Non è uno stinco di santo: bene ha fatto il prefetto a vietargli di tenere a casa armi e munizioni

Insomma, i tempi sono cambiati e, al giorno d'oggi, è meglio che le armi stiano in mano soltanto a cittadini al di sopra di ogni sospetto.

Una persona di cattiva condotta morale e civile? Con la conseguenza che se un soggetto per circa un ventennio ha commesso reati, illeciti amministrativi, inadempimenti di obbligazioni, etc., ed in più i Carabinieri lo descrivono come persona di cattiva condotta morale e civile”, non si può fare affidamento su un uso corretto e legittimo delle armi. E a nulla è servito, in questo caso, l'appellarsi all'obbligo di preavviso previsto dall'art. 7, legge n. 241/1990 perchè il Tar ha affermato che nella fattispecie non era necessario. In pratica, andava considerato del tutto legittimo il provvedimento del prefetto la cui funzione è cautelativa e preventiva a norma dell’art. 39 TULPS, e quindi opportuno, visto, nel caso concreto, il curriculum costellato di episodi negativi. Armi e munizioni in casa. La Sezione, nella decisione 4670/2013, si è soffermata comunque sulla questione lamentata dall'interessato e connessa alla sostanziale irrilevanza di tutti gli episodi che gli erano stati addebitati, vuoi perché remoti nel tempo, vuoi perché di minima entità, vuoi infine, perché molti degli addebiti non sono stati poi seguiti da provvedimenti sanzionatori per remissione di querela o simili. Sotto questo profilo, ha osservato il Collegio, si può convenire con l’appellante che ciascuno degli episodi ascrittigli, se preso a sé, sarebbe di ben modesta rilevanza e difficilmente giustificherebbe un provvedimento cautelativo come quello avversato. Se non altro perché la gran parte di essi non è recente, anzi in qualche caso risale di circa un ventennio. E sotto questo profilo, ha aggiunto, milita in favore dell’appellante non solo la distanza nel tempo, ma anche il fatto che nel frattempo l’autorità di p.s. gli aveva lasciato la disponibilità delle armi, mostrando con il suo comportamento di non ravvisare alcun pericolo. Ma se tutto questo è vero, afferma la sentenza, è anche vero che quegli episodi costituiscono nel loro insieme una catena ininterrotta, e che pur essendo tipologicamente diversi fra loro concorrono a delineare una personalità che i Carabinieri, come detto sopra, definiscono di cattiva condotta morale e civile”. Giudizio, quest’ultimo, che il Collegio ha lasciato all’autorità di p.s., ma che non si può certo definire manifestamente incongruo o sproporzionato ai dati di fatto.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 12 - 19 settembre 2013, n. 4670 Presidente/Estensore Lignani Fatto e diritto 1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, è stato destinatario del decreto notificato il 10 aprile 2013, con il quale il Prefetto di Firenze gli ha fatto divieto di detenere armi e munizioni, ai sensi dell’art. 39, t.u.l.p.s Il provvedimento era motivato con richiamo ad una lunga serie di reati, illeciti amministrativi, inadempimenti di obbligazioni, etc., addebitati all’interessato nell’arco di circa un ventennio, sino all’attualità e con la considerazione che costui è descritto dai Carabinieri come persona di cattiva condotta morale e civile”. Donde il convincimento che egli non dia pieno affidamento riguardo ad un uso corretto e legittimo delle armi. 2. L’interessato ha fatto ricorso al T.A.R. Toscana, lamentando la violazione dell’obbligo di preavviso art. 7, legge n. 241/1990 e la sostanziale irrilevanza di tutti gli episodi addebitatigli, vuoi perché remoti nel tempo, vuoi perché di minima entità, vuoi infine, perché molti degli addebiti non sono stati poi seguiti da provvedimenti sanzionatori per remissione di querela o simili. 3. Il T.A.R. Toscana, con la sentenza ora appellata, ha rigettato il ricorso. In primo luogo ha affermato che nella fattispecie non era necessario l’avviso del procedimento. In secondo luogo ha illustrato ampiamente la funzione cautelativa e preventiva del potere esercitato dal Prefetto a norma dell’art. 39, t.u.l.p.s., concludendo che nella fattispecie il curriculum dell’interessato, costellato di episodi negativi, legittimava l’applicazione del divieto di detenere armi. 3. L’interessato propone ora appello davanti a questo Consiglio, rinnovando le sue censure. L’Amministrazione si è costituita per resistere. In occasione della trattazione della domanda cautelare in camera di consiglio, il Collegio, sentite le parti, ravvisa gli estremi per la definizione immediata della controversia. 4. Relativamente alle questioni di diritto e di massima, la sentenza del T.A.R. merita piena condivisione vuoi per quanto riguarda i problemi relativi al procedimento, vuoi per la ricostruzione della natura, della finalità e della disciplina del potere esercitato dal Prefetto a norma dell’art. 39 t.u.l.p.s Su questi aspetti nulla vi è da aggiungere, anche perché si tratta di princìpi ampiamente consolidati, sui quali questo Consiglio si è già espresso ripetutamente, e non da ora. 5. Restano da esaminare le questioni più propriamente legate al caso di specie. Sotto questo profilo, si può convenire con l’appellante che ciascuno degli episodi ascrittigli, se preso a sé, sarebbe di ben modesta rilevanza e difficilmente giustificherebbe un provvedimento cautelativo come quello avversato. Se non altro perché la gran parte di essi non è recente, anzi in qualche caso risale di circa un ventennio e sotto questo profilo milita in favore dell’appellante non solo la distanza nel tempo, ma anche il fatto che nel frattempo l’autorità di p.s. gli ha lasciato la disponibilità delle armi, mostrando con il suo comportamento di non ravvisare alcun pericolo. Ma se tutto questo è vero, è anche vero che quegli episodi costituiscono nel loro insieme una catena ininterrotta, e che pur essendo tipologicamente diversi fra loro concorrono a delineare una personalità che i Carabinieri, come detto sopra, definiscono di cattiva condotta morale e civile”. Giudizio, quest’ultimo, che il Collegio lascia all’autorità di p.s., ma che non si può certo definire manifestamente incongruo o sproporzionato ai dati di fatto. Sicché, valutata la vicenda nel suo complesso, si deve confermare la legittimità dell’atto impugnato. 6. L’appello deve essere respinto. La presente decisione, s’intende, non è di ostacolo a che l’autorità di pubblica sicurezza, riesaminando il caso alla luce del comportamento futuro dell’interessato, pervenga a conclusioni più favorevoli nell’esercizio della sua discrezionalità. Le spese del giudizio possono essere compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza rigetta l’appello. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.