Strumenti urbanistici senza pietà: niente ricovero per cani randagi in zona agricola

Ciò in quanto vi è ammesso soltanto l'allevamento, e a determinate condizioni. E' illegittima, quindi, la concessione edilizia concessa ad un privato per la costruzione di un canile destinato ai randagi.

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 4524/2014 del Consiglio di Stato, depositata il 5 settembre scorso. Attività ammesse. L’attività cinotecnica è regolata dalla legge n. 349/1993, per essa intendendosi, ai sensi dell’art. 1, l’attività volta all’allevamento, alla selezione e all’addestramento delle razze canine . Secondo quanto disposto dall’articolo 2 della medesima legge 1. L’attività cinotecnica è considerata a tutti gli effetti attività imprenditoriale agricola quando i redditi che ne derivano sono prevalenti rispetto a quelli di altre attività economiche non agricole svolte dallo stesso soggetto. 2. I soggetti, persone fisiche o giuridiche, singoli o associati, che esercitano l’attività cinotecnica di cui al comma 1 sono imprenditori agricoli, ai sensi dell’art. 2135 del codice civile. 3. Non sono comunque imprenditori agricoli gli allevatori che producono nell’arco di un anno un numero di canoni inferiori a quello determinato, per tipi o per razze, con decreto del Ministro dell’agricoltura e delle foreste . Ai sensi di tale decreto, emanato il 28 gennaio 1994, non sono imprenditori agricoli gli allevatori che tengono in allevamento un numero inferiore a 5 fattrici e che annualmente producono un numero di cuccioli inferiori alle 30 unità . Nel caso specifico, nella regione Lombardia, in base alle disposizioni normative regionali, vigenti all’epoca del rilascio della contestata concessione edilizia, gli interventi edilizi in zona a destinazione agricola erano ammissibili solo se funzionali alla conduzione del fondo e destinate alle residenze dell’imprenditore agricolo e dei dipendenti dell’azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive Cons. Stato, sez. IV, n. 2041/2011 . Il rilascio della concessione edilizia in tal senso costituiva un’ipotesi residuale ed eccezionale, sottoposta ad una specifica e puntuale istruttoria volta ad accertare con assoluta certezza ed inequivocità non solo il vincolo funzionale tra le costruzioni per le quali si richiedeva il titolo e la loro effettiva ed obiettiva connessione con l’attività agricola in tal senso Cons. Stato, sez. V, 9 settembre 2013, n. 4472 , ma anche la stessa qualità di imprenditore agricolo del richiedente. Aiuti e sostegni all’impresa agricola e alla proprietà coltivatrice. La Corte Costituzionale, con la ordinanza n. 167/1995, ha dichiarato manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, e 3 legge regionale della Lombardia n. 93/1980 in riferimento agli artt. 3, 5, 117 e 128 Cost. , osservando tra l’altro che quelle norme sono frutto di un’insindacabile scelta del legislatore regionale, diretta a limitare l’utilizzazione edilizia dei territori agricoli e a frenare il processo di erosione dello spazio destinato alle colture, scelta che ha il suo fondamento della Costituzione il quale facoltizza il legislatore, anche regionale, a predisporre aiuti e sostegni all’impresa agricola e alla proprietà coltivatrice e che sotto tale profilo esso non può essere affatto considerata un’irragionevole discriminazione, lesiva dell’art. 3 Cost., la subordinazione del rilascio della concessione edilizia sia al possesso della qualità di imprenditore agricolo o di altra figura assimilata, sia all’accertamento del collegamento funzionale dell’opera con l’attività agricola, essendo elementi volti a denotare la destinazione effettiva delle opere alla conduzione del fondo o, in genere, alla attività di agricoltura . Sulla base dell'ordinamento statale e regionale, pertanto, tenuto conto della circostanza secondo cui all'interessato non poteva riconoscersi la qualifica di imprenditore agricolo, non rientrando l’attività di ricovero dei cani randagi, effettivamente svolta, nell’attività cinotecnica, difettando degli specifici requisiti previsti dall’art. 2 legge n. 349/1993, non poteva essergli rilasciata la concessione edilizia. D’altra parte, anche a voler prescindere dal giudicato formatosi sulla statuizione riguardante la mancanza della qualifica di imprenditore agricolo dell’appellato, ha osservato il Collegio, questi non ha provato di possedere i requisiti a tal fine previsti dalla ricordata legge n. 349/1993, limitandosi a sostenere che l’attività di ricovero di cani randagi sarebbe qualificabile come attività agricola per connessione rispetto a quella cinotecnica, laddove - in realtà - difettano macroscopicamente i caratteri della complementarietà e della accessorietà della prima rispetto alla seconda, la cui sussistenza è indispensabile affinché possa esservi un rapporto di connessione. Va osservato, infatti, a tale riguardo, che con la modifica dell'art. 2135 c.c., disposta dal d.lgs. n. 228/2001, che individua le attività consentite all'imprenditore agricolo, sono state ammesse anche le attività connesse alla principale. Tuttavia, afferma la sentenza, a riprova della natura non agricola dell’attività di ricovero di cani randagi è data dalla nuova destinazione a servizi dell’area interessata all’intervento edilizio contestato, nuova destinazione su cui, come si è accennato in precedenza, la parte appellata aveva fondato la non accoglibile eccezione di improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse. La carenza della qualità di imprenditore agricolo dell'interessato, in pratica, escludeva in radice la possibilità di rilasciare la concessione edilizia, risultando irrilevante, rispetto alle puntuali previsioni della normativa regionale, sia il fatto che la destinazione a zona agricola del fondo in questione sarebbe astrattamente non incompatibile con l’insediamento dell’attività di ricovero dei cani randagi, sia che per tale specifica attività l’allora vigente strumento urbanistico non avesse previsto apposite aree destinate.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 14 maggio – 5 settembre 2014, n. 4524 Presidente Maruotti – Estensore Saltelli Fatto 1. Il Comune di Verdello rilasciava in data 17 gennaio 2001 al sig. Severino Traina una concessione edilizia prat. 2192/2000, prot. n. 7083 per la realizzazione di un canile, in località Strada Consorziale del Marone, su un fondo individuato ai mappali 447 – 3034, urbanisticamente destinato a zona E. 2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, con la sentenza n. 703 del 15 maggio 2013, respingeva il ricorso NRG. 725 dell’anno 2001 proposto dal sig. Pierangelo Valota, in proprio e quale amministratore unico e legale rappresentante della s.r.l. Immobiliare Valle Serio proprietario di un fondo confinante con quello su cui era stata assentita la costruzione del canile per l’annullamento della medesima concessione edilizia, In particolare il tribunale, pur rilevando che l’impugnato titolo edilizio non poteva essere rilasciato,, perché il sig. Severino Traina non poteva essere qualificato quale imprenditore agricolo giacché l’attività prevalente da questi svolta era quella di ricovero di cani randagi e non già quella cinotecnica , rilevava tuttavia che nella zona agricola ove si trova il manufatto assentito era esercitata in quanto non incompatibile con tale destinazione urbanistica l’attività di pensionato di cani randagi, tanto più che nel vigente strumento urbanistico mancava una zona specificamente destinata a quell’attività. 3. Il sig. Pierangelo Valota con atto di appello notificato il 15 settembre 2003 chiedeva la riforma di tale sentenza, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di un unico motivo di gravame, rubricato errata applicazione del giudice di prime cure del disposto di cui all’art. 3, commi 2 – 3, L.R. Lombardia 7.6.1980, n. 93”, a mezzo del quale ha in sintesi sostenuto che, una volta correttamente accertato che il beneficiario della contestata concessione edilizia non era imprenditore agricolo, giacché l’attività prevalentemente svolta accalappiamento e ricovero di cani randagi non poteva farsi rientrare fra quelle assimilabili alle agricole, i primi giudici avrebbero dovuto escludere la legittimità del titolo edilizio, a nulla rilevando, stante le puntuali disposizioni normative regionali, che l’intervento edilizio ricadesse in zona agricola e che lo strumento urbanistico in vigore non prevedesse una specifica destinazione urbanistica per l’esercizio dell’attività di ricovero dei cani randagi. Ha resistito all’appello il sig. Severino Traina, deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza ed insistendo per il suo rigetto. Il giudizio è stato ritualmente proseguito, a seguito del decesso dell’originario appellante, dai suoi eredi, signore Paola Costanza e Maria Laura Calota, oltre che dalla Immobiliare Valle Serio S.p.A. già Immobiliare Valle Serio s.r.l. . 4. Nell’imminenza dell’udienza di trattazione tutte le parti hanno prodotto documentazione, illustrando con apposite memorie le rispettive tesi difensive e replicando a quelle avverse. 5. Alla pubblica udienza del 14 maggio 2014, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione. Diritto 6. Devono essere innanzitutto esaminate le eccezioni preliminari di inammissibilità dell’appello per difetto di un interesse specifico e qualificato dell’appellante, nonché di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse formulate dall’appellato. Esse sono infondate. 6.1. Quanto al primo profilo, costituisce jus receptum che la c.d. vicinitas , cioè la situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento edilizio assentito, è sufficiente a radicare la legittimazione a ricorrere dei confinanti, non essendo necessario che la parte ricorrente debba anche allegare e provare di subire uno specifico pregiudizio per effetto dell'attività edificatoria intrapresa sul suolo limitrofo Cons. Stato, sez. IV, 18 dicembre 2013, n. 6082 , atteso che la realizzazione di consistenti interventi che comportino contra legem l’alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio deve ritenersi pregiudizievole in re ipsa. 6.2. Non può poi condividersi l’assunto della parte appellata, secondo cui la nuova destinazione urbanistica attribuita all’area oggetto dell’intervento assentito, da zona agricola ad ‘ambiti per servizi collettivi e per l’istruzione’, in conseguenza dell’approvazione del P.G.T. con delibera consiliare n. 14 del 21 aprile 2009 e delle successive varianti n. 1 approvata con delibera consiliare n. 7 del 2 febbraio 2011 , e n. 2 approvata con la delibera consiliare n. 3 del 19 marzo 2012 , determinerebbe la improcedibilità del ricorso e dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse. Infatti la legittimità di un provvedimento amministrativo deve essere valutata con riguardo alla disciplina vigente al momento della sua emanazione, secondo il noto principio del tempus regit actum, il che rende irrilevante l’intervenuta modifica della disciplina urbanistica dell’area interessata all’edificazione, tanto più che tale sopravvenuta diversa disciplina non comporta la sanatoria degli abusi edilizi perpetrati o delle concessioni edilizie illegittimamente rilasciate. 7. Passando all’esame dell’appello, la Sezione osserva quanto segue. 7.1. La legge regionale della Lombardia 7 giugno 1980, n. 93, recante Norme in materia di edificazione nelle zone agricole”, vigente all’epoca dell’emanazione dell’impugnata concessione edilizia essendo poi stata abrogata dall’art. 104, comma 1, lett. h , della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 , dopo aver stabilito all’articolo 1, tra l’altro, che I piani regolatori generali dei comuni, al fine di valorizzare e recuperare il patrimonio agricolo, assicurare la tutela e la efficienza delle unità produttive anche mediante il soddisfacimento delle esigenze degli imprenditori e dei lavoratori agricoli, individuano a le zone a destinate ad attività agricola, ai sensi del D.M. 2 aprile 1968 ”, al successivo articolo 2, primo comma stabiliva il principio secondo cui In tutte le aree destinate dagli strumenti urbanistici generali a zona agricola sono ammesse esclusivamente le opere realizzate in funzione della conduzione del fondo e destinate alle residente dell’imprenditore agricolo e dei dipendenti dell’azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive, quali stalle, silos, serre, magazzini, locali per la lavorazione e la conservazione e la vendita dei prodotti agricoli secondo i criteri e le modalità previsti dal successivo art. 3”. Quest’ultimo al primo comma prevedeva poi che In tutte le aree previste dagli strumenti urbanistici generali come zone agricole, la concessione edilizia può essere rlasciata esclusivamente a all’imprenditore agricolo singolo o associato, iscritto all’albo di cui alla legge regionale 13 aprile 1974, n. 18, per tutti gli interventi di cui al precedente art. 2 comma 1°, a titolo gratuito ai sensi dell’art. 9, lett. a della legge 28 gennaio 1977, n. 10 b al titolare o al legale rappresentante dell’impresa agricola per la realizzazione delle sole attrezzature ed infrastrutture produttive e delle sole abitazioni per i salariati agricoli, subordinatamente al versamento dei contributi di concessione c limitatamente ai territori dei comuni indicati nella tabella allegata alla legge regionale 19 novembre 1976, n. 51, ai soggetti aventi i requisiti di cui all’art. 8 della legge 10 maggio 1976, n. 352 e all’art. 8 punto 4 della legge regionale sopraccitata, subordinatamente al pagamento dei contributi di concessione, per tutti gli interventi di cui al precedente art. 2, comma 1°”. 7.2. L’attività cinotecnica è regolata dalla legge 23 agosto 1993, n. 349, per essa intendendosi, ai sensi dell’articolo 1, l’attività volta all’allevamento, alla selezione e all’addestramento delle razze canine”. Secondo quanto disposto dall’articolo 2 della medesima legge 1. L’attività cinotecnica è considerata a tutti gli effetti attività imprenditoriale agricola quando i redditi che ne derivano sono prevalenti rispetto a quelli di altre attività economiche non agricole svolte dallo stesso soggetto. 2. I soggetti, persone fisiche o giuridiche, singoli o associati, che esercitano l’attività cinotecnica di cui al comma 1 sono imprenditori agricoli, ai sensi dell’art. 2135 del codice civile. 3. Non sono comunque imprenditori agricoli gli allevatori che producono nell’arco di un anno un numero di canoni inferiori a quello determinato, per tipi o per razze, con decreto del Ministro dell’agricoltura e delle foreste”. Ai sensi di tale decreto, emanato il 28 gennaio 1994, Non sono imprenditori agricoli gli allevatori che tengono in allevamento un numero inferiore a cinque fattrici e che annualmente producono un numero di cuccioli inferiori alle trenta unità”. 7.3. Secondo le sopra riportate disposizioni normative regionali, vigenti all’epoca del rilascio della contestata concessione edilizia, gli interventi edilizi in zona a destinazione agricola erano ammissibili solo se funzionali alla conduzione del fondo e destinate alle residenze dell’imprenditore agricolo e dei dipendenti dell’azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive Cons. Stato, sez. IV, 1° aprile 2011, n. 2041 . Il rilascio della concessione edilizia in tal senso costituiva un’ipotesi residuale ed eccezionale, sottoposta ad una specifica e puntuale istruttoria volta ad accertare con assoluta certezza ed inequivocità non solo il vincolo funzionale tra le costruzioni per le quali si richiedeva il titolo e la loro effettiva ed obiettiva connessione con l’attività agricola in tal senso Cons. Stato, sez. V, 9 settembre 2013, n. 4472 , ma anche la stessa qualità di imprenditore agricolo del richiedente. La Corte Costituzionale, con la ordinanza n. 167 del 16 maggio 1995, ha dichiarato manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2, primo comma, e 3 della legge regionale della Lombardia 7 giugno 1980, n. 93 in riferimento agli artt. 3, 5, 117 e 128 della Costituzione , osservando tra l’altro che quelle norme sono frutto di un’insindacabile scelta del legislatore regionale, diretta a limitare l’utilizzazione edilizia dei territori agricoli e a frenare il processo di erosione dello spazio destinato alle colture, scelta che ha il suo fondamento della Costituzioneil quale facoltizza il legislatore, anche regionale, a predisporre aiuti e sostegni all’impresa agricola e alla proprietà coltivatrice” e che sotto tale profilo esso non può essere affatto considerata un’irragionevole discriminazione, lesiva dell’art. 3 della Costituzione, la subordinazione del rilascio della concessione edilizia sia al possesso della qualità di imprenditore agricolo o di altra figura assimilata, sia all’accertamento del collegamento funzionale dell’opera con l’attività agricola, essendo elementi volti a denotare la destinazione effettiva delle opere alla conduzione del fondo o, in genere, alla attività di agricoltura”. 7.4. Ritiene la Sezione che, sulla base del delineato tessuto normativo e giurisdizionale, l’appello è fondato. 7.4.1. E’ decisiva, ad avviso della Sezione, la circostanza di fatto, espressamente affermata dai primi giudici e non adeguamente smentita dall’interessato e comunque desumibile dagli atti di causa , secondo cui al sig. Severino Traina non poteva riconoscersi la qualifica di imprenditore agricolo, non rientrando l’attività di ricovero dei cani randagi, effettivamente svolta, nell’attività cinotecnica, difettando degli specifici requisiti previsti dall’articolo 2 della legge 23 agosto 1993, n. 349. D’altra parte, anche a voler prescindere dal giudicato formatosi sulla statuizione riguardante la mancanza della qualifica di imprenditore agricolo dell’appellato, questi non ha provato di possedere i requisiti a tal fine previsti dalla ricordata legge n. 349 del 1993, limitandosi a sostenere che l’attività di ricovero di cani randagi sarebbe qualificabile come attività agricola per connessione rispetto a quella cinotecnica, laddove – in realtà - difettano macroscopicamente i caratteri della complementarietà e della accessorietà della prima rispetto alla seconda, la cui sussistenza è indispensabile affinché possa esservi un rapporto di connessione. Peraltro ulteriore riprova della natura non agricola dell’attività di ricovero di cani randagi è data dalla nuova destinazione a servizi dell’area interessata all’intervento edilizio contestato, nuova destinazione su cui, come si è accennato in precedenza, la parte appellata ha fondato la non accoglibile eccezione di improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse. 7.4.2. La carenza della qualità di imprenditore agricolo del sig. Severino Traina escludeva in radice la possibilità di rilasciare la concessione edilizia, risultando irrilevante, rispetto alle puntuali previsioni della normativa regionale, sia il fatto che la destinazione a zona agricola del fondo in questione sarebbe astrattamente non incompatibile con l’insediamento dell’attività di ricovero dei cani randagi, sia che per tale specifica attività l’allora vigente strumento urbanistico non avesse previsto apposite aree destinate. 8. In conclusione, sulla base delle osservazioni svolte, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata deve essere accolto il ricorso proposto in primo grado n. 725 del 2001, con consequenziale annullamento della concessione edilizia prot. n. 7083 del 17 gennaio 2001. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 9019 del 2003 lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza accoglie il ricorso n. 725 del 2001 proposto in primo grado dal sig. Pierangelo Valota, in proprio e quale amministratore unico e legale rappresentante della s.r.l. Immobiliare Valle Serio s.r.l., poi proseguito dai suoi eredi, signore Paola Costanza e Maria Laura Valota, nonché dall’Immobiliare Valle Serio S.p.A., ed annulla la concessione edilizia prot. n. 7083 del 17 gennaio 2001. Condanna il sig. Severino Traina ed il Comune di Verdello senza vincolo di solidarietà al pagamento in favore delle parte appellante delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida complessivamente in €. 7.000,00 settemila , oltre accessori di legge, di cui €. 5.000,00 cinquemila a carico del sig. Severino Traina ed €. 2.000,00 duemila a carico del Comune di Verdello condanna altresì il sig. Severino Traina ed il Comune di Verdello – nella stessa proporzione e senza vincolo di solidarietà - alla restituzione in favore della parte appellante dei contributi unificati relativi ai due gradi di giudizio, se effettivamente versati. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.