T.A.V.: la perequazione salva le cubature ma non incide sull’indennità

Il proprietario che salvaguardia il proprio jus aedificandi traslando la cubatura realizzabile su un’altra area di proprietà non può chiedere il risarcimento del danno derivante dall’esproprio del suolo, in quanto ha già messo in salvo i propri interessi patrimoniali.

Si torna a parlare di esproprio e i riflettori sono puntati, ancora una volta, sulla quantificazione dell’indennità. Problema di non poco conto specie quando, come nel caso in oggetto, ad essere sottoposto alla procedura ablativa è un’area edificabile. Questa volta, però, il proprietario ha giocato d’anticipo spostando” le cubature realizzabili in un’area limitrofa e tutelando, in questo modo, i propri diritti patrimoniali. La perequazione, a quanto pare, ha permesso di salvare gli interessi economici in calcio d’angolo. L’edificabilità legale del suolo è determinata dalla destinazione urbanistica dell’area. Quando si voglia stabilire il valore del suolo soggetto a procedura ablativa è necessario determinare la c.d. edificabilità legale”. Il punto di partenza, in questo caso, è costituito dalla destinazione urbanistica dell’area, considerato che è proprio tale elemento che determina la tipologia di intervento edilizio originariamente realizzabile sull’area espropriata. Il valore del suolo è in funzione della zonizzazione. La zonizzazione è uno strumento nato in Germania nei primi anni del ‘900 ed introdotto nella nostra legislazione dal D.M. 1444/68, con il quale la pubblica amministrazione suddivide il territorio comunale in macro-aree dotate di determinate caratteristiche omogenee. Mediante la zonizzazione, l'Ente Locale suddivide il proprio territorio comunale nelle c.d. Z.T.O. ovvero Zone Territoriali Omogenee . A ciascuna zona viene riconosciuta una determinata funzione residenziale, commerciale, artigianale, industriale ecc , caratterizzata da una serie di standard, di limiti e di vincoli capaci di caratterizzare la zona” sotto il profilo urbanistico imponendo alcune caratteristiche. Determinante il ruolo del Consulente Tecnico. Nel caso in esame il Giudice aveva come di consueto in casi simili disposto una C.T.U Il consulente di turno aveva rilevato che i suoli soggetti a procedura ablativa erano tipizzati, nello strumento urbanistico vigente al momento dell’esproprio, come aree produttive terziarie classe di destinazione impianti industriali”. Di conseguenza, il suolo doveva essere considerato, a tutto gli effetti e per quanto ne consegue, come un’area edificabile. Occorre tener conto anche dei vincoli. Una volta che sia stata stabilita la destinazione dell’area, occorre verificare l’esistenza di possibili vincoli capaci di incidere sullo sfruttamento edificatorio e, conseguentemente, sul valore commerciale del suolo. Il valore dell’area, quindi, subirà una decurtazione tanto più ampia quanto sarà l’incidenza delle servitù. Nel caso in esame, il C.T.U. aveva rilevato, almeno su una porzione dell’area, l’esistenza di alcuni vincoli di rispetto” apposti per tutelare un elettrodotto ed una ferrovia. Tali vincoli, in ultima analisi, si traducevano in un deprezzamento del suolo. Sotto questo profilo, il proprietario dell’area faceva notare che il vincolo di rispetto dall’elettrodotto e dalla ferrovia era stato imposto proprio ai fini della realizzazione dell’opera pubblica che aveva innescato la procedura ablativa. Da qui il diritto di essere risarcito anche per l’apposizione di questi vincoli che, quindi, non avrebbero dovuto incidere sulla quantificazione dell’indennità d’esproprio. L’area espropriata, in realtà, era interessata dalla realizzazione di una linea ferroviaria ad alta velocità. Secondo il proprietario, l’esistenza del vincolo non avrebbe dovuto incidere negativamente sul valore del suolo e, quindi, sulla determinazione dell’indennità di esproprio in quanto si trattava proprio di determinare il pregiudizio subito dal proprietario a seguito della realizzazione dell’opera e, in questa prospettiva, in vincolo di rispetto doveva essere inteso come una conseguenza necessaria dell’opera fonte di un risarcimento a causa del pregiudizio subito. Il vincolo relativo all’area di rispetto trae origine dal P.R.G. La Cassazione, con la sentenza n. 3394/12 depositata il 5 marzo scorso, ha respinto la tesi difensiva ritenendo che il regime vincolistico traesse la propria origine nelle norme di piano e non dalla procedura ablativa. Il proprietario, a ben vedere, avrebbe dovuto far valere le proprie ragioni impugnando le norme di piano impositive del vincolo, nel momento in cui tali norme erano state emanate e con le procedure previste. Una volta che il vincolo sia stato istituito, l’esproprio è solo una conseguenza ineluttabile. Ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio è necessario valutare le cubature realmente realizzabili. Ai fini della determinazione del valore del suolo, specie quando si tratti di un’area edificabile, è essenziale determinare quali siano, in concreto, le cubature edificabili e quale sia la capacità edificatoria del terreno espropriato. Si tratta di stabilire, in parole povere, se la porzione di suolo risultante a seguito dell’esproprio conservi la propria capacità edificatoria ed entro quali limiti. A questo punto si tratterà di effettuare delle valutazioni di merito atte a quantificare l’esistenza di cubature realmente edificabili. Potrebbe accadere, infatti, in linea teorica, che il proprietario, pur essendo titolare di alcune cubature, non abbia la possibilità di procedere al loro utilizzo per una serie di motivi, quali, per esempio, la limitatezza della superficie fondiaria necessaria ad allocare il manufatto da realizzare. Nel nostro caso il proprietario si doleva della quantificazione dell’indennità di esproprio in quanto non avrebbe tenuto in debito conto la perdita di capacità edificabile subita dall’area a seguito dell’esproprio. Legittima la delocalizzazione della cubatura ma si rinuncia all’indennità. Anche questa censura è stata respinta dagli Ermellini. Il proprietario del suolo, a quanto pare, aveva provveduto a traslare la cubatura su un’altra area di sua proprietà, molto probabilmente ricorrendo alla c.d. perequazione urbanistica. Così facendo il proprietario aveva conservato il propri diritti edificabili spostandoli” su un’altra area. Di conseguenza, non era configurabile l’esistenza di alcun danno in quanto le volumetrie erano state delocalizzate. Il sintesi, il proprietario aveva salvaguardato i propri interessi economici traslando le cubature realizzabili in altra area, di conseguenza il valore del suolo costituito dall’edificabilità legale dell’area espropriata non era venuto meno ma era stato semplicemente delocalizzato ed il patrimonio del proprietario, quindi, non aveva subito alcuna diminuzione. Al massimo, si sarebbe potuto sostenere che le cubature erano stato delocalizzate in area meno appetibile dal punto di vista commerciale per cui sarebbe stato ipotizzabile una decurtazione del valore economico ma questo è tutto un altro paio di maniche. Il Decreto Sviluppo legittima la perequazione urbanistica e rende possibile la trascrizione dei diritti edificatori. Recentemente il c.d. Decreto Sviluppo, ha introdotto una modifica dell’ art. 2643 c.c. rendendo possibile la trascrizione dei contratti che trasferiscono i diritti edificatori”. Così facendo, il Legislatore ha riconosciuto la prassi, adottata a partire dagli inizi degli anni ’90 da alcuni Comuni di procedere alla c.d. cessione di cubatura” all’interno del tessuto urbanistico comunale. Stiamo parlando della c.d. perequazione urbanistica”. In definitiva, al proprietario delle cubature viene concesso il diritto di trasferirle” su un altro fondo le cubature di cui risulti essere proprietario secondo lo strumento urbanistico vigente. Del tutto legittima la valutazione effettuata in base all’edificabilità legale dell’area. Per concludere, non si può fare a meno di sottolineare che la Cassazione ha confermato in pieno il verdetto dei giudici di merito in relazione alla metodologia utilizzata per la quantificazione dell’indennità di esproprio. Non potendo far riferimento al valore di aree dotate delle medesime caratteristiche del suolo soggetto alla procedura ablativa, la Corte aveva giustamente adottato il criterio dell’edificabilità legale dell’area. In tale prospettiva, era stata valutata la zonizzazione del suolo stabilendo che questo era inserito nel P.R.G. vigente e doveva essere considerato, a tutti gli effetti, come un suolo edificabile”. Appurata la natura edificatoria dell’area, erano stati valutati i vincoli imposti sul suolo al fine di stabilire l’esatto valore commerciale del bene. Quantificata la volumetria effettivamente realizzabile, al netto dei vincoli imposti sul suolo, era stata presa in esame l’avvenuta delocalizzazione delle cubature realizzabili su altra area per cui, almeno sotto questo profilo, il proprietario non aveva subito alcun depauperamento del proprio patrimonio. L’indennità di esproprio, quindi, era stata quantificata proprio in ragione di questi elementi.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 23 gennaio – 5 marzo 2012, n. 3394 Presidente Vitrone – Relatore Ceccherini Svolgimento del processo 1. La controversia ha per oggetto la determinazione della giusta indennità dovuta per l'espropriazione di terreni di proprietà della LL Engeneering s.p.a. da parte del Consorzio Alta Velocità C.A.V. To.Mi. nel seguito consorzio , nel Comune di Settimo Torinese, decretata per l'esecuzione d'opere relativa alla realizzazione della linea ferroviaria d'alta velocità Torino - Milano, opera dichiarata di pubblica utilità con atto 31 gennaio 2002 dell'amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a La società espropriata aveva acquistato gli immobili per cui è causa, dopo la dichiarazione di p.u., dalla Cascina Armano con atto pubblico in data 31 dicembre 2002 debitamente trascritto. La società dante causa, tuttavia, aveva già promesso in vendita le stesse aree al consorzio, con preliminare non trascritto, per il prezzo di Euro 360.000,00 circa, di cui era stato corrisposto circa l'80%. Nel giudizio di merito l'attrice, in relazione a quel contratto, produsse attraverso il suo consulente tecnico una nota con la quale il consorzio offriva di pagare il residuo prezzo non ancora corrisposto, e sostenne che in forza della nota medesima le spettava il pagamento dell'intero prezzo a suo tempo concordato tra il consorzio e la sua Engeneering. Con sentenza 19 maggio 2010, la Corte d'appello di Torino ha ritenuto la produzione della citata nota inammissibile, e comunque non rilevante per la definizione del giudizio, e ha determinato l'indennità dovuta dal consorzio. Tenuto conto della relazione della consulenza tecnica d'ufficio assunta in corso di causa, la corte ha considerato che, in base al piano regolatore generale, e tenuto anche conto delle varianti adottate, al momento dell'espropriazione le aree in questione erano comprese in zona urbanistica P4, con destinazione d'uso aree produttive e terziarie classe di destinazione impianti industriali i classe d'intervento aree di nuovo impianto P . In forza di tale classificazione i terreni espropriati dovevano considerarsi edi-ficabili e ciò, nonostante che il Piano Esecutivo Convenzionato prevedesse poi l'edificabilità delle sole aree comprese nelle zone SF1 e Sf2 dell'intervento, perché la volumetria edificabile dell'area Sf3, in cui erano compresi i terreni espropriati, era stata trasferita su altro terreno di proprietà attrice compreso nell'area fondiaria Sf1. Doveva tuttavia tenersi conto dei vincoli dai quali i terreni espropriati erano interessati, risultanti dallo stesso Piano Esecutivo Convenzionato e successive varianti vincoli inerenti alle fasce di rispetto dell'elettrodotto, della ferrovia, e del canale scolmatore. La corte ha quindi dichiarato di condividere il giudizio del consulente, che il valore del fondo dovesse essere valutato come pertinenziale in forza della sua destinazione urbanistica a parcheggio privato, dell'ubicazione km 2,5 dal centro cittadino , e valutato, tenuto conto della sua esposizione e della giacitura pianeggiante in Euro 15,00 al mq. 2. Per la cassazione della sentenza, non notificata, ricorre la Sefas s.r.l., avente causa dalla LL Engeneering s.p.a. a seguito di atto di scissione, con atto notificato il 23 dicembre 2010 al consorzio, per sette motivi, illustrati anche con memoria. Il Consorzio Alta Velocità To. Mi. resiste con controricorso e ricorso incidentale per un unico motivo. A tale ricorso la ricorrente principale resiste con controricorso. La Sefas s.r.l. ha depositato note di udienza. Ragioni di fatto e di diritto della decisione 3. Il primo motivo del ricorso principale espone molteplici censure per vizio di motivazione. Sostiene che il giudice di merito - a contraddittoriamente, dopo aver accertato in contrasto con il consulente d'ufficio la natura edificabile delle aree espropriate, avrebbe fatto propria la stima dello stesso consulente - b erroneamente avrebbe tenuto conto dei vincoli di edificabilità assoluta accertati fasce di rispetto di elettrodotto, linea ferroviaria e scolmatore , essendo stata l'area espropriata inserita in un piano di lottizzazione - c illegittimamente avrebbe recepito la stima del valore espressa dal consulente tecnico d'ufficio, il quale, premesso che il metodo di stima è unico e basato sulla comparazione, diretta o indiretta, aveva affermato che non occorre che i beni in comparazione siano esplicitamente determinati - d erroneamente avrebbe pretermesso l'esame di due atti aventi ad oggetto il trasferimento delle stesse aree preliminare Cascina Armano - consorzio, e vendita Cascina Armano Engeneering , e di un altro preliminare avente ad oggetto il trasferimento di terreni adiacenti, invocati non per la loro efficacia vincolante, ma quali termini di riferimento per la stima - e erroneamente avrebbe addebitato alla ricorrente l'omessa produzione dei documenti di cui al punto precedente, in un'azione di accertamento che doveva essere compiuto d'ufficio - f illegittimamente avrebbe fatto propri i generici elementi di valutazione indicati dal consulente destinazione urbanistica, ubicazione, esposizione e giacitura pianeggiante per pervenire alla stima di Euro 15,000 al mq. 3.1. Il tema affrontato sub 3. d è ripreso nei motivi sesto e settimo. Con il sesto motivo si denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c. per avere la corte territoriale dichiarato inammissibile la produzione della nota 17 maggio 2004 con cui il consorzio aveva offerto ad Engeneering il 20% del prezzo concordato con Cascina Armano s.r.l., laddove trattandosi di un giudizio di accertamento il giudice ha il dovere di procedervi senza vincoli procedurali. Con il settimo motivo la stessa censura è svolta come violazione degli artt. 32 e 54 c.P.R. n. 327/2001. 3.2. I motivi sono infondati. È innanzi tutto da osservare che il principio invocato dalla ricorrente, per il quale in tema di espropriazione per pubblica utilità, la speciale procedura di opposizione alla stima, da parte di chiunque essa provenga, non si configura quale impugnazione del provvedimento ablatorio limitato al controllo della determinazione amministrativa dell'indennità, contro la quale le parti sono obbligate a muovere ciascuna le proprie contestazioni a pena di decadenza, ma introduce un giudizio di accertamento della giusta indennità, pienamente autonomo, nel quale il giudice deve procedere alla concreta determinazione della stessa con tutti i suoi poteri di indagine, alla stregua di criteri legali effettivamente vigenti e riconosciuti applicabili alla fattispecie Cass. 3 dicembre 2001 n. 15247 , non implica che in questo caso il giudice abbia poteri d'indagine d'ufficio diversi da quelli di un comune giudizio di accertamento, ed ancor meno che il mancato esercizio dei poteri d'ufficio attribuiti alla discrezionalità del giudice di merito quali ad esempio quelli contemplati dagli artt. 117, 118 e 213 c.p.c. sia sindacabile in sede di legittimità. Nel caso di specie la corte territoriale ha utilizzato il suo potere d'ufficio di assumere una consulenza tecnica, e ha poi adeguatamente assolto il dovere di motivare la decisione di merito utilizzando anche tutti gli elementi emersi dalla relazione del consulente. L'esistenza di elementi di fatto esterni al giudizio - e specificamente di trattative intercorse tra le parti prima dell'inizio del processo -non rientra nella cognizione del giudice, e deve essere tempestivamente allegata e adeguatamente dimostrata dalla parte che vi abbia interesse. L'omessa considerazione di quegli elementi non integra, altrimenti, un vizio di motivazione censurabile ex art. 360 primo comma n. 5 c.p.c In secondo luogo è da ricordare il principio, già altre volte affermato da questa corte, per cui in tema di valutazione di aree edificabili, ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione, l'evoluzione del sistema normativo induce a negare valore preminente al metodo sintetico-comparativo, congeniale ad un sistema, oggi abbandonato alla luce dell'art. 5 bis della legge n. 359 del 1992, governato dal principio dell'edificabilità di fatto, mentre il metodo analitico - ricostruttivo, che muove dalle caratteristiche specifiche del fondo espropriato, dipende dalla qualificazione urbanistica dell'area, secondo il principio dell'edificabilità legale, conseguendone che il giudice che accolga le conclusioni del consulente tecnico secondo il metodo analitico, non è tenuto a motivare la mancata adozione del metodo sintetico Cass. 19 gennaio 2007 n. 1161 . Nella specie il giudice di merito, non potendo tener conto dei documenti irregolarmente prodotti dalla parte, ha legittimamente valutato le possibilità edificatorie dell'area tenendo conto di tutti gli elementi acquisiti al processo, e in modo particolare di quelli emergenti dalla relazione del consulente, e avendo escluso tali possibilità ha proceduto alla stima del valore venale dell'area con un metodo indiretto, nel quale non si assume la comparazione diretta con il valore di fondi diversi ed omogenei, perché un tale valore non era noto o desumibile dagli elementi acquisiti al giudizio. In particolare, poi, il giudice di merito ha preliminarmente e correttamente osservato che l'edificabilità legale di un'area deve essere accertata, di regola, con esclusivo riguardo alla qualificazione urbanistica derivante dall'inserzione dell'area medesima in una zona omogenea del piano regolatore vigente e che pertanto, tenuto conto del fatto che nella specie, al momento dell'espropriazione, le aree in questione erano comprese in zona urbanistica con destinazione ad impianti industriali, i terreni espropriati dovevano considerarsi edificabili e ciò, nonostante che il Piano Esecutivo Convenzionato prevedesse poi l'edificabilità delle sole aree comprese nelle zone SF1 e Sf2 dell'intervento, perché la volumetria edificabile dell'area Sf3, in cui erano compresi i terreni espropriati, era stata trasferita su altro terreno di proprietà attrice compreso nell'area fondiaria Sf1 in coerenza con i principi enunciati da Cass. Sez. un. 21 marzo 2001 n. 125 . Altrettanto correttamente, peraltro, e senza incorrere in contraddizione, il giudice di merito ha pure considerato che doveva tenersi conto dei vincoli legali della proprietà, che nella specie risultava gravata per larga parte da vincoli di rispetto dell'elettrodotto, della ferrovia e del canale scolmatore. A nulla rileva, contro l'esattezza di questa affermazione, la circostanza di fatto che tali vincoli fossero conseguenza della realizzazione di una linea ferroviaria e delle opere ad essa accessorie, e cioè della stessa opera pubblica che comportava l'espropriazione. Non per questa ragione, infatti, il vincolo muta la sua natura conformativa della proprietà, che deriva invece esclusivamente da una previsione di legge, avente natura assolutamente generale e priva pertanto di qualsiasi relazione con l'espropriazione. I motivi in esame devono pertanto essere respinti. 4. Con il secondo motivo si denuncia un vizio di motivazione in relazione al punto decisivo, costituito dall'accertamento della capacità edificatoria residua del terreno espropriato, avendo il consulente, e quindi poi lo stesso giudice di merito, escluso la sua incidenza affermando che l'edificabilità residua sarebbe realizzabile su terreno compreso nell'area fondiaria Sf1. Si eccepisce che quell'area non è più di proprietà dell'espropriata. 4.1. Sullo stesso punto si torna con il quinto mezzo d'impugnazione sotto il profilo della violazione dell'art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su una domanda o su un punto della domanda. 4.2. I due motivi sono infondati. In relazione all'area residua, non gravata da limiti legali della proprietà, il giudice di merito non ha ignorato le difese della società, ma ha considerato che il valore costituito dall'edificabilità legale dell'area espropriata era stato già salvaguardato dalla proprietaria con il trasferimento della volumetria edificabile su altra area pure di sua proprietà. In tale situazione viene a mancare, nella stima dell'area espropriata, l'ulteriore requisito dell'edificabilità di fatto, ed è pertanto infondata la pretesa dell'espropriata di beneficiare, in sede di liquidazione dell'indennità espropriativa dell'area, di un valore che sulla medesima area essa non avrebbe mai potuto realizzare, in forza di legittime scelte di convenienza già operate giurisprudenza costante cfr. Cass. 31 ottobre 2007 n. 22961 . 5. Con il terzo motivo si torna sul valore dell'offerta del consorzio contenuta nella nota 17 maggio 2004. Si denuncia una violazione dell'art. 20 del d.P.R n. 327/2001, perché dovrebbe riconoscersi a quell'offerta valore vincolante, e si nega che essa sia stata rifiutata, avendo la proprietaria e-spropriata solo negato che le fosse opponibile il pagamento parziale già eseguito a favore della sua dante causa, in base a contratto preliminare non trascritto. È innanzi tutto da chiarire che la violazione dell'art. 20 del d.P.R. n. 327 del 2001 non sussiste. La dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, infatti, risaliva a data 31 gennaio 2002 anteriore al 30 giugno 2003, data di entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 e a norma dell'art. 57 d.P.R. cit., le disposizioni del testo unico non si applicano ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, perché in tal caso continuano ad applicarsi tutte le normative vigenti a quella data. Ne deriva l'inapplicabilità della norma invocata. Quanto al resto il motivo è assorbito dall'inutilizzabilità del documento invocato dalla parte, secondo l'accertamento del giudice di merito non adeguatamente censurato. Si osserva peraltro che - secondo l'assunto - la nota in questione offriva di dare esecuzione ad un contratto precedente, per la parte ancora non soddisfatta in relazione a ciò la posizione della ricorrente è contraddittoria, perché nega - non senza fondamento - di poter essere pregiudicata da quel contratto, ma vorrebbe dare alla offerta del pagamento del residuo prezzo il valore di proposta di contratto di cessione per l'intero prezzo. Dalle stesse premesse risulta invece evidente che non vi sarebbe stata in ogni caso coincidenza tra offerta ed accettazione art. 1326 comma quinto c.c. . 6. Con il quarto motivo la ricorrente principale censura l'omessa pronuncia sulla rivalutazione monetaria, pur avendo essa chiesto gli accessori. Il motivo è manifestamente infondato. Il giudice di merito non aveva ragione di ritenersi investito, in forza di una domanda estremamente generica di condanna agli accessori , di una richiesta di rivalutazione dell'indennità, che è esclusa in radice dal noto carattere di valuta da sempre attribuito dalla giurisprudenza a quel credito. Quanto all'eventuale risarcimento del maggior danno subito dal creditore durante la mora debendi art. 1224 c.c. al quale sembra per altro verso riferirsi la doglianza, si tratta di domanda autonoma per fondamento, oggetto, oneri probatori e criteri di determinazione, che non può perciò essere compresa tra gli accessori del credito. 7. Occorre ora considerare il ricorso incidentale del consorzio. Con esso si deduce la violazione degli artt. 37 e 40 del d.P.R. n. 327 del 2001. Si sostiene che l'intervenuto trasferimento della volumetria edificabile dell'area espropriata su altra area di proprietà della stessa espropriata ne comportava l'inedificabilità, a torto negata dal giudice di merito. 7.1. Il motivo è infondato. Il giudice di merito non ha stimato l'area espropriata in base alla sua supposta edificabilità, ma dopo aver genericamente affermato l'edificabilità sancita dalla qualificazione della zona urbanistica di piano regolatore, in cui l'area era inserita, ha escluso l'edificabilità legale per gran parte della stessa area a cagione dei limiti legali imposti dalle zone di rispetto, e per il resto ha escluso l'edificabilità di fatto. La stima dell'area è stata fatta pertanto in base al suo valore venale, conformemente a diritto. 8. I ricorsi devono essere pertanto respinti. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità tra le parti. P.Q.M. La Corte rigetta i ricorsi riuniti e compensa le spese del giudizio di legittimità.