3, e 52, del c.p.c. che essi individuano come causa sufficiente, per giustificare l'astensione o la richiesta di ricusazione del giudice, il fatto oggettivo della pendenza di una lite fra il giudice stesso e una delle parti, senza necessità di verifica di elementi ulteriori Consiglio di Stato, sez. VI, 9 agosto 2011, n. 4745 . Per individuare i casi in cui è possibile ravvisare la pendenza di una lite tra le parti può, ad avviso del collegio, farsi ricorso a quanto disposto dall'art. 63, comma 1, n. 4, del d.lgs. n. 267 del 2000, che, ai fini della determinazione della causa d'incompatibilità per lite pendente, ricollega detta pendenza, da un punto di vista processuale, alla circostanza che il soggetto eletto sia parte di un procedimento civile od amministrativo, rispettivamente, con il comune o la provincia , ossia titolare di una situazione soggettiva processuale, in un procedimento civile o amministrativo, caratterizzata da poteri e facoltà finalizzati a dare impulso al processo e comunque a consentirne, fino alla formazione del giudicato, lo svolgimento, la prosecuzione o la riassunzione. Nel caso di specie deve concordarsi con il T.A.R. che la circostanza che la dott.ssa Ferrario avesse svolto compiti istruttori con riguardo alla formazione di una deliberazione a suo tempo oggetto di ricorso giurisdizionale da parte dell’attuale appellante non fosse idonea a farle assumere la veste di parte nel caso di specie controinteressata in tale giudizio, a nulla valendo che fosse stata intimata dal ricorrente, atteso che parti di quel giudizio deve ritenersi che fossero solo il dott. Gadler e la Provincia Autonoma di Trento, che aveva emanato il provvedimento impugnato. Nel processo amministrativo la nozione di controinteressato è infatti riferita ad un soggetto espressamente contemplato nel provvedimento impugnato o comunque agevolmente identificabile sulla base di esso, che sia titolare di un interesse concreto e attuale, ben individuato o agevolmente individuabile, alla conservazione di detto provvedimento, interesse sostanzialmente speculare e opposto all'interesse che muove il ricorrente Consiglio di Stato, sez. V, 7 luglio 2014, n. 3443 a tanto consegue che soltanto in presenza delle predette condizioni va riconosciuta la qualità di diretto controinteressato al ricorso, da chiamare in causa in tale qualità Consiglio di Stato, sez. V, 17 giugno 2014, n. 3095 . In materia vige il principio generale che il ricorso va notificato a tutte le parti che hanno espresso pareri o determinazioni che la parte ricorrente avrebbe avuto l'onere di impugnare autonomamente, giacché gli atti infraprocedimentali, come i pareri non vincolanti, restano pur sempre distinti dal provvedimento finale di amministrazione attiva, sebbene ad esso ausiliari. Solo la parte che sia intervenuta, nel procedimento che ha portato all'adozione dell'atto impugnato, con un parere obbligatorio e vincolante va considerata coemanante e ad essa deve essere pertanto necessariamente notificato il ricorso introduttivo Consiglio di Stato, sez. IV, 17 dicembre 2008, n. 6254 . Nel caso che occupa non è stato dimostrato che le determinazioni istruttorie adottate dalla dott.ssa Ferrario fossero connotate da carattere vincolante, sicché non può ritenersi che essa fosse parte necessaria nel citato giudizio in corso tra l’appellante e la Provincia suddetta, con conseguente insussistenza della causa di incompatibilità consistente nella pendenza di un giudizio tra le parti. L’infondatezza della tesi che sussistesse una situazione di incompatibilità della dott.ssa Ferrario comporta l’attribuzione di carattere vincolato alla reiezione dell’esposto che ne denunciava la sussistenza e la condivisibilità della statuizione del T.A.R. che, ai sensi dell’art. 21 octies della l. n. 241 del 1990, l’atto che aveva concretamente disposto detta reiezione non era annullabile in quanto il suo tenore dispositivo non avrebbe comunque potuto essere diverso. Le censure in esame non sono quindi assentibili. 15.- Con il secondo motivo di gravame è stata contestata la tesi del primo giudice che l’art. 52 del c.p.c. debba trovare applicazione rigorosa e che i casi di ricusazione debbano essere solo quelli sanciti dall’art. 51, comma 1, del c.p.c., perché questo riguarderebbe il giudizio civile tra due soggetti che hanno diritto di essere giudicati dal giudice naturale e distinguerebbe tra cause di astensione obbligatoria e facoltativa, per il contemperamento di cui all’art. 25 della Costituzione, mentre l’applicazione di tale articolo ai concorsi pubblici comporterebbe l’applicazione, non di detto contemperamento, ma dell’art. 97 della Costituzione. Quindi il T.R.G.A., accertato il diritto del dott. Gadler a sollevare dubbi sulla terzietà della dott. Ferrario, avrebbe dovuto riconoscere il suo diritto a veder valutate le sue doglianze dall’organo che aveva nominato detta componente della commissione, che avrebbe dovuto verificare l’opportunità di disporne la sostituzione. 15.1.- La Sezione ritiene le sopra riportate censure incondivisibili. Il dovere di astensione è infatti funzionale al principio di imparzialità della funzione pubblica, di rilievo costituzionale ex art. 97 della Costituzione, così come recepito dagli artt. 1 e 6-bis, della l. n. 241 del 1990, che deve orientare l'interprete ad un'applicazione ragionevole delle disposizioni in materia, rifuggendo da orientamenti formalistici e riconoscendo invece il giusto valore a quelle situazioni sostanziali suscettibili in concreto di riflettersi negativamente sull'andamento del procedimento per fatti oggettivi, anche di sola potenziale compromissione dell'imparzialità, oppure tali da suscitare ragionevoli e non meramente strumentali dubbi sulla percepibilità effettiva dell'imparzialità di giudizio nei destinatari dell'attività amministrativa e nei terzi. Le cause di incompatibilità di cui all'art. 51 del c.p.c. sono Consiglio di Stato, Sezione III, 24 gennaio 2013, n. 477 estensibili a tutti i campi dell'azione amministrativa quale applicazione dell'obbligo costituzionale d'imparzialità e quindi anche alla materia concorsuale tuttavia esse come già evidenziato, rivestono un carattere tassativo e sfuggono all'applicazione analogica Consiglio di Stato, Sezione VI, 3 marzo 2007 n. 1011 26 gennaio 2009 n. 354 19 marzo 2013 n. 1606 all'evidente scopo di tutelare l'esigenza di certezza dell'azione amministrativa e, in particolare, la regolarità della composizione delle commissioni giudicatrici. Ritiene quindi la Sezione che siano applicabili alla fattispecie in esame solo i principi di cui al primo comma dell'art. 51 del c.p.c., in base ai quali la dott.ssa Ferrario non aveva l’obbligo di astenersi. Va comunque rilevato in proposito che l'art. 6 del d.m. 31 marzo 1994, al comma 1, così recita Il dipendente si astiene dal partecipare all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere, direttamente o indirettamente, interessi finanziari o non finanziari propri o di parenti o conviventi. L'obbligo vale anche nel caso in cui, pur non essendovi un effettivo conflitto di interessi, la partecipazione del dipendente all'adozione della decisione o all'attività possa ingenerare sfiducia nell'indipendenza e imparzialità dell'amministrazione . La norma richiamata ribadisce e dilata il dovere del funzionario pubblico di astenersi dalle pratiche rispetto alle quali abbia direttamente o indirettamente un interesse privato e, per i principi in precedenza affermati, deve ritenersi che essa disponga non solo in termini di correttezza e di opportunità, ma anche di obbligo giuridico. Fermo restando, naturalmente, che quante volte l'obbligo di astensione è desumibile da norme di livello superiore a detto d.m., queste ultime possono e debbono essere applicate con l'efficacia che è loro propria, va rilevato che il dovere di astensione di cui tratta esso d.m., al pari di quello fondato su altre norme, configura non una incompatibilità con la funzione ma una incompatibilità per singoli affari e comunque ne comporta l'applicazione nell'ipotesi in cui il componente dell'Organo abbia un interesse proprio e diretto nella procedura, tale da porlo nella veste di parte del procedimento nel caso di specie la dott.ssa Ferrario non era comunque parte nel procedimento in questione, sicché non può ritenersi neppure in base a detto d.m. che essa avesse l’obbligo di astenersi. 16.- Con il terzo motivo d’appello è stato dedotto che la pendenza di un giudizio amministrativo tra il dott. Gadler e la dott.ssa Ferrario e la circostanza che questa aveva partecipato all’istruttoria della deliberazione impugnata, la avrebbe resa, oltre che controinteressata al ricorso, anche parte in causa, in quanto, in base al d.P.G.P. 26 marzo 1998, n. 6-78/Leg, le funzioni del dirigente competente sarebbero di partecipazione attiva alle decisioni della Giunta provinciale ciò in quanto l’art. 10 prevede che, negli atti riservati alla Giunta provinciale, il dirigente assicura il supporto tecnico per il coordinamento, la verifica e la predisposizione delle proposte degli atti da adottare ed inoltre l’art. 5 della l. p. 3 aprile 1997, n. 7, prevede che le deliberazioni di detta Giunta siano assunte previo parere del dirigente in ordine alla regolarità tecnico amministrativa dell’atto e che il parere comporti la responsabilità di colui che lo ha espresso. Pertanto l’esito della causa imporrebbe una responsabilità relativa alla nomina di un Commissario ad acta e ogni conseguenza economica relativa anche alla dott.ssa Ferrario, con legittimazione passiva di questa a far parte del giudizio, anche perché l’Ufficio da essa presieduto avrebbe un interesse attuale al giudizio. Ciò a maggior ragione nel caso di specie in cui il T.R.G.A. della Provincia di Trento, con sentenza n. 245 del 2006, avrebbe stabilito al riguardo che i provvedimenti impugnati erano illegittimi perché l’interpretazione data dalla suddetta alle disposizioni contrattuali e normative era errata. 16.1.- La Sezione ritiene di non poter condividere dette censure per le considerazioni già espresse al precedente punto 14.1.- e che quindi neppure le citate disposizioni di cui a detto d.P.G.P. 26 marzo 1998, n. 6-78/Leg ed all’art. 5 della l. p. 3 aprile 1997, n. 7 possano essere idonee a far assumere alla dott.ssa Ferrario la veste di controinteressata nel giudizio cui in precedenza è stato fatto cenno, con insussistenza dell’obbligo di astensione della stessa dalla procedura concorsuale di cui trattasi. 17.- Con l’ultimo motivo di gravame è stato sostenuto che la compensazione delle spese di lite disposta con la sentenza impugnata non troverebbe corrispondenza nel principio di soccombenza e, dando applicazione all’art. 21 octies della l. n. 241 del 1990, il primo giudice avrebbe dovuto accertare la soccombenza virtuale dell’Amministrazione nel giudizio, disponendo la rifusione delle spese di lite al ricorrente. 17.1.- La censura è, secondo il collegio, del tutto infondata, atteso che, ai sensi dell'art. 91 del c.p.c., la soccombenza costituisce il criterio base per la condanna al pagamento delle spese di giudizio, e l’attuale appellante è risultato soccombente in primo grado, sicché mai il primo giudice avrebbe potuto accordargli il favore delle spese. 18.- L’appello principale deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione. 19. La reiezione del’appello principale comporta l’improcedibilità degli appelli incidentali proposti dal dott. Rolando Mora e dal Comune di Arco. Nel processo amministrativo l'infondatezza dell'appello principale comporta infatti l'improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dell'appello incidentale condizionato, proposto dal resistente per paralizzare l'azione ex adverso proposta Consiglio di Stato, sez. V, 21 aprile 2015, n. 2016 . 20.- Nella complessità e parziale novità delle questioni trattate il collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a. e 92, comma 2, del c.p.c., le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo respinge l’appello principale in esame e dichiara improcedibili gli appelli incidentali proposti dal dott. Rolando Mora e dal Comune di Arco. Compensa le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.