Opere d'arte e vincoli pretestuosi

Il Consiglio di Stato porta in primo piano le complesse questioni collegate ai beni culturali e alla libertà di stabilimento prevista dal diritto dell'Unione europea. Ciò in quanto il vincolo della non trasferibilità del bene al di fuori dei confini nazionali porterebbe inevitabilmente alla diminuzione del valore dell'opera d'arte.

Così si è espresso il Consiglio di Stato nella sentenza n. 6046, depositata il 10 dicembre 2014. Il caso. Può succedere, infatti, come nel caso specifico ha lamentato il proprietario di un quadro di Frans Floris che il contegno degli Organi ministeriali sia ispirato dall’intenzione di impedire comunque e in assenza di ragioni legittime l’uscita dal territorio nazionale di un dipinto, in tal modo diminuendone in modo surrettizio la quotazione sul mercato, sì da consentirne l’acquisto a condizioni ingiustificatamente vantaggiose, probabilmente al fine di destinare l’opera nel caso trattato alla Galleria Nazionale della Liguria di Palazzo Spinola. Ma ciò, a giudizio del collezionista d'arte, paleserebbe profili di contrasto con la normativa comunitaria e, in particolare, con il principio di libera circolazione il quale investe anche i mercati delle opere d’arte al cui libero sviluppo non potrebbe essere utilmente opposta una sorta di ‘eccezione di nazionalità’, fondata sulla sussistenza di un qualunque legame dell’opera con l’esperienza nazionale . Insomma, se viene smentito l’interesse artistico e storico particolarmente importante del dipinto di Frans Floris raffigurante una ‘Allegoria della Virtù’ che aveva fondato in modo pressoché esclusivo la determinazione vincolistica sull’assunto secondo cui il dipinto in questione potesse essere letto come un’allegoria della città di Genova non c'è ragione alcuna per mantenere il vincolo. E se la Soprintendenza insiste sulla propria posizione non può non sorgere il dubbio circa il fatto che l’amministrazione abbia operato in modo preconcetto, sostanzialmente sleale e comunque contraddittorio e inattendibile. Se ha frazionato nel corso del tempo le ragioni ostative effettive o presunte di cui aveva – o avrebbe dovuto avere - piena contezza sin dal primo esame della complessiva vicenda. Obbligo di trasparenza. Il Consiglio di Stato ha richiamato i principi di trasparenza rilevando che, nel caso in questione, gli Organi del Ministero appellato hanno agito, nel corso della complessiva vicenda, in contrasto con il divieto di aggravio del procedimento codificato dall'art. 1, comma 2, l. n. 241/1990 e con il più generale dovere di clare loqui , in virtù del quale l'interessato deve essere posto in condizione di compiutamente, coerentemente e tempestivamente conoscere, ai fini delle proprie conseguenti e consapevoli determinazioni, le ragioni ostative alla sua pretesa. La motivazione è finalizzata a consentire all'interessato la ricostruzione dell’iter logico e giuridico della determinazione dell'amministrazione, per consentirgli di vagliarla e di orientare responsabilmente le proprie scelte, ivi incluso l'eventuale ricorso alla tutela giudiziale cfr. ex plurimis CdS n. 4983/2012 n. 6042/2011 n. 25/2011 n. 5165/2010 n. 4331/2010 n. 2084/2010 . Nel caso in esame, dal complesso degli atti adottati dall'amministrazione emerge il dato preminente di una volontà comunque orientata a confermare la sussistenza del vincolo a suo tempo imposto, senza che fossero coerentemente, univocamente e tempestivamente indicate le concludenti ragioni della conferma e pretermettendo almeno, sotto il versante sostanziale l’effettività dell’interlocuzione assicurata dalla l. n. 241/1990. Pertanto, la Sezione ha disposto l'annullamento del provvedimento impugnato in primo grado, con il quale era stato confermato il vincolo, per avere l’amministrazione gestito la vicenda in modo incongruo e violativo dei canoni di correttezza e buona fede, nonché del generale principio del clare loqui , in tal modo esercitando in modo abnorme – e con profili di sviatorietà – gli ulteriori margini valutativi che, pure, dovevano esserle riconosciuti in sede di riadozione del potere amministrativo conseguente alla originaria sentenza di annullamento.

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 28 ottobre – 10 dicembre 2014, n. 6046 Presidente Barra Caracciolo – Estensore Contessa Fatto I termini fattuali della vicenda all’origine del presente ricorso sono descritti nei termini che seguono nell’ambito dell’impugnata sentenza del T.A.R. della Lombardia n. 3239/2011. Con decreto del 2 ottobre 2007, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali d’ora innanzi ‘il Ministero appellato’ o ‘il MIBAC’ , respingeva l’istanza presentata dal signor A. C. C. odierno appellante al fine di ottenere la revisione del provvedimento ministeriale del 22 ottobre 2004 di apposizione del vincolo culturale, ai sensi dell’articolo 10, comma 3, lettera a del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 ‘Codice dei beni culturali e del paesaggio’ , sul dipinto attribuito al pittore fiammingo del XVI secolo Frans Floris e raffigurante una ‘Allegoria della Virtù’ altrove ‘Allegoria dell’immortalità della virtù’ . Avverso il richiamato provvedimento il signor C. C. proponeva dinanzi al T.A.R. della Lombardia un primo ricorso che quel Tribunale accoglieva disponendo l’annullamento del vincolo con sentenza n. 5347 del 15 dicembre 2009. Detta sentenza era impugnata dal MIBAC dinanzi a questo Consiglio di Stato il quale rigettava tuttavia l’appello, in tal modo confermando gli esiti del ricorso di primo grado sentenza 30 luglio 2010, n. 5063 . A seguito di tale sentenza il Ministero appellato, con decreto prot. 816 del 27 gennaio 2011, a firma del Direttore Regionale della Lombardia, confermava la dichiarazione di interesse storico ed artistico del dipinto per cui è causa. Avverso il decreto ministeriale in questione insorgeva nuovamente il signor C. C. il quale chiedeva in primo luogo che fosse dichiarata a nullità del provvedimento di conferma del vincolo per elusione del giudicato formatosi sulla sentenza del T.A.R. della Lombardia n. 5347/2009. Ma, anche a prescindere dai dedotti profili di nullità, l’odierno appellante chiedeva l’annullamento del decreto di conferma del vincolo per violazione della pertinente disciplina comunitaria e nazionale, nonché per travisamento dei fatti, eccesso di potere per difetto dei presupposti e carenza di motivazione. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale adito ha respinto il ricorso ritenendolo infondato. La sentenza in questione è stata gravata in appello dal signor C. C. il quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi. Con il primo motivo Erroneità della sentenza appellata per violazione dei principi sul giudizio di ottemperanza – Nullità del provvedimento impugnato in primo grado ai sensi dell’articolo 21-septies della l. 241 del 1990 per elusione del giudicato l’appellante lamenta che i primi Giudici avrebbero erroneamente respinto il motivo di ricorso con cui si era chiesto di dichiarare la nullità del provvedimento di conferma del vincolo in data 2 ottobre 2007 per elusione e/o violazione del giudicato formatosi sulla sentenza del T.A.R. della Lombardia n. 5347/2009 in seguito confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 5063/2010 . Con la sentenza n. 5347, cit., i primi Giudici avevano già stigmatizzato il fatto che l’amministrazione, nell’adottare il provvedimento in data 2 ottobre 2007 – di conferma del vincolo già apposto con provvedimento in data 22 ottobre 2004 -, avesse a tal fine introdotto nella vicenda ragioni, circostanze e valutazioni del tutto nuove e diverse rispetto a quelle che avevano indotto all’originaria apposizione del vincolo ragioni, queste ultime, la cui infondatezza aveva indotto l’odierno appellante ad avviare il procedimento di revisione . Quindi, stante la portata conformativa della sentenza di annullamento del primo provvedimento di conferma del vincolo quello dell’ottobre 2007 , l’amministrazione avrebbe potuto e dovuto limitarsi – in sede di rivalutazione della complessiva vicenda – ad esaminare le circostanze già considerate al fine dell’originaria apposizione del vincolo. Al contrario, restava radicalmente precluso all’amministrazione di adottare un nuovo provvedimento di conferma del vincolo il secondo basato ancora una volta su fattori e circostanze del tutto nuovi e diversi tanto rispetto a quelli originariamente posti a fondamento del vincolo ottobre 2004 , tanto rispetto a quelli posti a fondamento del primo provvedimento di conferma ottobre 2007 . Sotto tale aspetto la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per avere i primi Giudici affermato che, in ipotesi quale quella che qui viene in rilievo, non sarebbe possibile accedere allo strumento del giudizio di ottemperanza con conseguente declaratoria di nullità per elusione del giudicato degli atti impugnati , non potendosi ritenere che il vincolo conformativo rinveniente dalla sentenza della cui esecuzione si discute fosse talmente stringente da ammettere l’esperibilità del rimedio di cui all’articolo 112 del cod. proc. amm. Al contrario, laddove i primi Giudici avessero riguardato la complessiva vicenda di causa alla luce dei più recenti orientamenti normativi e giurisprudenziali, non avrebbero potuto escludere l’applicabilità alla vicenda di causa del rimedio dell’ottemperanza, avendo l’amministrazione – in sede di riedizione del potere – realizzato una palese alterazione dell’assetto giuridico del rapporto controverso per come delineata dalla sentenza di primo grado n. 5347/2009 confermata dalla sentenza di appello n. 5063/2010 . Del resto, se è vero che la sentenza di appello da ultimo richiamata aveva fatto espressamente salvi gli ulteriori atti di competenza dell’amministrazione appellata, è pur vero che, in sede di ri- determinazione, quest’ultima non avrebbe potuto agire in modo del tutto libero e autonomo, ma avrebbe certamente dovuto rispettare i vincoli espressi e impliciti rivenienti dalle due sentenze a sé sfavorevoli, che ne vincolavano in modo piuttosto stringente le ulteriori attività. Ne consegue che il potere pure espressamente riconosciuto all’amministrazione di rideterminarsi sul punto, non poteva essere fondato su qualsiasi motivo anche del tutto nuovo in relazione alla fattispecie , ma doveva essere limitato al rinnovato esame degli stessi elementi in fatto e in diritto che avevano governato l’originaria imposizione del vincolo ci si riferisce, in particolare, alla circostanza per cui il dipinto per cui è causa rappresentasse una testimonianza dello stretto collegamento fra Frans Floris e la Repubblica ligure nel corso degli anni Quaranta del Cinquecento . Al contrario, il semplice esame delle ragioni poste a fondamento del nuovo provvedimento di conferma del vincolo impugnato in primo grado confermerebbe che l’amministrazione avesse fondato tale determinazione su fattori e circostanze ad es. rarità del dipinto e qualità pittorica dello stesso mai in precedenza emerse o evidenziate nel corso della pluriennale vicenda. Del resto, le qualità pittoriche del dipinto erano state evidenziate dagli Organi del Ministero appellato già nel corso del 2006 e del 2007, senza che tale circostanza valesse ex se a supportare la dichiarazione di interesse artistico particolarmente importante di cui all’articolo 10 del decreto legislativo n. 42 del 2004. Pertanto, la circostanza per cui gli Organi ministeriali abbiano ritenuto solo nel gennaio del 2011 e cioè a quasi sette anni di distanza dalla prima qualificazione come bene culturale che la qualità pittorica del dipinto in questione valesse a qualificarlo come di interesse artistico particolarmente importante costituirebbe ancora una volta un indice dello sviamento che ha caratterizzato l’intera vicenda. Inoltre, dal complessivo contegno tenuto nel corso della vicenda dagli Organi periferici del Ministero appellato emergerebbero gravi profili di contraddittorietà in considerazione del fatto che questi ultimi avrebbero dapprima convenuto sul fatto che il superamento delle ragioni poste a fondamento della prima dichiarazione di notevole interesse pubblico deponesse nel senso della rimozione del vincolo, salvo poi ricredersi e opinare in senso diametralmente opposto e, peraltro, in senso contrario rispetto a quanto scaturente dal contenuto conformativo delle decisioni rese nel corso della vicenda dal Giudice amministrativo . A conclusioni non dissimili da quelle appena divisate dovrebbe giungersi in relazione alle ulteriori ragioni poste a fondamento del decreto impositivo del vincolo del gennaio 2011 ci si riferisce, in particolare, al ritenuto carattere allegorico ed encomiastico dell’opera anche in questo caso, infatti, si tratterebbe di valutazioni e circostanze del tutto nuove, mai in precedenza ritenute rilevanti ai fini delle valutazioni di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 42 del 2004 e inammissibilmente introdotte nell’ambito della fattispecie sono in sede di adozione del terzo decreto impositivo. Con il secondo motivo Erroneità della sentenza appellata. Violazione degli articoli 1, 2, 3, 10, comma 3 e 13 del decreto legislativo n. 42 del 2004 anche in relazione all’articolo 9 della Costituzione, agli articoli da 34 a 36 del TFUE e all’articolo 2 del regolamento CE 18 dicembre 2008, n. 116/2009 – Eccesso di potere per difetto dei presupposti e carenza di motivazione l’appellante lamenta il mancato accoglimento, da parte dei primi Giudici, del motivo di ricorso con cui si era lamentata la violazione dei principi – anche internazionali – che limitano la possibilità di vincolare un’opera d’arte alla sussistenza di un interesse particolarmente importante rispetto all’esigenza di conservare l’integrità del patrimonio storico e artistico italiano. Sotto tale aspetto i primi Giudici avrebbero erroneamente aderito a un principio – per così dire – ‘universalistico’ in ordine alla qualificazione di un’opera quale ‘bene culturale’ in relazione al suo collegamento con l’ambito nazionale, sino ad affermare, di fatto, che la presenza di un qualunque collegamento dell’opera stessa con l’ambito nazionale varrebbe a qualificare un’opera come parte integrante e indefettibile del patrimonio storico e artistico del Paese. Tuttavia, l’adesione a una siffatta prospettazione paleserebbe profili di contrasto con la normativa comunitaria e, in particolare, con il principio di libera circolazione il quale investe anche i mercati delle opere d’arte al cui libero sviluppo non potrebbe essere utilmente opposta una sorta di ‘eccezione di nazionalità’, fondata sulla sussistenza di un qualunque legame dell’opera con l’esperienza nazionale . A tacer d’altro, la circostanza per cui la pittura di Frans Floris risultasse influenzata dai modelli italiani non costituirebbe indice di un particolare legame con il nostro Paese, rappresentando – piuttosto – un dato del tutto fisiologico in relazione alla profonda influenza che l’arte figurativa italiana era comunque in grado di manifestare nel corso del XVI secolo sull’intera produzione europea. Ed ancora, la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per avere i primi Giudici omesso di esaminare il motivo con cui si era censurato il richiamo – operato dall’Amministrazione appellata – ai criteri dettati da una circolare ministeriale del 13 maggio 1974 disciplinante i limiti all’esportabilità delle opere d’arte. Sotto tale aspetto i primi Giudici avrebbero omesso di considerare - che la circolare in questione la quale vieta va l’uscita dal territorio nazionale di opere d’arte quando ciò fosse idoneo ad arrecare un danno al patrimonio storico e culturale nazionale fosse stata superata dalla successiva evoluzione normativa e, in particolare, dai decreti legislativi numm. 490 del 1999 e 42 del 2004 . Ed infatti la normativa nazionale sopravvenuta ha superato il principio secondo cui il divieto di esportazione possa essere opposto a fronte di un non adeguatamente definito nocumento per l’integrità del patrimonio culturale nazionale e ha previsto che un siffatto divieto possa essere opposto solo in caso di conclamato accertamento di interesse particolarmente importante dell’opera - che la circolare ministeriale del 1974 risulterebbe comunque illegittima sia per violazione delle previsioni di cui al decreto legislativo n. 42, cit., sia per violazione dei principi rinvenienti dalla Convenzione EDU del 4 novembre 1950 e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha fissato i presupposti e le condizioni – qui disattesi – perché gli Stati membri possano opporre in modo legittimo il divieto di esportazione di opere d’arte . Con il terzo motivo Erroneità della sentenza appellata. Violazione degli articoli 1, 2, 3, 10, comma 3 e 13 del decreto legislativo n. 42 del 2004 – Eccesso di potere per carenza dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di motivazione, contraddittorietà e illogicità manifesta, nonché eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità manifeste e per disparità di trattamento – Sviamento di potere il signor C. C. chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui, dopo aver ritenuto rilevanti ai fini del decidere i giudizi resi dagli Organi ministeriali circa la qualità pittorica del dipinto, i primi Giudici hanno affermato la sostanziale insindacabilità dei giudizi a tal fine espressi dagli Organi medesimi. In tal modo decidendo i primi Giudici avrebbero omesso di considerare - che non è possibile operare un così esteso self-restraint in ordine al vaglio giurisdizionale sull’esercizio della discrezionalità tecnica, a meno di non voler scivolare verso inammissibili forme di sostanziale non giustiziabilità delle posizioni giuridiche soggettive - che l’amministrazione aveva operato in modo del tutto contraddittorio, avendo ammesso alcuni anni prima 1995 l’uscita dal territorio nazionale di altre opere dello stesso Frans Floris - che il riferimento all’‘eccellenza qualitativa’ del dipinto, oltre ad essere stato tardivamente introdotto nella complessiva fattispecie, risultava altresì contraddetto da concrete circostanze fattuali ad es. i dipinti di Frans Floris privi di firma presenterebbero un valore relativo fortemente diminuito - che il riferimento alla ‘rarità’ del dipinto risulterebbe anch’esso smentito dalle risultanze in atti, atteso che il catalogo dell’Autore pubblicato negli anni Settanta del Novecento annovera oltre centonovanta opere e che molte di esse sono presenti sul territorio nazionale e fruibili dal grande pubblico il che destituisce di fondamento anche l’affermazione relativa al rischio di dispersione delle opere dell’artista in questione - che parimenti infondata sarebbe l’affermazione – posta a fondamento dell’imposizione del vincolo – relativa al ‘particolare significato della rappresentazione’ il quale, secondo il MIBAC deriverebbe dalla circostanza che trattasi dell’unico dipinto attualmente noto dell’autore raffigurante un’allegoria di soggetto profano a carattere encomiastico”. Anche sotto tale aspetto il Ministero appellato e in seguito i primi Giudici avrebbero omesso di considerare che l’affermazione in parola risultasse smentita dalla documentazione in atti ad esempio, dalla circostanza – storicamente accertata – per cui Frans Floris avesse dipinto un intero ciclo di allegorie delle Virtù - che, infine, sarebbe infondato il motivo relativo alla presunta ‘particolare difficoltà di ulteriore acquisizione’ di ulteriori opere di Frans Floris. Sotto tale aspetto, i primi Giudici avrebbero illegittimamente omesso di valutare i che le opere di Frans Floris sono adeguatamente presenti in collezioni pubbliche nazionali ii che tali opere sono reperibili in modo piuttosto agevole sul mercato internazionale delle opere d’arte - che, in particolare, due importanti opere di Frans Floris ‘Adamo ed Eva con Caino e Abele’ e ‘Adamo ed Eva piangono la morte di Abele’ , inizialmente presenti in collezioni Italiane fino almeno al 1995, risultano in seguito trasferite all’estero esse sono attualmente di proprietà del Koninklijk Museum voor Schone Kunsten di Anversa . Ciò dimostra in via indiretta che, per le opere in questione, l’amministrazione appellata abbia rilasciato il nulla-osta all’esportazione di cui al comma 3 dell’articolo 68 del decreto legislativo n. 42, cit. e che – ancora una volta – il contegno complessivamente tenuto dagli Organi ministeriali nel corso dell’intera vicenda si sia caratterizzato per rilevanti profili di contraddittorietà - che, infine, il contegno complessivo tenuto nel corso della vicenda da parte degli Organi ministeriali sembrerebbe ispirato dall’intenzione di impedire comunque e in assenza di ragioni legittime l’uscita dal territorio nazionale del dipinto, in tal modo diminuendone in modo surrettizio la quotazione sul mercato, sì da consentirne l’acquisto a condizioni ingiustificatamente vantaggiose, probabilmente al fine di destinare l’opera alla Galleria Nazionale della Liguria di Palazzo Spinola. Si è costituito in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello. Con ordinanza n. 3143/2012 resa all’esito della camera di consiglio del 31 luglio 2012 questo Consiglio ha dichiarato il non luogo a provvedere dell’istanza cautelare di sospensione degli effetti della sentenza impugnata, proposta in via incidentale dal signor C. C Alla pubblica udienza del 28 ottobre 2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione. Diritto 1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal proprietario di un dipinto attribuito al pittore fiammingo del XVI secolo Frans Floris avverso la sentenza del T.A.R. della Lombardia con cui è stato respinto il ricorso da lui proposto avverso gli atti con cui il Ministero per i beni e le attività culturali dopo due sentenze sfavorevoli sul punto ha confermato il riconoscimento di ‘bene culturale’ del dipinto in questione articolo 10, comma 1, lettera a del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e il conseguente divieto di uscita del dipinto dal territorio della Repubblica. 2. Il ricorso è fondato, nei termini che seguono. 3. Si ritiene qui di richiamare alcune circostanze in fatto rilevanti ai fini del decidere, ulteriori rispetto a quelle richiamate in narrativa. Il primo provvedimento dichiarativo dell’interesse artistico e storico particolarmente importante del dipinto di Frans Floris raffigurante una ‘Allegoria della Virtù’ - altrove ‘Allegoria dell’immortalità della virtù’ si tratta del provvedimento in data 22 ottobre 2004 aveva fondato in modo pressoché esclusivo la determinazione vincolistica sull’assunto secondo cui il dipinto in questione potesse essere letto come un’allegoria della città di Genova ragione per cui il quadro in questione avrebbe rappresentato un notevole arricchimento per il raro corpus delle opere testimonianti lo stretto collegamento fra Frans Floris e la Repubblica ligure negli anni quaranta del Cinquecento” . A seguito di una specifica e motivata istanza di riesame del vincolo proposta dall’odierno appellante, la competente Soprintendenza per la Lombardia aveva in un primo momento espresso parere favorevole alla rimozione del vincolo, riconoscendo la complessiva inconsistenza delle ragioni originariamente poste a fondamento dell’atto di vincolo. Ciononostante, con il secondo provvedimento rilevante ai fini della presente ricostruzione ci si riferisce all’atto in data 2 ottobre 2007, reiettivo dell’istanza di revisione del vincolo l’amministrazione appellata aveva in parte spostato il focus delle proprie affermazioni e, pur avendo superato l’argomento basato sulla presunta lettura dell’opera come allegoria della città di Genova si tratta di un argomento in effetti riconosciuto come errato in fatto , aveva nondimeno affermato che esso rappresentasse una possibile testimonianza del collegamento fra l’artista e la committenza genovese, anche in considerazione dei rapporti intercorsi fra Frans Floris e alcuni mecenati e collezionisti genovesi residenti ad Anversa. Gli argomenti e le supposizioni poste a fondamento del provvedimento dell’ottobre 2007 non hanno resistito al vaglio in sede giurisdizionale. In particolare, il T.A.R. della Lombardia sentenza n. 5347/2009 ha ritenuto che il provvedimento di conferma del vincolo fosse fondato su elementi storici privi di un qualunque riscontro effettivo nell’opera e, comunque, frutto di un’istruttoria incompleta. In particolare, l’elemento centrale su cui risultava fondato il provvedimento dell’ottobre 2007 i.e. la ritenuta testimonianza dei rapporti fra l’Autore e la committenza genovese residente ad Anversa era stato giudicato fondato su semplici ‘supposizioni e presunzioni’ invero prive di un qualunque riscontro fattuale nel contesto dell’opera esaminata. Anche questo Consiglio di Stato sentenza n. 5063/2010 aveva confermato l’erroneità delle deduzioni dell’amministrazione osservando che [è] insufficiente – a supporto del mantenimento del regime vincolistico sul bene – il collegamento ai pretesi rapporti tra il pittore Floris ed i mercanti genovesi residenti ad Anversa all’epoca cui l’opera risale”. Nell’occasione questo Giudice di appello, nel respingere l’appello proposto dal MIBAC, aveva affermato che l’insistenza del richiamo ad alcune circostanze storiche, tra l’altro non provate, è segno della volontà dell’Amministrazione di non voler ridefinire il giudizio, alla luce dei nuovi elementi apportati dal ricorrente dell’istanza di revisione, ma di ricercare ulteriori motivazioni, atte a giustificare la precedente scelta, compiuta sulla base di un errore lapalissiano”. Pertanto, il provvedimento di conferma del vincolo il secondo della serie che qui rileva era stato correttamente annullato, pur facendo salve le attribuzioni della competente Autorità, all’esito di una più approfondita istruttoria, in sede di rideterminazione sull’istanza di revisione”. A questo punto della vicenda, nonostante il parere espresso dalla Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici di Milano in data 2 dicembre 2010 nel senso della rimozione del vincolo, il Ministero appellato adottava comunque confermato nuovamente il vincolo stesso, introducendo nella fattispecie e per la terza volta elementi e circostanze del tutto nuove e ulteriori rispetto a quelle che erano state poste a fondamento dei primi due provvedimenti. In tale occasione, in particolare e dopo avere abbandonato definitivamente gli argomenti basati sul collegamento - diretto o presuntivo – dell’opera con la città di Genova e con i suoi mecenati , il MIBAC fondava il provvedimento di conferma del vincolo a sull’eccellenza qualitativa del dipinto b sulla sua ‘rarità’ c sull’oggettivo carattere di interesse della rappresentazione d sulla particolare difficoltà di ulteriori acquisizioni di opere similari. 4. Tanto premesso ai fini della più compiuta ricostruzione della vicenda, il Collegio ritiene che la corretta impostazione della res controversa imponga di esaminare in sequenza logica le seguenti questioni - se possa affermarsi che, nel caso in esame, sussistano le condizioni per rendere una pronuncia declaratoria di nullità degli atti impugnati in primo grado per violazione o elusione del giudicato ci si riferisce, in particolare, al decreto di conferma del vincolo del 27 gennaio 2011 - in caso contrario ed anche ad ammettere che i vincoli rinvenienti dal giudicato di cui alla sentenza del TAR della Lombardia n. 5347/2009 e di cui alla sentenza di questo Consiglio n. 5063/2010 non fossero tali da supportare la richiamata declaratoria di nullità , se il contegno complessivamente tenuto dal Ministero appellato – e gli atti in cui esso si è tradotto – risultino o meno affetti dai lamentati profili di eccesso di potere per contraddittorietà, difetto di istruttoria e motivazione. 5. Il Collegio ritiene che al primo quesito sia da fornire risposta in senso negativo. Si ritiene, in particolare, che all’indomani del giudicato di annullamento di cui alla sentenza del T.A.R. della Lombardia, n. 5347/2009 puntualmente confermato in sede di appello dalla sentenza n. 5063/2010 non restasse in radice preclusa all’amministrazione ogni ulteriore valutazione in ordine ai presupposti in fatto e in diritto per l’eventuale adozione di un provvedimento di rimozione del vincolo imposto sul bene nell’ottobre del 2004. Al riguardo il Collegio ritiene di richiamare, in quanto pertinenti, le statuizioni rese dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio 5 gennaio 2013, n. 2. Nell’occasione è stato chiarito che la pur necessaria esigenza di certezza propria del giudicato non può comunque proiettare l’effetto vincolante nei riguardi di tutte le situazioni sopravvenute di riedizione di un potere ove questo, pur prendendo atto della decisione del Giudice, coinvolga situazioni nuove o non contemplate in precedenza punto 5 della motivazione in diritto . L’Adunanza plenaria di questo Consiglio ha in tal modo inteso superare il pregresso orientamento invero, invocato dall’odierno appellante secondo cui l’applicazione del principio di effettività della Giustizia amministrativa postulerebbe il divieto di ogni riedizione del potere amministrativo a seguito di un giudicato sfavorevole per l’amministrazione. Al riguardo si è ritenuto che tale indirizzo non tenesse adeguatamente conto della residua sfera di autonomia e responsabilità che, pure, in siffatte ipotesi deve essere necessariamente riconosciuta all’amministrazione medesima e fatte salve le ipotesi in cui il giudicato di annullamento abbia recato l’accertamento definitivo circa la spettanza dell’utilità cui tendeva l’originaria proposizione dell’azione in sede giurisdizionale, sì da non lasciare residuare in capo all’amministrazione alcun ulteriore margine di valutazione . Ebbene, riconducendo i principi in tal modo enunciati alle peculiarità del caso di specie, deve osservarsi che dal giudicato rinveniente dalle richiamate sentenze numm. 5347/2009 e 5063/2010 le quali, pure, avevano censurato in termini netti le ragioni poste a fondamento del provvedimento confermativo del 2 ottobre 2007 non emergesse una radicale preclusione all’ulteriore spendita di potere in relazione alla valutazione circa l’eventuale interesse artistico particolarmente importante del dipinto anzi, la sentenza di appello aveva espressamente auspicato una più approfondita istruttoria” e una rideterminazione sull’istanza di revisione” da parte dell’amministrazione . Deve conseguentemente concludersi nel senso dell’insussistenza dei presupposti e delle condizioni per ritenere che il provvedimento in data 27 gennaio 2011 risultasse elusivo del giudicato formatosi sulle richiamate sentenza del G.A. 6. Una volta escluso, quindi, che sussistessero nel caso in esame i presupposti per rendere una pronuncia dichiarativa della nullità dell’ulteriore provvedimento confermativo del vincolo in data 27 gennaio 2011, occorre domandarsi se le modalità con cui si è estrinsecata in parte qua la riedizione del potere valutativo da parte degli Organi del MIBAC siano risultate in concreto esenti dai rubricati profili di eccesso di potere per contraddittorietà e sviamento i.e. da profili che potrebbero comunque palesare l’illegittimità della determinazione confermativa e giustificarne l’annullamento in sede giurisdizionale . 6.1. Anche in questo caso il Collegio ritiene che un apporto dirimente ai fini della corretta impostazione e risoluzione della res controversa possa essere fornito dalle statuizioni di cui alla sentenza dell’Adunanza plenaria n. 2 del 2013, dinanzi richiamata. La sentenza in questione ha reso enunciazioni di carattere generale in ordine alle modalità attuative cui deve conformarsi il complessivo contegno dell’amministrazione a seguito di sentenze di annullamento e ciò, anche nelle ipotesi in cui dal giudicato di annullamento non emerga un vincolo rigido e puntuale in relazione alle concrete modalità adempitive, in tal modo lasciando residuare in capo all’amministrazione apprezzabili margini di valutazione . Si è osservato al riguardo che, anche in tali ipotesi, gravi comunque in capo all’amministrazione l’obbligo di dare esecuzione secondo buona fede alla decisione giurisdizionale amministrativa in un’ottica di leale e imparziale esercizio del munus publicum e in esecuzione dei principi costituzionali scanditi dall’articolo 97, Cost. e dalla stessa Convenzione EDU del 1950 ivi, punto 5.2. della motivazione . Si è altresì affermata l’esigenza per cui, in tali ipotesi, l’amministrazione attivi una leale cooperazione al fine di dare concreta attuazione alla pronuncia giurisdizionale anche e soprattutto alla luce del fatto che nell’attuale contesto ordinamentale la risposta del giudice amministrativo è caratterizzata da un assetto soggettivo, inteso quale soddisfazione di una specifica pretesa. E se è vero [si è aggiunto al riguardo] che la sua soddisfazione non può prescindere dall’ottimale assetto di tutti gli interessi coinvolti ivi compresi quelli pubblici, è anche vero che ciò non può e non deve costituire un alibi per sottrarsi al doveroso rispetto del giudicato”. Secondo l’Adunanza plenaria, quindi, consegue da tutto ciò che la nuova operazione valutativa deve dimostrarsi il frutto della costatazione di una palese e grave erroneità del giudizio precedente e non sia, invece, l’espressione di una gestione – a dir poco – ondivaga e contraddittoria del potere e in quanto tale contrastante, nella prospettiva pubblicistica, con il principio costituzionale del buon andamento e, in quella privatistica, con i principi di correttezza e buona fede”. 6.2. Ebbene, queste essendo le corrette coordinate attraverso le quali riguardare al riesercizio del potere valutativo da parte dell’amministrazione, il Collegio ritiene che la coerente applicazione di tali coordinate palesi l’illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado. In particolare, dal complesso della documentazione in atti emerge che, effettivamente, in sede di riedizione del potere valutativo finalizzato alla pronuncia sull’interesse artistico particolarmente importante dell’opera, l’amministrazione appellata abbia agito in modo ondivago e sostanzialmente preconcetto, all’evidente fine di pervenire comunque a un provvedimento confermativo dei due precedenti del 2004 e del 2007 e utilizzando a tal fine elementi del tutto nuovi e che mai prima di allora avevano ottenuto ingresso nella fattispecie. Al contrario, in alcuni casi, la stessa amministrazione ha richiamato fatti e circostanze che, pur essendole noti da lungo tempo, non erano stati considerati in un primo momento idonei a supportare una pronuncia ai sensi dell’articolo 10, comma 3, lettera a del ‘Codice dei beni culturali’ del 2004, ma che – al contrario – erano stati sottaciuti in quanto evidentemente ritenuti inidonei a supportare la richiamata pronuncia. In ogni caso, il carattere ondivago del contegno complessivamente tenuto dagli Organi del Ministero appellante i quali hanno introdotto di tempo in tempo nuovi argomenti al fine di pervenire al medesimo risultato, talvolta contraddicendo il proprio stesso operato è confermato da alcune circostanze oggettive. Ed infatti - in sede di iniziale delibazione in ordine alla sussistenza di un interesse artistico particolarmente importante atto in data 22 ottobre 2004 , gli Organi del Ministero avevano valorizzato, di fatto, la sola circostanza in seguito rivelatasi semplicemente errata in fatto per cui il dipinto in questione rappresentasse un’allegoria della città di Genova - in sede di – prima – conferma della richiamata qualità dell’opera atto in data 2 ottobre 2007 , gli Organi del Ministero avevano modificato la portata delle valutazioni poste a fondamento della valutazione e avevano affermato che l’interesse particolarmente importante dell’opera derivasse dal fatto che essa rappresentasse verosimilmente testimonianza dei contatti fra il suo Autore e la committenza genovese residente ad Anversa negli anni Quaranta del Cinquecento - avendo l’odierno appellante addotto ulteriori - e persuasivi - argomenti volti a dimostrare l’infondatezza anche di tale secondo ordine di motivi e avendo ben due sentenze del G.A. censurato la complessiva inattendibilità dei motivi in tal modo addotti fondati, peraltro, su circostanze storiche non adeguatamente provate , l’amministrazione appellata si era infine risolta a confermare ancora una volta il vincolo atto in data 27 gennaio 2011 , ma fondandosi su un complesso di circostanze in larga parte introdotte per la prima volta nella complessiva fattispecie e, comunque, mai prima di allora ritenute dirimenti ai fini del decidere ci si riferisce, in particolare, all’eccellenza qualitativa del dipinto, alla sua ‘rarità’, all’oggettivo carattere di interesse della rappresentazione a alla particolare difficoltà di ulteriori acquisizioni di opere similari . E’ qui importante osservare che alcune delle circostanze ritenute dagli Organi ministeriali dirimenti ai fini valutativi solo nel gennaio del 2011 ci si riferisce, in particolare, alla qualità pittorica del dipinto, ma la considerazione vale anche per le ulteriori circostanze , risultassero immediatamente percepibili ed apprezzabili sin dall’epoca della prima dichiarazione di vincolo ottobre 2004 , mentre altre circostanze quali, ad esempio, quelle relative alla ‘rarità’ del dipinto erano a loro volta già apprezzabili in base a circostanze oggettive sin dal momento della prima imposizione del vincolo. Ne resta conseguentemente confermato il convincimento per cui l’amministrazione appellata abbia operato in modo preconcetto, sostanzialmente sleale e comunque contraddittorio e inattendibile, avendo frazionato nel corso del tempo le ragioni ostative effettive o presunte di cui aveva – o avrebbe dovuto avere - piena contezza sin dal primo esame della complessiva vicenda e non essendo stata in grado di dimostrare che alcuno dei motivi da ultimo trasfusi nel provvedimento confermativo del gennaio 2011 derivasse da sopravvenienze fattuali o conoscitive che le erano rimaste i precedenza ignote per fatto incolpevole. Si ritiene, in particolare, che gli Organi del Ministero appellato abbiano agito, nel corso della complessiva vicenda, in contrasto con il divieto di aggravio del procedimento codificato dall'art. 1, comma 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241 e con il più generale dovere di clare loqui, in virtù del quale l'interessato deve essere posto in condizione di compiutamente, coerentemente e tempestivamente conoscere, ai fini delle proprie conseguenti e consapevoli determinazioni, le ragioni ostative alla sua pretesa. La motivazione è finalizzata a consentire all'interessato la ricostruzione dell’iter logico e giuridico della determinazione dell'amministrazione, per consentirgli di vagliarla e di orientare responsabilmente le proprie scelte, ivi incluso l'eventuale ricorso alla tutela giudiziale cfr. ex plurimis Cons. Stato, VI, 20 settembre 2012, n. 4983 id., IV, 15 novembre 2011, n. 6042 7 gennaio 2011, n. 25 3 agosto 2010, n. 5165 6 luglio 2010, n. 4331 14 aprile 2010, n. 2084 . Nel caso in esame, dal complesso degli atti adottati dall'amministrazione emerge il dato preminente di una volontà comunque orientata a confermare la sussistenza del vincolo a suo tempo imposto, senza che fossero coerentemente, univocamente e tempestivamente indicate le concludenti ragioni della conferma e pretermettendo almeno, sotto il versante sostanziale l’effettività dell’interlocuzione assicurata dalla l. n. 241 del 1990. Pertanto, il provvedimento impugnato in primo grado deve essere annullato per avere l’amministrazione appellata gestito l’ulteriore tratto della vicenda per cui è causa in modo incongruo e violativo dei canoni di correttezza e buona fede, nonché del generale principio del clare loqui, in tal modo esercitando in modo abnorme – e con profili di sviatorietà – gli ulteriori margini valutativi che, pure, dovevano esserle riconosciuti in sede di riadozione del potere amministrativo conseguente alle più volte richiamate sentenze di annullamento del 2009 e del 2010. 7. Dal punto di vista processuale si osserva che l’annullamento viene disposto in accoglimento del contenuto impugnatorio dell’atto introduttivo del ricorso di primo grado, con il quale erano state introdotte, a ben vedere e in modo contestuale i una domanda di ottemperanza ai sensi dell’articolo 112 del cod. proc. amm. domanda che è da ritenere infondata per le ragioni dinanzi divisate e ii una domanda volta all’annullamento di atti comunque affetti da profili di illegittimità. Le domande in questione sono state non irritualmente proposte in modo congiunto e devono essere parimenti definite in modo congiunto per evidenti ragioni di concentrazione dei rimedi di tutela. Al riguardo il Collegio ritiene applicabile alla presente vicenda la previsione di cui al comma 1 dell’articolo 32 del cod. proc. amm., secondo cui è sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale. Se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dal Titolo V del Libro IV”. 8. L’accoglimento del ricorso per le ragioni già in precedenza esaminate consente al Collegio di prescindere - dall’esame del secondo motivo di ricorso, con cui si è lamentata sotto svariati profili la violazione del pertinente paradigma normativo nazionale ed europeo - dall’esame del terzo motivo di ricorso, con cui si sono puntualmente contestate nel merito le singole valutazioni sottese al provvedimento confermativo del vincolo ad es., in relazione alla ritenuta ‘eccellenza qualitativa’ del dipinto, alla sua rarità e alla difficoltà di ulteriore acquisizione di opere dello stesso Autore . 9. Per le ragioni sin qui esposte l’appello in epigrafe deve essere accolto e conseguentemente, in riforma della sentenza appellata, deve essere accolto il ricorso di primo grado e devono essere annullati gli atti in tale sede impugnati. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta , definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza in epigrafe, accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti in tale sede impugnati. Condanna l’amministrazione appellata alla rifusione in favore dell’appellante delle spese del doppio grado, che liquida in complessivi euro 8.000 ottomila , oltre gli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.