Condono edilizio: la banca chiede lo sconto

Ma in materia di abusi edilizi, la misura dell’oblazione è rimessa in via esclusiva alla legge, senza che l’amministrazione chiamata ad applicarla possa esplicare altra attività che quella di ricognizione dei presupposti fissati dalla norma primaria che la stessa è chiamata ad applicare e l'art. 34, comma 7, l. n. 47/1985 non contempla la destinazione ad attività direzionale tra quelle agevolate.

Succede a Milano. La questione posta all'attenzione della Sezione ha riguardato la misura dell’oblazione dovuta da un istituto bancario per opere edilizie abusivamente realizzate sullo stabile di proprietà dello stesso a seguito di istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 39, l. n. 724/1994 Misure di razionalizzazione della finanza pubblica” . Secondo l’ente creditizio l'attività della banca doveva reputarsi compresa nel perimetro applicativo della norma ma nella parte in cui comunque dimezza gli importi dell’oblazione, per ragioni di coerenza con la legislazione edilizia, caratterizzata sulla contrapposizione tra destinazione residenziale e destinazioni non residenziali degli edifici. E ciò in forza della circolare ministeriale n. 2241 che, a dire dello stesso, costituiva un pedissequo recepimento, per considerazioni di carattere finalistico, legate agli scopi agevolativi dell’oblazione in misura ridotta in favore di ogni attività imprenditoriale. La normativa. L’art. 34, comma 7, legge 724/1994 prevede in generale una riduzione del 50% rispetto degli importi valevoli secondo i criteri ordinari, ed una successiva riduzione, di un terzo o di un mezzo a seconda dei casi, per ciascuna delle cinque fattispecie contemplate. Le quali sono distinte in base alla destinazione della costruzione su cui l’abuso è stato commesso o nel solo caso di cui alla lett. e , per il quale la riduzione ulteriore è di un mezzo in luogo di un terzo prevista per le altre ipotesi della zona agricola su cui l’abuso ricade. Per le destinazioni diverse da quest’ultima sono poi previste specifiche limitazioni, differentemente graduate in relazione alla superficie della costruzione interessata dall’abuso. Ma tra le destinazioni contemplate dalla norma non vi è quella ad uso ufficio/direzionale e, come aveva già rilevato il TAR, non è consentito includerla in quella industriale, di cui alla lett. a della disposizione in questione, in forza di una supposta assimilazione tra le due destinazioni e del minimo comune denominatore del loro carattere produttivo. Innanzitutto, ha osservato il Collegio, dalla legislazione edilizia ed urbanistica si ricava ontologica differenza tra le stesse. La legge n. 10/1977 Norme sulla edificabilità dei suoli” , parifica la destinazione direzionale a quelle turistica e commerciale, ai fini del contributo di costruzione art. 10, commi 1 e 2 e analoga previsione è contenuta nella legge regionale lombarda attuativa n. 60/1977 art. 4 . Inoltre, nello stabilire i rapporti tra spazi destinati ad attività produttive e standard urbanistici il D.M. n. 1444/1968, distingue gli insediamenti aventi carattere industriale da quelli commerciali e direzionali art. 5, comma 1, nn. 1 e 2 . Peraltro, ha sottolineato il Collegio con riferimento alla memoria del Comune, è indiscutibile la diversa struttura e funzione, tra gli immobili destinati alle due diverse attività, ovvero il loro differente carico urbanistico, sulla cui base si spiega il differente trattamento legislativo e l’assimilazione dell’uso ufficio/direzionale a quello commerciale. E’ in altri termini pacifico che l’attività direzionale dia luogo ad un insediamento produttivo, ma non certo di tipo industriale, per cui se non è stato testualmente previsto, non può esservi fatto rientrare in via interpretativa. Attività imprenditoriali agevolate. La Sezione ha respinto anche la tesi della comune finalità agevolativa nei confronti delle attività produttive costituente la matrice teleologica della norma primaria. E’ vero, ha infatti osservato, che questa è alla base dell’art. 34, comma 7. Ma è altrettanto vero che la stessa non possa spingersi fino al punto di introdurre un’ulteriore fattispecie agevolativa, al di fuori cioè delle specifiche destinazioni elencate alle lettere da a a e , per le quali sono previste le ulteriori riduzioni rispetto al dimezzamento degli importi dovuti a titolo di oblazione, da ricondurre in via residuale a quest’ultima. Contrariamente a quanto sostiene l’istituto di credito, infatti, la norma ha preso in considerazione le attività che si svolgono nei singoli edifici e non già questi ultimi e tra queste non vi ha incluso, per ragioni riferibili a insindacabili scelte discrezionali di politica legislativa, la destinazione d’uso direzionale. In sostanza, a fronte di tale insuperabile opzione si rivela dunque vano invocare lo scopo agevolativo perseguito dalla norma nei confronti delle attività imprenditoriali, visto che a tal fine sono state prese solo alcune di queste, ritenute maggiormente meritevoli. Ed al giudice amministrativo è precluso intervento nomopoietico. Una circolare illegittima. Il Collegio ha anche preso in considerazione il fatto che la circolare ministeriale n. 2241 del 17 giugno 1995 fa riferimento testuale agli immobili - industriali e artigianali ivi inclusi gli immobili funzione direzionale ”. La fonte da cui tale previsione promana, ha precisato a tale proposito, non ha carattere normativo, valevole nei rapporti tra soggetti dell’ordinamento, trattandosi di circolare ministeriale interpretativa. Essa non può quindi essere invocata nel giudizio, perché non vincola il giudice nello stabilire la portata applicativa di disposizioni di legge.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 26 marzo - 17 luglio 2013, n. 3894 Presidente Pajno – Estensore Franconiero Fatto e diritto 1. La Banca popolare di Sondrio s.c.a.r.l. ed il comune di Milano controvertono nel presente giudizio in ordine alla misura dell’oblazione dovuta dalla prima per opere edilizie abusivamente realizzate sullo stabile di proprietà della stessa, ubicato in via S.M. Fulcorina n. 5, di cui all’istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 39 l. n. 724/1994 Misure di razionalizzazione della finanza pubblica” presentata in data 27 febbraio 1995. Versata infatti a tale titolo l’acconto di lire 46.050.000, a fronte del dovuto, pari a lire 49.734.000, il predetto istituto bancario ne chiedeva successivamente il rimborso della metà, pari a lire 24.867.000, invocando il disposto dell’art. 34, comma 7, l. n. 47/1985 Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie” ed il punto 2.2 della circolare del Ministero dei lavori pubblici 17 giugno 1995, n. 2241/UL applicazione della normativa in materia di definizione agevolata delle violazioni edilizie” , in virtù del cui combinato gli immobili aventi destinazione direzionale, tra cui quello oggetto della sanatoria, beneficerebbero del dimezzamento in questione. 2. Dal conseguente rifiuto opposto dall’amministrazione comunale sull’istanza, con provvedimento in data 25 ottobre 1996, scaturiva il presente giudizio di annullamento di tale determinazione, con connessa domanda restitutoria della somma asseritamente versata in eccedenza. 3. Il TAR Lombardia – sede di Milano adito respingeva la domanda, negando che la destinazione direzionale dell’immobile oggetto di abuso consentisse di ricondurre quest’ultimo ad alcuna delle ipotesi previste dall’art. 34, comma 7, citato, da ritenersi derogatorie rispetto agli ordinari criteri di computo della sanzione, e quindi di stretta interpretazione. Escludeva inoltre che la nota comunale del 10 dicembre 1996, nella quale veniva comunicata la misura dell’oblazione dovuta in lire 24.867.000, avesse carattere provvedimentale e dunque potesse sortire un effetto di riconoscimento della fondatezza della pretesa vantata dall’ente creditizio ricorrente. 4. Nel presente appello, quest’ultimo obietta che - il ridetto comma 7 dell’art. 34 l. n. 47/1985 si applica a tutti gli abusi edilizi realizzati su immobili con destinazione diversa da quella residenziale, come si ricava dall’assimilazione operata dal punto 2.2 della predetta circolare ministeriale n. 2241 del 17 giugno 1995, tra ogni tipologia di edifici accomunati dalla destinazione non residenziale il tutto coerentemente con la relativa finalità agevolativa della disposizione legislativa , generalmente valevole nei confronti di tutte le attività produttive, oltre che con quanto ricavabile dalla legislazione edilizia nazionale e regionale - contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, la nota comunale del 10 dicembre 1996, costituisce espressione di attività provvedimentale, fondante la pretesa restitutoria azionata - lo stesso giudice non si è pronunciato sulla censura svolta avverso la restrittiva interpretazione data dall’amministrazione, in sede di diniego dell’istanza di rimborso all’assimilazione tra immobili ad uso direzionale e quelli di carattere industriale e commerciale, sancita dal ridetto punto 2.2 della circolare ministeriale, in quanto illogicamente circoscritta ai soli uffici ubicati in immobili nei quali si svolge un’attività produttiva ed in contrasto con la citata circolare ministeriale. 5. Il comune di Milano, costituitosi in resistenza, controdeduce nei seguenti termini - la pretesa assimilazione tra edifici operata dalla circolare non incide sulla misura dell’oblazione, la quale è inderogabilmente fissata dalla norma primaria, che esclude l’attività bancaria tra quelle tassativamente ammesse al pagamento dell’oblazione in misura ridotta, in ragione della radicale diversità, giustamente rilevata dal TAR, delle sue caratteristiche rispetto alle altre attività imprenditoriali contemplate dalla norma agevolativa - essendo la misura dell’oblazione fissata dalla legge, non ha alcun rilievo il preteso riconoscimento da parte del comune della fondatezza dell’istanza di rimborso - l’omessa pronuncia sulla censura di illogicità dell’interpretazione data dall’amministrazione resistente alla normativa rilevante ai fini del presente giudizio è assorbita dalla pronuncia sul primo motivo di ricorso. 6. Così riassunte le opposte prospettazioni delle parti, il punto di diritto decisivo ai fini della presente controversia consiste nello stabilire se la destinazione direzionale di un immobile fondi la pretesa, vantata dall’istituto di credito odierno appellante, di pagare l’oblazione dovuta per la sanatoria di opere edilizie abusivamente realizzate nella misura ridotta ai sensi dell’art. 34, comma 7, l. n. 47/1985. Occorre infatti preliminarmente sottolineare che nella risoluzione di questo punto di diritto può reputarsi assorbita la doglianza relativa alle ragioni addotte dalla medesima amministrazione in sede di diniego del rimborso. Sul punto, ha ragione il comune odierno appellato a rimarcare che la misura dell’oblazione è rimessa in via esclusiva alla legge, senza che l’amministrazione chiamata ad applicarla possa esplicare altra attività che quella di ricognizione dei presupposti fissati dalla norma primaria che la stessa è chiamata ad applicare. A questo rilievo consegue anche l’infondatezza del motivo d’appello imperniato sul supposto carattere provvedimentale della nota comunale del 10 dicembre 1996 nella quale il comune riconosce che la somma dovuta dalla banca autrice dell’abuso è quella dimezzata, non senza trascurare che venendo nella specie in rilievo un’obbligazione pecuniaria afferente ad un rapporto di diritto pubblico, non è possibile sostenere che l’amministrazione disponga di poteri di disposizione della pretesa creditoria. 7. Venendo dunque ad esaminare la suddetta questione in diritto, occorre subito notare che il TAR è giunto alla soluzione negativa, sulla base di un’interpretazione imperniata sul tenore letterale della norma di rango primario invocata dalla Banca Popolare di Sondrio. L’art. 34, comma 7, l. n. 47/1985 non contempla in effetti la destinazione ad attività direzionale. 7.1 L’ente creditizio odierno appellante assume, per contro, che tale attività deve nondimeno reputarsi compresa nel perimetro applicativo della medesima norma, in particolare nella parte in cui comunque dimezza gli importi dell’oblazione, tanto per ragioni di coerenza con la legislazione edilizia, caratterizzata sulla contrapposizione tra destinazione residenziale e destinazioni non residenziali degli edifici, di cui l’invocata circolare ministeriale n. 2241 costituisce un pedissequo recepimento, quanto per considerazioni di carattere finalistico, legate agli scopi agevolativi dell’oblazione in misura ridotta in favore di ogni attività imprenditoriale, quanto per considerazioni. 7.2 La tesi dell’appellante non è convincente. L’art. 34, comma 7, prevede in generale una riduzione del 50% rispetto degli importi valevoli secondo i criteri ordinari, ed una successiva riduzione, di un terzo o di un mezzo a seconda dei casi, per ciascuna delle cinque fattispecie contemplate. Le quali sono distinte in base alla destinazione della costruzione su cui l’abuso è stato commesso o nel solo caso di cui alla lett. e”, per il quale la riduzione ulteriore è di un mezzo in luogo di un terzo prevista per le altre ipotesi della zona agricola su cui l’abuso ricade. Per le destinazioni diverse da quest’ultima sono poi previste specifiche limitazioni, differentemente graduate in relazione alla superficie della costruzione interessata dall’abuso. 7.3 Come sopra accennato, tra le destinazioni contemplate dalla norma non vi è quella ad uso ufficio/direzionale e, come ha già rilevato dal TAR, non è consentito includerla in quella industriale, di cui alla lett. a della disposizione in commento, in forza di una supposta assimilazione tra le due destinazioni e del minimo comune denominatore del loro carattere produttivo. Innanzitutto, dalla legislazione edilizia ed urbanistica si ricava ontologica differenza tra le stesse, la quale smentisce l’assunto di parte appellante - la legge n. 10/1977 Norme sulla edificabilità dei suoli” , parifica la destinazione direzionale a quelle turistica e commerciale, ai fini del contributo di costruzione art. 10, commi 1 e 2 - analoga previsione è contenuta nella legge regionale lombarda attuativa n. 60/1977 art. 4 - parimenti, nello stabilire i rapporti tra spazi destinati ad attività produttive e standard urbanistici il D.M. n. 1444/1968, distingue gli insediamenti aventi carattere industriale da quelli commerciali e direzionali art. 5, comma 1, nn. 1 e 2 . 7.4 Inoltre, come giustamente evidenzia il comune appellato, è indiscutibile la diversa struttura e funzione, tra gli immobili destinati alle due diverse attività, ovvero il loro differente carico urbanistico, sulla cui base si spiega il differente trattamento legislativo e l’assimilazione dell’uso ufficio/direzionale a quello commerciale. E’ in altri termini pacifico che l’attività direzionale dia luogo ad un insediamento produttivo, ma non certo di tipo industriale, per cui se non è stato testualmente previsto, non può esservi fatto rientrare in via interpretativa. 7.5 Né miglior sorte ha il tentativo di invocare la comune finalità agevolativa nei confronti delle attività produttive costituente la matrice teleologica della norma primaria. E’ vero che questa è alla base dell’art. 34, comma 7. Ma è altrettanto vero che la stessa non possa spingersi fino al punto di introdurre un’ulteriore fattispecie agevolativa, al di fuori cioè delle specifiche destinazioni elencate alle lettere da a a e , per le quali sono previste le ulteriori riduzioni rispetto al dimezzamento degli importi dovuti a titolo di oblazione, da ricondurre in via residuale a quest’ultima. Contrariamente a quanto sostiene l’istituto di credito, infatti, la norma ha preso in considerazione le attività che si svolgono nei singoli edifici e non già questi ultimi e tra queste non vi ha incluso, per ragioni riferibili a insindacabili scelte discrezionali di politica legislativa, la destinazione d’uso direzionale. A fronte di tale insuperabile opzione si rivela dunque vano invocare lo scopo agevolativo perseguito dalla norma nei confronti delle attività imprenditoriali, visto che a tal fine sono state prese solo alcune di queste, ritenute maggiormente meritevoli. Si pretende in sostanza un intervento nomopoietico precluso a questo giudice. 7.6 Né è possibile invocare la circolare ministeriale n. 2241 del 17 giugno 1995 laddove si fa riferimento testuale agli immobili - industriali e artigianali ivi inclusi gli immobili funzione direzionale ” . La fonte da cui tale previsione promana non ha carattere normativo, valevole nei rapporti tra soggetti dell’ordinamento, trattandosi di circolare ministeriale interpretativa. Essa non può quindi essere invocata nel presente giudizio, perché non vincola il giudice nello stabilire la portata applicativa di disposizioni di legge. 8. L’appello deve pertanto essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l’appellante a rifondere al Comune appellante le spese di causa, liquidate in € 2.500,00, oltre agli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.