Servizio di scorta: il ricorso collettivo, ma generico, va dichiarato inammissibile se non viene provato il disagio effettivo subito

Attenzione va però riservata anche alla finalità della norma, nel senso che il termine di lavoro esterno” non può essere amplificato fino al punto di riconoscere l'indennità indiscriminatamente.

Il Consiglio di Stato, sez. III, con la sentenza n. 3426, depositata l'8 luglio 2015, accoglie l'appello del Ministero dell'Interno negando, quindi, agli agenti di polizia che svolgono servizio di scorta il diritto all'indennità aggiuntiva prevista per il servizio esterno, ma a determinate condizioni. Il caso. I ricorrenti di primo grado, appartenenti al Corpo della Polizia di Stato, avevano proposto un ricorso collettivo per l’accertamento del loro diritto a conseguire l’indennità di cui all'art. 12 d.P.R. n. 147/1990, per essere stati addetti al servizio di autista al seguito di personalità, per due anni consecutivi, ed aver quindi svolto in via continuativa servizi in ambiente esterno. Gli agenti, tuttavia, si erano limitati a dedurre, a sostegno della loro pretesa, gli spostamenti in ambiente esterno in quanto addetti al servizio di autista al seguito di personalità, ma non avevano tuttavia minimamente specificato, se non mediante riferimenti generici non puntuali, né personalizzati , in base a quale ordini di servizio e con quale periodicità avevano svolto l’attività per la quale avevano chiesto l’attribuzione dell’indennità aggiuntiva. I ricorrenti, in particolare, avevano tutti prodotto in giudizio, un’attestazione rilasciata dal Settore Autoparco” dell’Ufficio per i Servizi Tecnico-Gestionali della Segreteria del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, da cui risultava che nel periodo interessato avevano svolto attività lavorativa di autisti a disposizione di alte personalità. I ricorrenti non avevano tuttavia indicato per quali periodi, nel predetto arco temporale, ciascuno di essi era stato effettivamente impegnato nei servizi esterni, né i turni di servizio prestati sulla scorta di ordini formali. La circostanza che i ricorrenti fossero stati assegnati all’Autoparco e posti a disposizione di diverse personalità non prova, tuttavia, ha osservato il Collegio, che gli stessi avessero effettivamente svolto attività esterna in condizioni di disagio, come richiesto dalla normativa di riferimento, e per periodi non inferiori a tre ore lavorative consecutive. Ricorso generico. Secondo il Consiglio di Stato, il ricorso proposto non poteva ritenersi ammissibile, ciò in quanto come la medesima Sezione ha già avuto modo di affermare in analoghe fattispecie, chi agisce in giudizio a tutela di un proprio diritto anche in un ricorso collettivo deve indicare e allegare tutti gli elementi, i dati e i documenti idonei a sostenere la sua pretesa, domandando al giudice di accertare in concreto la sussistenza dei fatti dedotti. Mentre deve ritenersi inammissibile il ricorso collettivo che nulla dice in ordine alle condizioni di legittimazione e di interesse di ciascuno dei ricorrenti, in quanto ciò impedisce al giudice di controllare il concreto e personale interesse di ciascuno di loro, l'omogeneità dello loro posizioni e la concreta fondatezza della domanda. Del resto l'attenuazione, nel processo amministrativo, del principio dispositivo non può tradursi in uno svuotamento dell'onere probatorio specie laddove, come nella fattispecie, si faccia valere un diritto soggettivo nell’ambito di un rapporto paritetico e del connesso e pregiudiziale dovere di allegare, con specificità e precisione, i fatti costitutivi della domanda. Remunerabilità del servizio. Per completezza, la Sezione ha anche precisato che il ricorso di primo grado si doveva rivelare comunque infondato, tenuto conto che solo con il d.P.R. n. 164/2002 è stata prevista la remunerabilità dei servizi di durata minore dell’intero turno, ma non inferiore alle tre ore. Periodo non dimostrato dagli interessati, i quali avevano sì sostenuto di essere stati addetti alla funzione di autisti di autorità dal giugno 2000 all' aprile 2002, ma senza aver provato di aver effettivamente svolto attività esterna in condizioni di disagio, come richiesto dalla normativa di riferimento, per periodi non inferiori a tre ore lavorative consecutive in tutto il suddetto periodo. Nozione di servizio esterno. In ogni caso, ha aggiunto il Collegio, il significato di servizio esterno adoperato dalle norme citate deve essere direttamente correlato allo stato di disagio e non alle prestazioni che sono proprie del militare impiegato, per specifico compito d'istituto ed in via normale, a compiere la sua attività di lavoro presso uffici che costituiscono la sua sede di servizio. Anche di recente la Sezione ha, in proposito, affermato che l’indennità in questione richiede un quid pluris affinché possa legittimamente essere concessa, i.e. la sussistenza di un particolare pericolo o disagio tale da giustificare un trattamento economico aggiuntivo e differenziato. In caso contrario, si finirebbe per concedere la predetta indennità indiscriminatamente a tutti coloro che, ancorché impiegati presso Amministrazioni diverse, svolgano attività non connotate da alcun particolare pregiudizio fisico o psichico, alimentando, innegabilmente, una disparità di trattamento fra gli stessi operatori CdS, n. 2293/2015 .

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2 – 8 luglio 2015, n. 3426 Presidente Lignani – Estensore D’Alessio Fatto e diritto 1.- Il T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I Ter, con sentenza n. 6536 del 19 giugno 2014, ha accolto, nei limiti dell’eccepita prescrizione quinquennale formatasi sino al 28 luglio 2000 , il ricorso che era stato proposto dai signori Francesco Pascale, Massimiliano Trivisondoli, Antonio Ruscito, Antonio Marcello, Gilberto Pezzotto, Vittorio Ciogli, Alberto Pieralice, Marco Farina, Giuseppe Arcieri, Rino Maura, Fabrizio Rosati, Mario Favale, Gianfranco Paglione, Massimiliano Pozzoli, Massimo Nastasi, Massimiliano Bovi, Alessandro Bovi, Giulio Carella, Romano Germinario, Giuseppe Ricucci, Nicolino Pizzo, Pietro Allegritti, Antonella Rendina, Lorenzo Laurenti, Enrico Rosatelli, Giancarlo Cilona, Claudio Perticarà, Roberto Perrone, Mauro Oriente, Francesco Uliano, Franceschino Fois, Franco Angeloni, Italo Eleuterio Belli, Giovanni Dante e Marco Farina, appartenenti al Corpo della Polizia di Stato, per l’accertamento del loro diritto a conseguire l’indennità di cui all'art. 12 del D.P.R. 5 giugno 1990, n. 147, per essere stati addetti al servizio di autista al seguito di personalità, dal 21 giugno 2000 al 30 aprile 2002, ed aver quindi svolto in via continuativa servizi in ambiente esterno. Il T.A.R. ha invece dichiarato inammissibile il ricorso proposto da Montesano Gianluca che non aveva assolto l’onere di provare il titolo a fondamento della propria legittimazione a ricorrere. 2.- Il Ministero dell’Interno ha appellato l’indicata sentenza ritenendola erronea sotto diversi profili. In particolare l’Amministrazione ha sostenuto che, anche sulla scorta della giurisprudenza più recente, l’originario ricorso collettivo doveva ritenersi inammissibile, essendo privo, per ciascuno dei singoli ricorrenti, delle necessarie indicazioni in ordine alla sede di effettivo svolgimento dei servizi, alla durata delle prestazioni esterne e agli ordini ricevuti. Nel merito della questione ha poi sostenuto che l’indennità prevista dal citato art. 12 del D.P.R. n. 147 del 1990, estesa ai servizi di tutela e scorta dall’art. 11 del D.P.R. n. 254 del 1999, poteva essere riconosciuta solamente in favore di dipendenti che avevano svolto servizi esterni per l’intero arco della giornata, prima che il successivo D.P.R. 164 del 18 giugno 2002 estendesse tale beneficio anche al personale impiegato in tali servizi con turni comunque non inferiori alle tre ore. 3. L’appello è fondato. Deve essere, infatti, accolta la censura di inammissibilità del ricorso originario per indeterminatezza delle posizioni fatte valere con un ricorso collettivo. 3.1.- I ricorrenti di primo grado avevano, infatti, proposto un ricorso collettivo limitandosi sostanzialmente a dedurre, a sostegno della loro pretesa, di aver svolto in via continuativa spostamenti in ambiente esterno in quanto addetti al servizio di autista al seguito di personalità, ma non avevano tuttavia minimamente specificato, se non mediante riferimenti generici non puntuali, né personalizzati , in base a quale ordini di servizio e con quale periodicità avevano svolto l’attività per la quale avevano chiesto l’attribuzione dell’indennità aggiuntiva. I ricorrenti, in particolare, avevano tutti prodotto in giudizio tranne Montesano Gianluca , un’attestazione rilasciata dal Settore Autoparco” dell’Ufficio per i Servizi Tecnico-Gestionali della Segreteria del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, in data 11 marzo 2014, da cui risultava che dal 21 giugno 2000 al 30 aprile 2002 avevano svolto attività lavorativa di autisti a disposizione di alte personalità. 3.2.- I ricorrenti non hanno tuttavia indicato per quali periodi, nel predetto arco temporale, ciascuno di essi era stato effettivamente impegnato nei servizi esterni, né i turni di servizio prestati sulla scorta di ordini formali. La circostanza che i ricorrenti fossero stati assegnati all’Autoparco e posti a disposizione di diverse personalità non prova, infatti, che gli stessi avessero effettivamente svolto attività esterna in condizioni di disagio, come richiesto dalla normativa di riferimento, e per periodi non inferiori a tre ore lavorative consecutive. Il ricorso da essi proposto non poteva ritenersi quindi ammissibile. 3.3.- Infatti, come questa Sezione ha avuto modo di affermare in analoghe fattispecie fra le più recenti Consiglio di Stato, Sez. III, n. 111 del 15 gennaio 2014 e n. 2649 del 15 maggio 2013 , chi agisce in giudizio a tutela di un proprio diritto anche in un ricorso collettivo deve indicare e allegare tutti gli elementi, i dati e i documenti idonei a sostenere la sua pretesa, domandando al giudice di accertare in concreto la sussistenza dei fatti dedotti. Mentre deve ritenersi inammissibile il ricorso collettivo che nulla dice in ordine alle condizioni di legittimazione e di interesse di ciascuno dei ricorrenti, in quanto ciò impedisce al giudice di controllare il concreto e personale interesse di ciascuno di loro, l'omogeneità dello loro posizioni e la concreta fondatezza della domanda. Del resto l'attenuazione, nel processo amministrativo, del principio dispositivo non può tradursi in uno svuotamento dell'onere probatorio specie laddove, come nella fattispecie, si faccia valere un diritto soggettivo nell’ambito di un rapporto paritetico e del connesso e pregiudiziale dovere di allegare, con specificità e precisione, i fatti costitutivi della domanda. 4.- Per completezza si deve aggiungere che il ricorso di primo grado si rivela, come pure dedotto con l’atto di appello, comunque infondato, tenuto conto che solo con il D.P.R. n. 164 del 18 giugno 2002 è stata prevista la remunerabilità dei servizi di durata minore dell’intero turno, ma non inferiore alle tre ore, e considerato che i ricorrenti avevano, come si è ricordato, sostenuto di essere stati addetti alla funzione di autisti di autorità dal 21 giugno 2000 al 30 aprile 2002 senza aver provato di aver effettivamente svolto attività esterna in condizioni di disagio, come richiesto dalla normativa di riferimento, per periodi non inferiori a tre ore lavorative consecutive in tutto il suddetto periodo. 4.1.- In ogni caso, come pure questa Sezione ha già ricordato, il significato di servizio esterno adoperato dalle norme citate deve essere direttamente correlato allo stato di disagio e non alle prestazioni che sono proprie del militare impiegato, per specifico compito d'istituto ed in via normale, a compiere la sua attività di lavoro presso uffici che costituiscono la sua sede di servizio. Anche di recente questa Sezione ha, in proposito, affermato che l’indennità in questione richiede un quid pluris affinché possa legittimamente essere concessa, i.e. la sussistenza di un particolare pericolo o disagio tale da giustificare un trattamento economico aggiuntivo e differenziato. In caso contrario, si finirebbe per concedere la predetta indennità indiscriminatamente a tutti coloro che, ancorché impiegati presso Amministrazioni diverse, svolgano attività non connotate da alcun particolare pregiudizio fisico o psichic, alimentando, innegabilmente, una disparità di trattamento fra gli stessi operatori Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2293 del 7 maggio 2015 . 5. Per le ragioni esposte, l'appello è fondato e deve essere accolto e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso collettivo proposto in primo grado deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della natura della questione trattata si può disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I Ter, n. 6536 del 19 giugno 2014, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado. Dispone la compensazione integrale fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.