Azzardo di Stato! I Comuni non hanno mano libera nel mettere un freno

Ma guai a fare di tutta un'erba un fascio, mettendo su di uno stesso piano il puro intrattenimento flipper, calcetto, videogiochi e forse, sotto un certo punto di vista, anche le new slot con il gettone da un euro e la vincita massima di 100 con il vero e proprio azzardo, lecito soltanto perché l'ha deciso lo Stato per far cassa, ovvero le VLT, autorizzate esclusivamente dal questore e non ammesse in bar e ristoranti ma soltanto in sale specificatamente dedicate nelle quali non è consentito l'accesso ai minori di anni 18.

Perché, in tal caso, si corre il rischio di fare il gioco di chi vuol far scomparire gli apparecchi innocui, comma 7 art. 110 tulps antieconomici per lo Stato e le major del settore. Sta di fatto che l'attuale disciplina che regolamenta il funzionamento, le tipologie e le modalità di gioco è tutta contenuta nell'articolo 110 del testo unico di pubblica sicurezza, ovvero il r.d. n. 773/1931 ed, in particolare, l'articolo 110. Dagli anni 90 in poi, il legislatore ha sempre messo mano a questo articolo per adattarlo alle esigenze contabili, più che di sicurezza anche in senso lato , come risulta evidente peraltro dal fatto che ogni competenza sanzionatoria per le violazioni in materia è stata sottratta al Prefetto, compresa quella relativa al divieto di gioco per i minori di 18 anni, disposta dal d.l. n. 98/2011 che ha attribuito la funzione irrogatoria al medesimo soggetto che da 15 anni in qua detta le regole, ovvero l'Amministrazione dei monopoli, incorporata oggi in quella delle dogane. Gioco d’azzardo patologico. Sta di fatto che sull'onda lunga del dissenso al gioco partita dagli enti locali che devono far fronte al costo sociale della dipendenza, non è bastato il cosiddetto decreto Balduzzi decreto-legge n. 158/2012, legge conv. n. 189/2012 che doverosamente ha inserito il gioco d’azzardo patologico nei livelli essenziali di assistenza, i comuni, messi alle strette, hanno iniziato a stringere la forbice del permissivismo imponendo distanze tra le sale giochi ed i luoghi cosiddetti sensibili e obbligando i titolari di bar e ristoranti a porre un limite orario al funzionamento delle slot. È su questi provvedimenti che è stata posta l'attenzione del Giudice amministrativo il quale, dall'inizio dell'estate ad oggi, ha portato al consolidarsi di un orientamento che lascia, allo stato attuale, ben poca speranza di una inversione di rotta la circostanza che il regime di liberalizzazione degli orari sia applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione non preclude all’Amministrazione comunale la possibilità di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività per comprovate esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, oltre che del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica, in caso di accertata lesione di interessi pubblici quali quelli in tema di sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute . Tutto ciò, anche in relazione al fatto che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 220/2014 ha mostrato di ritenere plausibile la detta interpretazione giurisprudenziale nel senso che l’art. 50, comma 7, d.lgs. n. 267/2000 autorizza i sindaci a disciplinare gli orari delle sale giochi ed esercizi ove siano installate apparecchiature per il gioco anche in funzione di contrasto dei fenomeni di c.d. ludopatia ordinanza 3845 del 27 agosto . È con la sentenza 3271 depositata lo scorso 30 giugno 2014, tuttavia, che la V Sezione ha indicato quali sono i limiti che l'ente locale incontra nel fissare le regole restrittive all'esercizio dell'attività economica. Regole che, come sarà chiarito, devono comunque tenere conto della complessiva politica liberista decisa dal Parlamento dal d.lgs. n. 59/2010 direttiva Servizi 2006/123/CE , in poi. Le amministrazioni comunali possono, infatti, ha affermato la Sezione con la suddetta sentenza 3271, regolare l’attività degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, a termini dell’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267/2000, graduando, in funzione della tutela dell’interesse pubblico prevalente, gli orari di apertura e chiusura al pubblico. Tuttavia, tale potere è stato ridimensionato nei suoi contenuti dall’art. 31 d.l. n. 201/2011, convertito nella legge n. 214/2011 c.d. decreto salva Italia” , che ha riformato l’art. 3 d.l. n. 223/2006 statuendo, che le attività commerciali, come individuate dal d.lgs. n. n. 114/1998, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni quali il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio . L’art. 3 d.l. n. 138/2011, convertito nella legge n. 148/2011, sempre in tema di abrogazione delle restrizioni all'accesso e all’esercizio delle professioni e delle attività economiche, ha poi disposto che l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge , affermando un principio, derogabile soltanto in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute , interessi che nel caso delle sale giochi non potevano ritenersi incisi. In sostanza, la circostanza che il regime di liberalizzazione degli orari sia applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione, non preclude all’amministrazione comunale la possibilità di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività, per comprovate esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica tuttavia, ciò è consentito dal legislatore solo in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati quali quelli richiamati sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute , interessi che non possono considerarsi violati aprioristicamente e senza dimostrazione alcuna. Necessaria indagine circostanziata e non generica. Nel caso specifico posto all'attenzione del Collegio, il nocumento asseritamente derivante dal notevole aumento della frequentazione dei luoghi ove erano posti gli esercizi in questione, con presunto e intollerabile incremento del traffico e del rumore e con conseguente compromissione della quiete pubblica, appariva descritto in via del tutto generica e per nulla circostanziato e tale carenza della motivazione sostanziale”, non poteva ritenersi superata dall'affermazione che, essendo l’ordinanza di carattere generale, non necessitava di particolare motivazione. Senza tenere conto, ha aggiunto il Consiglio di Stato, che allorquando un comune ritiene di dover contrastare la lesione di specifici interessi pubblici degni di tutela, ha il potere di emanare ordinanze mirate, con effetti spaziali e temporali limitati. In sostanza, nel caso di adozione di provvedimenti contingibili a termini dell'art. 54 d.lgs. n. 267/2000, un'amministrazione, operando restrittivamente nei confronti di operatori economici, non può astenersi dal dimostrare la esistenza concreta di fenomeni pregiudizievoli per la collettività, quali una particolare e documentata evasione scolastica, blocchi anomali della circolazione o turbamenti della quiete pubblica.

Consiglio di Stato, sez. V, ordinanza 26 – 27 agosto 2014, n. 3845 Presidente Maruotti – Estensore Gaviano Fatto e diritto Considerato che questa Sezione con la sentenza n. 3271 del 30 giugno 2014 ha avuto già modo di osservare che la circostanza che il regime di liberalizzazione degli orari sia applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione non preclude all’Amministrazione comunale la possibilità di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività per comprovate esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, oltre che del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica, in caso di accertata lesione di interessi pubblici quali quelli in tema di sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute Rilevato, altresì, che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 220 del 18 luglio 2014 ha mostrato di ritenere plausibile la detta interpretazione giurisprudenziale nel senso che l’art. 50, comma 7, d.lgs. n. 267 del 2000 autorizza i sindaci a disciplinare gli orari delle sale giochi ed esercizi ove siano installate apparecchiature per il gioco anche in funzione di contrasto dei fenomeni di c.d. ludopatia Ritenuto che per quanto esposto le doglianze di parte ricorrente, nei limiti in cui riproposte in questa sede, non possono trovare favorevole apprezzamento P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta respinge l'appello Ricorso numero 5915/2014 . Condanna l’appellante al rimborso all’Amministrazione appellata delle spese processuali di questa fase, che liquida nella misura di euro duemilacinquecento oltre gli accessori di legge. La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.