Mancano i requisiti prescritti: è il bando che deve essere impugnato?

Se il bando di concorso prevede, tra i requisiti morali, condizioni ed obblighi diversi da quelli previsti dalla legge, è il bando stesso che deve essere impugnato prima ancora dell'esclusione dalla graduatoria per la mancanza dei requisiti prescritti. Perchè diventa irrilevante il fatto che la novella di cui all’art. 4 l. n. 19/1990, per la quale la condanna a pena sospesa, a norma degli artt. 164 e 165 c.p., non può costituire di per sé sola motivo per il diniego di concessioni, licenze e autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa.

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 4159/14 del Consiglio di Stato, depositata il 4 agosto. La fattispecie. L'aspirante taxista resta, quindi, senza licenza anche se in linea teorica non ha avuto torto quando afferma la competenza della legge statale a regolare ciò che concerne la materia penale e nell’ambito di questa anche gli effetti delle condanne. Ciò in quanto è in linea con i principi dell’ordinamento. Ma questo non supera il fatto che l’Amministrazione comunale nel caso specifico il Comune di Roma era tenuta all’applicazione del bando di gara che costituiva pedissequa riproposizione dell’art. 17 legge regionale Lazio n. 58/1993 nel testo all’epoca vigente il quale, tra i necessari requisiti di moralità, inseriva il non aver riportato condanne contro il patrimonio, requisito appunto assente nell’interessato che aveva subito condanna per furto aggravato nel 1991 con applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi degli artt. 444 e 445 c.p.p. . Le previsioni del bando. La legge di gara, il bando, recava la clausola che l’Amministrazione non poteva disapplicare secondo i principi generali, e la cui legittimità doveva essere tempestivamente contestata dall'interessato congiuntamente al provvedimento applicativo, ossia la sua esclusione dalla graduatoria ciò non è stato fatto e dunque la previsione del bando deve essere ritenuta vincolante nella soluzione del caso. In secondo luogo, oltre all’applicazione della legge regionale n. 58/1993, ha assunto valore primario, secondo il Collegio, il fatto che l’interessato abbia dichiarato di non aver riportato condanne in contrasto con l’art. 46 lett. aa d.p.r. n. 445/2000, rilasciando dichiarazione sostitutiva di certificazione dai contenuti non veritieri. Gli effetti della riabilitazione. La riabilitazione tramite declaratoria di estinzione del reato ai sensi del’art. 445, comma 2, c.p.p. è stata ottenuta dal giudice dell’esecuzione del Tribunale penale di Roma solo dopo la domanda di partecipazione al concorso e dopo il provvedimento di esclusione dalla graduatoria impugnato. Di conseguenza l’interessato aveva presentato una domanda di partecipazione con allegata un’autocertificazione deliberatamente non corrispondente alla realtà dei fatti e questo costituiva, come correttamente aveva affermato il giudice di primo grado una autonoma causa di esclusione dal concorso, a prescindere dalla valutazione in ordine al rilievo della condanna . Condanna i cui effetti dovevano ritenersi perduranti poiché, come da pacifica giurisprudenza, la dichiarazione di estinzione del reato e la riabilitazione sono sì frutto di un giudizio ricognitivo, ivi compreso l’accertamento del termine quinquennale dall’irrevocabilità della condanna per procedere alla dichiarazione di estinzione, ma hanno in ogni caso un effetto costitutivo cui non può essere equiparato il semplice decorso del termine quinquennale.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 17 giugno – 4 agosto 2014, numero 4159 Presidente Pajno – Estensore Prosperi Fatto Con provvedimento numero 1391 del 4.8.2005 il Comune di Roma approvava il bando di concorso per la formazione di una graduatoria finalizzata all’assegnazione di numero 300 licenze per il servizio di trasporto pubblico non di linea, graduatoria in cui Silvio Vagnoli si collocava in posizione utile per l’assegnazione della licenza. Acquisito, tuttavia, il certificato giudiziale del ricorrente ex art. 39 d.P.R. 313/2002, dal quale emergeva sentenza emessa a suo carico l’1.2.1991 dalla Pretura di Roma in applicazione ex art. 444 c.p.p. della pena di mesi 4 di reclusione e lire 400.000 di multa per il reato di furto aggravato, pena sospesa condizionalmente, veniva emesso il provvedimento qui impugnato in quanto dal certificato del casellario giudiziale risulta che, al contrario di quanto dichiarato ai sensi dell’art. 46 del d.P.R. numero 445/2000, il sig. Vagnoli ha riportato condanna irrevocabile a pena detentiva per uno dei quei reati che, ai sensi dell’art. 17 della L. R. Lazio numero 58/93, non consentono l’iscrizione a ruolo dei conducenti e che, ai sensi del Bando di Concorso, non consentono la partecipazione al Concorso né il rilascio della licenza taxi”. Con ricorso straordinario al Capo dello Stato il Vagnoli impugnava la determinazione dirigenziale di cui in epigrafe, deducendo 1.ILLEGITTIMITÀ DEL PROVVEDIMENTO IMPUGNATO PER VIOLAZIONE DI LEGGE ART. 166 C.P. 445 C.P.P. . L’art. 17, comma 3, lett. c l.r. numero 58/93 pone, tra le condanne ostative al riconoscimento dei requisiti di moralità quelle per reati contro il patrimonio. Tuttavia l’applicazione di siffatta esclusione trova un limite normativo espresso ed ineludibile nella disciplina codicistica degli effetti della sospensione condizionale della pena, così come novellata dall’art. 4 della l. 7.2.1990, numero 19, per cui la condanna a pena sospesa, a norma degli artt. 164 e 165 c.p., non può costituire in ogni caso, di per sé sola, motivo per il diniego di concessioni, licenze e autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa. La norma regionale era del tutto incompetente a regolare la materia, già definita dal legislatore statale al fine di non incidere sul valore costituzionalmente tutelato del lavoro. Inoltre la condanna in questione non era stata dichiarata sia per la sua presunta non ostatività, date le ragioni ora dette, ma anche perché, in data 24.7.2007, l’interessato aveva ottenuto la declaratoria di estinzione del reato, ai sensi dell’art. 445, comma 2, c.p.p Con atto notificato il 17 aprile 2008, il Comune di Roma ora Roma Capitale proponeva formale opposizione ai sensi dell’art. 10 della l. 24 novembre 1971, numero 1199, affinché il ricorso straordinario fosse trasposto in sede giurisdizionale, per cui il Vagnoli si costituiva in giudizio innanzi al TAR del Lazio con conseguente rituale incardinazione del giudizio in sede giurisdizionale. Si è costituito altresì, per resistere, il Comune di Roma. Con la sentenza numero 4932 pubblicata il 15 maggio 2013, il TAR respingeva il ricorso, richiamando un proprio precedente numero 7846/2011 in tema di assegnazione di licenze taxi, affermando che il bando non poteva essere che la pedissequa applicazione dell’art. 17, comma 3, lett. c della L.R. Lazio numero 58/93, nel testo vigente ratione temporis, secondo cui il possesso dei requisiti di idoneità morale, per l’iscrizione nel ruolo provinciale di cui all’art. 16 della cit. legge, non è soddisfatto se i soggetti interessati abbiano riportato una condanna irrevocabile a pena detentiva per delitti contro il patrimonio, la fede pubblica, l’ordine pubblico, l’industria e il commercio” e che tale bando – impregiudicata la questione circa il riparto di competenze tra legislazione statale e legislazione regionale - non era stato tempestivamente impugnato dunque non poteva essere disapplicato. Il Collegio ribadiva poi che la non veridicità delle dichiarazione di tale tipo rese in questi procedimenti integrava una autonoma causa di esclusione dal concorso ed in ogni caso non aveva valore alcuno la sospensione condizionale della pena che non poteva, da sola, inibire il rilascio, tra l'altro, di licenze ed altri titoli autorizzativi -, in quanto, nella specie, l'impugnata esclusione discendeva non già dalla mera condanna del ricorrente, bensì dalla circostanza che egli, prima della scadenza del termine per la partecipazione al concorso de quo, non aveva ottenuto la riabilitazione espressa senza la quale, in base all’art. 17, comma 4 della l.r. 58/1993, [ .] il possesso dei requisiti della idoneità morale continua a non essere soddisfatto”, visto tra l’altro che la dichiarazione giudiziale del reato era intervenuta il 20 luglio 2007, dopo la presentazione della domanda di partecipazione alla procedura, poiché il solo maturarsi dei presupposti necessari per la riabilitazione non aveva alcun rilievo Con appello in Consiglio di Stato ritualmente notificato, il Vagnoli impugnava la sentenza di primo grado, contestandone le affermazioni e sostenendo la primazia nel campo della legislazione statale su quella regionale, il fatto di aver già ottenuto il riconoscimento dei requisiti morali con l’iscrizione nel 1995 nel ruolo dei conducenti non di linea, la non necessità dell’impugnazione immediata del bando. L’appellante concludeva per l’accoglimento del ricorso con vittoria di spese. Il Comune di Roma si è costituito in giudizio, sostenendo l’infondatezza dell’appello e chiedendo la conferma della sentenza impugnata. Alla odierna udienza pubblica la causa è passata in decisione. Diritto La sentenza impugnata merita di essere condivisa, in quanto le censure sollevate con l’appello non sono atte a scalfirla. Se in linea teorica quanto considerato dal Vagnoli circa la competenza della legge statale a regolare ciò che concerne la materia penale e nell’ambito di questo anche gli effetti delle condanne nel prosieguo è in linea con i principi dell’ordinamento, tutto questo non è utile a superare le determinazioni impugnato in primo grado e le conclusioni su queste tratte dal TAR. Effettivamente corrisponde a verità quanto agli effetti della sospensione condizionale della pena, che la novella di cui all’art. 4 della l. 7.2.1990, numero 19, per la quale la condanna a pena sospesa, a norma degli artt. 164 e 165 c.p., non può costituire di per sé sola motivo per il diniego di concessioni, licenze e autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa. Ma nel caso di specie, come correttamente osservato dal giudice di primo grado, l’Amministrazione era tenuta all’applicazione del bando di gara che costituiva pedissequa applicazione dell’art. 17 della legge regionale del Lazio numero 58/1993 nel testo all’epoca vigente il quale, tra i necessari requisiti di moralità, inseriva il non aver riportato condanne contro il patrimonio, requisito appunto assente nell’appellante, condannato per furto aggravato nel 1991 con applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi degli artt. 444 e 445 c.p.p. Ora vanno evidenziati i due profili fondamentali che portano all’inevitabile rigetto dell’appello. In primo luogo la legge di gara, il bando, recava la clausola che l’Amministrazione non poteva disapplicare secondo i principi generali, e la cui legittimità doveva essere tempestivamente contestata dal Vagnoli congiuntamente al provvedimento applicativo, ossia la sua esclusione dalla graduatoria ciò non è stato fatto e dunque la previsione del bando deve essere ritenuta vincolante nella soluzione del caso. In secondo luogo, oltre all’applicazione della legge regionale numero 58/1993, assume valore primario il fatto che l’interessato abbia dichiarato di non aver riportato condanne in patente contrasto con l’art. 46 lett. aa d.P.R. 28 dicembre 2000 numero 445, rilasciando dichiarazione sostitutiva di certificazione dai contenuti non veritieri. La riabilitazione tramite declaratoria di estinzione del reato ai sensi del’art. 445 comma 2 c.p.p. è stata ottenuta dal giudice dell’esecuzione del Tribunale penale di Roma solo il 24 luglio 2007, quindi dopo la domanda di partecipazione al concorso e dopo il provvedimento di esclusione dalla graduatoria impugnato perciò si deve affermare che l’interessato ha presentato una domanda di partecipazione con allegata un’autocertificazione deliberatamente non corrispondente alla realtà dei fatti e questo costituisce, come correttamente affermato dal giudice di primo grado una autonoma causa di esclusione dal concorso, a prescindere dalla valutazione in ordine al rilievo della condanna”. Condanna i cui effetti dovevano ritenersi perduranti poiché, come da pacifica giurisprudenza, la dichiarazione di estinzione del reato e la riabilitazione sono sì frutto di un giudizio ricognitivo, ivi compreso l’accertamento del termine quinquennale dall’irrevocabilità della condanna per procedere alla dichiarazione di estinzione, ma hanno in ogni caso un effetto costitutivo cui non può essere equiparato il semplice decorso del termine quinquennale sopra richiamato. Per le suesposte considerazioni l’appello deve essere respinto. Sussistono comunque le condizioni per compensare le spese di giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.