Nessuna sanzione alla società che non verifica, senza colpa, il contenuto delle autocertificazioni che le vengono presentate

Le società organismi di attestazione SOA sono, infatti, per espressa previsione normativa art. 2, comma 1, lett. i d.P.R. n. 34/2000 organismi di diritto privato che accertano ed attestano l’esistenza, nei soggetti esecutori di lavori pubblici, degli elementi di qualificazione di cui all’art. 8, comma 3, lett. c ed eventualmente lett. a e b della legge intesa come legge n. 109/1994 e successive modificazioni .

Detti organismi, costituiti nella forma delle società per azioni, debbono svolgere in via esclusiva l’attività sopra specificata ed assicurare, nell’esercizio della stessa, indipendenza di giudizio, nonché assenza di qualunque interesse commerciale, quale fonte potenziale di conflitto di interessi. Non può porsi in dubbio, pertanto, ha osservato la Sezione con la sentenza 2029 del 22 aprile 2014, che le società in questione svolgano una funzione pubblica, con rilascio di atti, cui è attribuita la stessa valenza certificativa di quelli rilasciati da pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. n. 445/2000 da intendersi riferito anche alle attestazioni di qualità, secondo i criteri fissati dal d.P.R. n. 207/2010 in tal senso Cons. St., sez. VI, n. 121/2007 e n. 3905/2012 . Verifica a campione? Per l’esercizio della funzione pubblica in questione, assegnata dalla legge, non possono pertanto non applicarsi alle SOA, ad avviso del Collegio, le garanzie e le responsabilità previste per le pubbliche amministrazioni, a partire da quelle che attengono ai controlli sulle autocertificazioni. In presenza di un obbligo di verifica, al riguardo previsto solo a campione” con conseguente, fisiologica possibilità di casi che sfuggissero al controllo , con più puntuale obbligo verifica solo per situazioni, in cui fossero emersi fondati dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive”, le conclusioni tratte nella fattispecie dall’Autorità di Vigilanza AVCP non appaiono, quindi, a giudizio del Collegio, condivisibili, non essendo stata segnalata alcuna circostanza, che dovesse suscitare particolari dubbi nella SOA di cui trattasi, nei confronti delle dichiarazioni di un proprio consigliere di amministrazione. Come sostenuto dall’ appellante ente certificatore, infatti, nessuna disposizione, anche interna, imponeva specifiche e tassative modalità di controllo su tutte le autocertificazioni, con conseguente possibilità che le dichiarazioni non veritiere non trovassero puntuale verifica e fossero, in buona fede, ritenute corrette dall’Ente di appartenenza, che non poteva pertanto essere destinatario di sanzioni, applicabili solo in caso di condotta quanto meno colposa dell’Ente stesso benché quest’ultimo fosse ad avviso del Collegio abilitato a richiedere i certificati, di cui all’art. 28 d.lgs. n. 311/2002 testo unico delle disposizioni legislative in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti . In tale contesto la determinazione n. 1/2011 della AVCP non poteva, in effetti, rivestire carattere innovativo in rapporto a norme di rango primario, come quelle in precedenza esaminate, ma doveva ritenersi chiarificatrice dei criteri di diligenza, da ritenere idonei ad escludere il carattere colposo di eventuali omissioni nei controlli. Il fatto, tuttavia, che detta disposizione chiarificatrice riferita all’esigenza di periodiche richieste all’Ufficio del Casellario giudiziale dei certificati integrali, riferiti alle persone fisiche oggetto di controllo, ivi comprese – deve ritenersi – quelle operanti all’interno della stessa SOA fosse successiva alla condotta nella fattispecie sanzionata induce a ravvisare l’assenza di colpa, nella comune accezione ripresa dall’art. 43, comma 3, c.p. che individua la stessa come frutto di negligenza o imperizia , ovvero ad inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline . Se, d’altra parte, non può negarsi che la citata Autorità potesse dettare disposizioni cogenti, per circoscrivere i parametri della colpa nell’attività degli enti sottoposti al proprio controllo, è anche indubbio che detti parametri non potessero applicarsi retroattivamente. Mancanza di elementi probatori Appare arduo individuare, in tale ottica, afferma quindi la Sezione, una violazione degli obblighi posti a carico delle SOA dal d.P.R. n. 34/2000, in mancanza di elementi probatori atti a far desumere l’intenzione dell’appellante di sottrarsi al rapporto collaborativo con l’Autorità di vigilanza, a garanzia dell’imparzialità e della trasparenza dell’attività di certificazione svolta, non essendo intervenute violazioni di obblighi predeterminati di accertamento, né mancata risposta a specifiche richieste della medesima Autorità, ex art. 7, commi 5, 8 e 9, del più volte citato d.P.R. n. 34/2000 Cons. St., sez. VI, n. 1272/2008 .

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 11 marzo – 22 aprile 2014, n. 2029 Presidente Baccarini – Estensore De Michele Fatto e diritto La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne il provvedimento sanzionatorio adottato dall’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture AVCP con delibera n. 368 del 26.9.2012, nei confronti della società DAP Organismo di Attestazione s.p.a, per violazione dell’art. 7, comma 8, del d.P.R. n. 34 del 2000 ora art. 65, comma 2, del d.P.R. n. 207/2010 . Detta sanzione, implicante il pagamento di 10.000 euro ed iscrizione nel casellario informatico della citata Autorità, veniva irrogata a causa della condanna intervenuta a carico del consigliere di amministrazione della citata società DAP, ing. Artale, a due anni di reclusione – con inabilitazione per dieci anni all’esercizio di un’impresa commerciale e dichiarata incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa – per il reato di bancarotta fraudolenta. Detta condanna risultava irrevocabile dal 16.5.2007, senza essere mai stata comunicata all’AVCP, che riteneva tale condotta contrastante con la normativa sopra citata, nel testo allora vigente. L’impugnativa, al riguardo proposta dalla società interessata, è stata respinta dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, sez. III, con sentenza 11.7.2013, n. 6905/13 che non risulta notificata , avendo ritenuto il giudice di primo grado che la società ricorrente, in quanto incaricata di un pubblico servizio, fosse legittimata a chiedere certificazioni al casellario giudiziario e che, pertanto, potesse configurarsi un difetto di diligenza, nell’omesso controllo di tre autocertificazioni non veritiere del proprio consigliere di amministrazione. Al riguardo, le linee guida elaborate dall’Autorità nel 2011 sarebbero state prive di contenuto precettivo, contenendo solo indicazioni operative, su obblighi anche antecedentemente sussistenti. Avverso detta pronuncia veniva proposto l’atto di appello in esame n. 6298/13, notificato in data 8.8.2013 , sulla base dei seguenti motivi di gravame reiterativi delle argomentazioni difensive già prospettate in primo grado, che venivano in aggiunta integralmente riprodotte, con finale istanza di risarcimento del danno 1 violazione o falsa applicazione degli articoli 71 e 73 del d.P.R. 28.12.2000, n. 445, disponendo la prima delle citate norme peraltro, non richiamata nel provvedimento sanzionatorio che le amministrazioni procedenti sono tenute ad effettuare idonei controlli, anche a campione, in tutti i casi in cui sorgono fondati dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive, di cui agli articoli 46 e 47”, con evidente non sussistenza di un obbligo di controllo assoluto e inderogabile su ogni singola dichiarazione e con altrettanto evidente possibilità che un controllo, effettuato a campione, potesse non ricadere sulla persona dell’ing. Artale, nei confronti del quale non sussistevano all’epoca ragioni di dubbio, o sospetto l’art. 73, a sua volta, dispone che le pubbliche amministrazioni e i loro dipendenti, salvi i casi di dolo o colpa grave, sono esenti da ogni responsabilità per gli atti emanati, quando l’emanazione sia conseguenza di false dichiarazioni, o di documenti falsi, o contenenti dati non più rispondenti a verità, prodotti dagli interessati o da terzi”, con conseguente assenza di responsabilità della società, per le false dichiarazioni dell’ing. Artale 2 Violazione o falsa applicazione dell’art. 7, comma 8, del d.P.R. 25.1.2000, n. 34, dovendo ritenersi che la fattispecie sanzionatoria si riferisse a mancata comunicazione all’AVCP di sopravvenienze ostative conosciute dalla società di certificazione e non già di circostanze non note, che nessuna norma imponeva chiaramente di verificare. Solo con determina dell’Autorità di Vigilanza n. 1/2011 successiva ai fatti oggetto di causa sarebbe stato per la prima volta previsto che le SOA dovessero ogni sei mesi richiedere alle Procure della Repubblica – Ufficio Casellario giudiziale – i certificati integrali, relativi alle persone fisiche oggetto di controllo” tale disposizione risulterebbe senz’altro innovativa, circa le modalità dei controlli da effettuare 3 Violazione o falsa applicazione della circolare del Ministero della Giustizia del 7.7.2004 e dell’art. 28 del d.lgs. n. 311 del 14.11.2002, dovendo ritenersi che, prima dell’emanazione delle linee guida sopra citate, la SOA non potesse accedere al Casellario giudiziale per acquisire certificazioni, non riguardanti imprese richiedenti l’attestazione, solo quest’ultima ipotesi essendo stata oggetto della predetta circolare ed in assenza di normativa più ampia a livello primario, in quanto l’art. 28 del citato d.lgs. n. 311/2002 dovrebbe intendersi riferito alle esigenze operative della SOA nei confronti di soggetti terzi e non per propri controlli interni 4 Violazione o falsa applicazione dell’art. 11 della legge n. 689/1981, nonché dei principi di proporzionalità e adeguatezza violazione o falsa applicazione dell’allegato 1 al regolamento, in materia di esercizio del potere sanzionatorio, di cui all’art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 207/2010. L’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, costituitasi in giudizio, riepilogava le fasi della vicenda contenziosa, sottolineando come le linee guida, emesse nel 2011, intendessero solo indicare le modalità operative dei controlli imposti alle SOA dal d.P.R. n. 34/2000 e dal d.P.R. n. 207/2010 sul mantenimento del requisito morale, con colpa grave addossabile all’organismo di attestazione, che non avesse verificato come nel caso di specie, pur avendone l’obbligo previsto dalla legge, la veridicità delle dichiarazioni sostitutive rese da un proprio socio e amministratore, circa il possesso del requisito in questione. Preso atto delle opposte argomentazioni delle parti, il Collegio ritiene che le argomentazioni prospettate dall’appellante siano condivisibili sotto il profilo – da considerare assorbente – della prospettata violazione o falsa applicazione degli articoli 71 e 73 del d.P.R. 28.12.2000, n. 445 Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa , nonché – conseguentemente – dell’art. 7, comma 8, del d.P.R. n. 34/2000, nel testo ratione temporis applicabile. Le predette norme delineano infatti chiaramente la responsabilità delle pubbliche amministrazioni per atti emanati a seguito di false dichiarazioni, imponendo al riguardo controlli a campione e restringendo la responsabilità ai casi di dolo o colpa grave. Le società organismi di attestazione SOA sono per espressa previsione normativa art. 2, comma 1, lettera i” d.P.R. n. 34/2000 cit organismi di diritto privatoche accertano ed attestano l’esistenza, nei soggetti esecutori di lavori pubblici, degli elementi di qualificazione di cui all’art. 8, comma 3, lettera c ed eventualmente lettere a e b della legge” intesa come legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni . Detti organismi, costituiti nella forma delle società per azioni, debbono svolgere in via esclusiva l’attività sopra specificata ed assicurare, nell’esercizio della stessa, indipendenza di giudizio, nonché assenza di qualunque interesse commerciale, quale fonte potenziale di conflitto di interessi. Non può porsi in dubbio, pertanto, che le società in questione svolgano una funzione pubblica, con rilascio di atti, cui è attribuita la stessa valenza certificativa di quelli rilasciati da pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. n. 445/2000 da intendersi riferito anche alle attestazioni di qualità, secondo i criteri fissati dal d.P.R. 5.10.2010, n. 207 cfr. in tal senso Cons. St., sez. VI, 19.1.2007, n. 121 e 4.7.2012, n. 3905 . Per l’esercizio della funzione pubblica in questione, assegnata dalla legge, non possono pertanto non applicarsi alle SOA, ad avviso del Collegio, le garanzie e le responsabilità previste per le pubbliche amministrazioni, a partire da quelle, in precedenza indicate, che attengono ai controlli sulle autocertificazioni. In presenza di un obbligo di verifica, al riguardo previsto solo a campione” con conseguente, fisiologica possibilità di casi che sfuggissero al controllo , con più puntuale obbligo verifica solo per situazioni, in cui fossero emersi fondati dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive”, le conclusioni tratte nella fattispecie dall’Autorità di Vigilanza AVCP non appaiono condivisibili, non essendo stata segnalata alcuna circostanza, che dovesse suscitare particolari dubbi nella SOA di cui trattasi, nei confronti delle dichiarazioni di un proprio consigliere di amministrazione. Come sostenuto dall’attuale appellante, infatti, nessuna disposizione, anche interna, imponeva specifiche e tassative modalità di controllo su tutte le autocertificazioni, con conseguente possibilità che le dichiarazioni non veritiere – rese, nel caso di specie, dall’ing. Artale – non trovassero puntuale verifica e fossero, in buona fede, ritenute corrette dall’Ente di appartenenza, che non poteva pertanto essere destinatario di sanzioni, applicabili solo in caso di condotta quanto meno colposa dell’Ente stesso benchè quest’ultimo fosse ad avviso del Collegio – per la qualificazione giuridica già sopra esposta e contrariamente a quanto sostenuto nell’atto di appello – abilitato a richiedere i certificati, di cui all’art. 28 del d.lgs. 14.11.2002, n. 311 testo unico delle disposizioni legislative in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti . In tale contesto la determinazione n. 1/2011 della più volte citata AVCP non poteva, in effetti, rivestire carattere innovativo in rapporto a norme di rango primario, come quelle in precedenza esaminate, ma doveva ritenersi chiarificatrice dei criteri di diligenza, da ritenere idonei ad escludere il carattere colposo di eventuali omissioni nei controlli. Il fatto, tuttavia, che detta disposizione chiarificatrice riferita all’esigenza di periodiche richieste all’Ufficio del Casellario giudiziale dei certificati integrali, riferiti alle persone fisiche oggetto di controllo, ivi comprese – deve ritenersi – quelle operanti all’interno della stessa SOA fosse successiva alla condotta nella fattispecie sanzionata induce a ravvisare l’assenza di colpa, nella comune accezione ripresa dall’art. 43, comma 3, cod. pen. che individua la stessa come frutto di negligenza o imperizia”, ovvero ad inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”. Se, d’altra parte, non può negarsi che la citata Autorità potesse dettare disposizioni cogenti, per circoscrivere i parametri della colpa nell’attività degli enti sottoposti al proprio controllo, è anche indubbio che detti parametri non potessero applicarsi retroattivamente. Appare arduo individuare, in tale ottica, una violazione degli obblighi posti a carico delle SOA dal d.P.R. n. 34/2000, in mancanza di elementi probatori atti a far desumere l’intenzione dell’appellante di sottrarsi al rapporto collaborativo con l’Autorità di vigilanza, a garanzia dell’imparzialità e della trasparenza dell’attività di certificazione svolta, non essendo intervenute violazioni di obblighi predeterminati di accertamento, né mancata risposta a specifiche richieste della medesima Autorità, ex art. 7, commi 5, 8 e 9, del più volte citato d.P.R. n. 34/2000 cfr. anche, per il principio, Cons. St., sez. VI, 28.3.2008, n. 1272 . Il Collegio ritiene quindi che, nel caso di specie, le misure sanzionatorie impugnate non fossero applicabili, per impossibilità di identificare gli estremi di una condotta colposa, in base alla disciplina vigente nel lasso temporale di riferimento. Pertanto, l’appello deve essere accolto, con le conseguenze precisate in dispositivo e con assorbimento delle questioni non esaminate ad eccezione dell’istanza risarcitoria, che appare comunque inammissibile per genericità, in assenza di qualsiasi principio di prova in ordine alla quantificazione del danno ed alla colpa di AVCP, tenuto conto della delicatezza e della gravità della situazione da quest’ultima rilevata, pur mancando elementi, atti a farne desumere la pregressa conoscenza da parte della SOA interessata . Quanto alle spese giudiziali, infine, si ravvisano giusti motivi per disporne la compensazione, tenuto conto delle peculiarità della vicenda sottoposta giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta , definitivamente pronunciando, accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla il provvedimento di AVCP n. 368 del 26.9.2012 dichiara inammissibile l’istanza risarcitoria compensa le spese giudiziali. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.