Il desiderio di maternità non ha età: via i limiti imposti da alcune Regioni

Il TAR Veneto ha eliminato il limite di 43 anni per la donna che voglia ricorrere alla fecondazione eterologa, recepito, con una delibera della G.R. del Veneto del 4 settembre 2014, dal Documento sulle problematiche relative alla fecondazione eterologa a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 162/14 della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome DCRPA . Le palesi contraddizioni che hanno portato a questa discriminazione, contraria alla Cedu ed alla Costituzione, sono dovute alla disomogeneità delle decisioni prese dalle singole Giunte Regionali per il vuoto normativo creatosi dopo la pronuncia della Consulta e per l’assenza delle più volte annunciate linee guida ministeriali.

È quanto sancito dal TAR Veneto, sez. III, nella pronuncia numero 501 depositata l’8 maggio 2015, dopo che il Consiglio di Stato, nella decisione numero 1486/2015 , ha annullato la decisione del TAR Lombardia ed ha abrogato la norma regionale che poneva gli esosi costi del trattamento a carico degli aspiranti genitori non si possono discriminare questi due tipi di PMA. Il caso. Una coppia voleva ricorrere all’eterologa, ma si vide opporre un rifiuto dalla struttura abilitata, cui si erano rivolti, in forza di una delibera della Giunta Regionale che recepiva il suddetto documento del 2014. Infatti il Veneto come Toscana, Emilia Romagna e Piemonte aveva imposto il limite di 43 anni per le donne che volevano ricorrervi in aperto contrasto, come detto, con quanto stabilito per la fecondazione omologa. Sono ricorsi vittoriosamente al TAR per denunciare come questo criterio sia contrario alla Cedu ed alla Costituzione. Quadro normativo. La prima Regione ad adottare linee guida sull’eterologa, dopo la sentenza numero 162/2014 della Consulta, fu la Toscana, recependo le direttive UE e quelle proposte dal Ministero della Salute. De facto confluirono nel DCRPA il limite per i donatori era di 20-35 anni per le donne, 18-40 per gli uomini, le donne che volevano sottoporsi ai trattamenti non potevano avere più di 43 anni. Le Regioni, così come per i costi esosi delle prestazioni, sono andate in ordine sparso solo il Friuli lo ha fissato a 50 anni per entrambi i tipi di PMA. Infine, per completezza d’informazione, si noti che non c’è omogeneità neppure a livello di leggi dei singoli Paesi dell’UE il limite massimo si attesta sui 45-47 anni la normativa comunitaria, poi, malgrado la delicatezza della materia è assai scarsa G. Milizia, Fecondazione eterologa tra scienza, etica e diritto dopo la C.cost. 162/14 . Disparità tra eterologa ed omologa e vuoto legislativo. Nel DCRPA si stabiliva che i criteri di accesso a carico del SSN già individuati per i cicli di omologa vengano estesi anche ai cicli di eterologa . La Regione sul punto richiamava la D.G.R. numero 822/2011 sull’omologa che però prevede un limite d’età più favorevole 50 anni. La discriminazione è palese, così come la contraddizione in cui è caduto il DCRPA nel fissare il limite contestato. Infatti nei criteri soggettivi richiama espressamente l’art. 5 l. numero 40/2004 che si riferisce alla donna in età potenzialmente fertile la comunità scientifica, nell’evidenziare i rischi della gravidanza in età avanzata, suggerisce di sconsigliare la PMA nello specifico l’eterologa a chi ha più di 50 anni. Questi due tipi sono species del genus PMA e la pratica di entrambi rientra nell’ambito dei LEA e quindi per entrambe il SSN deve farsi carico di assicurare, gratuitamente o mediante pagamento di ticket, la relativa assistenza . Unica condizione la PMA, anche eterologa, può essere richiesta da maggiorenni eterosessuali conviventi o sposati. Questa discriminazione è dovuta al vuoto normativo non ancora colmato visto che né il Parlamento, ove, per altro, giacciono diversi d.d.l., né il Governo sono intervenuti, anzi si è discusso se l’intervento normativo fosse necessario o meno si vedano le polemiche tra Lorenzin e Tesauro . Si ricordi, poi, che la CEDU ha più volte denunciato questo vuoto a livello comunitario ed internazionale è necessario stabilire norme comuni e condivise, anche se la legislazione in materia è rimessa alla discrezionalità dei singoli Stati Grand Chamber SH c. Austria del 3 novembre 2011 ed Evans c. Regno Unito del 10 aprile 2007 . Violate la Cedu e la Costituzione. Come detto la delibera impugnata è viziata da una fondamentale contraddizione da un lato assimila i due tipi di PMA, dall’altro richiama norme valide solo per l’omologa. Ciò è frutto di una non oculata valutazione circa le conseguenze che tale specificazione avrebbe comportato , tanto più che non è giustificata né sotto il profilo medico-scientifico, né sotto quello economico volontà di ridurre per tale tipo di PMA l’assistenza del SSN . È chiara la violazione dei diritti alla salute, alla genitorialità, all’uguaglianza costituzionalmente garantiti e degli artt. 8 serenità familiare e 14 divieto di discriminazione Cedu.

TAR Veneto, sez. III, sentenza 23 aprile – 8 maggio 2015, n. 501 Presidente Settesoldi – Estensore Farina Fatto Espongono i ricorrenti di essere una coppia di coniugi omissis , così come attestato dalla- omissis Da qui la volontà di fare ricorso alla procreazione medica assistita PMA mediante l’impiego di tecniche di tipo eterologo vista la situazione specifica della coppia al fine di conseguire il risultato auspicato e realizzare il desiderio di divenire genitori. Va preliminarmente precisato, in quanto rilevante ai fini della presente controversia, che, per quanto riguarda l’età anagrafica, la ricorrente, omissis Rivoltisi alle strutture abilitate per l’esecuzione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, nello specifico quella di tipo eterologo, ora eseguibile per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 162/2014 che ha dichiarato l’illegittimità in parte qua della legge n. 40/2004 che ammetteva la PMA solo omologa, i ricorrenti si vedevano opporre la circostanza per cui nella Regione Veneto per effetto della delibera della Giunta Regionale n. omissis , che a sua volta ha recepito il Documento sulle problematiche relative alla omissis eterologa a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 162/2014” della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome” il limite massimo di età per la donna per poter accedere alle tecniche di omissis eterologa è 43 anni di talché, omissis . Esaminata nel dettaglio la delibera assunta dalla Giunta regionale si poteva altresì rilevare che la Regione, nel recepire formalmente il contenuto e gli indirizzi dettati dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome circa i sistemi di PMA, aveva espressamente fatto salvi i criteri già in precedenza stabiliti per quanto riguarda la -OMISSIS omologa, unicamente ammessa nel pregresso, così come dettati mediante la DGR 822 del 4 giugno 2011. Orbene, in base a detta delibera il limite massimo di età per la donna, al fine di accedere alla PMA di tipo omologo, è 50 anni di conseguenza, proprio per effetto della ribadita vigenza delle prescrizioni contenute in tale DGR per la omissis omologa, quanto meno in ordine ai limiti di età per la donna, per effetto delle determinazioni assunte nella delibera n. omissis si è venuto a determinare, con riguardo all’assunzione dei costi a carico de SSN, un diverso trattamento per le donne che ambiscono alla omissis di tipo omologo che possono accedervi sino al compimento del cinquantesimo anno di età e quelle che ambiscono a quella di tipo eterologo che, proprio per effetto della precisazione operata dalla Regione in combinato con il contenuto del Documento recepito, debbono sottostare al limite del quarantatreesimo anno di età . Ritenendo quindi illegittima la delibera assunta dalla Giunta Regionale del Veneto, n. omissis , per i motivi di seguito esposti, con il ricorso in esame ne è stato chiesto il parziale annullamento, specificatamente nella parte in cui stabilisce l’accesso alle tecniche di omissis omissis a carico del Servizio Sanitario Nazionale fino al compimento del 43° anno di età della donna. A supporto della richiesta di annullamento gli istanti denunciano i seguenti vizi di legittimità Violazione degli artt. 2, 3, 29 e 32 della Costituzione Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità e disparità di trattamento, in quanto la previsione contenuta nella delibera impugnata, che fa salvi i criteri in precedenza dettati, anche per i limiti di età, per la omissis omologa, determina una evidente disparità di trattamento nei confronti dei soggetti che, non potendo, come i ricorrenti, per ragioni di salute, accedere alla omissis omologa, si vedono ridotte le possibilità di utilizzare tale tecnica di PMA erogata dal SSN. Detta situazione di disparità di trattamento contrasta con i principi dettati dalla Corte Costituzionale proprio nella sentenza che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge n. 40/2004, che ammetteva soltanto la omissis omologa, avendo il supremo consesso chiaramente affermato l’ammissibilità e l’analogia delle due tecniche di omissis assistita. Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità ed errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto Violazione dell’art. 5 della L. 40/2004 Mancanza di motivazione, in quanto l’imposizione del limite di 43 anni per l’eterologa non trova riscontro nella normativa nazionale, che richiama il criterio di età potenzialmente fertile”. Lo stesso Documento recepito dalla delibera impugnata risulta peraltro contraddittorio, in quanto per un verso richiama il limite dettato dalla normativa nazionale, sconsigliando l’esecuzione di tecniche di PMA su donne con età superiore ai cinquant’anni, dall’altro impone, senza alcuna motivazione, il limite del quarantatreesimo anno di età. Violazione degli artt. 8 e 14 della CEDU, anche in relazione all’art. 117 Cost., in quanto costituisce un’interferenza ingiustificata e discriminatoria nel diritto umano alla formazione della famiglia. La Regione Veneto si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso in quanto infondato, rilevando altresì la mancata notifica del gravame alla Conferenza delle Regioni e delle Province, in quanto autrice del Documento recepito dalla delibera impugnata. A tale specifica eccezione ha controdedotto parte istante, la quale ha chiarito che detto Documento non è oggetto di gravame, essendo stata denunciata unicamente la disparità di trattamento, con specifico riguardo all’età della donna per l’accesso alle tecniche di PMA eterologa a carico del SSN, ferma restando la natura di mero atto di indirizzo del Documento approvato dalla Conferenza. Rinunciata in occasione della Camera di Consiglio del 22 gennaio 2015 l’istanza cautelare, il ricorso veniva chiamato alla pubblica udienza del 23 aprile 2015 e quindi trattenuto in decisione. Diritto La controversia sottoposta all’esame del Collegio merita una breve ricostruzione della disciplina dettata in ambito nazionale per quanto riguarda la Procreazione medicalmente assistita PMA . Come noto, la materia è oggetto della legge n. 40/2004 che, prima dell’intervento della Corte Costituzionale di cui di dirà, era volta a disciplinare la sola ipotesi di omissis omologa, vietando espressamente, all’art. 4, ultimo comma, quella eterologa. L’art. 5 indica, quindi, i requisiti di carattere soggettivo per poter ricorrere alla PMA, stabilendo che Fermo restando quanto stabilito dall’art. 4, comma 1, possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”. Su tale normativa è intervenuta la nota pronuncia della Corte Costituzionale, n. 162/2014, che ha dichiarato incostituzionale il divieto di omissis assistita di tipo eterologo, così eliminando il divieto espresso contenuto nell’ultimo comma dell’art. 4. Come diffusamente argomentato sul punto sia in dottrina sia in giurisprudenza, la dichiarazione di incostituzionalità non ha generato un vuoto” normativo, in quanto, come rilevato dalla stessa Corte nella richiamata pronuncia, sebbene le due tecniche di -OMISSIS non siano fra di loro completamente assimilabili, resta oggettivo che esse rappresentano due species di un unico genus, di modo che escludere una delle due possibilità di PMA sarebbe stata di per sé irrazionale, mirando entrambe a superare le difficoltà di fertilità della coppia, realizzando obiettivi e risultati sostanzialmente analoghi. Conseguentemente se così testualmente la Corte è vero che, una volta dichiarato illegittimo il divieto di omissis eterologa, si aprono numerose questioni di regolamentazione della tecnica al fine di garantire la tutela di tutti i soggetti interessati, bisogna considerare che, a livello di legislazione primaria, esistono già riferimenti normativi adeguati, prima di tutto la stessa l. n. 40/2004 che disciplina la PMA in generale ed è quindi direttamente applicabile anche alle tecniche che si avvalgono di donazione di gameti”. In tal modo l’avviso della Corte è stato nel senso di giudicare irrazionale una discriminazione così assoluta fra le due tecniche di omissis , affermando che la disciplina dell’omologa può trovare applicazione anche per l’eterologa. Nell’assenza di un espresso intervento normativo dello Stato, cui spetta in via primaria la funzione di assicurare a tutti i soggetti che lo richiedano adeguati livelli di assistenza, fra cui è compresa la tecnica di omissis eterologa, sono state le Regioni ad intervenire con atti amministrativi finalizzati a rendere fruibile l’esercizio di un diritto la cui vigenza è ora riconosciuta da una disciplina nell’ambito della quale sono contenuti i principi generali da osservare. Si è quindi riunita in data 4 settembre 2014 la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome la quale ha approvato un Documento contenente le linee guida da seguire a livello nazionale con precise indicazioni cliniche. In tale Documento la procreazione assistita, mediante tecniche sia omologhe che eterologhe, viene inserita nei LEA, ossia in quei servizi che lo Stato eroga ai cittadini gratuitamente o previo pagamento di un ticket. Va, peraltro, dato atto che in tale Documento, nella parte conclusiva, relativa alla Fattibilità e aspetti finanziari della omissis omologa ed eterologa”, viene espressamente proposto che i criteri di accesso a carico del SSN che comprendono l’età della donna fino al compimento del 43 anno ed il numero di cicli che possono essere effettuati nelle strutture sanitarie pubbliche massimo 3 ” già individuati per i cicli di omologa vengano estesi anche ai cicli di eterologa. In buona sostanza, con il suddetto Documento, espressamente approvato in considerazione dei tempi tecnici nell’attesa dell’intervento del Parlamento, si è voluto assicurare comunque i livelli di assistenza in ordine a tale pratica di omissis assistita, così come assicurati dal SSN. La Giunta regionale del Veneto ha quindi recepito formalmente il contenuto del Documento, facendo proprie, condividendole, le proposte in esso contenute, adottando la delibera n. omissis , qui contestata, la quale, pur dichiarando di recepire in toto quanto stabilito dalla Conferenza, ha tuttavia precisato che per quanto attiene alla omissis omologa viene confermato quanto già previsto dalla DGR n. 822 del 4 giugno 2011 ”. L’inciso così riportato è l’oggetto del ricorso in esame, ove i ricorrenti, per i motivi già anticipati in fatto, lamentano la violazione dei diritti di eguaglianza e della famiglia, di matrice costituzionale, non ravvisandosi nella delibera assunta dalla Giunta alcuna motivazione che possa avvallare e giustificare la scelta specifica operata dalla Regione Veneto, che, per effetto del richiamo alla DGR 822/11, ha mantenuto solo per i casi di omissis omologa i criteri in precedenza dettati, i quali, per quanto interessa i ricorrenti, garantivano la possibilità per la donna di essere sottoposta ai cicli di omissis sino all’età di 50 anni. Prima di affrontare l’esame della fondatezza delle censure dedotte avverso la delibera regionale, è il caso di sottolineare alcuni profili di carattere preliminare. Va innanzitutto premesso che l’interesse fatto valere dai ricorrenti, così come rappresentato in ricorso, è quello di ottenere, senza ingiustificate discriminazioni, anche per le ipotesi di eterologa, l’applicazione dei criteri mantenuti validi, per effetto della deliberazione qui impugnata, per l’omologa, così potendo usufruire del limite di età della donna più favorevole e che, conseguentemente, anche la decisione richiesta in ordine ai profili di illegittimità denunciati previsione discriminatoria che impone il limite di età più restrittivo solo per l’eterologa deve essere limitata al suddetto petitum, onde accertare se detta diversa regolamentazione sia legittima o meno in relazione alla denunciata disparità di trattamento e se abbia un adeguato supporto motivazionale. Invero, come puntualmente specificato nell’epigrafe del ricorso, oggetto della richiesta di annullamento, in parte qua della delibera regionale, è la prescrizione che stabilisce solo per l’eterologa il limite del 43° anno di età per la donna. Ciò chiarito, si deve, in primo luogo, evidenziare la natura di atto di indirizzo del Documento elaborato dalla Conferenza, che non rappresenta un atto amministrativo infatti, parte ricorrente nella memoria conclusiva ha precisato di non aver inteso proporre impugnazione avverso lo stesso , bensì una proposta congiuntamente elaborata dai partecipanti alla Conferenza onde fornire alle singole Regioni le linee giuda per procedere, onde assicurare adeguati livelli di assistenza. Ed, infatti, come agevolmente ricavabile da una semplice indagine circa le diverse soluzioni poi adottate dalle singole Regioni, non tutte hanno ritenuto di uniformarsi alla proposta della Conferenza. Proprio in ordine all’età della donna, infatti, alcune Regioni hanno applicato il limite di 43 anni senza operare distinzioni ad es. Piemonte, Emilia Romagna , altre hanno ritenuto di estendere ad entrambe il limite di età sino a 50 anni Friuli Venezia Giulia . In secondo luogo, va dato atto che lo stesso Documento, nell’affrontare il profilo dei requisiti soggettivi pag. 3 , ha espressamente richiamato quanto stabilito dall’art. 5 della legge 40/2004, facendo leva sull’ età potenzialmente fertile” dei soggetti. Allo stesso tempo, viene dato atto che tale riferimento all’età fertile, secondo lo studio effettuato dalla comunità scientifica, deve tenere conto delle complicanze e dei pericoli che possono sopravvenire in una gravidanza in età eccessivamente avanzata, da cui il suggerimento di sconsigliare comunque la pratica eterologa su donne di età superiore a 50 anni. Proprio tenendo conto di tutte le osservazioni sin qui svolte, il Collegio è dell’avviso che il ricorso proposto dai signori omissis – omissis sia fondato. Indubbiamente, come già evidenziato, l’intervento della Corte Costituzionale ha chiarito che la PMA può essere praticata mediante l’utilizzo di tecniche omologhe e di tecniche eterologhe, essendo queste entrambe species di un unico genus. La pratica di PMA, nelle due forme ora legittimamente praticabili, rientra nell’ambito dei LEA e quindi per entrambe il SSN deve farsi carico di assicurare, gratuitamente o mediante pagamento di ticket, la relativa assistenza. La riconosciuta assenza di un vuoto normativo, colmato dalla presenza di una normativa statale applicabile anche alla omissis eterologa, in quanto analoga, pur se con differenze oggettive proprie della sua specificità, a quella omologa, deve indurre a ritenere valide anche per tale tecnica le regole di principio già dettate dal legislatore nazionale. Orbene, per quanto riguarda l’età della donna, la norma nazionale non dà indicazione precisa, ma fa riferimento all’età potenzialmente fertile, che quindi deve valere per entrambe le ipotesi. Il contestato intervento della Regione, che ha diversamente disciplinato – per quanto interessa i ricorrenti – il profilo relativo all’età della donna per essere ammessa ai cicli di eterologa, si pone in evidente contrasto sia con la normativa statale che non fa distinzioni , sia con i principi generali di eguaglianza, così come ricordati dalla stessa Corte Costituzionale proprio in occasione dell’affermata analogia delle due tecniche procreative assistite. La distinzione conseguente al mantenimento, per la sola omologa, dei criteri e dei requisiti soggettivi più favorevoli 50 anni rispetto alla eterologa 43 non è in alcun modo giustificata, tanto da apparire frutto di una non oculata valutazione circa le conseguenze che tale specificazione avrebbe comportato. Nessuna argomentazione è stata svolta a supporto della scelta di differenziare l’accesso alle due tecniche, né sotto il profilo medico-scientifico, né sotto quello economico volontà di ridurre per tale tipo di omissis l’assistenza del SSN . Contraddittorio è altresì il comportamento della Regione, che da un lato ha dichiarato di recepire, facendolo proprio, quanto proposto dalla Conferenza, che, come si è visto, ha palesemente assimilato, per l’età e per il numero di cicli effettuabili, le due tipologie di omissis , dall’altro ha, senza alcuna giustificazione espressa, ritenuto di differenziare, mediante il richiamo alla pregressa disciplina valida per la sola omologa, il relativo trattamento, oggettivamente più favorevole. Questi profili inducono quindi il Collegio ad accogliere il ricorso proposto, in parte qua, avverso la delibera impugnata, in quanto viziata per violazione dei principi costituzionali di eguaglianza, nonché del diritto alla genitorialità ed alla salute, disponendone l’annullamento nella parte in cui ha ritenuto di applicare solo nel caso della PMA eterologa il limite di età di 43 anni per la donna. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidiate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza , definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla in parte qua, come specificato in motivazione, la delibera impugnata. Condanna la Regione intimata al pagamento delle spese di lite, liquidandole in favore dei ricorrenti nella somma di € 2500,00 duemilacinquecento/00 , più oneri di legge, oltre alla refusione del contributo unificato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.