Apertura di bar e ristoranti: il regolamento comunale non è illegittimo

Non è illegittimo il regolamento del Comune che disciplina l'apertura di bar e ristoranti se la Regione non ha ritenuto necessario o urgente integrare la propria disciplina alla luce della legislazione statale del 2011 e del 2012, intendendo ancora applicabile la propria normazione di dettaglio esistente.

Con la conseguenza che, alla luce di ciò, il Comune ha continuato, ragionevolmente, ad applicare il regolamento del 2010 considerandolo tuttora conforme ai principi nazionali e comunitari posti a tutela della concorrenza e dell'iniziativa economica. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, sezione V, con la decisione 3802 depositata il 17 luglio 2014. A tale proposito, il Collegio è stato dell’avviso che non vi siano differenze sostanziali di contenuto, nella legislazione nazionale e comunitaria susseguitasi, a far tempo dal d.l. n. 223/2006, dalla direttiva 2006/123/CE e dalla relativa legge di recepimento d.lgs. n. 59/2010 fino ai più recenti decreti Salva Italia” d.l. n. 201/2011, con legge n. 214/2011 e Cresci Italia” d.l. n. 1/2012, convertito con legge n. 14/2012 . Salvaguardia del patrimonio ambientale, storico - artistico e culturale del Paese. In detta legislazione, in particolare, viene posto in rilievo, costantemente, il carattere preminente dei valori costituzionalmente garantiti, di salvaguardia del patrimonio ambientale, storico - artistico e culturale del Paese, rispetto ai quali la libertà di concorrenza, cui tende la liberalizzazione delle attività commerciali, può subire limitazioni nell'ambito di una programmazione volta a contemperare i bisogni delle imprese commerciali, ivi compresi i pubblici esercizi, con le esigenze di sostenibilità ambientale e con la salvaguardia dei valori storico - artistici del contesto del territorio di riferimento. Del resto, precisa la sentenza, nella medesima linea si è anche posta la giurisprudenza della Corte Costituzionale e, al riguardo, sono state richiamate le sentenze n. 430/2007, n. 299/2012, n. 27/2013, n. 38/2013 e n. 65/2013. E circa il permanere della valenza di tali principi, non scalfiti dall’evolversi delle norme in materia, si è peraltro già espressa la medesima Sezione, da ultimo con sentenza n. 1860/2014. Salvaguardare la città dalla commercializzazione esasperata . Legittimo, pertanto, il regolamento del Comune di Roma Capitale che ha ritenuto necessario salvaguardare l'assetto di una strada nel centro storico da trasformazioni connesse ad una commercializzazione esasperata , considerata la rilevanza storica del luogo. Ciò in quanto in assenza di nuova normazione regionale, che, peraltro, non può in ogni caso derogare alla legislazione quadro nazionale e comunitaria in materia, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di prime cure, nessuna particolare indagine doveva essere condotta dall'amministrazione, in vigenza della regolamentazione esistente per l'esercizio della attività di somministrazione di alimenti e bevande, frutto del bilanciamento degli interessi pubblici e privati in campo.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 4 giugno – 17 luglio 2014, numero 3802 Presidente Torsello – Estensore Schilardi Fatto e diritto 1.- La società LOREAL s.r.l. presentava in data 20 settembre 2012 una istanza per il rilascio di una nuova autorizzazione per l'apertura di un esercizio di somministrazione di alimenti e bevande, in un locale sito in via di Monserrato 32 in Roma, per una superficie totale di mq. 155. 2.- L'amministrazione comunale, con provvedimento del 7 novembre 2012, ne negava il rilascio ai sensi degli artt. 10, comma 4 ed 11, comma 1 del regolamento per l'esercizio della attività di somministrazione di alimenti e bevande, approvato con delibera del consiglio comunale numero 35 del 2010. Detto articolo 10, comma 4, del regolamento, disponeva che ai fini della regolamentazione delle attività di somministrazione sono, altresì, individuati gli ambiti territoriali, caratterizzati dalla presenza di particolari condizioni di concentrazione delle attività commerciali e di elevati livelli di pressione antropica e/o di eventuali vincoli di tutela ai sensi della normativa vigente in materia ambientale, archeologica, monumentale, culturale, paesaggistico -territoriale e storico-artistica” e l'articolo 11, comma 1, con riferimento agli ambiti di cui al citato articolo 10, comma 4, stabiliva che non è consentito il rilascio di autorizzazioni per nuove attività di somministrazione di alimenti e bevande, nonché per il trasferimento di sede di attività ubicate all’esterno degli ambiti medesimi”. Il diniego dell'amministrazione veniva, quindi, motivato con la circostanza che il locale, sito in via di Monserrato, ricadeva nel rione Regola, ambito territoriale nel quale non era consentito rilasciare nuove autorizzazioni, né trasferire la sede di attività ubicate all'esterno di tale area. 3.- Avverso il provvedimento emesso da Roma Capitale numero 90221 del 7 novembre 2012 e, in parte qua, del regolamento per l’esercizio delle attività di somministrazione di alimenti e bevande, la società LOREAL s.r.l. proponeva ricorso al T.A.R. per il Lazio. La ricorrente lamentava violazione e falsa applicazione di legge, con particolare riguardo al decreto legge numero 223 del 2006, convertito in legge numero 248 del 2006, ed al decreto legge numero 201 del 2011, convertito dalla legge numero 214 del 2011 falsa o errata motivazione nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria, vessatorietà, sviamento, illogicità, errata valutazione di presupposti, travisamento dei fatti, ingiustizia manifesta e contraddittorietà. 4.- Il T.A.R., con sentenza numero 6721 del 29 maggio 2013, depositata il 9 luglio 2013, ha accolto il ricorso ed ha annullato il provvedimento di diniego numero 90221/2012 ed ha, altresì, ordinato a Roma Capitale di riesaminare l'istanza presentata dalla società LOREAL s.r.l. . In ottemperanza alla sentenza del T.A.R., Roma Capitale ha riesaminato la domanda della società ricorrente e, in data 4 ottobre 2013, ha emesso un ulteriore provvedimento prot. numero 90179 di diniego all'apertura della attività di ristorazione. 5.- Avverso la sentenza ha proposto appello Roma Capitale, con istanza di sospensione cautelare dell'efficacia esecutiva. Si è costituita in giudizio la società LOREAL s.r.l. e ha chiesto di rigettare l'appello perché infondato e soprattutto inammissibile ai sensi dell'articolo 329 c.p.c., in quanto ottemperando spontaneamente al dispositivo della sentenza numero 6721/2013 emessa dal T.A.R. Lazio - Roma - sezione II ter, Roma Capitale ha riattivato l'istruttoria ed ha emesso un nuovo provvedimento prot. numero 90179 del 7 ottobre 2013 di diniego alla richiesta di autorizzazione per l'esercizio di una nuova attività di somministrazione di alimenti e bevande formulata dalla LOREAL s.r.l. . E' intervenuta, in sede di appello, l'associazione Assocomsum ad adiuvandum della società resistente LOREAL s.r.l. , a sostegno delle tesi esposte da quest'ultima. Con atto datato 28 aprile 2014 si è costituito per la società LOREAL s.r.l. , in aggiunta ai difensori già costituiti, l'avv. Mario Libertini che, riportandosi ai precedenti scritti difensivi, ha chiesto il respingimento dell'appello. All'udienza pubblica del 4 giugno 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione. 6.- Preliminarmente questo Collegio ritiene di doversi pronunciare in ordine all’eccezione di inammissibilità dell'appello avanzata dalla società LOREAL s.r.l. . L’eccezione è infondata, atteso che l'acquiescenza a sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'articolo 329 comma 1 c.p.c., in mancanza di accettazione espressa, sussiste soltanto quando l'interessato ponga in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia e cioè quando sia possibile affermare che detti atti sono incompatibili, sotto il profilo logico o giuridico, con la volontà di avvalersi dell'impugnazione. Diversamente, il mero adeguarsi dei soccombenti alla statuizione del giudice rileva, in generale, un atteggiamento passivo e sicuramente non incompatibile con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge Cassazione civile, sez. II, 4 giugno 2013, numero 14120 . 7.- Nel merito l'appello di Roma Capitale è fondato e va accolto. 8.- Con il primo motivo di censura Roma Capitale lamenta violazione e falsa applicazione dell'articolo 3 del D.L. numero 223/2006, convertito in legge numero 248/2006, dell'articolo 64 del D.lgs. numero 59/2010 e degli artt. 31 e 34 del D.L. numero 201/2011, convertito in legge numero 214/2011 nonché difetto di motivazione. Con il secondo motivo di censura l'appellante lamenta violazione e falsa applicazione dell'articolo 1 del D.L. numero 1 del 2012, convertito in legge numero 27/2012 e difetto di motivazione. Con il terzo motivo di censura l'appellante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 117, 119 e 120 della Costituzione, degli artt. 6 e 10 del D.lgs. numero 114/1998 e difetto di motivazione. I tre motivi di appello sono collegati tra loro e richiedono una trattazione congiunta. L'appellante sostiene, con essi, l'erroneità della sentenza perché fondata sul presupposto che il provvedimento di diniego del Comune è stato adottato successivamente all’emanazione ed all’entrata in vigore 25 marzo 2012 del decreto così detto Salva Italia” e del decreto legge 6 dicembre 2011, numero 201, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, numero 214 e che l'amministrazione comunale, in osservanza del principio tempus regit actum, avrebbe dovuto tenerne conto. Al riguardo, l'appellante assume che le nuove disposizioni richiamate dal T.A.R. avrebbero lo stesso contenuto precettivo del D.L. numero 223/2006 e del D.Lgs. numero 59/2010, per cui il tribunale, nel pronunciarsi, avrebbe omesso di accertare se le nuove norme fossero confliggenti con le previsioni del regolamento per la disciplina della attività di somministrazione di alimenti e bevande approvato con delibera del consiglio comunale numero 35/2010 , adottato recependo la normativa già all'epoca vigente. L'appellante sostiene che con la normativa del 2012 decreto Salva Italia persisterebbe la legittimazione dell'ente locale a porre dei limiti all'esercizio dell'attività economica, purché essi siano proporzionali, ragionevoli e adeguati alle perseguite finalità di interesse pubblico generale, alle stregua dei principi costituzionali per i quali l'iniziativa economica privata è libera secondo condizioni di pari concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti . Ad avviso del Comune si tratterebbe di accertare, quindi, se nel caso di specie il regolamento comunale, approvato con deliberazione numero 35/2010, sia divenuto inapplicabile a seguito delle disposizioni introdotte dal legislatore del 2012 o se le sue previsioni permangano vigenti nell'aggiornato quadro normativo. Il Comune contesta, altresì, che l'articolo 31, comma 2, del D.L. numero 201/2011 imponga un riesame ex novo della materia, stante la non innovatività delle disposizioni introdotte dalla norma. 9.- Orbene, deve osservarsi che il T.A.R. nella sentenza appellata ha richiamato la sentenza numero 1802 del 27 marzo 2013 di questa Sezione, in tema di rilascio di nuova autorizzazione all'apertura di esercizi pubblici nel centro storico di Roma, in cui è detto che l'introduzione in via regolamentare di divieti per zone territoriali è in astratto consentita quando nessun'altra misura meno restrittiva consenta di tutelare la vivibilità del quartiere interessato” Tali divieti, evidentemente, possono essere imposti, quindi, sulla base di elementi oggettivi e non discriminatori, che consentano di apprezzare la congruità della restrizione massima con la tutela della suddetta esigenza e dunque nel rispetto dei principi comunitari di ragionevolezza e proporzionalità, sulla cui base deve sempre essere effettuato il bilanciamento tra le esigenze di liberalizzazione in funzione di promozione della concorrenza e la salvaguardia di urgenze di ordine imperativo a tutela di interessi generali. Alla luce delle suddette coordinate di carattere generale, correttamente il T.A.R. ha anche ritenuto rilevante lo studio del dipartimento per il commercio e le attività produttive del Comune, allegato al regolamento impugnato, ove è detto che in alcuni municipi del centro la rete distributiva commerciale è particolarmente densa, sostenuta da una domanda maggiore in quanto attratta dalla presenza di un patrimonio storico, artistico e culturale, per cui il divieto di cui trattasi si pone quale misura congrua rispetto alle esigenze, debitamente esternate ed agevolmente comprensibili, di preservare la vivibilità di ambiti territoriali sottoposti a forte pressione demografica, veicolare e di sviluppo commerciale, grazie alla loro attrattività architettonico - culturale e paesaggistica. Malgrado ciò, il T.A.R. ha sostenuto che il provvedimento dell'amministrazione comunale fosse di per sé illegittimo in quanto - in presenza della previsione di cui all'articolo 31, comma 2, del D.L. numero 201/2011 che ha imposto di rivalutare gli interessi in gioco alla luce delle prescrizioni contenute nello stesso articolo 31 - il riferimento ad una fonte normativa previgente non può ritenersi esaustivo . 10.- La tesi del T.A.R. non è condivisibile. Al riguardo si deve osservare, infatti, che la Regione Lazio non ha ritenuto necessario o urgente integrare la legislazione statale del 2011 e del 2012, intendendo ancora applicabile la propria normazione di dettaglio esistente e, alla luce di ciò, il Comune ha continuato, ragionevolmente, ad applicare il regolamento numero 35/2010, considerandolo tuttora conforme ai principi nazionali e comunitari posti a tutela della concorrenza e dell'iniziativa economica. Ed invero questo Collegio è dell’avviso che non vi siano differenze sostanziali di contenuto, per quanto qui interessa, nella legislazione nazionale e comunitaria susseguitasi, a far tempo dal D.L. numero 223/2006, dalla direttiva 2006/123/CE e dalla relativa legge di recepimento decreto legislativo numero 59/2010 fino ai più recenti decreti Salva Italia D.L. numero 201/2011, con legge numero 214/2011 e Cresci Italia D.L. numero 1/2012, convertito con legge numero 14/2012 . In detta legislazione, in particolare, viene posto in rilievo, costantemente, il carattere preminente dei valori costituzionalmente garantiti, di salvaguardia del patrimonio ambientale, storico - artistico e culturale del Paese, rispetto ai quali la libertà di concorrenza, cui tende la liberalizzazione delle attività commerciali, può subire limitazioni nell'ambito di una programmazione volta a contemperare i bisogni delle imprese commerciali, ivi compresi i pubblici esercizi, con le esigenze di sostenibilità ambientale e con la salvaguardia dei valori storico - artistici del contesto del territorio di riferimento. Nella medesima linea si è anche posta la giurisprudenza della Corte Costituzionale e, al riguardo, si richiamano le sentenze numero 430 del 19 dicembre 2007, numero 299 del 19 dicembre 2012, numero 27 del 22 febbraio 2013, numero 38 del 15 marzo 2013 e numero 65 del 12 aprile 2013. Circa il permanere della valenza di tali principi, non scalfiti dall’evolversi delle norme in materia, si è peraltro già espressa questa sezione, da ultimo con sentenza numero 1860 del 16 aprile 2014. 11.- Con il quarto motivo di censura l'appellante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 del cod. proc. civ., travisamento dei fatti e difetto di motivazione. L'appellante assume l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale, nell'accogliere il ricorso, ha disposto che l'amministrazione, in sede di rilascio delle autorizzazioni commerciali per pubblici esercizi nelle aree del centro storico, deve compiere una valutazione maggiormente analitica e svincolata da norme che, in assenza dell'adeguamento di cui all'articolo 31, comma 2, ultima parte, del d.l. numero 201 del 2011, non possono ritenersi più cogenti, tale da dare conto in maniera specifica delle ragioni per le quali l'autorizzazione può essere assentita o deve essere denegata . Orbene, per quanto già motivato, in assenza di nuova normazione regionale, che, peraltro, non può in ogni caso derogare alla legislazione quadro nazionale e comunitaria in materia, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di prime cure, nessuna particolare indagine doveva essere condotta dall'amministrazione, in vigenza, come si è detto, della regolamentazione esistente per l'esercizio della attività di somministrazione di alimenti e bevande, frutto del bilanciamento degli interessi pubblici e privati in campo. In concreto, nel caso di specie, l’amministrazione comunale ha ritenuto necessario salvaguardare l'assetto di via di Monserrato da trasformazioni connesse ad una commercializzazione esasperata , considerata la rilevanza storica del luogo. Nel contestare, poi, la tesi dell’appellante, il Comune, sulla base delle risultanze, ha evidenziato che in via di Monserrato numero 32, alla data del 30 giugno 2011, nessuna attività di somministrazione veniva svolta, con ciò smentendo la circostanza, peraltro non rilevante, che il numero complessivo dei pubblici esercizi sarebbe rimasto immutato in caso di rilascio dell'autorizzazione richiesta dalla società. 12.- Conclusivamente l'appello di Roma Capitale è fondato e va accolto. 13.- Attesi i delicati risvolti interpretativi della materia oggetto del contendere, sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado. Spese dei due gradi di giudizio compensate tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.